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LA CONSACRAZIONE RELIGIOSA È UNA RISPOSTA TOTALE ALL’AMORE DI DIO

MO287 [09-01-1970]

9 gennaio 1970

MO287,1 [09-01-1970]

1 Sia lodato Gesù Cristo!
È stato detto: “Ego plantavi, che l'altro rigavit, no? E colui che ha dato l'incremento è stato Dio”. Qui, ecco, non si sa chi abbia piantato, chi abbia irrigato; sappiamo di certo che colui che ha dato l'incremento è stato Dio. Dico male, lei, don Matteo? Caso mai, el dovaria dire: "Mi me ga tocà far tutto, el resto lo ga fatto el Signore". Cioè, durante il periodo natalizio ci siamo portati lassù a Bosco e ci siamo messi a disposizione di Dio. Abbiamo cercato di andare là ad ascoltare. E è stata una cosa meravigliosa; sono esperienze veramente belle, che faremo e ripeteremo a Pasqua, e credo che sarebbe bene conservare questa bella abitudine due volte all'anno e di poterlo fare lassù. Mettersi in questo atteggiamento, proprio, di ascolto. E, mettendoci in questo atteggiamento di ascolto abbiamo visto che si è andati avanti, si è fatto un passo avanti.

MO287,2 [09-01-1970]

2. E cioè: primo gruppo, il Signore ha parlato, ha fatto sentire la sua voce; il secondo gruppo, più avanti ancora; finché si è arrivati un pochino, abbastanza, mi pare, ad avere un qualche cosa di concreto in mano. E cioè, si è pensato di fare una piccola campagna interna qui contro l'egoismo. Abbiamo sentito la voce del Battista che ha detto che “in mezzo a voi c'è uno, c'è uno che voi non conoscete”, e se volete conoscerlo bisogna togliere l'egoismo. E abbiamo detto: “Facciamo così, smantelliamo l'egoismo, almeno nella buona volontà, nell'intenzione, nello sforzo, e solo così potremo incontrarci col Signore, incontrarci col nostro Cristo, conoscerlo per poterlo far conoscere, amarlo per poterlo far amare”.
Ma è chiaro che prima di partire per combattere questo egoismo, e sarà un lavoro che cercheremo di fare un po’ insieme in queste meditazioni, nei vari incontri, così... Ma non è chiuso il capitolo, eh! Si può ancora piantare, si può ancora irrigare, si può ancora comperare qualche altra campagna e andare avanti, ma intanto incominciamo il lavoro, cominciamo, no? Prima, dico, di cominciare, di lanciarsi proprio contro il comunismo, cioè il comunismo, scusate, l'egoismo... Ho visto là una faccia comunista in fondo, vero, eh, no tu, Luigi, quell'altro in fondo nell'angolo laggiù... Allora, prima di lanciarsi contro lì in pieno, è bene, penso, su suggerimento, invito, del nostro caro professore di filosofia, fare un cappello, perché altrimenti dicono che le persone senza cappello prendono il raffreddore, no, fare un cappello, cioè un qualche cosa che inquadri un pochino, che ci faccia capire un po’ perché combattiamo l'egoismo, la necessità di combattere l'egoismo. Ed è appunto su questo che noi inizieremo, vero, la nostra meditazione questa mattina. Leggo così, come è uscita dal cuore dei nostri fratelli e poi come è stata stesa e gettata giù dal nostro caro don Matteo, "cui honor et gloria in saecula saeculorum".

MO287,3 [09-01-1970]

3. “La consacrazione religiosa è, sulla scia di Gesù, il conoscere e il rispondere totalitariamente all'amore di Dio”.
Scusate, penso che don Matteo mi permetta di mettere dentro qualche cosa, qualche distrazione, anche per masticarla. Io parlo specialmente ai nostri cari Severino e i novizi più giovani, che fanno fatica capire, no? La vita religiosa è una risposta. Uno che ci ama, che ci invita. E come Gesù ha detto di sì al Padre suo, ma in una forma totalitaria, così anche noi rispondiamo. Ecco la vita religiosa! È una scoperta sempre maggiore dell'amore che c'è dall'altra parte: da una parte c'è un amore infinito, c'è Dio che mi ama in forma infinita, e io, povera creatura, mi sento chiamato, mi rivolgo. In un primo momento. "Chi è che mi chiama?", dice Samuele, "Chi è che mi chiama?". E a un dato momento, piano piano, capisco chi è colui che mi chiama, e mi accorgo che è uno che mi ama fin dall'eternità, e che mi ama in forma infinita. E allora sento il bisogno anch'io di rispondere in forma totalitaria. "Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quanto hai e dallo ai poveri, poi vieni e seguimi". Vuoi essere perfetto? Va’, vendi tutto quanto hai, dallo ai poveri; vieni e seguimi. Questo "vendi tutto", questo "dà tutto"; se non abbiamo compreso questo, fratelli miei, guardate che non abbiamo capito la vita religiosa. Proprio alla base della vita religiosa c'è proprio questo: "Va’, vendi tutto, dà tutto; vieni e seguimi". Poi c'è la seconda parte: "Vieni e seguimi". Staccarci e seguirlo. Comunque, non voglio anticipare i tempi. "Consacrarsi è riconoscere la sua paternità assoluta e dedicarsi al suo piano di salvezza pienamente, senza mezzi termini, testimoniando come Gesù, sempre e dappertutto, l'"unum necessarium", per vivere in un regno eterno di amore e poter amare divinamente: essere pieni di Dio". Dunque consacrarsi è un donarsi, ma senza mezzi termini, per testimoniare come Gesù l"unum necessarium". Una cosa sola è necessaria: l'amore di Dio. Il "quaerite primum regnum Dei" dobbiamo testimoniarlo noi in una forma proprio, vorrei dire, assoluta. Dobbiamo dimostrare al mondo che noi cerchiamo solo il regno di Dio. E anche quando cerchiamo le cose materiali, lo facciamo in vista del regno di Dio e solo per il regno di Dio.

MO287,4 [09-01-1970]

4. "La nostra consacrazione è risposta totalitaria ad un amore totalitario, divino.
Noi siamo opera di Dio. Egli potrebbe umiliarci con la sua infinita superiorità: invece si fa come noi, si nasconde, desidera la nostra risposta come una risposta libera, frutto di amore e di scelta scopritiva del suo dono". Guardate queste parole qui, dette in una forma un po’ filosofica, difficile, ma guardate che sono meravigliose, eh, nonostante siano state dette da don Matteo! "...frutto di amore e di scelta scopritiva del suo dono". Quasi il Signore fa come fa la befana, cioè la mamma che si veste da befana, che mette i regali, dei doni. E il bambino scopre uno, tutto contento; poi ne scopre un altro, poi un altro... In fine scopre la bicicletta o scopre la cosa che lui desiderava. Così anche Dio. Mette una cosa e tu scopri, scopri, scopri... e "inquietum est cor nostrum donec requiescat in te", no? Finalmente scopri proprio la gioia, finalmente scopri la gioia infinita dell'amore. "Mentre siamo in Dio come dei bambini che Egli sta creando e salvando, ci tratta da persone mature, vuole il suo legame con noi come un legame matrimoniale di scelta, di fedeltà, di dialogo, come tra pari...". Questa frase prima, che è una frase forte, mi permetto di spiegarla un pochino, se don Matteo mi permette. Noi siamo come dei bambini che dipendono in tutto da Dio, come il bambino che ha ancora da nascere dipende dalla mamma. Il bambino che ha ancora da nascere è legato alla mamma, in modo tale che anche la circolazione stessa del sangue è tutta una: respira, si può dire, attraverso i polmoni della mamma; mangia attraverso lo stomaco della mamma; cioè vive insomma attraverso la vita della mamma. Ora noi dipendiamo così da Dio, ma Dio ci lascia liberi. Capite cosa... quando qualcuno si lancia contro Dio o quando qualcuno trascura completamente Dio, che cosa tremenda che compie! Non occorre che Dio dia la coltellata; basta soltanto che Dio non lasci più passare il suo sangue, la sua vita. Dio continua a dare la vita, deve continuare ad alimentare la vita, alimentare la nostra intelligenza, eccetera, sarebbe una fermata da parte di Dio; non occorre un atto positivo per ammazzare, no? Amici, sentire quanto noi dipendiamo da Dio in tutto e per tutto: siamo suoi, viviamo... E lui rispetta la nostra libertà. Vuole essere amato liberamente, vuole essere scelto, vuole che noi lo scopriamo, e scoprendolo, per forza vero... Se tu scopri una ricchezza è logico... Se tu fai scegliere a un bambino fra una sedia, una cariola e una motocicletta, sceglie la motocicletta, no? È chiaro.

MO287,5 [09-01-1970]

5. "Sorge allora nel consacrato un nuovo modo di pensare, di vivere, di agire, conforme alla sua nuova forma di vita 'familiare, sponsale' con Dio: egli si ritrova nella figura di Gesù; come Lui e con lui cerca l'unione vitale e costante con il Padre e la testimonianza di amore divino e salvante verso gli uomini, suoi fratelli, bisognosi di luce e di certezze eterne.
Concretamente allora la consacrazione è vissuta in uno sposalizio, umile, riconoscente, fedele, totalitario, con Dio, che sostiene e sazia il cuore e lo rende disponibile a tutte le cose divine secondo il suo piano, determinato dalla specifica vocazione in una famiglia religiosa con finalità precise e opere concrete; consacrato solo a Dio e alla sua causa; il religioso si sente distaccato da tutte le cose umane e concrete, trovando la sua gioia nel dialogo di unità viva con Dio, nel cui amore sa trovare e scoprire continuamente la sua reale divina famiglia e la sua spinta ad amare in ogni circostanza lieta o triste si venga a trovare". Vedete, noi siamo consacrati a Dio in uno sponsale, un matrimonio divino proprio, in unione con lui, in questa Famiglia religiosa. Quando una ragazza si sposa, la sua casa è la casa del marito. Il marito ha la sua famiglia, entra questa ragazza... Quella è la sua casa. Non importa che vicino ci sia un altro uomo, che ha poderi e ha ricchezze, eccetera: la sua casa è quella lì! Se una ragazza si sposa veramente e vive il suo matrimonio con amore, con fedeltà, eccetera, a lei non interessa, non interessa per niente che un altro sia più ricco, che un altro sia più bello, che un altro abbia, vero, possibilità di essere deputato o senatore. A lei interessa la sua casa: il suo cuore è lì. Ora vedete... E serve Dio nella famiglia dov'è. Ora anche noi dobbiamo amare Dio nella famiglia dove siamo concretamente, dove Dio ci ha chiamati, nella nostra Famiglia religiosa.

MO287,6 [09-01-1970]

6. "Il religioso è chiamato a testimoniare una precisa mentalità di sposato ad un amore reale, divino, meraviglioso, verso Dio e i fratelli come Dio. Si impone...”.
E qui, scusate, questa è stata la parte un po’ teorica, che forse ha fatto dormire qualcuno, non per causa di don Matteo, ma per causa di chi legge; ma adesso continuiamo un pochino, forse un po’ più pratici, e forse arriveremo al punto che fa tremare; caso mai riprenderemo la settimana ventura. "Si impone una stringente analogia tra la psicologia familiare umana e la familiarità del consacrato con Dio: analogia che illuminerà le cause di tante forme di vita religiosa scadente e sterile, e il segreto di un vivere più fedele e più coerente anche con Dio. Chi è sposato e cerca di vivere con impegno la sua missione, pensa spontaneamente alla sua famiglia: con frequenza pensa alla moglie, ai bambini; se gli si domanda per chi lavora, subito risponde: 'Ho famiglia'; quasi inconsapevolmente nelle sue scelte, nei suoi divertimenti, nel decidere l'ora di tornare, nell'organizzare il tempo libero, si sente legato da questa relazione profonda che lo condiziona ogni momento nel sacrificio ma anche nella gioia di donarsi". Tante volte tu parli con uno sposato: "Eh, bisogna ca vaga casa. Eh, son sposà, mi go la fameja, miga scherzi!". Vive per la famiglia. Si tratta di comprare una cosa: "Bisogna comprare la macchina un po' più grande perché siamo in quattro cinque, eh". “Domenica?”. "No, non posso perché avevo promesso, ho piacere di andare via coi figli; ho già promesso; dobbiamo andar su ad Asiago, che c'è un po' di neve; facciamo una giornata...". Le sue scelte, divertimenti, lavoro, eccetera, sacrificio, sempre sceglie insieme. Anche se è solo, lui sa di non essere solo. "Il religioso è chiamato a sentirsi come uno che ha famiglia: uno sposo divino e una missione ben chiara. Egli testimonia un rapporto vivo con Dio e il suo piano di salvezza e di amore per gli uomini (vedi Gesù con il Padre e la sua volontà)".

MO287,7 [09-01-1970]

7. Quello che noi stiamo dicendo non è una commedia; non bisogna scherzare! Mio papà era sposato e aveva la sua famiglia. Vostro papà è sposato e ha una famiglia, ha delle responsabilità, sente che non può vivere staccato dalla famiglia, altrimenti pecca.
Ora io ho la mia famiglia, e io devo vivere per la famiglia. Devo sentirmi di casa con Dio, e perciò gli interessi di Dio, le cose di Dio, sono le cose mie. E tutta la giornata io devo lavorare insieme con lui. Anche se il marito va a lavorare e per qualche ora non pensa alla famiglia, ma sta lavorando per la famiglia, per provvedere il pane per la famiglia. E altrettanto devo fare io. Anche se per parecchie ore durante il giorno non pensassi a Dio, ma io devo trovarmi nel posto dove mi vuole Dio. In quel momento il marito si trova al lavoro e si trova nel posto dove lo vuole la moglie, lo vogliono i figli, no? Sta facendo quello che tutta la famiglia desidera che lui faccia in quel momento. E anch'io devo fare in ogni momento quello che la mia famiglia, mio Padre, il mio sposo mi vuole in quel momento. "Ogni religioso dovrebbe dimostrare una mentalità di "sposato" a Dio e alla sua causa: - 'a Dio e alla sua causa', cioè un atto di amore e un atto di azione, no? Io devo amare e devo agire, ecco. Io devo essere sposato a Dio e alla sua causa - Dio e il suo regno devono essere sempre presenti nelle sue azioni, scelte, giudizi... e tutto ciò non sopportato come una imposizione, ma come frutto di una responsabile scelta di amore superiore, fedele e consapevole". Vedete, andando avanti con queste carte qui sentite un certo crescendo, no... ora sentite un certo crescendo. Però, siamo sinceri, andando avanti sentiamo anche una certa condanna; ci sentiamo un po’ chiamati in causa, sentiamo un po’ dello scapolo in ciascuno di noi, un po' del... sì... Uno è sposato, ha una famiglia, si tuffa dentro e fa... Noi, sa... Quando uno si sposa a un dato momento cambia un pochino, no, cambia un pochino; vedi che c'è un cambiamento. E forse Dio sta aspettando in noi questo cambiamento. Ma non voglio anticipare i tempi già... Non possiamo mica toccare Omero, no, aggiungere versi a Omero...

MO287,8 [09-01-1970]

8. "Nasce allora spontanea la necessità del contatto personale con Dio nella preghiera, per mantenere il cuore pieno soltanto di lui, per poter amare come lui.
Se uno sposato trova gioia nel suo lavoro, nelle varie amicizie, ma non desidera sostare in intimità con la sua sposa, non può dirsi affettivamente sposato". Uno lavorasse, trova gioia nella meccanica, eccetera... e va ben, ma non sta volentieri in casa, con la sposa, coi figli... sì, va a casa; ha trasformato la casa in albergo. Non puo' dire: "... affettivamente sposato". "Così anche per l'apostolo: se trova le sue soddisfazioni unicamente nel lavoro apostolico, organizzativo e non ama l'intimità da solo a solo con Dio, non è sposato con il Signore". E guardate che è facile questo, eh? È facile tuffarsi dentro, fare, organizzare, fare, predicare, conferenze, gruppi del Vangelo, eccetera, eccetera. Ma non ti trovi da solo a solo con Dio. Se questo apostolo non si trova da solo a solo con Dio, non è sposato con il Signore. E qui c'è una parola forte. "La sua verginità è un non essere sposato con una donna". La sua verginità è solo questo: non essere sposato con una donna. “Se non ha il cuore pieno di Dio non può resistere: le gioie umane anche apostoliche non sono eterne...". Anche le gioie apostoliche non sono eterne; poi viene il lunedì, no? La giornata di festa: Messa cantata, funzioni, trionfi! Poi viene il lunedì: la gente va al lavoro; il prete resta lì con la chiesa vuota. E se nella chiesa trovava gioia solo per le persone che erano in chiesa, al lunedì cessa la gioia, no? Se invece in chiesa trova la gioia per il Dio che è in chiesa e per le persone, allora Dio resta anche al lunedì. E allora non cessa la gioia. Ripeto: "Se non ha il cuore pieno di Dio non può resistere: le gioie umane, anche apostoliche, non sono eterne, e, se sono ricercate per se stesse, lasciano sicuramente il posto prima o poi all'insoddisfazione, alla scontentezza, alla frustrazione. Se uno ha fatto famiglia con Dio, sa tornare a casa e riempirsi del suo amore e del suo affetto...". Che bello una famiglia, quando che uno ha trovato la sua vocazione nella famiglia! E ha moglie e ha figlioli, e alla sera torna a casa. E la moglie ha preparato persino, non so, anche le piccole cose: le scarpe di ricambio, o ha preparato l'asciugamano perché si possa lavare; ha preparato il cibo che a lui piace. Insomma, si trova... siamo sinceri, trova l'affetto, trova la gioia, che qualche volta forse può essere stata una tentazione anche per qualcuno di voi pensare, insomma, bella la vita matrimoniale per questo calore.

MO287,9 [09-01-1970]

9. Ora, sentite: uno che si è consacrato al Signore deve sentirlo questo calore, deve portarlo a Dio questo calore! Se manca questo, se manca questo calore... anche nell'aridità, perché il marito può andare a casa anche se ha dei momenti di crisi intima, no; ora, se manca questo a noi, se non creiamo questa famiglia con Dio, è impossibile, fratelli miei, continuare su questa strada. Come per un marito che non ami la sua famiglia e vada a compromessi, è impossibile continuare. E allora va cercando certamente il divorzio o creando delle altre uscite, insomma.
Il nostro apostolato sarà fecondo, noi porteremo frutti meravigliosi di bene, in tanto in quanto stabiliremo questo incontro con Dio. Quando noi abbiamo detto per il passato: “Bisogna incontrarsi con Dio!”, volevamo dire insomma questo: bisogna donarsi a Dio, bisogna diventare di casa con Dio! Dunque: "Se uno ha fatto famiglia con Dio, sa tornare a casa e riempirsi del suo amore e del suo affetto...". Mons. Veronesi alla sera, alla notte: cinque, sei, sette ore là dinanzi al tabernacolo. Questi vecchi sacerdoti, che forse ne sapevano molto meno di voi, ma sapevano inginocchiarsi dinanzi all'altare e rimanere lì. Cos'era? Tornare a casa, tornare a casa! "... sa fermarsi da solo a solo con Dio per purificare il suo cuore...". Attenti a ste parole: "... da solo a solo con Dio". Bello recitare la corona insieme, il breviario insieme, eccetera ... ma bisogna saper fermarsi da soli a soli con Dio. La preghiera comunitaria, specialmente la Santa Messa, eccetera, non può sostituire la preghiera da solo a solo con Dio. "...sa (dunque) rivedere le sue idee a contatto con quelle di Dio; sa rendersi disponibile alle esigenze del vivere religioso, comunitario e apostolico della Congregazione in cui liberamente ha scelto di vivere rispondendo alla chiamata divina. La voce concreta di Dio, della Chiesa e dei libri santi passa e si incarna nella Famiglia Religiosa, da Lui suscitata e in cui ogni religioso sceglie di vivere. Soltanto allora un cuore pieno di Dio si rende disponibile ad una vita comunitaria integralmente vissuta; non evade, non costruisce propri mondi, proprie isole di divisione e di frattura. Ogni religioso dovrebbe disporre di un cuore umile, che sa riconoscere la propria miseria, le proprie deficienze, che teme di sbagliare e di tradire gli altri, che sa pregare Dio con tutto il cuore perché lo illumini, e riscaldi, guidi, sostenga... che sa riporre soltanto in Lui il suo conforto e nella sua concreta volontà (costituzioni, spirito, regole del Capitolo, superiori della Pia Società), sa riporre in Lui il suo riposo". E qui comincia il bello. Avete qualche cosa da dire in questo punto qui? Daniele, tu che hai sonno, hai qualcosa da contraddire? Tu, Ruggero, sei d'accordo su questo? Uno è il Padre, caro: Dio. Monsignor là, cosa ghin dixelo monsignor? Questo cappello, che direbbe don Matteo, è un cappello che va ben sì o no? E allora procediamo.

MO287,10 [09-01-1970]

10. "Ogni evasione dalla famiglia è egoismo.
La vita da scapoli gretti è vita di insoddisfazione, è compromettere il Regno di Dio nel tiepido arrangiarsi giornaliero a caccia di sensazioni e del minimo sforzo". Non far fadiga... Non so se le abbiate capite ste frasi qua. Bottegal? Le ghio capìe? Sì? Ripeto: "La vita da scapoli gretti è vita di insoddisfazione". Lo scapolo che non vuole abbracciare... non vuole affrontare la famiglia perché è troppo fatica. "Sa, mantenere tre, quattro persone... Meglio mantenersi da soli. Poi, essere legato, andare a casa... No, no, no, no! Non voio mestieri! Non voio responsabilità! Per carità! Se sta così ben da soli". Ecco là. La vita da preti, no? E di "insoddisfazione", perché, se non ha il peso della famiglia, non ha neanche la soddisfazione della famiglia. Basta vederli questi qui quando che hanno, ormai quando che son vecchi, quaranta cinquant’anni, quando hanno una certa età, vero, Vinicio, a una certa età... Li trovi in casa, li trovi in casa... I fratelli sono sposati, hanno la moglie e i figli, e loro là, in una stanzetta, messi là; loro unica consolazione è la pipa, il disordine della stanza, sporchi perché non hanno la moglie, non hanno le figliole che li tengono a posto. Qualche nipote un pochino... "Me zio, là, l'è sempre sporco. Ghe demo un'ociadina, ghe lavemo le braghe". Ecco là, sto poro scapolo messo là in un cantonselo! Non lascia niente, non lascia niente: dietro di se non lascia figli, non lascia opere, non lascia niente. È passato. Non ha voluto affrontare difficoltà. Ora, state attenti, caro Mariano là in fondo, che è facile che noi religiosi siamo degli scapoli. Pericolo enorme, eh, pericolo enorme! Possiamo essere padri di molte genti, possiamo fare un sacco... il Signore ci ha chiamato a essere più padri dei padri. Il Signore ci ha chiamati ad avere una famiglia immensa in confronto alla famiglia che hanno i nostri fratelli fuori che sono sposati. Ma corriamo il pericolo di rimanere scapoli. Per noi, ricordatevi, non è più permesso di restare a mezzo piano: o su o giù. Siamo chiamati ad essere in alto: o andiamo in alto o precipitiamo. Come un aereo che è partito, che è sopra l'oceano Atlantico, non c'è più niente da fare: o vola di là o casca giù. Non può rimanere là, fermo per aria. La soluzione per noi è questa: o dei consacrati interamente a Dio, con una figliolanza meravigliosa, spiritualmente parlando; per carità il resto, eh, ovvero dei poveri scapoli, dei rovinati. Dunque, è una vita di insoddisfazione per gli scapoli "e compromette il Regno di Dio nel tiepido arrangiarsi giornaliero...". Va avanti così, alla giornata; fa quello che farebbe uno spazzino pubblico, che alla mattina si alza, spazza, tira su quattro bussoloti, là, de strasse, de battaria; e lu ga fatto el so lavoro. E ogni tanto passa l'ispettore: “Ciò, le pulizie? Qua va bene, qua bisogna che te fassi meio”. Ecco là. Il prete fa si alza al mattino... ogni tanto passa el vicario foraneo e mette la firma sui registri; passa l'ispettore: sì, sì, può andare, può andare. Ecco.

MO287,11 [09-01-1970]

11. "La vita del religioso dal cuore vuoto di Dio è vita asservita alle impressioni del momento, segnata da continue stupidaggini, puntigli bambineschi, arrabbiature e permalosità, dove sotto il pretesto della comprensione, si cela il proprio egoismo e il proprio accentrare. Si esige la carità dagli altri e non la si tocca neppure con un dito. In comunità allora ci può essere un continuo stato di guerra sorda, di egoismi e di giudizi esigenti in nome della carità; e fuori, tutto è possibile e fattibile, corrisponda o meno alle finalità della congregazione e della parrocchia; non si accettano osservazioni, non si cercano consigli, non si sentono i confratelli, non si sa rinunciare, attendere, obbedire... e tutto sotto la giustificazione della libertà dei figli di Dio".
Penso che far commenti, no, Piero, sia inutile... "La conseguenza di questo modo falso di vivere la propria vita religiosa è tristissima. Si corre il pericolo costante di vivere una vita alla continua ricerca di quello che soddisfa, che faccia mettere in evidenza le proprie qualità umane, che spinge a giudicare incoscientemente sempre e intransigentemente dal proprio punto di vista personale, senza mai porsi il problema che il punto di vista primo è solo quello di Dio: 'Factus oboediens usque ad mortem', attraverso l'apertura e la ricerca di ciò che la Congregazione si aspetta dal suo compito. È necessario continuare un esame dettagliato delle conseguenze della mancanza di una sincera vita interiore (che è vita a due con Dio, nella preghiera e penitenza), per poter coglierne l'urgenza, e debellare dal nostro spirito l'illusione di essere perfetti se ci riconosciamo in qualcuno dei casi che verranno indicati, e così saper con umiltà correre ai ripari". Ci fermiamo. Adesso qui comincia un esame un po’, vero. Chiudi che è pericoloso, sennò... Sposi infedeli. Se ghemo fatto l'amore e dopo ghemo molà tutto, vero... in altre parole, se siamo solo dei vergini perché non ghemo la sposa, come direbbe padre Matteo, no, solo dei vergini perché non ghemo una donna, sarìa massa poco! Bisogna essere degli amanti di Dio! E direi proprio come frutto un po’ della meditazione di questa mattina facciamo un po’ di esame su questo punto: come lo sposo vive solo per la sua famiglia, se noi, domandiamoci, viviamo solo per la famiglia di Dio. E se lo sentiamo questo durante la giornata. Se in noi, durante il nostro operare, c'è questo sottofondo di donazione, di amore. Come il marito, che sottofondo c'è la famiglia, la telefonata, c'è uno ammalato in casa... el sta male tutta la giornata: “Tasi, ancò... go sentio stamattina el piccolo gavea la febbre...”. Insomma, sente, no, la gioia e il dolore. Tu lo vedi; va in ufficio: “Cos'hai?”. Il giorno che ha...: "Cossa gheto?". "Ah, son contento perché el piccolo ieri sera el xe vegnù casa el ga portà una bela pagela, no, l'è vegnù casa tutto contento". "Cossa gheto?". "Ah, tasi, và là, ieri sera... tutta stanotte el piccolo gavea la febbre". Insomma, la gioia della famiglia e i dolori della famiglia si riflettono sul volto del marito che va al lavoro, no? Ora noi dobbiamo fare altrettanto: le gioie di Dio i dolori di Dio, le gioie della Chiesa i dolori della Chiesa, devono riflettersi sul nostro volto, se siamo veramente della famiglia di Dio.