DIO E LA SUA VOLONTÀ AL CENTRO DELLA VITA DELL’APOSTOLO
MO285 [17-12-69]
17 dicembre 1969
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1.Dopo l’incendio che si è sviluppato in chiesa per causa del discorso di don Giuseppe penso che sarebbe inutile adesso metterci qua a fare un’altra meditazione. Basterebbe dire: adesso state lì, ascoltate, vero, lasciate che lo Spirito Santo faccia il resto.Ma, penso che un saluto anche un po’ ufficiale al nostro caro Livio, al nostro caro don Giuseppe, dobbiamo farlo anche qui in chiesa dinanzi al Signore. Oggi ci sarà qualcosa altro un po’ a tavola... ho sentito dire che vengono offerte le paste da don Giuseppe e da Livio a tutti quanti. Ho sentito... Beh, ringraziamo il Signore! Facciamo anche questo atto di penitenza. Diceva quel frate: “Oggi facciamo penitenza: lasciamo cipolla e mangiamo cappone”. Fate un atto di penitenza: il Signore ha offerto questo e si fa così.Però credo che tutti sentiamo questi giorni, queste ore. Lo sentono coloro che partono, e lo sentono coloro che restano. Lo sentono coloro che partono perché, sa, viene realizzato un po’ il loro sogno, no, Livio, il sogno di andare a predicare il Vangelo. Ma lo sentiamo anche noi: voi che vi state preparando alla vita missionaria, e noi che stiamo preparando cartucce per la vita missionaria.
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2.Ora penso, per completare un po’ il pensiero di don Giuseppe, che varrebbe la pena ritornare sulle distrazioni di ieri sera in chiesa. Voi ricordate il piccolo episodio che ho portato in chiesa ieri sera. L’ho portato perché quello che doveva far la predica, ha detto don Venanzio, era ammalato, quello che doveva far la predica ieri sera, perciò all’ultimo momento ho detto: “Beh, sostituiamo l’ammalato che doveva far la predica”. Non so chi fosse che dovesse far la predica...Ora, ieri sera, a un dato momento mentre stavo parlando, se vi ricordate bene, ho detto che io ero di sopra, e sotto c’era una buona donna che stava parlando con mia mamma. E stavo per andar avanti col discorso, e mi sono fermato, perché volevo concludere in pochi minuti, concludere il discorso in un’altra forma. Però non posso tacere in questo luogo qui il pensiero che ho sentito sviluppato da due anime, poverette... che forse mia mamma aveva fatto tre mesi di prima e l’altra aveva fatto tre mesi di seconda, pressappoco. Però, due anime di Dio, due anime che si nutrivano ogni mattina con la santissima Eucarestia, che vivevano in unione col Signore. Bene, questa buona donna, che veramente è una santa donna, diceva a mia mamma: “Vede Clorinda...”. Qui devo dirvelo in dialetto perché detta in altre lingue, tradotta non ha più... sarebbe come tradurre “La divina commedia” in dialetto, vero, “La divina commedia” è Divina commedia”, vi pare?“Vèdela, Clorinda, el Signore ghe ga fatto una grazia così granda ciamare un so fiolo, ciamarlo prete! La ghi n’ha uno solo: el Signore ghelo ga ciamà ch’el sia prete”.“Ma mi son contenta, - dixeva me mama - son tanto contenta ch’el sia prete”.“Pensela cosa vol dire avere un fiolo prete? Un fiolo che l’è tutto del Signore, solo del Signore, che dixe messa, che confessa, che consuma la so vita per il Signore!”.“Ma mi son contentissima de questo! Ma la capisse, Maria, adesso ch’el me domanda proprio ch’el vaga missionario... Resto sola. La vede, non go altro”.“Eh! - la dixe allora la Maria – Clorinda, el Signore, quando el ghe vol ben a un’anima, el domanda ancora, el domanda ancora. Pensela quanto più grande che xe la vocazione missionaria de quella del prete qua? Parchè, vèdela, l’è ciamà el missionario a dare, a dare, tanti sacrifici de più. Come Gesù: Gesù l’è stà ciamà a dare la vita, a dare tutto per le anime. Bene, un prete el dà tutto se stesso, ma un missionario dà molto de più alle anime, perché el soffre de più. Non soltanto l’è prete, el salva anime, el predica el Vangelo, la so vita xe consumà per predicare el Vangelo, ma l’è ciamà a soffrire tanto de più insieme col Signore. La pensa! Credela che Ottorino non ghe dispiasa lassare so mama? E queste qua non le xe sofferenze per la salvezza delle anime? Non xe come Gesù sopra la croce un pochino?”.Amici miei, mi fermo qui, mi fermo qui. Mia mamma ha detto allora: “Ma sì, son contenta, accetto questa sofferenza, accetto anche questa separazione, per le anime”.Io mi domando: “Noi siamo degni di queste mamme?”.
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3.Quella Maria famosa poi, quando che don Bortolo Gasparotto da Sandrigo è andato parroco a Montecchio, lo ha seguito e là lo serviva gratuitamente, ed è morta, poveretta, là, da un colpo, in stalla mentre la monxeva le vaccherelle, vero; la ghèa ‘na vacchetta in canonica ee... la ga fatto na paralisi e la xe morta là, proprio in stala là. Consumata la sua vita al servizio dei sacerdoti, al servizio delle anime, proprio sul serio al servizio delle anime.
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4.Però, amici miei, io mi son domandato: e noi che siamo chiamati, e noi che abbiamo questa grande vocazione, sacerdotale, diaconale, apostolica, missionaria, sentiamo la grandezza della nostra vocazione? O forse non ci umanizziamo un pochino qualche volta? In altre parole, siamo capaci di trasformare l’ordinario, l’ordinario, la giornata, le piccole azioni giornaliere, siamo capaci di trasformarle in fuoco di amore? Siamo capaci di capire una cosa: che cioè la nostra santità è appunto l’esattezza, un po’ l’amore che mettiamo un pochino nel compimento delle azioni quotidiane?Vedete, noi siamo chiamati alla santità, siamo chiamati a consumarci come quella lampada dinanzi al Santissimo, ma dobbiamo consumarci giorno per giorno, istante per istante. Non illudiamoci di essere dei santi missionari domani, se non siamo oggi dei santi religiosi nella Casa dell’Immacolata; se oggi non siamo capaci di giocare per amor del Signore, non siamo capaci di lavorare per amor del Signore.Per esempio, ieri sera, un gruppo di teologi sono stati lì fino a mezzanotte quasi, le undici e mezza, mi pare, vero, a lavorare; siamo stati lì insieme, abbiamo lavorato insieme. In due ore e mezza, tre ore di lavoro, se non si è capaci di tanto in tanto di dire: “Signore, io lavoro per te”. Se si sta lì tre ore a lavorare senza pensare a Dio, amici miei, io mi domando: “Siamo veramente preti?”. Scusate, può essere una volta che ci si dimentichi, ma non si può tutta la giornata dimenticarci. Non possiamo non accompagnare Dio nel nostro studio, nel nostro gioco, nel nostro lavoro. La nostra giornata deve essere impregnata di Dio, altrimenti domani come potremo portare Dio in giro, quando andiamo a predicare, quando andiamo a lavorare? Minacciamo di andare a fare i colonizzatori, non i salvatori di anime!Dio deve essere il centro della nostra vita, “in quo vivimus, movemur et sumus”. Per cui, io lavoro, il mio lavoro deve essere una emanazione dell’amore di Dio. Sto lì lavorando con i Vangeli: ma non posso io passare i Vangeli senza ogni tanto dire: “Signore, fa’ che chi prende in mano questo Vangelo abbia a essere santificato attraverso la tua parola!”. Non lo si può fare! Si può scherzare e ridere lavorando, ma non si può non pensare a questo, non si può dimenticare quel Dio che è dentro di noi.Vedete, è questo che io ho paura qualche volta: che ci si dimentichi. E allora è facile che poi si vada nella vita missionaria: bello fin che si parte; dopo tre mesi che si è là si vede che anche là è come qua, anche là il sole tramonta e sorge, anche là viene il caldo e il freddo, anche là viene la stanchezza, e allora ci si sbollisce. Ma perché si sbollisce? Si sbollisce perché non si ha Dio dentro, perché si va avanti ad entusiasmi. Ecco perché tante volte io sono preoccupato nella Casa Immacolata quando: “Cosa ghe femo fare stasera? Cosa ghe femo fare qua? Cosa? Poareti, parchè non i ga vudo gnente... parchè i ga vudo qua... i ga vudo là...”.Amici miei, bisogna abituarsi alla vita dura, alla vita dura! E cioè avere Cristo ed essere contenti. Io ho paura di una vita fatta a surrogati, di una vita riempita sempre di piccoli cuscinetti “per paura che non si stanchi”, “per paura qua... per paura là...”. Amici miei, bisogna abituarsi ad amare Dio e a lavorare per il Signore. Ciò non toglie che oggi si abbiano a mangiar le paste, intendiamoci bene. Ciò non toglie che noi cerchiamo di darvi... domani i teologi la gita a Salò o altre cose del genere. Questo è un dovere, questo è un dovere e noi lo facciamo. Ma state attenti, che non possiamo ridurre la nostra vita apostolica al livello di una vita comune.
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6.Ed è appunto questo, vero, che io raccomando proprio con tutto il cuore a Livio e a don Giuseppe. A Livio per sè e per i fratelli che avrà là: di iniettare, portare questo spirito, portarlo specialmente con un esempio di vita. E lo raccomando in modo particolare a don Giuseppe che, incontrandosi per più di due mesi con i fratelli lì a Resende, si ricordi di portare non quello che don Ottorino ha detto, ma quello che il Signore ci ha detto: quello che il Signore ci ha detto nel Capitolo, quello che il Signore ci ha ripetuto l’anno scorso, cioè dico là quest’anno durante gli esercizi spirituali, quello che il Signore ci ha ripetuto tante volte nei nostri incontri intimi qui dinanzi al tabernacolo. Non dite... non dire, caro don Giuseppe, le chiacchiere di don Ottorino; di’ quello che il Signore vuole, vuole da ciascuno di noi e dalle nostre Comunità.Guardate che abbiamo una testimonianza da dare; il mondo aspetta e ha diritto ad avere da noi. Il Signore ci ha dato delle grazie e queste grazie non sono nostre, le dobbiamo trasmettere agli altri. E allora, proprio in nome della nostra buona mamma la Madonna, caro don Giuseppe, prega, passa delle ore di adorazione dinanzi il Signore se non sei capace di darne fuori, proprio, supplica la Madonna che ti aiuti, ma cerca di trasmettere questo. Trasmettere specialmente questa spiritualità. Ricordati che i fratelli di Guatemala e di Argentina che vengono lì, e quelli di Brasile, aspettano specialmente questo da te: che tu sia, vero, un canale attraverso il quale Dio trasmette i doni che ha mandato qui in questa Famiglia religiosa.Parecchi di quelli son via da tre anni da qui; e perciò, in questi tre anni il Signore ha continuato a dare le sue grazie; e perciò, più che andare a fare un’avventura, scusa, caro don Giuseppe, andar far le fotografie ai gigli e ai fiori, che so io, della terra promessa, ricordati: porta Dio, e insegna ai fratelli a valorizzare le loro piccole azioni quotidiane. Sono missionari, e grandi missionari, se sanno vivere bene la loro giornata, se sanno accettare da Dio bene le croci di ogni giorno, se sanno accettare anche le difficoltà inerenti al caldo, inerenti al carattere diverso dei fratelli, queste piccole cose. In nome di Dio, insegna questo ai fratelli! E digli che questo è quello, vero, che i nostri fratelli di Vicenza desiderano di fare e incaricano te di dire a loro: che desiderano che siano così anche loro.
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7.L’augurio... Perciò ho detto meditazione stamattina l’avete già fatta, vero, meditazione... Soltanto che un augurio: l’augurio che il viaggio sia buono, vuoi per te e vuoi per Livio; noi vi accompagneremo con le nostre preghiere. E se al vostro ritorno non troverete più qualcuno, sappiate che o in Purgatorio con la barba brusà o all’Inferno con la barba brusà o in Paradiso ghe semo. All’Inferno speremo de no... in Purgatorio o in Paradiso... Diceva mons. Di Stefano, no, che i Cappuccini all’Inferno e in Purgatorio non ci sono, perché quando che vanno là i se brusa la barba e i diventa Minori. “All’Inferno - el ga dito - e in Purgatorio Cappuccini non ghi n’è gnanca uno, perché co i riva là i diventa Minori: i se brusa la barba”.Dunque, stiamo uniti, stiamo uniti nella preghiera, qualunque cosa capiti, in qualunque posto dove che il Signore ci chiami, ci chiami anche in Paradiso... Ma soprattutto stiamo preoccupati tutti per vedere un po’ cosa il Signore vuole da noi.Per questo motivo noi ci raduneremo durante le vacanze natalizie. Mentre concederemo, mi par di aver sentito dire... posso preannunciare un pochino, no, don Guido, mi pare... mi par di aver sentito dire che i religiosi hanno di vacanze dal 24 al 28. Pensate, mai stato nella Casa dell’Immacolata una roba così, un quindici giorni di vacanza, vero, dal 24 al 28. Però un gruppetto, un gruppetto salirà in montagna per ascoltare il Signore. Non vorrei abbandonare la bella abitudine che avevamo quando che avevamo la casa ad Asiago, i primi tempi Pasqua e Natale si andava su due tre giorni, e si stava là a pregare, e si stava là a ascoltare, e si domandava a Dio: “Ma dimmi, Signore, cosa vuoi da noi? Di’, o Signore quel che vuoi da noi?”.Ora, il lavoro, le vacanze, non devono rendere povera la Congregazione, assolutamente. E allora ho fatto la proposta ieri sera, un po’ col nostro gruppo lì del refettorio nostro, che anche quest’anno un gruppetto salga a Bosco la sera di Natale fino al 28 sera. Un gruppetto rinuncerà alle vacanze. Qualcuno di voi sarà invitato a questo, vero, pranzo spirituale. Penso che... tutti, capite, che è impossibile. Prenderemo alcuni dei più anziani, alcuni un po’ più vecchi, e insieme cercheremo, non di andar là per portar giù delle regole nuove, non andar là per prendere in mano il fucile e sparare: andiamo la per ascoltare, andiamo proprio sopra il monte per domandare al Signore che ci dica qualche cosa, per noi e per la casa. Perché? Perché vogliamo fare la volontà di Dio, perché vogliamo condurre la Congregazione sulla strada di Dio e non sulla nostra strada.
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8.Gli altri? Andranno in vacanze. Poi, all’ultimo dell’anno e al primo dell’anno, i teologi, quelli che non saranno venuti su, verranno su là. E allora ripeteremo insieme quello che abbiamo ascoltato. Diciamo: guardate, il Signore ci ha detto questo; a voi ha detto qualcos’altro diverso per caso?Poi la domenica seguente andremo su con il liceo, e ripeteremo la cosa.E diremo: guardate, ai più vecchi il Signore ha detto questo, ai teologi ha detto questo, e a voi il Signore ha detto qualcos’altro? E vedremo insieme, no? Per caso può darsi che a quelli del liceo abbia detto... E allora cominceremo tutto di nuovo, vero. Raduneremo i vecchi un’altra volta, cominceremo di nuovo, per vedere un po’ chi ha ragione.Essenziale è questo: che in questo periodo adesso di preparazione al Natale, quando andrete dinanzi a Gesù Bambino a pregare per voi, preghiate per tutta la Congregazione. E se Gesù Bambino vi dovesse dire qualche cosa anche per la Congregazione, ricordatevi che non è per voi solo ma è per tutta la Famiglia. Se il Signore vi dovesse ispirare qualche cosa che fosse di bene per tutta la Famiglia religiosa, presentatelo, ditelo, perché qui siamo insieme, ricordatevi, per ascoltare il Signore. E il Signore, quando vede che Eli l’è troppo birbante, chiama il fanciullo Samuele e parla a Samuele. E siccome che Eli posso essere io, il birbante del vecchio Eli, va bene, e allora può darsi che il fanciullino buono sia magari qua Ruggero, o se no Marco, vero, o qualche altro... Il Signore, non si sa mai, può parlare attraverso qualche altro. Ricordatevi, non c’è monopolio qui. Dio, vero, lo riceviamo ogni mattina nella santa comunione tutti, e attraverso l’intimo può suggerire delle cose meravigliose per tutta la Famiglia religiosa.Perciò in questi giorni di preparazione al Natale mettiamoci proprio in ascolto, proprio a disposizione di Dio: “Loquere, Domine! Parla Signore, il tuo servo ti ascolta”. Però, non tenete per voi se il Signore vi dirà qualche cosa. Altrimenti io faccio, vero, quello che ha detto Eli a Samuele: “Varda, guai a ti - el ghi n’ha dito quattro parolasse, no? - se te tasi, se te me nascondi na robetta sola de quel che te ga dito el Signore!”. Che, per esempio, il Signore può dire a Ruggero che don Ottorino xe mejo ch’el se cambia, ch’el vaga via, ch’el se ritira... E allora guai a lui se non parla!Con queste e tante altre simili cose, noi auguriamo buon viaggio e all’uno e all’altro, e assicuriamo per loro e per le Comunità la nostra continua preghiera.