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LA PRATICA DELLAVIRTÙ DELL’UMILTÀ

MO281 [04-11-69]

4 novembre 1969

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1.Sia lodato Gesù Cristo. Parlando di umiltà qualcuno potrebbe obiettare: “Ma, non è una cosa un po’ sorpassata questa benedetta umiltà? Non è una cosa di altri tempi? Non è una cosa che avvilisce un po’ la persona umana?” Mi pare che l’umiltà, invece, sia una cosa che fa più grande la persona umana. Solo che bisogna avere il coraggio di affrontare un po’ la realtà dell’umiltà. Del resto, guardate, ricordo quando che un tempo i fotografi erano più artisti e si andava dai fotografi, non so... Voi non ricordate, ma c’era tanto di quel tempo per metterti a posto! Ti mettevano... Mi ricordo qui Ongaro, a Santa Lucia: ti metteva là, ti pettinava lui, ti metteva a posto, ti sistemava... un po’ più in qua il naso, un po’ più qua, un po’ più là... Insomma, dopo a un dato momento scattava, vero, l’organetto, vero, veniva fuori la fotografia. Ma quanta preoccupazione per far venir fuori qualche cosa, per metterti in un atteggiamento tale, in modo da far bella figura anche lui come fotografo. Mi pare che l’umiltà dobbiamo considerarla come un atteggiamento giusto, sincero dinanzi a Dio. È un atteggiamento che noi dobbiamo avere dinanzi a Dio, è una verità, è apparire come siamo, è non metterci su tante pomate su per il viso, tanto rosso, verde, celeste, apparire con la bellezza naturale come siamo. Così, come siamo, come Dio ci ha creati, e anche con le miserie che noi ci abbiamo messo sopra. Cosa vuoi, se uno ha la gobba, perché vuoi nascondere la gobba? Se uno l’è un po’ sporco... si presenta così com’è dinanzi a Dio. Del resto mi sembra che è un atteggiamento anche naturale. Se, per esempio, io ricevo un dono da una persona... Una persona mi manda, come mons. Rodolfi, quel giorno mi ha mandato a chiamare e ha detto: “Senti, quanti debiti hai col seminario?”. “Tremiladucento lire”. “Ebbene, oggi alle tre vieni in stanza mia che ho da parlarti”. Vado in stanza sua, questo giovane chierico di prima teologia che si presenta nella stanza del grande Rodolfi, e Rodolfi mi dà una busta, mi pare ancora di vederla, senza intestazione né niente, scritto in matita “3.200 lire”: “Prendi! Dalla a don Giovanni Zilio, all’economo. Non dire che è stato il tuo vescovo”. Ma tu resti confuso vedere il tuo vescovo che ti dà... ti manifesta l’amore in una forma così concreta, pagandoti tutti i debiti. Io l’avrei abbracciato. Mi sentivo più piccolo, ma mi sentivo più piccolo non perché mi fossi nascosto sotto terra, no, perché vedevo grande lui, lo sentivo più grande, lo sentivo più buono, eccetera.

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2.Ora, questo è l’atteggiamento di umiltà: riconoscere chi è Dio. Ricevo una grazia? Vedo la grandezza e la bontà di Dio. Vedo il mio peccato? Vedo la mia cattiveria e la bontà di Dio che mi perdona. No un atteggiamento... di andar nascondersi là sotto terra perché “io non sono degno di essere uomo”. Ma no! Sì, è vero, io sono stato cattivo, ho disonorato l’umanità col mio peccato. Supponiamo che adesso uno di voi, uno della Casa dell’Immacolata, a un dato momento commettesse una porcheria, ammazzasse una ragazza, eccetera, così. Certo, ha disonorato la Casa dell’Immacolata, e dovrebbe dire dentro il suo cuore: “Io non son degno più di appartenere a questa casa!”. Ora abbiamo peccato... conoscere una realtà: che è Dio, chi siamo noi, cosa vuol dire... cosa è il peccato. Ora, amici miei, questo atteggiamento di umiltà guardate che è necessario. È necessario per essere, vorrei dire, naturali, per essere persone così, che si presentano con la bellezza naturale e non... E questo atteggiamento di umiltà dinanzi a Dio dobbiamo manifestarlo specialmente nella preghiera, quando ci presentiamo a pregare. Per questo atteggiamento di umiltà dinanzi a Dio ci darà un colore diverso, ci darà un atteggiamento diverso. Ci porterà, per esempio, a far bene la genuflessione, ci porterà... perché quando che tu fai la tua genuflessione senti il bisogno di piegare il tuo ginocchio dinanzi a Dio e dire: “Signore, io credo che tu sei il mio Signore; ti adoro, Signore; ti domando perdono dei miei peccati; ti amo, Signore”. La tua genuflessione è un atto di adorazione, di ringraziamento, è un atto di amore. Tu senti il bisogno di fare il tuo segno di croce bene dinanzi al tuo Dio, che vedi dinanzi a te, per dire: “Signore, io credo all’unità e alla trinità di Dio, credo che tu mi hai redento, che col tuo sangue hai lavato le mie macchie; ti credo presente nel tabernacolo, nella Messa, nel sacrificio della Messa. Credo, Signore, Padre, Figlio, Spirito Santo”. Tu senti il bisogno, anche durante le funzioni, di tenere un atteggiamento devoto dinanzi all’Altissimo che è presente. Non ti preoccupi di quello che può dire o il sorisetto che può venire da destra e sinistra.... Tua preoccupazione è di tenerti dinanzi al tuo Dio. Tu senti di essere dinanzi a Dio. Atteggiamento non dev’essere affettato né disordinato. Perciò non devi essere là, messo là, si direbbe in dialetto “stravacà”, no, ma neanche messo in atteggiamento di testina storta da San Luigi Gonzaga, dato che il costume adesso è cambiato un pochino. Ora, tutto deve manifestare un pochino quello che tu sei, come ti senti dinanzi a Dio.

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3.Ora, amici miei, questo mi pare è necessario per i nostri rapporti con Dio; ma è necessario anche per la missione, la missione che stiamo svolgendo nella Chiesa. Dobbiamo essere umili, primo, primo dico, perché Dio ci vuole così, Dio ci vuole così, ci vuole così, con sincerità, pieni di riconoscenza e di amore, non con la testa là buttata per terra, ma nello stesso tempo in un atteggiamento di umiltà dinanzi a lui, di verità. Ma, guardate, amici, che è necessario, questo atteggiamento, che scaturisca però dall’intimo del cuore, è necessario per il vostro apostolato. Guardate che il mondo... quando dico qualche volta: dobbiamo essere preti-preti, e anche i diaconi devono essere preti-preti, cioè devono manifestare il Cristo. Guardate che il colore del Cristo lo si prende specialmente in questo atteggiamento dinanzi a Dio di verità; cambiamo la parola: invece che di umiltà chiamiamola verità. Se noi, dinanzi a Dio, abbiamo questo atteggiamento di verità, noi prendiamo il colore di Dio. Altrimenti noi siamo dei commedianti, che facciamo la commedia anche quando celebriamo la Messa, facciamo la commedia anche quando facciamo le funzioni sacre, e non convertiamo le anime. Guardate che la prima cosa che le anime richiedono da noi, richiedono la nostra vita, devono sentire un passaggio di vita da Dio a loro attraverso noi. E guardate che la vita di Dio non passa attraverso noi alle anime, se noi non saremo in questo atteggiamento di verità. Proprio sentirsi creature di Dio, pieni di gioia perché abbiamo ricevuto la grazia del Battesimo, pieni di gioia perché abbiamo ricevuto il sacramento dell’Eucarestia, pieni di gioia perché siamo religiosi, pieni di gioia perché siamo sacerdoti o diaconi.

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4.Ecco l’atteggiamento, che è un atteggiamento di profonda umiltà, ma nello stesso tempo di gioia per la nostra grandezza: “Fecit mihi magna qui potens est”: la Madonna sente di essere umile, di essere piccola, ma sente di essere grande. Ecco il vero cristiano, il vero religioso, che si sente piccolo, ma si sente grande! Il Signore ha preso me, povera creatura e mi ha fatto re. Io riconosco di essere un piccolo pastorello come David, ma riconosco anche di essere re, perché Dio nella sua bontà ha preso me fra i miei fratelli e mi ha messo sul trono. Ecco, questo mi pare... non so se sbaglio, questa è l’umiltà, insomma. Umiltà: sentire che senza merito mio, senza nessuna... da parte mia... sì, dopo io avrò collaborato, ma intanto, quando che lui mi ha chiamato là in mezzo al gregge per farmi re, quello è stato un dono. Mi ha dato la grazia, io le ho trafficate e lo riconosco. Ne ho perso tante, qualche volta mi sarà capitato, spero di no, come è capitato al re che ha ammazzato l’altro per prendere quell’altra. Spero che questo non sia capitato... e insomma, fosse capitato anche questo... speriamo, Zeno, quelli là che xe stà fora nel mondo, vero, non sia arrivato fino a ‘sto punto... comunque, qualcosa di simile, qualcosa di simile, perché il peccato porta sempre una malizia simile, vero, anche se è una bugia o anche se è una mancanza di riguardo dinanzi all’Eucarestia... Però tutti, come Davide, siamo stati presi dal gregge, cioè eletti gratuitamente e perciò portati là nel trono gratuitamente, ci ha messi in alto il Signore. Lì noi abbiamo collaborato con i doni che il Signore ci ha dato, e perciò la realtà, la verità: se abbiamo collaborato con la grazia di Dio... però riconosciamo che anche nel posto dove ci troviamo abbiamo mancato, non abbiamo corrisposto. Ecco l’umiltà! Vedete, questo atteggiamento... ... che vi dico, vi dico in nome di Dio, prendete sempre più coscienza della responsabilità che abbiamo come Congregazione. E allora ha ragione il vescovo di Crotone quando diceva, quando siamo andati giù la prima volta: “Basta che vengano qui, - diceva il tuo vescovo - che girino per la spiaggia, per la città, in chiesa... A me basta questo solo. Perché se loro si mostrano credenti, col loro atteggiamento già portano un’infezione a Crotone, già portano un rinnovamento a Crotone. Solo che venissero qui a passeggiare, a andare in chiesa...”. Credo che il vescovo di Crotone abbia ragione.

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5.Voi presentatevi domani in qualsiasi posto, anche se non andate a predicare, ma il vostro atteggiamento in chiesa di anime devote, il vostro atteggiamento esterno misurato, sereno, tranquillo, ma misurato, niente barzellette, niente stupidaggini, insomma, robe che sono un po’ così, che... corrono sul filo del rasoio, no! Fino a quel punto, sereni, allegri, ma più in là no! Questo atteggiamento sarà la prima predica, il primo mezzo per la conversione delle anime. E questo, guardate, la Congregazione questa attestazione deve darla; e avete la responsabilità singolarmente di dover dare questa attestazione. Amici miei, procedamus! Adesso comincemo la meditazione. Abbiamo visto che, per praticare l’umiltà, ci sono due mezzi, se vi ricordate bene, no? Primo, mi pare abbiamo fatto, riguardo l’obbedienza. Adesso ci sarebbe il secondo. Non abbiamo mica accennato il secondo, mi pare. «Il secondo mezzo per respingere le ondate di orgoglio e per imparare la lezione dell’umiltà, quale sarà? domanderete voi. Ed io a mia volta vi domando: come si apprende una lingua? Praticandola, ed anche storpiandola sovente, fino a dominarla perfettamente. E vi si arriva. Fate altrettanto con la lingua difficile per eccellenza dell’umiltà. Io vi dico: imparate ad essere umili, umiliandovi. Le occasioni abbondano nei rapporti con i vostri Superiori e fra di voi. Voi ne troverete ogni giorno, se voi volete corrispondere alla grazia. Sopportate in silenzio una riprensione che una spiegazione potrebbe deviare: “Jesus autem tacebat”». Non si tratta di dire: “Taso sempre”. No! Si tratta di dire, qualche volta saper dire: “Adesso voglio fare un sacrificio, voglio fare un atto di umiltà”. Voi direte: ma, ancora valide queste cose qui? Amici miei, Gesù, Gesù ha passato quaranta giorni là nel deserto, Gesù là nell’orto degli ulivi prostrato per terra, Gesù durante la sua vita pubblica... La Madonna a Lourdes che chiede a Bernardetta: “Mangia quell’erba! Lavati su quell’acqua!”. Guardate che qualche atteggiamento di umiltà anche esterno... Se, se, state attenti, non vi è richiesto adesso quello che era richiesto ai fratelli e ai frati di un tempo: xò, capelli a zero, un sacco, eccetera, così; però un atteggiamento interno di umiltà sì! Se atteggiamenti esterni, per esempio, qui in chiesa non ne facciamo più come facevano ai primi tempi quando ci prostravamo per terra, avete una stanza... e guardate che non siete dispensati da abbassare la vostra testa dinanzi a Dio. Qualche atto di umiltà, di umiltà, sia un atteggiamento anche del corpo un pochino, ma specialmente dello spirito, guardate che ci vuole assolutamente.

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6.Qualche volta dire: “Speta un momentino. Tante volte il mio orgoglio ha voluto dominare, tante volte io ho voluto essere così...”. Qualche volta, non è vero, bisogna “contraria contrariis curantur”. Giusto il latino? Qualche volta bisogna purtroppo, vero, premere sopra questo orgoglio, questo io che vuol dominare. Guardate che disastri che porta l’io qualche volta, quando che a un dato momento uno prende come termine di paragone il proprio orologio! Quante volte noi ci troviamo, guardate, vi accorgerete quando che sarete più vecchi, avrete occasione di sperimentare un po’ certe persone, dinanzi a persone che hanno come termine di giustizia, come termine di... il proprio io! Fanno compassione, vi assicuro, fanno compassione, molto più che una creatura che si è corrotta con le donne o che si è corrotta col peccato impuro. Perché quella persona, dopo di aver fatto il peccato, dice: “Si, lo conosco, lo riconosco... vedo anch’io... sono un animale, non dovrei far così... Mi pento... non son capace... Sento la mia debolezza”. Invece quel tale che è pieno di se stesso, che ha messo come termine il proprio io, quello non si pente. Ci vuole proprio un miracolo di Dio; bisogna che capiti qualche disgrazia, chissà... Quello: sempre lui! È come uno che ha un orologio. “Che ora fa il tuo orologio?”. “Le otto”. “Sbagliato! Il mio è giusto”. “Il tuo?”. “Le nove”. “Sbagliato!”. Quello solo è l’orologio che va bene. Guardate che... e questo capita un po’ alla volta. Guardate, non voglio tirar fuori nomi, ma potrei tirarvi fuori nomi, tirarvi fuori casi, mostrarvi proprio con l’esperienza... ma la carità cristiana me lo impedisce. Vi assicuro, fidatevi un pochino in questo caso dell’esperienza di uno che ha più di cinquant’anni, vi assicuro che è il veleno più grande, è la disgrazia più grande che vi possa capitare nella vita.

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7.Supponiamo che, guarda Fabris, ti capitasse di dover perdere la testa con una donna. E tu non ti accorgi, ma continui ad andare insieme con ‘sta donna, fai porcherie con una donna e tutto il mondo di Vicenza lo sa... “È una disgrazia grande”, tu dici, no? E tu ti vergogneresti di stare a Vicenza. Bene, supponiamo che ti capitasse questa disgrazia qua, di essere ubriaco dall’io: tu non ti rendi conto, ma sei compatito molto di più, perché tutti ti compatiscono e tu non te ne accorgi. E guardate che questa è la disgrazia più grande che possa capitare a uno di voi. Vi dico: vi auguro che non vi capiti disgrazia nel campo morale, ma se vi capita in questo punto qui, guardate che è peggio del campo morale. Perché nel campo morale c’è la speranza che a un dato momento vi battiate il petto... per lo meno dopo il peccato vi confessate. Qui non vi confessate, e qui continuate ad andare con una linea divergente sempre più lontano dalla meta. Voi direte: “Ma come?”. Guardate che di superbia siamo pieni tutti. Guardate, cominciando da me, siamo pieni tutti, tutti! E guardate che tutti cerchiamo il trionfo del proprio io, tutti cerchiamo di essere lodati, tutti cerchiamo di nascondere quando le cose non sono andate bene. Xe inutile, Marco, che te me vardi, così la xe! È vero o no? E allora, cosa dobbiamo fare? Vigilare, vigilare, vigilare! E naturalmente, qualche volta almeno, qualche volta almeno, prendere questo benedetto io e piegarlo dinanzi a Dio. Tante volte lui ha voluto alzarsi. Qualche volta bisogna fare qualche atto anche volontario e abbassarlo questo io. Saper mandar giù qualche volta. Ti capita una piccola umiliazione; ti capita, per esempio, che stai discutendo con un confratello... “Era così”. “No! Era così”. “Signore, te l’offro a te”. Mi è capitato ieri un caso con una persona. Io dicevo: “Varda che l’anno scorso eravamo d’accordo così”. “No!”. “Mi pare...”. “No, no, no!”. Basta, avrei potuto portar le prove. Ma ti costa mandar giù, ti costa. Ma qualche volta bisogna farlo. Io direi...

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8.Quando vi dico che ogni giorno bisogna fare qualche piccolo sacrificio, il sacrificio più grande è questo specialmente. Quei famosi fioretti, più che non mangiare la caramella, questo è il fioretto che bisogna fare, un pochino. Questo saper dire qualche volta: “Adesso non è proprio necessario, offro al Signore. Rinuncio un pochino alla mia opinione, rinuncio un pochino a qualche cosa”. Non so, don Giuseppe, sito d’accordo o no? O son fuori di strada? Mi pare che un controllo necessario di noi stessi. Guardate, il nostro io ci porta fuori di strada. La nostra superbia è la più grande nemica che abbiamo in casa. E guardate che ci può rovinare, anche sul piano umano, anche gente che lavora sul piano umano con la superbia si rovinano. Uno che è pieno di se stesso, guardate, anche umanamente parlando non è ben visto, è compatito: lui crede di essere sul piedistallo, ma è compatito, anche sul piano umano. L’umile, e quando dico l’umile dico la persona semplice, la persona buona, la persona che riconosce i propri sbagli, eccetera, ma quella è simpatica, è accettata. Bisogna perciò, anche qui è una virtù che bisogna conquistarla. E per acquistare virtù è fatica, figlioli miei, rendetevi conto che è fatica, e bisogna far fatica per acquistar le virtù, anche le virtù umane. Credete che vengono giù dal cielo, così? Voi per imparare a suonare dovete ore e ore e ore di prove; e le virtù, cosa volete, che vengano giù dal cielo da sole? Caro Ruggero, è inutile che mi guardi! Bisogna che ci mettiamo in testa che è molto più difficile divenire umili che non imparare a suonare il violino, la chitarra o il tamburello. È molto più difficile divenire umili che non imparare una lingua. E per la lingua, e per il suono, e per le altre cose, ore e ore di esercizio. E per le virtù niente, proprio niente? Vogliamo che venga giù così, senza fatica? Ah, amici miei, non c’è niente da fare: la virtù bisogna conquistarla. I santi le hanno conquistate. È inutile che mi guardi, caro. Leggiamo.

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9.«È praticamente così, facendosi violenza, che si acquista la dolcezza e l’umiltà di cuore, virtù indispensabili per voi stessi e per il vostro ministero sacerdotale». È facendosi violenza che si acquista la virtù. Ti verrebbe voglia di scagliarti contro quel compagno perché ha fatto quella cosa... e invece fai un atto di dolcezza. Ah, ma guardate che qui parla chiaro: “... virtù indispensabili per il ministero”. Quando Francesco di Sales diceva: “Si prendono più mosche con una goccia di miele che con cento barili di aceto”, guardate che è stato ventidue anni lui per fabbricarsi il miele in casa, perché era aceto, e di quello buono anche, lui. Perciò lui, donandosi al Signore, ha capito che doveva divenire dolce per avvicinare anime, paziente... vuol dire esser pazienti dopo, esser caritatevoli. Carità, pazienza, eccetera, vengono fuori dall’umiltà. Va bene. E allora lui ha lottato per ventidue anni, è diventato il santo della dolcezza. «Le belle teorie noi le sappiamo a memoria, e voi potreste fare delle magnifiche dissertazioni sulla bellezza dell’umiltà, allo stesso tempo che bruciate d’orgoglio. Oh, apprendete per mezzo della pratica quotidiana questa lingua divina!». Basta perché sono... Se fermemo qua quest’oggi. Penso che la mezz’oretta è passata. Io vi pregherei, ecco, questo: cercar di non lasciarvi abbindolare un pochino da certe teorie, da certe frasi che si possono sentire anche fuori di qui, dove che si dice: “Ma l’umiltà... xe ora de finirla!”, eccetra, eccetera. Cercate di capire nel giusto modo cosa vuol dire essere umili. Quell’atteggiamento che dobbiamo avere dinanzi a Dio, che è atteggiamento di verità, che è atteggiamento di amore, che è sentimento di sincerità, ricordatevi che questa umiltà non la si acquista facilmente. Vi dico: passeranno gli anni e vi accorgerete che più vecchi che si diventa è sempre più difficile. Bisogna vigilare, bisogna lavorare, bisogna dominarsi, bisogna agire contrariamente con qualche atto di umiltà, interno ed esterno. E allora preghiamo la nostra buona mamma, la Madonna, che è la mamma della nostra Famiglia religiosa, che ci dia il colore giusto, che ci aiuti lei ad essere come vuole il Signore. Il Signore ci ha chiamati qui perché siamo i suoi testimoni, ma il Signore ci vuole lui come ci vuole lui. E allora preghiamo la Madonna che ci aiuti a vincere quelle difficoltà che certamente ci saranno sul nostro cammino.