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LA VIRTÙ DELL’OBBEDIENZA

MO280 [28-10-69]

28 ottobre 1969

MO280,1 [28-10-69]

1.Sia lodato Gesù Cristo! Abbiamo cominciato le nostre meditazioni con il nostro caro padre Matteo, e abbiamo affrontato il problema dell’umiltà. Padre Matteo ci diceva che ci sono tre motivi per essere umili, e ne ha accennato solo due; cioè il primo motivo della nostra umiltà è la nostra impotenza fisica, secondo la nostra miseria un pochino, i nostri peccati. Adesso, invece che passare a parlarci del terzo motivo, ci dice come possiamo essere umili, ci insegna due modi per essere umili. E questa mattina affronteremo questo. Poi continuerà il suo cammino e ci dirà il terzo motivo per cui dobbiamo essere umili. Quasi ci conferma un po’ nell’umiltà; dice: “E se non vi basta quello che abbiamo detto, sappiate che dovete essere umili anche per questo”. Non voglio anticipare i tempi. Soltanto, prima di leggere alcuni pensieri, che saranno oggetto della nostra meditazione, voglio soltanto che dirvi che lui ci dirà che il primo motivo, il primo mezzo per essere umili sarà l’obbedienza, e siccome che oggi bisogna questa pillola un pochino indorarla, penso che sia meglio premettere a quello che dirà padre Matteo alcune cose, affinché non si faccia un’indigestione, sa, un pochino, adesso dicendole con quelle parole che sarebbero state dette dieci anni fa.

MO280,2 [28-10-69]

2.Ora, vedete, è vero che, è vero che con il Concilio è stato messo a fuoco il dovere dei superiori di manifestare agli altri l’amore di Dio e di chiamare tutti a una collaborazione. È vero che l’obbedienza dev’essere proprio una collaborazione, cioè, vera e propria, una fraterna collaborazione, una ricerca della volontà di Dio; dev’essere una cosa responsabile, una cosa fatta insieme. Questo, siamo pienamente d’accordo. Però io vorrei proprio qui... siamo religiosi e essendo religiosi siamo dei consacrati, degli offerti a Dio... Bisogna che ci parliamo chiari. Guardate, mettendoci tutto l’oro che volete, tutto il dolce che volete, resta che l’obbedienza è una immolazione di noi stessi al Signore, resta che è un sacrificio. Parliamoci chiari! E se vogliamo togliere questa parte di sacrificio, se vogliamo completamente escludere questa parte di sacrificio, non abbiamo capito niente di quella che è la nostra consacrazione al Signore. Guardate, prendete il superiore più santo che ci sia, prendete il regolamento più lieve che ci sia, resta sempre che, insomma, a un dato momento bisogna rinunciare alle nostre vedute, bisogna rinunciare al nostro io, bisogna fare qualche cosa che non piace. Ora, vedete, prima di tutto, cerchiamo prima di camminare su questa strada, di pensare un pochino al nostro maestro, a Gesù. Credo che Gesù non era uno fuori tempo. Se venisse anche oggi Gesù farebbe quello che avrebbe fatto più o meno 2.000 anni fa, cambiando un pochino il discorso, la forma; ma resta che Gesù ha fatto un’obbedienza responsabile... altro che un’obbedienza responsabile! È una obbedienza in collaborazione col Padre... cioè, cercava anche di prendere le iniziative, telefonava su: se arrivava il permesso, buona; se non arrivava, pazienza! Ma noi abbiamo queste caratteristiche dell’obbedienza: proprio chi obbedisce deve saper prendere anche delle iniziative, deve dare una collaborazione nell’obbedienza. No avere una obbedienza passiva: “Faccio questo. Mi hai detto di portare un mattone e porto un mattone”. Se ti mando a prendere un mattone... e il superiore si è dimenticato di dirti che ci vuole anche la malta, porta un mattone e anche la malta. È chiaro? Se il superiore vedi che ha sbagliato... intendeva dire un blocco pesante, porta un blocco pesante. Qui ci vuole un certo criterio, un certo...

MO280,3 [28-10-69]

3.Non è quella obbedienza matematica per cui dici a uno: “Va’ a infornarti!”, quell’altro salta dentro nel forno a infornare. No! Questa lasciamola fare a qualche santo particolare, in un momento particolare; ma in via generale se diria che zè un’obbedienza da matti questa qua. È giusto? Un caso particolare può essere il caso di un santo, ma... è un caso particolare, lasciamolo fare... A un dato momento ci vuole un’intelligenza ragionevole, uno con la sua intelligenza, che dice anche al superiore: “Guardi, sì, lo faccio, per carità! Forse è il caso, è bene far così, ma, ma...”. Non una ribellione, non uno che cerca di non fare. Uno che cerca di far meglio, sì; uno che cerca di collaborare, sì; ma non uno che cerca con la sua intelligenza di cavarsi il peso dell’obbedienza. Questo no, assolutamente! Potrai dire: “Non ce la faccio. Se è possibile, faccia una carità, mandi un altro. Però, guardi che son pronto a obbedire”. Questo sì! “Padre, se è possibile, passi... Non sta mandarmi missionario su par il Calvario - ha detto Gesù, no? - perché la pesa un po’ troppo, perché xe troppo caldo lassù... Però, se... per carità, se... son pronto e ci vado”. “Ci vai!”. E allora è andato ed è morto, vero? Ora, questo, guardate, mi dispiace tanto, finché, vero, ci sarà il Cristo, vero, in mezzo a noi, bisogna che l’obbedienza sia così: questa donazione totale, questa disposizione nelle mani di Dio. Perciò, quando domani sarete vecchi voi e parlerete ai superiori, farete... allora, sa, ci saranno tante Case in giro per il mondo, e farete gli esercizi specializzati per i superiori delle Comunità, allora vi dico: “Bastonateli forte, bastonateli forte, ma più forte che è possibile per spingerli a essere padri, a non far pesare l’obbedienza, ad aiutare nell’obbedienza, a collaborare in modo da andare incontro più che è possibile...”. Ma, ricordate, quando voi parlerete a tutti i religiosi, mettete davanti Gesù, l’esempio di Gesù. Non c’è niente da fare: “Factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis”. E qui dico: questo per i superiori e questo per l’ultimo che ha fatto i voti, vero, l’altro giorno.

MO280,4 [28-10-69]

4.Perché siamo tutti consacrati alla volontà di Dio. E la volontà di Dio, ricordatevi che non domanda sempre caramelle. Basta guardare la vita della nostra buona mamma, la Madonna. Dio, ricordatevi bene, domanderà qualche cosa che costa. Del resto, non facciamo tanto i martiri. Il Signore domanda qualcosa che costa alle nostre buone mamme, lo domanda ai nostri papà, lo domanda a tutti gli uomini che sono sopra la terra. Non dobbiamo dimenticarci che siamo viatori, che stiamo andando verso la patria, che non è questa la nostra patria, che qui dobbiamo purificarci, che dobbiamo portare un po’ di croce, e questa croce per pagare i peccati, nostri e dei fratelli. Quello che abbiamo meditato negli esercizi spirituali, che noi siamo chiamati in modo particolare, vero, a vivere la passione del Signore, non dobbiamo dimenticarlo. E una parte della passione è proprio questa immolazione della nostra volontà. Che poi, considerato bene, guardate che non è poi l’immolazione più grande che il Signore chiede a noi. Perché se domandiamo a tanti papà di famiglia, tante mamme di famiglia... ci mettiamo in confronto, penso che qualche volta dobbiamo arrossire. Ma bisogna assolutamente che la prendiamo questa obbedienza con spirito soprannaturale.

MO280,5 [28-10-69]

5.Voi direte: ma a chi, e per cosa, in che modo, Eccetera? Prima di tutto, fratelli miei, obbedienza, obbedienza a Dio, obbedienza a Dio, ai comandamenti di Dio. Non tanto giudicare... Il Signore ci ha detto così. È il nostro Padre, è il nostro fratello Gesù che ci comanda certe cose. Meno discussioni, meno discussioni, e più azioni! Meno chiacchere e più fatti! Non stiamo: “Ma, si può... non si può...”. La misura sia l’amore, e non sia la morale... Scusate, dico brutte parole, vero? Non misurate con la morale, misurate con l’amore, con la carità verso Dio, le cose. Meno discussioni... Se la particola deve essere tre centimetri di diametro o tre e mezzo... Inginocchiatevi, vero... “Non credo a quelle cabale lì”. “Gnanca mi! - el ga dito - Xo la cana parchè passa el paron del mondo!”. Ecco, un pochino, insomma! A un dato momento Dio ti ha comandato questo, e obbedisci a Dio. Non sia, attenti, la nostra vita una ricerca, una ricerca scientifica per evitare i pesi della legge di Dio. No, no! Sia, invece, una amorosa disposizione nelle mani di Dio. Che non consumiamo la vita studiando tutte le enciclopedie de ‘sto mondo... per cercare di dare meno che è possibile al Signore. Diamo quello... Non è il caso di diventare scrupolosi, non è il caso di ripetere dieci volte un salmo, non è il caso di ripetere venti volte il Padre nostro; ma nello stesso tempo, però, se Dio ti ha proibito di dire una cosa, di fare una cosa, non si fa; se ti ha comandato di farla, la si fa. Chiaro? Questa disponibilità alla legge di Dio. E alla legge della Chiesa. Guardate, fratelli miei, siamo in un momento che, voi capite, che è facile trovare chi dice male della Chiesa, chi mette un po’ in cattiva luce certe disposizioni, chi, un pochino, ti critica e questo e quello... Ma, sentite, siamo “in humanis”. Diceva benissimo il nostro caro don Giuseppe di felice memoria, vero, che nella Chiesa bisogna guardare un pochino la Chiesa che sta camminando umanamente sopra la terra. Mi pare che dicevi così, no? C’è la parte umana, per cui quella è una cosa che cambia, una cosa che non sarà mai perfetta quella lì. Non dicevi così, press’a poco? Perché quella è una cosa che non sarà mai perfetta. Ma se vogliamo trovare... Per esempio, mi ricordo che quando si era giovani si guardava il manipolo: “Ma cosa serve?”. “Una volta... la storia... eccetera”. “Ma perché non se pol tirarlo via?”. Ma, va’ là, mettelo su, tante storie, andar perdare la pace... Quando che saremo capi de tutte le cerimonie del mondo, allora tireremo via el manipolo... A un dato momento... ma non stiamo perdere la pace per un pezzo de strassa messo su par la manega o par un toco de cingolo attorno alla vita! Perché perdiamo la pace, insomma, per cose che insomma non vale proprio la pena perder la pace? Prendiamole così...

MO280,6 [28-10-69]

6.Va bene, quando che saremo noi Papi... San Pio X, quando che aveva il breviario lungo due ore da dire - perché una volta dicevano il breviario che era molto più lungo di quello che diciamo noi, no? - ed era cappellano a Tombolo, dice: “Sa vao Papa mi - el ga dito - lo fasso diventare curto de colpo quelo de Pasqua! - el ga dito - Parchè a se ga da confessare, se ga da benedire le case, tante robe da fare; e i te ga messo el breviario più lungo”. Era proprio il più lungo breviario in quel tempo lì. È arrivato Papa; una delle prime cose: scursa el breviario! E fate anche voi così! Se c’è qualche cosa che non va, dite: “Ben, co sarò Papa mi, la tiro via de colpo quela roba là”. O sennò, quando che sarai qualche pezzo grosso, qualcosa... Amici miei, ma prendiamo con semplicità! Non facciamo diventare essenziale quello che è molto secondario. E tante volte, guardate, perché ci costa un po’ di peso. Guardate che è tutto lì. Bisogna che siamo un pochino pieni, un pochino, un pochino di spirito di mortificazione, un po’ di spirito di penitenza. Prendere le cose un pochino... Credete, per esempio, scusate, che noi fossimo proprio, proprio stupidi, sì, ma proprio del tutto, del tutto, da non vedere certe incongruenze? Che non le abbiamo mica viste? In trent’anni di sacerdozio, pensate proprio voi, proprio, che non abbiamo viste alcune cose che non vanno? Ma, sentite, se io mi mettessi tirar fuori tutte quelle che ho visto, vi direi tante cose che voi non avete ancora viste. Vi assicuro io. Ne ho sentite tante; e vi assicuro io che ne tirerei fuori di quelle che voi non avete ancora visto, non avete ancora segnato. Ve l’assicuro. Ma a un dato momento, se anche in casa tua fanno in un modo... ma porta pazienza! Quando io non posso modificarle, quando che la mia critica si ridurrebbe soltanto a una mormorazione, a una critica inutile o a una roba accademica, ma lascia stare! Che mi lascino il mio Cristo, che mi lascino la possibilità di amare, che mi lascino la possibilità di camminare, vero, verso Dio, verso le anime, e il resto accettiamolo! Andar perdere la pace per quelle robe lì! Quando saremo noi padroni dello stabilimento, cioè dico del bastimento, allora lo faremo come vogliamo. Intanto il bastimento mi serve per arrivare alla patria, e salgo sul bastimento e via! A un dato momento, insomma, bisogna essere capaci, un pochino, di essere un pochino superiori, se no ci mostriamo bambini. E guardate, alla base: spirito di mortificazione.

MO280,7 [28-10-69]

7.Poi direi, guardate: obbedienza... Scusate se faccio questo proprio prima di metterci il cappello di padre Matteo. Obbedienza anche alle piccole cose quotidiane. Saper vedere la volontà di Dio... Cioè, vorrei dire, lo metterei proprio nella mano di Dio tutto questo. Per esempio, porto un caso, un esempio cosi... Come si fa, per esempio, uno che va a lavorare al mattino deve essere alle otto al lavoro... Supponiamo, ci sono gli operai adesso lì da, chi è, di Bressan... alla sera si mettono d’accordo: “Domani mattina a che ora scominsiemo el lavoro?”. “Ma, xe mejo che scominsiemo alle sette”. Va ben, alle sette! Si mettono d’accordo di cominciare alle sette; se qualcuno ha qualcosa da dire dice: “Ah, ma sarà mejo cominciare alle sette e mezza...”. “Sette e mezza! Allora sette e mezza d’accordo domani mattina”. Ma alle sette e mezza, se non altro per la parola, bisogna esser là, no? Ora, si va a casa in vacanze, a casa in vacanze. Si dice: “Ben, quando zè che ghemo da tornare, assistente?”. “Beh, volìo tornare alla domenica sera o al lunedì mattina?”. “Ma, forse xe mejo la domenega de sera...”. “Domenica sera!”. E poi uno torna il lunedì mattina... Ma come si fa? Ma è concepibile ‘sta cosa qui? “Ma, me ga dito lu... prima me gaveva lassà liberi, perché el me gavéa dito che se podeva tornare...”. È stato detto: “Lavoremo... scumissiemo alle sette o alle sette e mezza?”. “Sette e mezza!”. Beh, basta: sette e mezza! Quella è legge per tutti, vero. Sette e mezza è legge, e non si discute più. Ora, questa facilità di giocare con la fisarmonica... È detto, per esempio, di tornare a mezzogiorno. Qualche volta è successo questo. Guardate che io insisto su queste cose... non è per la questione di un’ora o mezz’ora di lavoro, insisto perché è una malattia che potrebbe portare a una tisi, potrebbe portare a un tumore.

MO280,8 [28-10-69]

8.Guardate che è grave, guardate che è grave! Supponiamo, a un dato momento si stabilisce fra noi: “Li facciamo tornare la domenica sera o il lunedì mattina?”. “Cosa vuoi farli tornare la domenica sera, poveri figlioli... Facciamoli tornare il lunedì mattina”. “E quando? Alle otto”. “Va là, che tornino verso mezzogiorno, in modo che facciano mezza giornata di lavoro”. È logico che sarebbe stato utilissimo farli tornare la domenica sera per far la giornata intera, ovvero alle otto per fare la giornata intera, ma abbiamo detto: “Ben, che tornino almeno per mezzogiorno. Va là, che non more el mondo, no, se anche perdiamo mezza giornata di lavoro...”. Ma, però, si fa conto che a mezzogiorno siate qui. Come si fa? Uno dice: “Ma io torno alle due, perché, già, il lavoro comincia alle due”. Ma scusate, non è questione lavoro; è questione che tu ti sei offerto a Dio, e in quel momento lì tu stai facendo la volontà di Dio, ti sei offerto a lui. Ci vuole un motivo proporzionatamente grave perché tu non debba tornare a quell’ora lì, perché hai dato la tua parola a Dio, non agli uomini. Tu non sei più tuo. Allora dovevi stare nel mondo....Se tu dai la parola a uno di tornare alle dieci: “Guarda che domani mattina alle dieci ci troviamo”, ma non puoi mancare di parola! Per esempio, il lavoro. È stabilito che il lavoro si fa alle otto. Salta fuori uno: “Guardi che per le otto non ce la facciamo...”. “E va bene, mettiamoci d’accordo: facciamo alle otto e dieci?”. “Ma no, è ancora troppo presto”. “Otto e un quarto? Otto e un quarto!”. Ma nessuno deve arrivare alle otto e sedici minuti, non si può arrivare alle otto e sedici minuti. Guardate, è una malattia brutta, sapete, questa, guardate che è una malattia brutta. Perché dove che c’è negli stabilimenti, parliamo del lavoro, negli stabilimenti dove che c’è un orologio, c’è una firma e c’è una multa, allora tutti sono puntuali. Dove non c’è un orologio, non c’è una firma, non c’è una multa, allora si manca di parola. Ricordo che a Roma, mi diceva mons. Bovone, Papa Giovanni ha messo persino nelle Congregazioni romane l’orologio e la multa, perché neppure i monsignori delle Congregazioni romane erano fedeli a questo. E lo stesso mons. Bovone, che è un pezzo grosso di una Congregazione, al mattino deve firmare; e ogni minuto che mancano, allora erano sei o nove lire di meno, ma tirano via tanti soldi ogni minuto che mancano. È umiliante, però... Eppure... Papa Giovanni ha aumentato lo stipendio a tutti i monsignori e sacerdoti, ha aumentato lo stipendio ed erano tutti contenti... però l’orologio, però l’orologio! “Io vi aumento lo stipendio, però dovete essere anche voi...”. Siccome della parola non ci si può fidare... Ah, è un’umiliazione, siamo sinceri, è una umiliazione!

MO280,9 [28-10-69]

9.Perché, scusate, se io mi sono impegnato di andare a quell’ora, ma perché non devo essere a quell’ora? Domani, cosa succede? Succede che da sacerdote tu vai invece che dir Messa alle sette la dirai alle sette e mezza, invece che andare dall’ammalato oggi vai domani, invece che lavorare otto dieci ore nell’ufficio, chiaccheri quattro cinque ore e perdi il tempo. Ma, amici miei, per il fatto, per il fatto che noi non abbiamo un capo stabilimento o che non abbiamo un preside, guardate che non vuol dire che noi possiamo fare quello che vogliamo. È tutto qui: non possiamo far quel che vogliamo! Guardate che noi dobbiamo rispondere a Dio di più di quell’altro che è stato controllato da un capo. Perché noi, noi dobbiamo rispondere a Dio del nostro tempo. E io dico, guardate: una obbedienza vuol dire una disciplina, dobbiamo mettercela noi. Soltanto che gli uomini fuori nel mondo... Allora han ragione gli altri che dicono contro i preti... Perché gli uomini del mondo son legati a un dovere, a una disciplina, a una, diciamolo chiaro, a una penitenza. Perché in fondo, guardate, guardate i nostri maestri di lavoro: devono essere lì alle otto del mattino o alle otto e mezza, non so... a mezzogiorno via... poi devono essere lì alle due, poi vanno a casa alle sei. Se hanno da comperare qualche cosa in città, devono andare alla domenica... cioè, dico, al sabato pomeriggio, se hanno mezza giornata al sabato. Ma tutte le giornate son lì, legati lì, e devono far l’atto di umiltà di andare dal padrone a domandare: “Per piacere, mi dà mezza giornata?”. Chiedere per piacere mezza giornata. Solo noi, in qualunque momento, per qualunque capriccio... Ci viene in mente che abbiamo da andar comprarci, che so io, el ciucio... e allora speta, lassa impiantà: “Go da andare in città torme el ciucio”. Dopo tre ore si dimentica: “Ah, speta che vao tore quel mestiero”. Solo noi dobbiamo seguire il capriccio? “Sì, perché è necessario”. Loro devono aspettare una settimana, al sabato pomeriggio, perché non può prima; noi possiamo far quel che vogliamo. Amici miei, non possiamo mica prendere la vita in questo modo qui! Dico male, don Guido?

MO280,10 [28-10-69]

10.Guardate che è... Scusate, io vedo, per esempio, il vostro impegno per il lavoro, dico: vedo, osservo, eccetera. Ma, guardate che pure lì io ho osservato questa cosa, guardate che c’è questa malattia. Questa malattia che ci fa prendere le cose un pochino così... Sacrificarsi, fare... e “in hoc laudo”! Ma, guardate che dovete mettervi una disciplina, e una disciplina che... Io non voglio dire: ve la metto io! Perché a un dato momento viene la voglia di mettere l’orologio anche là, vero, in laboratorio, o metterlo qua nell’entrata della Casa dell’Immacolata per quelli che vanno in vacanza. Ma l’orologio dovete mettervelo voi! Se, per esempio, è stabilito quattro ore di lavoro, non devono essere quattro ore meno un minuto. Se è stabilito che dovete tornare a mezzogiorno, non deve essere mezzogiorno e un minuto. Se è stabilito che dovete essere a letto alle dieci e mezza, dite: “Guardate che alle dieci e mezza è troppo presto; possiamo fare alle undici?”. Facciamo le undici. Se è stabilito alle undici, deve essere alle undici a letto. Se è stabilito di alzarsi alle sei, alle sei, non alle sei e un minuto. Ma, questo, figlioli miei, ve lo dico non oggi che siete qui, dove potrebbe esserci qualcuno che ti prende a braccetto e ti dice: “Amico mio, perché fai questo?”. Ma, questo, ve lo dovete fare voi un orario, voi un impegno nella vita. Anche domani foste soli, in una Comunità anche da soli, dovete imporvelo questo. Perché gli altri fuori lo hanno imposto dalle necessità, questo orario, dal lavoro, dalla famiglia, dalle necessità di casa. Devono alzarsi prima per andar prendere qualche cosa e poi andare al lavoro. Giuseppe, dico male, lei che ha lavorato tanto tempo fuori? Xela così o no, fora? Guarda Gianni, poareto, là, all’ospedale: “Presto... bisogna studiare!”. Siamo legati, insomma, siamo condizionati a una vita. Noi praticamente minacciamo, noi che siamo offerti a Dio, che dovremmo essere i prototipi delle anime sacrificate, minacciamo di essere, direbbe qualcuno, gli scapoli, gli scapoli... E allora, offriamo il fianco a quelli che dicono: “È ora di finirla che ci sia una categoria di padroni, una categoria di signori, di benestanti, eccetera. Anche loro che vadano a lavorare, che sappiano qual è il sacrificio della vita”. Amici miei, su questo campo capite che si potrebbe dire tanto.

MO280,11 [28-10-69]

11.È tempo di studio, per esempio, tempo di studio... “Ma io oggi non vado, vado fuori tre ore”. Io non vengo a controllarti, eh, non vengo a controllarti. Ma, dovete voi controllarvi, dovete voi domandarvi in ogni istante se siete dove Dio vi vuole in quel momento lì. Per il fatto che ve lo fate voi l’orario, non vuol dire che potete fare quel che volete. Perché non potete fare la comunione al mattino se non avete fatto il vostro dovere durante la giornata. Fèrmati davanti all’altare, va’ a chiedere perdono al Signore, prima! Guardate che è troppo facile dire: “Gesù mio, misericordia!”, e paro su tutto... e faccio. Ci vuole un proposito prima. Perché guardate che anche noi, anche se abbiamo lavorato quattro cinque ore in laboratorio, potremmo mangiare il pane a tradimento, potremmo tradire la nostra vocazione, tradire un pochino la nostra missione. Direi ancora di più. Obbedienza, un pochino, anche ai superiori, un pochino. Sottomettere un pochino qualche volta, sottomettere un pochino il nostro giudizio a chi è incaricato. Guardate che è troppo facile avvisare solo, e non domandare. Non vado a particolari perché i particolari possono essere stupidi, vero. Ma, state attenti, fate un pochino di esame dentro di voi: vi siete offerti o è quasi un peso: “Beh, speta, va là che ghe lo dixemo ca ‘ndemo far questo, far quelo, far qua, là”. Amici miei, abituatevi un pochino a sacrificare voi stessi, a sottoporre un pochino il vostro giudizio, le vostre azioni. Ma proprio per spirito proprio di umiltà, non di umiliazione, no, spirito un pochino di umiltà. Non andiamo all’esagerazione opposta. Ma guardate, c’è un punto oltre il quale, “ultra citraque”, eccetera, “sunt certi denique fines...”, i ne insegnava ‘sti ani, no? Ghe zè certi confini, che al de qua e al de là se se rompe le gambe. Perciò vi direi: non andiamo all’esagerazione! Non andate dal superiore a domandare: “Posso netarme el naso?”. No! O: “Posso andare al gabinetto?”. No, non vi domando questo. Ma guardate che ci sono delle cose che bisogna domandare.

MO280,12 [28-10-69]

12.Perché altrimenti domani nella Comunità che formeremo fuori, capiterà questo: che ognuno fa quello che vuole. E invece no! Si deve un pochino insieme... “Ma mi fasso... Vao vanti par conto mio!”. Ecco il pericolo. Ognuno va avanti per conto suo, e allora la Comunità invece che divenire comunità, fraternità, diviene un albergo. E questo ha origine da qui. Quando tu ti abitui a far quel che vuoi: fai bene, lavora, fa... ma non parla, non dice, non si umilia un pochino a dire: “Varda, garia intension far questo: cosa ghin dixelo, cosa non ghin dixelo?”. Così, dillo almeno come segno di informazione, come segno di amicizia, come segno di fraternità, se non altro. Perché, guardate che altrimenti coltivate in voi un egoismo che in fondo, strucca, strucca, struca, la zé superbia, insomma! Non so se siete d’accordo su queste cose qui. Capite che ce ne sarebbero ancora molte altre da dire, ma dobbiamo incominciare la meditazione. Son due paginette che vorrei leggere, ma con questo cappello penso che possono passare anche adesso, sebbene che son cambiati i tempi... «Vi sono due maniere per attaccare l’orgoglio nelle sue radici e diventare a poco a poco umili di spirito e di cuore. La prima, che io oserei dire di successo infallibile, è l’obbedienza ai vostri superiori, ma una obbedienza perfetta». Ho voluto premettere quello che ho detto, perché non pensiate: “Perinde ac cadaver! Perciò io sono uno stupido e l’altro me mena come una marionetta!”. No! Obbedienza perfetta, cosciente, vero; una obbedienza che collabora, ma perfetta, però! Non dare un po’ di fumo d’incenso per... Saria dire: “Me lasselo ca me toga la corda, par piassere, quella corda lì?”. “Sì, caro”. E dopo portarse drio el careto, el cavalo e tutto quanto il resto. Ecco, state attenti! «Obbedite. Piegate il vostro carattere al giogo di una sommissione senza riserve, amate di essere diretti, - e qui ci sarebbe un discorso lungo riguardo al padre spirituale da fare... - cedete in fatto di opinioni e di gusti...». Quando si tratta della verità, no, ma quando si tratta di opinioni e di gusti: se xé mejo l’Inter o il Vicenza... ma va’ farte benedire! Se xé mejo, vero, le scarpe rosse, o le calze rosse o le calze nere... ma va’ là, tientele rosse! Se xé mejo zugar balete o zugar balon... Ma va’ là, zuga balete se te piase zugar balete! In fatto di opinioni e di gusti, saper cedere. «... per seguire le direttive di coloro che hanno il carico di voi, e voi avrete messo una base di granito all’edificio della vostra vita sacerdotale. Non dimenticate che il vostro successo davanti a Dio - ed è il solo che deve contare - è intimamente legato al vostro spirito di obbedienza, spirito di obbedienza. Davanti a Dio voi troverete sempre una grazia abbondante e illimitata se vi avvicinerete a lui per il cammino dell’obbedienza. Anche quando voi sbagliate, - che non sia peccato, s’intende - la virtù dell’obbedienza corregge l’errore e raddoppia il merito».

MO280,13 [28-10-69]

13.Eh, questa è una cosa che oggi non si capisce più! Oggi si scrive che l’obbedienza non è virtù. Mi dispiace, tirate via il Vangelo: “Factus oboediens usque ad mortem”. Non confondetemi l’obbedienza con uno che fa là da bauco: “Mi, eccolo qua, el me butta xo là come el fazzoletto!”. No! Sì, fazzoletto sì, ma inteso come deve essere inteso. E anche don Bosco credo che l’intendeva così. «Lasciate tutta la responsabilità a coloro che comandano, rimanete nella pace di coloro che obbediscono». Ecco, qui correggerei come abbiamo detto prima: lasciamo la responsabilità della decisione, ma collaboriamo per cercare la verità. «Costoro godono di una sorte di infallibilità morale...». Non è che siano infallibili, è che se anche voi sbagliate, voi non sbagliate, sbaglia quell’altro, vero! «... essi hanno sempre ragione...». Ma ghi da capirla in che modo. Ecco perché go vossudo metterla prima. Non è che il superiore abbia sempre ragione, cioè nel senso che il superiore dixe giusto e gli altri sbaglia. Può essere un menarosto il superiore, che ha torto lui; ma ha ragione nel senso che voi quando che avete obbedito avete ragione. Lu magari va all’Inferno, e voialtri ve’ in Paradiso, vero! Ora, qua, guardate... adesso è stata messa in una forma come che si metteva forse vent’anni fa; ma state attenti che è ancora valida, cambiando mutande, le mutande, là, eccetera, è ancora valida. Bisogna ca li fassa ridare, poaretti, non te vedi che i se indormessa! Guardate che è ancora valida. Vorrà dire che ci metteremo insieme, discuteremo insieme; ma dopo, a un dato momento, chi è responsabile dice: “Adesso ‘ndemo, vero...”. L’esempio famoso: “Femo el campanile de Crotone”, si fa il campanile di Crotone, mettendocela tutta, come ce l’avesse ordinato non el menarosto de don Ottorino, come se l’avesse ordinato Dio. E qui, cari miei, questo sarebbe valido anche per la regola del gioco, per stare un pochino, vero, a una frase di felice memoria. «Apprendete questa maniera soprannaturale di agire, acquistate queste convinzioni divine, formate in voi questo criterio tanto contrario alla dottrina del mondo».

MO280,14 [28-10-69]

14.Vedete, primo momento potrebbe far sorridere questa roba qua, dire che il superiore ha sempre ragione. Però, se non capite l’essenza di questa cosa qui, io vi dico: guardate che non avete capito niente della vita religiosa. Se non avete capito, per esempio, che, stabilito di tornare a mezzogiorno, bisogna tornare a mezzogiorno, perché il Signore non è contento altrimenti; stabilito di andare a lavorare alle otto e dieci, bisogna essere lì alle otto e dieci, non per Venco che dixe su, par Vinicio che dixe su, parchè don Ottorino dixe su... no, perché Dio vuole questo! Mi sono impegnato, e io so che in questo modo faccio un piacere a Dio. Stabilito che la Messa è alle otto, io devo uscire alle otto e non star là a chiaccherare cinque minuti, perché Dio vuole alle otto. “Ma la go stabilia mi...”. “Si, xé stabilio, ma adesso te la dixi alle otto... Te ghe dito in cesa che la Messa xé alle otto, e te la dixi alle otto, no alle otto e cinque, otto e diese”. Se non avete capito questo, voi state continuamente facendo la vostra volontà, avendo fatto un voto di obbedienza. Sbaglio, don Luciano? Questo non vuol dire: “Ma allora devo dirla sempre alle otto, quando se pole dirla alle sette?”. Va ben! Riprendi in mano la questione; se puoi decidere tu, decidi; se invece la cosa deve essere trattata insieme, si tratta insieme; ma a un dato momento imponitela. Amici miei, noi non eravamo religiosi in seminario, ma ci hanno insegnato di farci un orario in seminario; e dire: farlo noi, presentarlo al padre spirituale, e accettarlo come volontà di Dio, e per quanto è possibile attenersi a quell’orario. Qualcosina, insomma, dovete imporvela voi. Il padrone dello stabilimento fa lui l’orario, lo fa lui l’orario, ma a un dato momento deve tenerci all’orario, anche se l’ha fatto lui, se vuole che lo stabilimento vada avanti. «È ben vero che noi viviamo in un’epoca molto difficile, estremamente opposta a questa dottrina».

MO280,15 [28-10-69]

15.Però, ricordatevi, se avete capito questo, avete il punto d’appoggio e la leva per sollevare voi stessi verso la santità e sollevare gli altri. Se non avete capito questo, vi manca il punto di appoggio; voi vi appoggiate sempre sulla terra. Una leva appoggiata sulla terra casca, non... «Al giorno d’oggi respiriamo ovunque un gas soffocante e mortale di rivolta. Ma proprio per questo dobbiamo con estrema urgenza afferrarci saldamente a questo principio eminentemente evangelico, soprannaturale». Questo si capisce solo soprannaturalmente; col ragionamento umano non si capisce, questo è chiaro. «Difendetevi da quello spirito di fierezza e di indipendenza disordinata che soffia con tanta violenza. La crisi su questo punto è formidabile. Ma la Chiesa salverà sempre le Tavole della Legge, i suoi grandi principi. E nella Chiesa, noi preti, proprio noi, dobbiamo essere l’esempio vivente di questi principi e non solamente dei teorici e dei predicatori per gli altri. Come è sublime su questo punto l’esempio del Maestro divino! A Nazareth: “subditus illis”. Durante la Passione: “oboediens usque ad mortem”. Copiate questo modello incomparabile. Mettetevici di gran cuore, risolutamente, perché su questo punto, forse più ancora che sugli altri, - la piaga che voi avete dato al vostro spirito... Scusate, son imbriago! - la piega che voi avete dato al vostro spirito non cambierà». Per conto mio io lo unirei al desiderio di far la volontà di Dio, insomma! È questa la piega che dobbiamo dare al nostro spirito: la preoccupazione di fare la volontà del Signore. Allora c’è una collaborazione insieme, ci si mette d’accordo, si stabilisce, e dopo basta! Quella è volontà non più mia, è volontà di Dio. Non è più di nessuno quell’orario che abbiamo fatto; l’abbiamo stabilito insieme, ma è di tutti: è di Dio! C’è un programma: non è più di nessuno, è di Dio. Ecco, io la legherei proprio insieme, così. «E adesso un altro consiglio pratico. Il secondo mezzo per respingere le ondate di orgoglio e per imparare la lezione dell’umiltà, quale sarà?». A un’altra volta.