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IL DOVERE DELLA RICONOSCENZA.

MO291 [23-01-1970]

23 gennaio 1970

MO291,1 [23-01-1970]

1. Dopo di esserci fermati a meditare sulla prefazione dell'“opera omnia beati Matthei”, cominciamo addirittura... Cosa, ciò? Il proemio o il testo?
Naturalmente, là abbiamo visto nella prefazione che possiamo correre il pericolo di... invece di far famiglia con Dio, di far famiglia con qualche altra creatura, famiglia fuori di casa, no, invece che in casa. Ma qui ci sarebbe un altro pericolo ancora. Ci potrebbe essere una mamma di famiglia che invece di aver famiglia in casa, fa famiglia con qualche altro ometto, vero, mentre che suo marito va a lavorare, rischio e pericolo di qualche ritorno improvviso, magari imprevisto e qualche volata di manganello. Ma ci può essere anche il pericolo che questa donna non abbia di questi amori esterni, ma abbia un bello specchio in camera e continui a guardarsi nello specchio, vero, invece che lavorare. E là, ore e ore, ore e ore. Ora, state attenti che anche per noi ci potrebbe essere questo pericolo, e cioè che la nostra vita sia una vita a uno, invece che una vita a due, una vita a due, ma perché c'è uno di qua e uno di là dello specchio. Ora, il nostro autore... Faccio tanto perché, sa, lui parla in difficile, invece noi parliamo un po' alla buona e anche perché bisogna svegliarci un pochino. Vero, Franco? Ora, il nostro autore adesso insisterà specialmente su questo punto: “La vita interiore è vita a due con Dio, nella preghiera e nella penitenza...”. A due nella preghiera e nella penitenza; e lui mette tra parentesi poi: "Vita di pienezza intima...". Senti che belle parole, proprio... Dove xela andà la filosofia? Vero, Giorgio? Le gavì imparà all'università ste robe qua, no? "Senza una vita interiore, seria e responsabile, il religioso corre il pericolo di testimoniare una vita vissuta con se stesso, una vita umana non divina, piena di egoismi, e non divinamente generosa fino al sacrificio di sé per la sola gloria di Dio". Ecco, ci può essere il pericolo di andare a cercare, come dicevamo, un po' di affetto fuori, dietro il confessionale o dietro l'altare, o fuori, piccoli gruppi, eccetera. Ma anche se non si arriva a questo, si minaccia, si può minacciare, vero, di così... di vivere un po' una vita da soli: accontentarsi dei libri, accontentarsi di qualche altra cosa, della musica, di qualche cosa... una vita da soli, una vita da soli. Ecco, una vita da soli non è concepibile, ecco. Ogni tanto, si vede nel mondo, c'è qualcuno che tase sempre, tase sempre. E allora el vien a San Gaetan a vedare se lo tolemo...Vero, don Guido? Anche l'altro giorno, ieri. Go dito: "Come xelo? Che impresion te galo fato quel toso?". "Testa bassa e el tase sempre". Queli de solito xe da Nordera, da San Felice, da qualcos'altro, vero, Luigi, quelli fa parte del manicomio. Per quello i ga menà qua lu! El tase sempre, vero... El ga dito che l'è vegnù in manicomio; e l'ultimo arrivato xe quelo che ghi n'ha più bisogno de tutti, go dito, vero. Bisogna che trova el modo, caro Zeno, de svegliarli fora. Perché Zeno ga sono; vedo qualchedun ogni tanto che fa così, cominciando da papà Vinicio, vero... Sto cercando qualcosa... Me gera vegnù la tentazion de ciamare fora Marco a contare una barzelletta, ultima, vero, Marco? Ma, se vedo che dormì proprio, lo ciamo fora. Caro, di necessità virtù, qua... Bisogna svegliarse fora un pochettin... Se vedo che qualcun dorme lo ciamo fora e la vien registrà anca, la mandemo oltre oceano.

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2. "Il mio spirito di preghiera".
Qua scominsia, caro Daniele."Il mio spirito di preghiera". Adesso qua. Attenti perché sta roba qua comincia a grattare un pochettin, eh? "Dimostro...”. Ghe xe un punto interrogativo in fondo, perciò tegnilo presente nella pronuncia... "Dimostro di superare il mio egoismo con Dio se ho occhi...”. Nol ghe xe mia el punto interrogativo, non importa, cancellato quel che go dito! “Dimostro di superare il mio egoismo con Dio, se ho occhi e cuore sufficientemente pieni di amore per Lui da saper sempre più e sempre meglio scoprire e riconoscere che tutto quello che io sono e che c'è in me, è suo dono: dalla vita alla grazia, dal perdono alla vocazione, dalle doti fisiche e intellettuali al mondo in cui vivo, alla natura, alle amicizie, eccetera.". Ieri sono entrato nello studio di quelli di 4ª e 5ª. In questi giorni la befana ha portato qualcosina, no, Mariano? Ha portato un po' la cinepresa, il proiettore, cioè un'attrezzatura perché facciano qualcosa un po' sul campo del cinema, perché si sveglino fuori e non arrivino poi ad essere preti da sette o otto anni e non sappiano neanche se la macchina ha bisogno di olio o non ha bisogno di olio, vero. E mica cose che siano capitate, ma potrebbero capitare, no, don Guido? E allora, un po' per metterli, un po', in mezzo, un po', sa, per abituarli un pochino anche a certe cosette, ho pensato di fare questo. Naturalmente don Venanzio ha preparato l'ambiente... ha montato un po' l'ambiente: ha portato a casa la roba, l'ha mostrata, ha fatto un po' di palco. E quando sono andato in studio ieri, sono andato là in studio: i ragazzi in studio. Mi sono messo a chiacchierare con loro. "E allora avete visto?". "Sì, ben! E cos'è? Come si dice, - ha detto uno, - si chiama amoviola o moviola?”. "Moviola!". "E cosa... cosa serve questo? cosa serve quello?". Tutti a chiacchierare. Son passato a uno per uno a dare la mano a ognuno per metterli in tentazione. All'ultimo a cui ho dato la mano, dopo essere stato lì un bel pezzettino a chiacchierare, discutere, l'ultimo che ho dato la mano è stato Conte, si è alzato in piedi: "Don Ottorino, grazie, salo, grazie", el ga dito. E allora mi subito ho aggiunto: "Ma no i gera dieci i lebbrosi ca go guarìo? Dove xeli andà gli altri nove, - go dito - dove xeli andà queli altri nove?". Ecco, questo senso anche di riconoscenza umana. Lasciate stare, perché a me non importa gnente, capite chiaro, non mi interessa gnente. Ma bisogna che noi lo suscitiamo anche nel campo umano, dentro di noi. Perché guardate che tante volte sto osservando che anche in quelli grandi stessi non si mostra sufficientemente la riconoscenza umana verso i benefattori, per esempio.

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3. Si sa che le signorine Meneghini, per esempio, ci hanno pagato la Casa dell'Immacolata, praticamente, no? Arrivano qui. Non basta soltanto che Daniele corra là e faccia la parte di tutti. "Eh, ben, basta Daniele". Non è mica vero!
Viene un'altra persona. Domani venisse qui il comm. Volpi, che è quello che ci ha pagato la prima casa, che ci ha aiutato, vero. E anche perché, sai, la riconoscenza è fonte di benefici maggiori, vero, è speranza di benefici maggiori. Non dovrebbe essere così, ma insomma è così qualche volta, no? Ed è per quello che don Matteo sta studiando il modo per quando don Girolamo andrà su con quelli del liceo, di fare in modo che el me fiosso - perché suo figlio, Francesco, l'ho tenuto a battesimo io, no? - portarlo su magari a Bosco insieme per fare un'esperienza nuova, adesso che si parla di esperienze, potrebbe essere utile, vero; perché di solito... di solito si fa la carezzetta al cagnetto per farla al paron. Ma dimenticando tutte queste cose che ho detto adesso al posto della barzelletta di Marco, parchè la xe massa spinta quella, al posto di quella, dico che vien qui il comm. Volpi. Voi non l'avete toccato con mano, ma nei primi tempi è stato il primo che si è fidato insomma, no? Tutto quel che volete... però ci ha pagato la prima casa, ci ha aiutato, ci ha pagato il terreno dell'esternato... Ora, noi dobbiamo guardare, tirar via la corteccia e guardare la sostanza. E abbiamo avuto tante persone che ci hanno voluto bene: "Eh, ben! Xe stà l'anno passà". Stà bon! L'anno scorso ti ha voluto bene, ti ha aiutato e quest'anno, anche se quella persona non avrà più la possibilità di aiutarti, come adesso, vorrei dire specialmente allora, specialmente allora tu devi dare la tua riconoscenza. E dovete abituarvi, se volete essere riconoscenti verso queste persone, dovete abituarvi ad essere riconoscenti qualche volta anche in casa. E non soltanto verso i più vecchi, quelli che insomma si sforzano di correre di qua e di là, ma anche verso i vostri compagni e i vostri amici. Guardate, per verità, vedo che qualche volta si ringrazia, si va a Bosco, eccetera, si viene a ringraziare, eccetera. Ma vorrei che foste riconoscenti anche verso i vostri amici, coloro che si sacrificano, che fanno, eccetera, che vanno da una parte, preparano la carne, preparano... insomma mostrate un po' di riconoscenza. Ricordatevi che è difficile mostrarla a Dio che non si vede se non la si mostra agli uomini che si vedono. Se non nutriamo questo fiore nell'anima nostra, è difficile poi che possiamo raccoglierne qualcuno e metterlo sopra l'altare, no? Se nel nostro giardino non ci sono rose è difficile che Ruggero vada a rose nel giardino. Troverà qualche pissacan, rose no, vero, rose no! Ora, bisogna coltivarlo questo fiore, e questo fiore bisogna coltivarlo, guardate, fin da piccoli. E proprio insisterei con gli assistenti del seminario minore, con gli assistenti anche del liceo, ma proprio direi: "Ma ringrazia! Hai domandato per “piacere”? Hai ringraziato? Andiamo a ringraziare". Ringraziemo le donne, per esempio, qualche volta, là in cucina, queste povere creature. Si guarda solo quello che manca, se manca una forchetta... Queste povere creature, dalla mattina alla sera, dalla mattina alla sera... Per capire basta andar su a Bosco, farse da magnare un par de volte per capire cosa vuol dire farse da mangiare, no? E loro sempre sono in poche, e lì sempre sto sacrificio, sto sacrificio... Cerchiamo di vedere un pochino quello che riceviamo, di avere un cuore gentile e scoprire, scoprire quello che fanno. Pensate adesso queste povere donne, si mettono lì e fanno, fanno, fanno, ti danno e tu mangi in fretta e furia e... Ora con Dio succede la stessa cosa. Non ci accorgiamo dei doni che riceviamo. Mi pare che il nostro autore volesse proprio sottolineare in modo particolare questo, che se noi ci abituiamo a ringraziare, scopriremo ogni giorno sempre di più i doni che Dio ci ha concessi. Vedete, a un dato momento io penso che ci sentiremo confusi pensando ai doni ricevuti da Dio, proprio alle grazie ricevute da Dio, pensando che forse le grazie più grandi sono quelle che noi abbiamo buttato da una parte.

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4. Tante volte noi facciamo come i bambini: prendono il regalo più vistoso, un s-ciopeto, l'automobiletto, e non sanno cogliere che il regalo più prezioso, magari, è quel libro o quell'altro oggetto che loro non sanno valutare in quel momento lì. Ora noi tante volte: "Sì, il Signore mi ha fatto quella grazia, mi ha fatto quell’altra...", e vediamo le cose un po' più appariscenti, un pochino. Ma, magari, quella disgrazia umanamente parlando, che è stata la grazia più grande, forse quella non l'abbiamo vista, non abbiamo visto la mano di Dio, la bontà di Dio.
Basta pensare a San Gabriele dell'Addolorata: lui ha trovato la strada della santità a forza di pacche da parte del Signore. Disgrazia... e allora si converte; altra disgrazia... Ghe vorria Ivo, vero; el gera press'a poco come Ivo: nol voleva deciderse, no? E a forza de pacche, ad un dato momento, el xe scapà in convento. Te vedarè che anche Ivo ghe capita qualche colpetto là a caccia, spara, tira, molla... a un dato momento... Tante volte el Signore ga fatto così con noialtri, sapete. Ci ha perseguitati col suo amore e qualche volta anche con cose che non mostravano l'amore apparentemente, no? Ora io direi proprio: bisogna che siamo attenti, proprio avere un animo generoso che sa vedere la bontà di Dio, la generosità di Dio. Io proprio vi pregherei: fermatevi qualche volta. E non solo fermatevi da soli, ma direi, fermatevi insieme. Qualche volta penso, ho visto qualche volta, abbiamo fatto esperienza anche fra di noi altri un po' più vecchi, fermarsi lì, magari una sera, ci si ferma, supponiamo in giardino ci si ferma a chiacchierare un pochino insieme. Cominciare a pensare che cosa il Signore ha fatto per noi: e allora a uno viene in mente una cosa, a uno viene in mente l'altra. Che bello sarebbe vedere tre o quattro religiosi alla sera, una volta, così, non tutte le sere, che a un dato momento cominciano a cantare, cantare, anche se sono stonati, vero, le lodi di Dio, proprio i benefici ricevuti dal Signore. Don Matteo comincia... ed è tutta una catena, tutta una catena... Tu, don Matteo, non saresti qui, per esempio, no, se non fosse venuta qui tua zia, no? Non sarebbe venuta qui tua zia se non si fosse ammalato una volta don Antonio e non fosse andato don Marcello al tuo paese, al posto di don Antonio. È tutta una catena. Come don Zeno non sarebbe qui se non fosse venuto qui don Giuseppe, e don Giuseppe non sarebbe venuto qui se non fossero stati bocciati i ragazzi di quinta ginnasio, no? Ora bisogna vederla la mano di Dio; proprio, vorrei dire, proprio gioire per vedere la bontà di Dio che agisce attraverso gli avvenimenti, attraverso le circostanze, e qualche volta invece che agisce direttamente, che ti manda le grazie direttamente. Vedere e ringraziare. Penso che questa è proprio la base, il fondamento della nostra santità, fondamento della nostra vita religiosa, perché tu, crescendo nel ringraziare, cresci nell'amore. L'autore voleva dire questo, per favore, o vuoi interpretare diversamente? Tutti e due siamo d’accordo. Rileggo le ultime righe: "Dalla vita alla grazia, dal perdono alla vocazione, dalle doti fisiche ed intellettuali al mondo in cui vivo, alla natura, alle amicizie".

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5. Mi permette l'autore se faccio un'altra osservazione proprio qui sulle amicizie? Ringraziate il Signore degli amici che avete. Guardate che ho detto tante volte, vi ho detto questo: che forse noi non ci accorgiamo quando siamo in una stanza che è riscaldata, perché ci si abitua, no ci si abitua... Basta andar fuori per capire il beneficio, che abbiamo in casa, del riscaldamento.
Ora, sabato scorso siamo andati su a Bosco, siamo andati su con quelli del liceo e sono venuti su alcuni giovani di Settecà, no? E don Girolamo adesso, per piacere, dica con santa semplicità cosa hanno riferito poi quei giovani. Con semplicità... Qua, qua, dai che te te svegli fora, che te ghe sonno anche ti. El primo che vedo a dormire lo ciamo fora, cioè, el secondo... Don GIROLAMO: "Ho chiesto l'altra sera quando sono andato lì, ho detto: "Potreste dire il vostro parere su quei giovani che avete conosciuto, siccome sono della vostra stessa età. È la prima volta - ho detto - che forse voi parlate con seminaristi, che entrate in un ambiente che conoscete solo da fuori". E hanno detto: "No, no, volentieri. - ha detto uno. Ha detto: "Io sono stato impressionato - ha detto - dalla gioia che ho visto. Per me è stata veramente una rivelazione. Sono state tre quattro ore che non dimenticherò!”. E ha detto: "Il giorno dopo, la domenica, avrei voluto averli lì - ha detto - per prenderli a schiaffi, dalla rabbia che mi facevano, perché... proprio, vedevo che non era una cosa montata, una cosa naturale che io non riesco ad avere, non sono riuscito a vedere in altre parti". Cioè lui ci ha invidiato la gioia che... A me pare che non abbiamo fatto proprio niente di straordinario, non abbiano fatto quelli che erano lì. Perché siamo stati una mezz’oretta assieme quando sono arrivati, fin che due hanno preparato la cena; poi abbiamo cenato assieme, abbiamo fatto quattro canti, abbiamo giocato una partita a briscola o a tresette, poi loro sono partiti. Ma veramente quello che li ha colpiti è stato questo. E allora è venuto fuori il discorso: ma si può essere contenti? O sono contenti solo quelli che, non so, che abbracciano una certa via? Oppure uno anche che resta fuori può essere contento, può raggiungere una certa gioia? E allora, insomma, abbiamo cercato di vedere assieme: per cosa sono contenti quelli che sono là? E allora io ho detto: "Per conto mio sono contenti perché hanno trovato la loro strada, prima cosa; cioè hanno scelto bene, hanno scelto esattamente la loro vocazione. E poi quando hanno scelto però, la scelgono fino in fondo". E allora portavo anche degli esempi, che la nostra vita insomma non è solo: stiamo assieme così perché siamo amici, ma stiamo assieme anche aiutandoci un con l'altro, mettendoci uno al servizio dell'altro. Cioè, che crea questa gioia, questa familiarità , che loro nelle famiglie purtroppo... anche se sono famiglie buone, alle volte non c'è questa amicizia, vorrei dire, anche tra fratelli oppure con i genitori, perché... Poi è venuto fuori anche i problemi di qualcuno di loro, insomma: che in casa i genitori non hanno mai il coraggio di parlare, per esempio, dei loro problemi, di tirar fuori le loro difficoltà... Sì, si sta assieme, si lavora in casa, si fa di tutto, però non è che si faccia... Ecco, allora siamo stati lì un paio di ore a parlare, non so, sulla vocazione, come fare per trovare la propria strada... Perché per loro, il fatto che diceva anche uno di loro: "Per me - ha detto - è problema di vocazione, di trovare il proprio posto nella vita e di mettersi con buona volontà". Trovare la propria vocazione, sia come orientamento di tutta la vita, e quello mi pare sia la cosa fondamentale... Penso che noi siamo abbastanza contenti perché... Infatti, per conto mio, chi è più contento qua dentro di noi? Chi vede più chiaro davanti a sé, senz'altro sentendo, trovando anche difficoltà, però vediamo che son contenti quelli che hanno scelto veramente il Signore, che si sono buttati completamente nelle sue mani. E allora è venuto fuori lì il problema della vocazione per loro. Anche loro sentono questo problema. Hanno detto: "Non abbiamo mai sentito parlare. Ma bisogna che ci mettiamo, vediamo... di scoprire qual è la nostra vocazione". E poi, insomma, si è andati avanti con il discorso. Sono venute fuori tante cose. Però, ecco, la cosa che sono stati impressionati, e hanno detto: "Vogliamo vederli un'altra volta, con tempo, con una giornata davanti, da poter restare assieme, conoscerci veramente”, perché sono stati contagiati”. Chissà che stando insieme de più che non i scopra anca qualcossa altro, vero...

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6. DON GIROLAMO: Don GIROLAMO: “No, sul serio... Io penso... Guardate, poi mi ha fatto impressione, continuando su questo genere di discorsi, eccetera. Uno diceva... dicevamo che si può arrivare anche umanamente, insomma, in tutti gli stati di vita, a una certa gioia, a una certa serenità fondamentale nella vita; che non è fatta di... che non è data dalle difficoltà o dalla riuscita nelle cose singole, ma è data da tutto un atteggiamento di base. E allora uno diceva: "Ma io non ho mai provato la gioia nella vita; non mi pare di aver trovato”. E allora abbiamo cercato di vedere insieme, non so: "Hai fatto una buona azione? Se fai la carità a uno... non so... se ti metti a servizio degli altri in parrocchia, se fai... non senti la gioia?”. Lui diceva: "Ma...”.
Insomma è venuto fuori che ha detto: "È quattro anni - ha detto - che io ho il problema della fede. - ha detto -. Forse non ho mai provato una gioia fino in fondo perché non vedo ancora chiaro davanti a me. Io lavoro, faccio, anche nella parrocchia mi sacrifico, però non ho ancora risolto il mio problema della fede. È la prima volta che lo dico, non ho mai parlato con nessuno, ha detto -, non ho mai tirato fuori sto problema qua- ha detto -, ma io devo risolverlo". E allora, quando ha detto così mi veniva in mente quando facevamo la Messa qua: lui tirava sempre fuori, domandava sempre al Signore nella preghiera dei fedeli che aiutasse i giovani a trovare la fede, a vivere di fede, eccetera. Cioè lui aveva un problema, dentro di sè. E allora abbiamo detto: "Beh, preghiamo assieme, adesso vediamo, cerchiamo assieme di poterlo risolvere". E allora abbiamo parlato un pezzo di quella roba lì. Poi alla fine ha detto: "Ecco, adesso sento, ho provato una gioia - ha detto - perché ho tirato fuori un problema che avevo sempre dentro di me e che non riuscivo mai a tirare fuori.."

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7. Così, con santa semplicità, insomma. Grazie! Ecco, state attenti: questi giovani da fuori hanno scoperto in mezzo a un gruppo di nostri giovani qualcosa, hanno provato una gioia. Io domando: e noi, vivendo insieme con questi giovani, ognuno, vero, non prova una gioia?
Per esempio, sabato eravamo assieme con Tarcisio, Gabriele, uno e l'altro, così: vivendo insieme, parlando insieme, io sento la gioia di essere insieme con loro; loro sentiranno la gioia di essere insieme con i loro compagni. Di questa gioia, di questa grazia, diciamo, ringraziamo il Signore? Cioè di aver avuto la grazia di vivere insieme con dei santi, santi con la s minuscola, sai, Tarcisio, che non te fai un peccato di superbia con dei santi... Non è una grazia questa qui? Scusate, almeno penso che in grazia di Dio ci siate, no? E allora siete santi. Ora vorrei proprio che ringraziassimo Dio per il dono degli amici che abbiamo. Se trovare un amico è trovare un tesoro, qui abbiamo trovato una cava di tesori, no? E perciò io penso che siate amici tra voi, anche quelli ieri di prima teologia, questo gruppetto, che si vogliono bene, che desiderano di farsi santi... Lasciate stare le miserie di ognuno, ma, però, guardando il meglio di ognuno, per questo meglio dobbiamo ringraziare il Signore. Ora, non è solo il dono della grazia iniziale che abbiamo ricevuto nel Battesimo, e in più la grazia della vocazione, ma per conto mio è un cumulo di grazie che riceviamo continuamente durante la giornata, dal buon esempio dei nostri compagni. Abituatevi a leggere il libro della natura, a vedere la bellezza dei fiori, ringraziare Dio, la bellezza dei monti, la bellezza dei mari, ma ricordatevi che la bellezza più grande Dio ve la mette davanti nei vostri compagni, nei vostri fratelli che avete vicini. Quell'atto di generosità fatto da un compagno, quel modo di pregare di un compagno, quella carità che usa verso di voi; non state a guardare solo la parte nera, guardate la sostanza. Quando i ve porta un saco de nose: “Oh, guarda quante scorze!". No! Ringraziè il Signore delle nose. Se i ve porta na suca, ringraziè il Signore de quello che ghe xe dentro nella scorza. E qui zucche ne abbiamo tante, vero, Ruggero? "Manifesto perciò un cuore riconoscente e pieno di Dio dal come so continuamente e incessantemente ringraziarlo di tutto". E questa roba qua l'autore l'ha sottolineato: "... ringraziarlo di tutto". "Certi doni speciali mi sono fatti da Dio per incrementare la mia amicizia personale con Lui, con la sua persona viva e quasi palpabile, e spesso non ottengono l'effetto solo perché la mia risposta è arida e impersonale". Valeva la pena mandarlo studiare a Roma; sentì come ch'el scrive pulito, no?... "Se il mio grazie è frettoloso, diplomatico, di semplice convenienza, non continuato nel tempo, non traboccante dal cuore, non dimostro di aver riposto in Lui tutta la mia fiducia, la mia confidenza, la mia amicizia. Dio è veramente tutto per me quando so vivere continuamente nella sua compagnia con confidenza e riconoscenza; quando il mio spirito continuamente Lo invoca, Lo ringrazia, Lo adora, si fida di Lui. Quando i miei momenti di solitudine sono pieni solo di Lui; quando l'unica mia tristezza è solo quella di non poterLo ancora vedere, toccare, amare senza pericolo di dimenticarLo e di offenderLo. Se osservo bene, ogni volta che mi dimentico di Dio, che Lo offendo, che glorifico me stesso, lo faccio in nome di qualcosa di mio che preferisco a Lui".

MO291,8 [23-01-1970]

8. E ci fermiamo qui.
Queste cose qui dovrebbero essere masticate personalmente da ognuno di noi; e allora, quanto prima vedremo un po' di ciclostilarle, eccetera; e io direi poi, per conto vostro, o meglio, per conto nostro, sarebbe bene magari prenderle in mano e far qualche meditazione. Bello sarebbe adesso, magari una volta al mese, per un po' di tempo, ripassarsele tutte queste meditazioni. Vedrete che ogni volta che noi avremo occasione di leggere un pochino un foglietto di questi, e fermarsi un pochino, potremo scoprire qualcosa di nuovo. Penso che è stato un dono che il Signore ci ha fatto durante le vacanze natalizie. E anche di questo dono ringraziamo il Signore, per essere in tono giusto. Ma poi non prendiamo il dono e buttiamolo de drio della scala. Perché se io regalo una macchina da scrivere a Zeno nuova, non te la regalo miga, eh, supponiamo che te la regali e poi vedo che la macchina da scrivere la manda in officina, là, da papà Vinicio perché la adoperi là in officina. Ho tanta stima di papà Vinicio e tanto bene gli voglio, ma penso che non sia il posto da tenere una macchina da scrivere nuova. Lui direbbe: "Senti, qua in officina c'è la polvere, ne basta anche una de vecia, non una de nova". Giusto? Ora, se prendiamo un dono di Dio che ci ha fatto e lo buttiamo là in un cantuccio, diciamo: no! Il Signore ci ha fatto questo dono perché lo usiamo, perché lo meditiamo, perché lo facciamo divenire vita nostra.