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IL CORAGGIO DI FRONTE ALL’IMPOSSIBILE

MO228[29-02-1968]

MO228,1[29-02-1968]

1.Mettiamoci un momentino alla presenza del Signore.
Se in ogni tempo dobbiamo chiedere perdono al Signore per i nostri peccati, penso che adesso, dopo la Messa poi che abbiamo celebrato, che inneggia tutto alla misericordia e al pentimento, penso che in questo momento, in modo particolare di Quaresima, l'atteggiamento nostro dinanzi a Dio dev'essere proprio "cor contritum et humiliatum". La cerimonia delle Ceneri di ieri sera non dev'essere una cerimonia simbolica, dev'essere una cerimonia fatta con spirito veramente penitenziale; cioè, in altre parole, solo un po' di cenere è stata messa sopra il nostro capo, ma noi dobbiamo sentirci, sentire il bisogno di prostrarci a terra e, dico, metterci proprio in atteggiamento di umiliazione, quasi proprio di desiderare di essere proprio messi là, come che ci sono là in fondo di scarico pubblico, no, di essere gettati là nello scarico, no, don Piero, buttà là per dire, spiritualmente parlando: "Signore, fa’ un piaxere, butteme là, butteme là, perché quello è il mio posto! Peccavi, Domine". Questo atteggiamento intimo di sentire proprio: "Sono l'ultima creatura sopra la terra, sono la più miserabile! Perché se io metto in conto le grazie che tu, Signore, mi hai concesso, la mia in corrispondenza alla grazia, io sento proprio dinanzi a me, sento il bisogno di mettermi proprio all'ultimo posto: "Signore, miserere mei, abbi pietà di me, abbi pietà delle anime che tu vuoi che io salvi! Io voglio corrispondere alla tua grazia, perdonami, Signore! Io ho fatto come Giona, che è scappato via. Io dovevo predicare l'amore, predicare la penitenza, portare l'amore tuo in mezzo alle anime e invece ho peccato, Signore. Sono fuggito davanti al tuo volto, Signore". Ecco questo è l'atteggiamento proprio che dobbiamo avere durante la Quaresima, è questo atteggiamento che ci deve portare a far penitenza. Partiamo! La formula dell'acqua: H2 O, mi pare, no? Se abbiamo HO non abbiamo una molecola d'acqua, ci vuole H2 O. Ora, la formula per l'apostolo: "Miseria e coraggio", sono niente e sono tutto. È chiaro? Se manca il niente non abbiamo il coraggio, cioè non abbiamo l'apostolo, e se manca il tutto non abbiamo l'apostolo. Cioè convinzione, convinzione della nostra miseria, convinzione della nostra potenza: "Omnia possum in eo qui me confortat". Perciò sembrerebbe quasi un assurdo, caro mio don Giovanni, essere convinti di essere niente. Attenti: essere niente non vuol dire essere scemi. Compagno de Giovanni che dixesse: "Io son contento, Signore, de essere una povera creatura, sono l'ultimo della classe". No, se sei il più bravo figliolo della classe, il più bravo, vero, in Sacra Scrittura, in storia... "Indegnamente, il primo della classe sono io"; il secondo è, mi pare, Zeno, il secondo, vero, eccetera eccetera, con semplicità. Ma questo non vuol dire non riconoscere i doni del Signore, è chiaro? Non vuole dire, se uno sa cantare bene... per esempio, io so cantare bene, riesco a cantare nel canto, con semplicità, sì, va bene. Solo che invece che alla Scala di Milano, alla scala della cantina vado a cantare, vero... Fratelli miei, con semplicità. Però, pur riconoscendo i doni che il Signore, anzi, riconoscendo i doni del Signore, avere questa coscienza: io sono una povera creatura. Perché? Perché ho sciupato i doni di Dio, perché io non ho corrisposto alla grazia di Dio. Ecco la mia miseria, no? Però, nonostante questa mia miseria, io posso tutto con il Signore. Ho peccato, però col Signore che mi perdona i peccati e che prende queste mie povere qualità, perché le ho rovinate io, con questo si può... io confido che... "Non ho né oro né argento, ma in nomine tuo, ma nel tuo nome”... "nel nome di Gesù, alzati e cammina". Ho lavorato tutta stanotte, ho preso niente: "In nomine tuo, laxabo retem", no? Questo me par che questo binomio ci vuole, il niente e il tutto. Niente sono per la mia miseria, tutto sono insieme con il Signore. Prima de tutto me metto là, buttà dinanzi al Signore: sono povera creatura. Poi prendo in mano la fionda e nel nome del Signore anche il gigante Golia: tan, tan... Orca la bachetela! Capisci, caro John, cosa vuol dire orca la bachetela? John, non aver paura, va là; c'è don Vittorio che te la tradurrà, orca la bachetela.

MO228,2[29-02-1968]

2.Dunque: "Il coraggio di fronte all'impossibile".
"L'unione con Maria - e l'abbiamo visto l'ultima volta così come distrazione - conferisce ai suoi soldati un coraggio particolarissimo di fronte all'impossibile. - adesso voglio farvi diventare coraggiosi - È una tesi cara alla Legione, quella che afferma la possibilità dell'impossibile: oppure, in maniera più precisa e nello stesso tempo più pittoresca e ardita, che 'l'impossibile è divisibile in un certo numero di passi possibili'". Voi, voi sarete mandati a compiere delle cose che a prima vista sembreranno impossibili; impossibili per me, impossibili per voi. Cominciare un Istituto, una Congregazione religiosa con un insulso de un pretin... Impossibile, impossibile! Come se fa? "Maria Santissima, che putelo!", la ga dito quell'altra, no? Impossibile! Ma per forza, no? Con tre quareli pretendere de fare un grattacielo? E se invese de tre quareli, ghe xe un quarelo de terra, tutto schisà, con questo? Impossibile! Impossibile! Come se fa? Darghe da magnare a tante persone con pochi pesci e pochi pani è impossibile, impossibile! Ma eccolo qua. “Paradosso?”. No, caro Ottorino. “Forse, ma paradosso vissuto. Che si vuol dire? Si vuol dire che non bisogna rifugiarsi dietro la parola "impossibile"...”. Tante volte xe come un pajaro, che se xe sconti de drio, seto, Marco? Xe impossibile magnare e fare colasion perché gli altri te porta via la roba... Ma no! Xe possibile scondare un par de uvi dentro el cassettin, è possibile, è possibile! Tante volte ci si rifugia “dietro la parola "impossibile" per sottrarsi al lavoro apostolico, e che il mezzo più sicuro di condurre a buon termine l'opera qualificata per "impossibile" è di fare un primo passo possibile verso una soluzione di essa". Ecco là quelli addetti alle vocazioni: "Ma xe impossibile, sa, tor su vocazioni adesso, perché ghe xe là quelli del centro diocesano che i va dappertutto, e i piccoli xe impossibile trovarne!". "E i grandi?". Oh! È impossibile perché non i se trova! "Sì, va! Tu sei andato?". "Sì, varda, son andà in venti posti, provà in venti associazioni, ma non ghe xe niente da fare, xe impossibile! Creda, xe impossibile!". Formare i tosi? “Ma xe impossibile! Perché varda, mi go provà, go provà con cineforum, go provà... Te vedi sempre... qualunque roba che te tachi i se ribella... varda, xe impossibile, xe impossibile!”. In una parrocchia, c'è una parrocchia: "Cossa vuto, te parli de penitenza e non i vole savere, te parli dell'Inferno e non i vole savere, te parli della misericordia di Dio, te parli del Paradiso... i dixe che lori i lo ga in terra. E insomma con la gente de ancò, coi tosi de ancò xe impossibile!".

MO228,3[29-02-1968]

3.Xela così, don Piero? Cioè dinanzi alle difficoltà, e sono difficoltà, e veramente viste così sembrano impossibili, no? Ma sta attento: mangiare un elefante sei capace tu? No! Ma mangiarne un pezzettino alla volta così si potrebbe? Ah! Visto? L'ha detto anche John, anche l'Africa è d'accordo con noi. Magnarlo tutto su un colpo, no, magnarlo un pezzettin alla volta, se pole.
E veniamo qui. "Non si può raggiungere d'un salto la cima d’una montagna, è però sempre "possibile" di scalare un'altezza, poi un'altra, e così di seguito fino al vertice". Dire, per esempio, guardate anche nel piano pratico: “Andemo su a Cima 12”. “Ma, per carità! Mi? 53 anni su a Cima 12? Ma scherzèo?”. “El senta, no, el varda, don Ottorino, andemo via con la tenda; andemo avanti, andemo avanti un tochetelo, lì fino alla croce”. Savì dove che xe la croce de S. Antonio. Co semo alla croce, andemo avanti un altro tochetelo, adesso... fino a... Co semo arrivà a Cima 12: "Come xela stà?". Quante volte nella vita capita queste robe qua! Con i ragazzi... Dite voi ai ragazzi: "Dovemo andare fino in fondo là". “No!”. Dite: "Beh, andemo avanti...". Senza accorgersi si arriva a quel posto. Mai capità ste robe? Eppure! "Ogni possibilità vinta dà accesso a una nuova possibilità. È il trionfo del "divide et impera", dividere per regnare”. Per una parrocchia: "Non c'è niente da fare, non c'è niente da fare, non c'è niente da fare! Go provà con uno, con l'altro, con st'altro". Senti: prova e riprova, prova con uno, riesci che uno venga in osteria con te a bere un bicchiere, intanto hai ottenuto una vittoria, no? Dopo riesci che venga a mangiare in casa tua: un'altra vittoria. E piano, piano... consumerai dieci anni per convertirne uno. Ma intanto non era impossibile, intanto ne hai convertito uno, vero? E perché noi vogliamo mettere, sa... Cioè, noi vorremmo con una predica convertire il paese e dopo andare a passare in un altro, vero? "Può darsi, ma in ogni caso, se questo 'semplicismo' va bene senza dirlo, va ancora meglio dicendolo. E mettendolo alla prova! Nessuno dei successi spirituali della Legione fu tentato senza che da ogni parte si decretasse che il compito assegnato era impossibile".

MO228,4[29-02-1968]

4.Parla della Legione di Maria, e adesso qui descrive alcuni casi dove che nel tal posto, per esempio, tutti i ga dito: "Xe da matti! Non xe possibile, non xe possibile!". Ed è stato possibile.
Anche sul piano umano, oltre che sul piano soprannaturale, il fatto di dire: "Senti, ghemo da riuscire! Ghemo da riuscire, metterghela tutta, ghemo da riuscire!". Possiamo mettere in moto quelle famose energie di cui abbiamo parlato l'altra volta, che abbiamo dentro di noi, recondite dentro di noi, e che saltano fuori soltanto quando mettiamo in un momento d'emergenza quel famoso carburatore di cui abbiamo parlato ancora, no? Quando che abbiamo costruito Bosco, quanti fuori di qui dicevano: è impossibile! Quanti anche dentro qua hanno detto: è impossibile! E abbiamo detto: "Bisogna farlo, bisogna farlo!”. Ed è stato possibile, e si è fatto, no? La chiesa, questa ala qui, e dite tutto l'Istituto. Ora, bisogna che a un dato momento abbiamo anche un po' di coraggio di fare il piano un po' più grande. Se abbiamo mille lire in tasca e facciamo solo il piano per 500 lire, avere il coraggio di dire: "Beh, fino a mille lire ci arriviamo, 500 speriamo; e dopo eee... dopo facciamo". Vediamo un pochino con la testa... un pochino, no, specialmente nel campo spirituale, bisogna miga che facciamo soltanto... sa, vivendo di rendita... degli impiegati che vivono di rendita... qualcosina di più! Perché guardate che questo lo porto specialmente nel campo spirituale, quello che è il lavoro spirituale; perché questo, questo coraggio ci deve dare la forza di andare all'attacco, e non star lì a dormire. Per cui, a un dato momento, se siamo in un centro domani in America o in un'altra parte: “Beh! Vediamo che cosa si può fare. Cosa c'è...”, no: "Go fatto la mia predica e adesso go fatto tutto". No, vediamo... Più di una volta ci capiterà che dopo essere arrivati a casa, prendiamo la macchina un'altra volta per andare in cerca di un'altra pecorella smarrita, no? E, dopo aver tentato, siamo tornati a casa sconfitti, dire: "Ma no! Porca la miseria! No, che non sono sconfitto! Vado in chiesa a pregare, torno un'altra volta e vediamo un po': se non son capace di prenderlo per il braccio lo prenderò per una gamba", no? Io penso, insomma, ecco, penso che dobbiamo imparare molto dagli uomini che sono sopra la terra, dagli industriali su questo punto qua, che non si arrendono, che non si arrendono. E magari i fa stroppoli da bottiglie e i se fa una fortuna, no? I trova el modo... Il vero industriale prova, el prova fin che el trova l'articolo e via, non si perde di coraggio. Anche tu, quando che andavi alla caccia all'elefante, ti perdevi di coraggio? No, è vero? Era l'elefante che si perdeva di coraggio dinanzi a te...

MO228,5[29-02-1968]

5."Succede per queste pretese impossibilità come per i picchi delle Alpi: da lontano sembrano irraggiungibili, fino al giorno nel quale un alpinista più audace scala la prima vetta, poi una seconda, poi una terza, e poi l'ultima. Non è necessario sapere fin dal primo passo che si tenta come si potrà fare il secondo, e tanto meno l'ultimo; basta credere che Dio ci affida l'iniziativa del primo e che si incaricherà di quanto occorre per la tappa finale".
È tutto qua, no? Sapere che Dio ci dà questo campo di lavoro, questo lavoro da fare. Ma xe la volontà del Signore? Sì! Il Signore me dalo la grazia de fare el primo passo? Ben, el me aiuterà anche a fare l'ultimo! Sbaglio? Cioè, questa è un'opera di Dio? Sì! Adesso... Ecco, vedete quante volte abbiamo detto qui in casa, la preoccupazione nelle nostre cose è sempre stata questa: vedere se questa xe un colpo de testa mio o la volontà del Signore. Cioè vedere: questa iniziativa adesso qui... si tratta di andare, per esempio, a Roque Sáenz Peña, si tratta di andare a Resende. Va ben! Questa opera da fare, questo lavoro da fare è un... lo faccio io così per capriccio o mi sembra che sia opera di Dio? Perciò fermarsi per vedere se è opera del Signore. Quando siete sicuri che è opera di Dio, che ha i carismi... non occorrono mica miracoli, no? Dopo il Signore, caso mai, mette a posto lui, "mirabilius reformasti", caso mai. Ma quando, insomma, avete cercato pregando, consigliandovi, se è opera di Dio, ma non vi deve fermare neanche un esercito schierato contro di voi. Perché gli altri spareranno e voi vi siederete sopra il bossolo della cartuccia là e finirì per correre de più e far più presto ad arrivare. Un uomo che è preoccupato di fare la volontà di Dio e che parte ha Dio con sé. E perciò non può essere fermato quando che parte in nome di Dio. "In nomine Domini laxabo retem", nel nome del Signore io parto! Quando ho cominciato l'Istituto, io sapevo che era volontà di Dio, e non mi ha fermato nessuno, nonostante che tutti mi dicessero che ero matto. Ora, sentite, voi dovete fare in questo modo qua, in qualunque parte il Signore vi mandi.

MO228,6[29-02-1968]

6.“Non son mica venuto...”, mi scriveva un giorno don Luigi Mecenero: "Ecco, - era scoraggiato, la prima volta, no, ho avuto una letterona, terminava... - ecco, l'unica consolazione che ho, che non sono venuto io; sono stato mandato e perciò vado avanti nel nome del Signore". Quella ha riparato tutto, no? “Vado avanti...”. E ho preso subito in mano la penna e gli ho scritto una letterona dicendo: "Bravo! Coraggio! Sono contento perché ee... eh, perché vado avanti nel nome del Signore”. E quando si va avanti nel nome del Signore si sfonda.
"Abbiamo una tendenza naturale a qualificare di insormontabile un determinato compito, e decretare disperato un determinato caso. Che ne sappiamo noi? Dio si compiace di ingarbugliare i nostri calcoli e di confondere i nostri timori". Subito: “È impossibile! Gesù, xe impossibile! Signore, non se pole!”. Il Signore si diverte ad ingarbugliare. Andiamo in un posto, crediamo di trovare tutto pronto, preparato, eccetera, e invece no... tutto da fare... tutto da fare. Supponiamo, ecco, se va a dir Messa in un posto e trovi ancora le tovaie dell'altare da metter su, il leggìo, le candele, manca fiori, manca tutto.. te vien voia de far cussì... Eh, gnente paura! Comincia col fare un po' de pulissia, e dopo mezza oretta xe tutto pronto... e intanto arriva la gente, vero? Cosa volete fare, il Signore si diverte a ingarbugliare per vedere la nostra fede, l'è sconto el Signore dentro el confessionale e el varda un po' cosa che femo. Se tiremo qualche oca, capissito, don Giuseppe? Il Signore se diverte: fasso finta de non aver preparà niente. Come si diverte qualche mamma qualche volta. Mia mamma si divertiva a non mostrare el dolse, e lo scondeva sotto la secia. Ve ricordè quante volte che ve lo go dito, no? "Sai, don Ottorino, non go miga fatto niente, non go possudo, non go possudo". Ma mi savea che me mamma lo gavea fatto, e allora andavo a cercare de qua e de là, finché lo trovavo dentro nel fornetto o dentro nel secio... da una parte el saltava fora, el saltava fora. Gera impossibile che mia mamma non lo gavesse fatto. Alla domenica mia mamma faceva il piccolo dolce, e insomma più di una volta la ga sercà de imbrojarme, ma... non gera possibile... me mamma lo gavea fatto. E così Dio: tante volte si diverte proprio a ingarbugliare le cose, perché s'illude... Il Signore vuole zugare anca lu, el xe un zugatolon, cosa volìo fare, un pochetin, per vedere un po' la nostra fede. Bisogna che sentiamo così il Signore.

MO228,7[29-02-1968]

7."La mano vittoriosa del Cristo s'impadronisce anche delle anime più ribelli, e la storia del colpo di folgore sulla via di Damasco è di tutti i tempi. Non si finirebbe più se si volessero citare tutti questi prodigiosi interventi della divina misericordia".
Bisogna confidare in questi interventi prodigiosi della divina misericordia, della bontà di Dio. Vedete, forse... ve l'ho detto tante volte: mettiamo troppo su un piano di ragionamento il lavoro apostolico. Quando Abramo saliva il monte con Isacco: "Papà, la legna e il fuoco c'è, e la vittima?". "Dominus providebit!". Questo uomo di Dio che va a compiere il sacrificio del suo unico figlio, che aveva tanto desiderato e per il quale il Signore aveva fatto tante promesse. Il Signore chiede il sacrificio e non si discute. Ma pensateci un pochino, ouh! Il Signore aveva promesso... una donna sterile che partorisce, riesce ad averlo, ringrazia il Signore... se lo vede... Pensate il prof. Carraro che avesse soltanto questo figlio Enrico: se lo tira su, arriva alla età, avrà avuto dodici tredici anni, almeno, no, se lo aiutava a portar su anche la legna e la roba, vero... Arriva all'età, senza figli... solo un figlio tanto desiderato... il Signore: "Guarda, ti benedirò. Le tue generazioni saranno... riempirà la terra come le stelle", eccetera, un mucio de bele robe e... "Abramo, Renato, ciapa el piccolo, su al monte Crocetta: còpelo!". Ma, ouh! Disime un pochetin. E lu: "Signore... ma cossa?". Ma te vien da dire: "Ma, Signore, gheto perso la testa?". E lu no. Prende il piccolo e su. E il Signore lascia che stenda el piccolo... el piccolo andando: "Papà...". "Dominus providebit!”. Arrivà in xima, stende tutto, el piccolo che pianze, l'altro alsa la man... "Alt! Basta!". Guardate che il Signore agisce sempre così. O voi capite questa lingua, o se no è come che andaste in Brasile e parlar solo che el dialeto. Se ve in Brasile e non imparè el brasilian, ma xe inutile, xe meio che stè a casa, no? È chiaro? Andar in Brasile e parlar solo che il dialeto veneto; lassè che lo parla mi, ma voialtri là, no, no! Andare in Francia e parlar solo che l'italiano, no, bisogna parlar el francese, no? Ora, se volete essere uomini di Dio dovete ragionare come Dio, parlare come Dio, agire come Dio; se no voi parlate una lingua che non è la lingua di Dio. E la lingua di Dio, l'agire di Dio eccolo qua: l'opera è sua, vuole essere lui, vuol essere lui, e per essere lui fa far la ginnastica ai suoi uomini. Un colpo el te fa andare in zima al monte... Non si capisce niente e improvvisamente appare lui; un altro momento si nasconde e el dixe: "Vien là che ghe son mi!", e nol ghe xe... ma insomma è questa la bellezza, perché dopo interviene lui. E le opere grandi, proprio meravigliose, le compiono soltanto questi uomini che sono capaci di essere a disposizione di Dio sempre e solo, sempre e solo a disposizione di Dio. Questi compiono le cose che sembrerebbero impossibili. E allora tu vedrai uno, che poveretto, ha due talenti solo, però li ha trafficati e ne ha quattro, ma con quattro tu vedi improvvisamente che el diventa paron dell'Italia. Quell'altro, che el gavea milioni da una parte, li ga magnà fora al casinò... Cosa vuto fare? Così la xe! È la storia di tutti i tempi! "Come sapere che io ho fatto 'abbastanza' per quell'anima? Con quale criterio posso misurare la pazienza di Dio?".

MO228,8[29-02-1968]

8.Quante volte ci ritiriamo da uno: "Ah, non c'è niente da fare! Go provà, ormai non ghe xe niente da fare, niente da fare!". Eh, quando lasciare il polmone là d'acciaio e dire: "Basta adesso, che l'è morto!". Prendersi la responsabilità dinanzi a Dio di dire: "Mi non ghe digo più niente perché ormai non ghe xe più niente da fare", spiritualmente parlando.
"Considerate da vicino e vedrete che un buon numero di 'impossibilità' risultano belle e possibili". Tante volte tu vedi dei poveri pretini che non i vale venti schei e i ga fatto diventar possibile quello che era impossibile. Vai in una parrocchia, un parroco che era il primo della scuola, resta in quella parrocchia, sa, prova, siga, la parrocchia non si cambia. Arriva un altro che è pieno di doti, eccetera, non si cambia. Va un povero prete che... meno doti, però pieno di Dio... ma ha trafficato i talenti, sennò non è pieno di Dio, no, el te va là e nel giro, che so io, de un pochi de anni el trasforma la parrocchia, ma la trasforma in un modo meraviglioso. “Exempli gratia”, Rosà... mons Celadon. Mons Celadon te lo ricordi tu, no? Lo hai sentito nominare, no? Che impronta ha lasciato a Rosà! Ancora adesso vivono di rendita. Dopo di lui chi è stato? Monsignor Albiero, no, e dopo di mons. Albiero, adesso mons. Ciffo e vivono ancora di rendita di questo prete semplice, che non aveva doti... non era laureato, né niente, ma un uomo di Dio, un uomo di Dio, ma di Dio che non avete neanche l'idea, perché andava una volta alla settimana con la sua biciclettina in seminario a Rosà e là, pacifico e tranquillo... dopo quando che era padre spirituale, ma un uomo di Dio. Il Signore si serve, vuole uomini nelle sue mani, ma uomini interi, e cioè, se hanno dieci talenti... con venti talenti. Vedete che adesso, per esempio... Per il passato io ho insistito su questo punto qua. Adesso vedete che sto lavorando anche per avere uomini laureati. E voi sapete che abbiamo già preconizzato il nostro caro Paolino ad essere laureato in Sacra Scrittura, vero, non so se lo sappiate, comunque. Il prossimo anno, mentre che don Luigi andrà a spiritualizzarsi e don Luciano andrà per la teologia, manderemo Paolino... Venco a Milano indietro e avanti per la teologia, per licenziarsi in teologia, poi manderemo Paolino a Roma per la Sacra Scrittura. Penso che non vi dispiaccia, vero? Perché Venco dopo lo riserveremo per gli assistenti e allora è giusto che sia preparato, e Paolino lo manderemo all'università di Saviabona a insegnare Sacra Scrittura.

MO228,9[29-02-1968]

9.E guardate che mi son el primo a dire, e ne prepareremo molti altri, ma sopra questo piedestallo, se c'è questo piedestallo: buona, ma se non c'è questo piedestallo, non c'è niente da fare. A che cosa servono tutte quelle robe lì? Fa molto di più il Santo Curato d'Ars. Ma se il Signore vuole e il Santo Curato d'Ars e San Tommaso d'Aquino, e va bene, faremo anche Paolino... d'Aquino. Speriamo che nol sia un bue muto che dopo el ne dà qualche scornà, invece che el muggito, vero, de San Tommaso... Perché pole esserghe anca i bò che dà scornà, vero, Paolino? Va ben che l'è piccolo e podemo ancora, vero, Piero... lo buttemo fora dalla finestra.
Vedete, quando questi uomini sono nelle mani di Dio, mani di Dio, devono essere nelle mani di Dio in modo tale che all'ultimo giorno, per esempio, prima di essere laureati dovrebbero dire: "Senta, è così, ma se lei crede, se il Signore vuole, se è volontà di Dio che io parta e vada a Grumolo a fare là el boaro per tutto il tempo della vita, sono pronto, eccolo qua, Signore, con santa semplicità”. Ovvero: "Se lu crede che vada là a fare el cappellan al Chaco par tutta la vita... e che vada... pronto! Io non ho ideali, io ho solo l'ideale di fare la volontà di Dio”. Con questi uomini, figlioli, si fa qualche cosa; ma con altri uomini che: "Ma sì, ma... mi sì... ma...", quelli el Signore non sa cosa farghene. Sono carri di letame quelli. Sbaglio? Sono carri di letame, per quante doti che abbiano. "Mi sì... ma... mi sì... ma, però, voria vedere perché se no... ma". Cioè vogliono essere loro gli artefici delle loro... "Perché abbiamo dei talenti e abbiamo il dovere di collaborare per trafficare i talenti". Ma struca, struca, struca, xe pien... il desiderio di essere qualche cosa... Ora, avete il dovere di collaborare grandemente, ma di collaborare per diventare di Dio, interamente di Dio: questo avete il dovere di fare. Perché tutti dobbiamo collaborare per questo.

MO228,10[29-02-1968]

10.Finiamo di leggere... Oh, mamma mia fin dove che rivemo.
“Questo coraggio - figlioli - è raro...”, di trasformare l'impossibile in possibile, ma è necessario, è necessario: avere il coraggio di trasformare l'impossibile in possibile sembrerebbe una roba... Xe raro trovare chi che ga questo coraggio. Tu parli insieme con tanti apostoli, te li trovi scoraggiati, scoraggiati: "Sì, ormai cosa vorlo? Con i nostri tusi ormai non ghe xe niente da fare! Cosa vorlo, con la gioventù, la gioventù ne sfugge tutta quanta", eccetera eccetera eccetera. Tu trovi spesso gente che dice così. Aver il coraggio di dire: "Così la xe... ma avanti!". Xe raro trovarlo, però guardate che è tremenda sta parola: “... eppure è comandato". È raro trovare questo coraggio, ma è comandato. Perciò io e voi abbiamo un comando, da parte del Signore, di non tornare indietro, retrocedere, dinanzi a quello che sembrerebbe impossibile. Se il Signore ti dice: "Le porte sono chiuse, tu devi passare", tu devi andar su per il muro senza esitare un istante e senza aver paura de sbattere el naso e romperte el naso. Se non siete così, cambiate mestiere! Capito? Vi dico: se voi siete sicuri che è volontà di Dio che bisogna passare al di là del muro, voi dovete partire senza esitare un istante e senza neppure pensare de mettervi in tasca el fassoleto par sugare el naso che... che vien fora là. Perché sennò ve capita come Mosè, che el ga battù do volte, che non l'è entrà nella terra promessa. Andiamo! 5 marzo 1968