Meditazioni Originale > 1970 > IL VALORE DELLA CROCE

IL VALORE DELLA CROCE

MO300 [25-03-1970]

25 03 1970

MO300,1 [25-03-1970]

1 Questa mattina sarebbe bene fermarsi a meditare un pochino sulla passione del Signore. Non l'ho neanche fatta leggere in chiesa per questo, perché adesso col lezionario si può leggere il Vangelo, no? Ho pensato che almeno una volta, dato che il venerdì santo siete a casa, ci soffermiamo un momentino. Non ci fermiamo come si faceva una volta al venerdì santo, si faceva la predica della passione...
Come è capitato una volta con un certo predicatore che è venuto a Quinto, che dopo quaranta minuti... il Signore era ancora nell'Orto degli Ulivi. E la gente, alcuni erano fuori, no: "Va’ a vedere dove che l'è". Mi ricordo che sono andato fuori un momentino, ero chierichetto, cioè seminarista, sono uscito un momentino per chiamare uno che era fuori lì, e sento dire: "Ciò, dove xelo?". "L'è ancora nell'Orto degli Ulivi". Ora, non facciamo la storia, ma però alcune riflessioni sulla passione del Signore. Prima riflessione è questa. Siccome si va sempre per tre, facciamo tre anche stamattina.

MO300,2 [25-03-1970]

2. La prima riflessione è: lui si è consegnato, si è consegnato lui. Non è stato preso a tradimento, non è stato per caso: lui si è consegnato. Perché? Perché era volontà del Padre che gli uomini venissero salvati attraverso il sacrificio del Figlio.
Ora, quando i nostri missionari vanno, vanno con la speranza di poter predicare il Vangelo, vanno con la speranza di fare anche delle opere, delle opere parrocchiali, delle opere caritative, come vediamo stanno facendo i nostri fratelli, vuoi a Crotone, vuoi anche lì a Monterotondo stanno organizzandosi e spingendo da una parte e dall'altra, hanno cominciato con l'asilo, hanno cominciato con un po' di terra per fare campo da gioco... adesso sperano che il signor Fratini venda della terra per poter avere in dono l'affare, che so io... Vediamo le stesse cose nel Chaco: e nel Chaco vediamo lì la scuola professionale, qualche cosa che sta sorgendo, e la chiesa... In Brasile, cioè, in Guatemala la stessa cosa. Cioè vediamo praticamente che i nostri fratelli vanno con un bel programma, - e noi godiamo di questo, godiamo - un programma apostolico, un programma anche organizzativo; e mentre stanno lavorando nell'intimità con le anime, stanno catechizzando, evangelizzando, stanno anche promovendo un certo che di sociale, di utile anche per i nostri fratelli cristiani. Però, però, c'è una cosa che non dobbiamo mai dimenticare: che Gesù è venuto a predicare il Vangelo, ma anche a pagare. È venuto anche a pagare. E forse è stata la lezione che gli Apostoli hanno capito meno, questa. Hanno capito la prima parte, forse quella di far miracoli, quella forse ghe piaseva un pochino... I se ga lamentà quando che la ghe xe nda storta un pochino, ai piedi del monte Tabor, là, gli Apostoli che non son riusciti a cacciar i demoni, no? Fare i miracoli... Infatti tu vedi subito che Pietro e Giovanni quando che vanno alla porta Speciosa del tempio, dopo la risurrezione del Cristo, dopo l'ascensione al cielo del Cristo: "Non abbiamo né oro né argento, ma nel nome di Gesù alzati e cammina!". Hanno imparato subito. Hanno imparato subito anche quella di predicare, quando che è disceso lo Spirito Santo... Ma quella di patire, quella di soffrire... È leggenda, teniamola per leggenda, ma a Roma c'è la chiesa del "Quo vadis", no? Dico: è leggenda e teniamola per leggenda, ma la leggenda dice così: che San Pietro, arrivato a Roma, visto che la ndava male, visto il pericolo, visto che non attaccava, eh, visto in altre parole il sacrificio, avrebbe preso la via del ritorno. Sulla via Appia antica si sarebbe incontrato col Signore, e il Signore gli avrebbe detto: "Ma, cosa fai? Dove vai?". Cioè, meglio, San Pietro avrebbe detto al Signore. “Dove vai, Signore, par sta strada?". "Vado a Roma - dice - a morire un'altra volta". "Go capìo", el ga dito. San Pietro è tornato indietro e se n’è andato a morire lui... Però, è una realtà, è una realtà. Quando l'apostolo va in una nazione, va in un luogo a predicare il Vangelo, non deve dimenticarsi che deve andare a spargere il proprio sangue, sangue che può essere sparso con un martirio violento o martirio lento. Può essere sparso come lo spargono le nostre buone mamme nel ciclo di trenta, quarant’anni, come può essere sparso, per esempio, in un parto o in un incidente. Anzi, a questo proposito, pregherei di ricordare la sorella del nostro caro Antonio Bottegal, che ha subìto un intervento proprio per causa, proprio di queste cause qui, ed era piuttosto grave in questi giorni, no? Adesso sembra che si rimetta, però un intervento che le impedirà di essere più mamma, appunto per emorragia, eccetera. Per i propri figli le nostre mamme o spargono il sangue tutto di un colpo, e qualche volta rimettono anche la vita, o magari in una forma lenta, che è l'educazione dei figli, che è curarli di notte, che è la preoccupazione non solo per la salute, ma per l'educazione; e poi quando che credono di essere a posto, cominciano per l'educazione dei figli dei figli, vero. E così non è più finita, no?

MO300,3 [25-03-1970]

3. Ora noi non dobbiamo dimenticare questo. Gesù è disceso dal cielo per evangelizzare e per pagare. Noi dobbiamo andare a predicare il Vangelo: predicare e pagare. Questa seconda parte non la possiamo dimenticare, altrimenti non abbiamo capito niente di quella che è la nostra missione apostolica.
Quel giorno che io sono venuto qui in terra di Saviabona sapevo chiaramente che prima di predicare avrei dovuto pagare, e sapevo chiaramente che incominciando a predicare avrei dovuto incominciare a pagare. Quando don Giovanni Calabria mi ha detto: "Preparati a soffrire, a patire, eccetera...", non ha fatto altro che ricordarmi che ero prete, che ero prete. Ricordarmi quello che mi ero già prefisso, che avevo messo già in preventivo, ancora da ragazzo, facendomi prete. Entrando in seminario per farmi prete, sono entrato in seminario per offrirmi al Signore, cioè per offrire il mio corpo e la mia lingua al Signore: cuore, intelligenza e tutto al Signore. Sapendo già che il Signore avrebbe preso il corpo e lo spirito e li avrebbe maciullati un pochino, no, per la salvezza delle anime. Come un limone si spreme per dare una limonata a un fratello, così noi apostoli dobbiamo essere disposti a essere spremuti per dare, vero, il nostro sangue ai fratelli. Ora, non possiamo, fratelli miei, non possiamo togliere dalla vita di una mamma il sacrificio, non possiamo togliere dalla vita di un apostolo questa, vorrei dire, maternità verso le anime. Una mamma partorisce nel dolore, nel sacrificio, educa con il sacrificio. Noi dobbiamo, scusate, partorire un po' le anime, dobbiamo educarle, dobbiamo fare il ciclo che fa una mamma; ma questo è impossibile farlo senza sacrificio, senza dolore, senza immolazione. Perciò vedete, quando domani i miei successori - perché ormai io penso che per me, vero... - verranno a visitarvi nei luoghi di missione - forse allora verranno a visitarvi anche in Marte, nella Luna o in qualche altra parte, penso, chissà... no, bene - e si incontreranno con voi e voi direte: "Ah! Qui c'è tanto da soffrire!". Ebbene... cosa dovrebbero fare? Andare in chiesa e ringraziare il Signore.

MO300,4 [25-03-1970]

4 Quando io, per esempio, domani vado giù a Crotone, vado a Monterotondo, vado in America e trovo i nostri fratelli: "Sa, ringraziando il Signore, in chiesa, eccetera. Però, sa, sapesse, sapesse...”. E va bene, vuol dire che il treno va bene. Per me sarebbe la cosa più dolorosa che dicessero: "Tutto va bene, non ci sono difficoltà". Ma vi assicuro. Quante volte ve l'ho detto quando eravate, quando i più vecchi erano più giovani, che se io vedessi una strada senza paracarri mi fermerei. Ricordi, Vinicio? Vedessi una strada senza paracarri... improvvisamente sto correndo verso...
Portavo questo esempio, perché mi è capitata una volta, che andando giù verso Roma, arrivato lì verso metà strada, in mezzo agli Appennini, ad un dato momento, sa, credo che sia questa la strada e continuo ad andare avanti. E ad un dato momento non ci sono più i paracarri e non c'è più la strada asfaltata... “Eh, no! - ho detto - La strada piena di curve in mezzo ai monti, sappiamo già perché non c'erano mica le autostrade, però arrivare che non ci siano più i paracarri e la strada asfaltata... qui ho perso la strada!”. Son tornato indietro... Infatti avevo sbagliato strada, a un bivio avevo sbagliato strada. Ora, quando non si trova più, in una strada provinciale, non si trovano più né strada asfaltata né paracarri, dici: "Qui ho sbagliato strada!”, no? Ora, nella vita apostolica, se noi non troviamo più croci, più difficoltà, abbiamo sbagliato strada. Vi dico: se vi trovate in luogo di missione e non avete più da soffrire, tornate a casa, avete sbagliato strada, non siete sulla strada giusta. Perché? Perché, state sicuri... Sarebbe come mettere in una travatura ferro, sabbia e non cemento. Manca il cemento! Il cemento della vita apostolica è il sacrificio. Perché il Signore ci ha chiamati a questo.

MO300,5 [25-03-1970]

5. Ricordo che da ragazzo ho visto un piccolo santino, piccolo, e c'era Gesù ragazzo e c'era un altro ragazzo vicino. Quest'altro ragazzo vicino si era inginocchiato dinanzi a Gesù, e Gesù aveva allargato la sua corona di spine e l'aveva messa... circondava tutti e due i capi, del ragazzo e il suo. E sotto era scritto: "Sacerdos vinctus Christi". Capite sto latino qua: "Sacerdos vinctus Christi". E allora io pensavo, sarà stato un ragazzetto di dodici anni Gesù, e io pensavo: se voglio farmi prete, io devo accettare di inginocchiarmi dinanzi al Signore e che lui allarghi la sua corona di spine e che prenda anche il mio capo, altrimenti io devo cambiare mestiere.
Ora, non accettare questo vuol dire non aver capito niente di cosa vuol dire essere prete, cosa vuol dire essere apostoli, araldi del buon Dio. Ora, ecco, questo, Gesù l'aveva capito. Lui, venendo, - perché era anche uomo, no? - venendo dal cielo, lui Dio aveva preso un corpo e un'anima come noi, e questa anima umana ha accettato, ha accettato la missione apostolica, e dinanzi a tutto questo che è sofferenza e croce ha accettato, l’ha accettato, ha detto soltanto: "Padre, la xe un pochettin grossa quella che te me domandi. Se è possibile, passi questo calice, “veruntamen non mea sed tua voluntas fiat". E quando è arrivata la risposta dal cielo e ha detto: "No, caro, non ghe xe gnente da fare, bisogna bevare quel calice", no, cosa ha fatto? Si è alzato, ha svegliato gli Apostoli: "Presto, - dice - andiamo! Colui che mi tradisce è vicino". Aveva contato i passi del traditore, aveva visto l'avvicinarsi dei suoi nemici; per lui sarebbe stato facilissimo scomparire, scappare da un'altra parte anche con le gambe, e invece no. È andato incontro alla sua passione perché sapeva che con quella passione avrebbe salvato noi, salvato gli uomini. Guardate che è importantissima questa cosa, sapete. Per cui non dobbiamo meravigliarci... Quando, per esempio, una mamma va a trovare una figlia che è là che piange per le doglie del parto: “Ahh...”, "Cossa vuto meravigliarte... te savivi. Per diventare mamma bisogna che te fassi quele robe là", no? Vado da un figlio e lo trovo là che piange perché i lo ga calunnià, i lo ga insultà, i lo ga maltrattà: “Caro Mariano, non te lo savivi? Non te lo savivi? Non te vulivi diventar mamma? Eccolo qua, eccolo qua!”.

MO300,6 [25-03-1970]

6. Amici miei, vedete, guardate che è importante, perché teoricamente siamo tutti d'accordo, però quando arriva la croce mandiamo in malora i nostri figli, amici miei. E per conto mio, scusate la brutta parola, suppongo che siate tutti quanti uomini, per conto mio, si fa un aborto quando si respinge la croce. Dico male? Da uomini dovete capire cosa voglio dire. Quando una mamma comincia a sentire: "Ahaa! Mi non vui ste robe qua! Un aborto... Mi non vui sentire ste sofferenze!". Beh, quella è una tigre, no, è una tigre quella, scusa, ma un'inumana! Ebbene, quando noi apostoli respingiamo la croce, non vogliamo la croce, ci ribelliamo dinanzi alla croce, magari brontoliamo davanti alla croce, noi facciamo la stessa cosa: non vogliamo partorire le anime, cioè salvare i fratelli, perché noi li salveremo con la croce.
Dunque il primo pensiero mi pare che sia questo: Gesù volontariamente ha accettata la croce che il Padre aveva stabilito come mezzo di salvezza per i fratelli. Noi, se vogliamo essere veramente preti, dobbiamo accettare, con rassegnazione almeno, ma generosamente, quella croce che Dio Padre ha stabilito che fosse la nostra porzione di sangue per la salvezza dei fratelli. Perciò cerchiamo di evitarla, tutto quel che volete, però ricordatevi non possiamo toglierla, perché toglierla vorrebbe dire togliere una parte del nostro sacerdozio.

MO300,7 [25-03-1970]

7. Il secondo pensiero è questo: Gesù si consegna. Però... ha domandato prima al papà se è possibile cambiare, tutto quello che vuoi... però, visto che deve accettare, accetta. Ma accetta allora in silenzio: "Jesus autem tacebat". Gesù quasi si dimentica della dialettica sua, e si dimentica della sua forza nell'atto che accetta la croce. Per lui che con due tre parolette girava...
"Di chi è questa moneta?". "Di Cesare". "Date a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio". "Questa donna è stata colta in peccato. Cosa dobbiamo fare?”. Eh, vedemo come chel se la cava adesso! "Chi è senza peccato scagli la prima pietra". Vinicio, don Ottorino, i più veci... ehhh! Xe restà... "Donna, dove sono i tuoi accusatori?". "I xe nda via". "Va’ in pace, non peccare più!". Li metteva sempre nel sacco il Signore, no? I andava col sacco: "Ca vedemo... adesso che lo ciapemo". E luri... fsss... dentro luri! E dopo el stava là a vardarli. Il Signore ha fatto sempre così. Per lui sarebbe stato facilissimo anche, direi, con la parola confonderli. Quando, per esempio hanno cominciato in tribunale, il primo tribunale nella casa di Caifa, e vedere, e venivano testimoni e controtestimoni... Mi par di vedere il Signore che era là che sorrideva, nell’intimo, nell’intimo, perché c'era una confusione, no? Ad un dato momento: "Come xe ca femo? Senti, ti scongiuro per il Dio vivo, dimmi se sei...". E lo hanno costretto a dire una bestemmia, vero, secondo loro, cioè a dire la verità, no? "Ecco qua... Cosa abbiamo più bisogno di testimoni...". Sfido mi! C'erano testimoni che erano in contraddizione l'un con l'altro... Per forza! Ora, se il Signore avesse voluto confonderli fino in fondo, l'avrebbe fatto facilmente, li avrebbe fatti cascare nella loro stessa fossa, nel loro stesso sacco. Gesù tace, Gesù tace. E sopporta, guardate, gli insulti, perché guardate che sono più forti degli stessi colpi, no? Gli insulti che ha sopportato il Signore sono più forti degli stessi schiaffi, degli stessi flagelli. Perché sopporta? Perché se è volontà del Padre, se questo è un cibo che io devo mangiare, perché devo prendermela con loro che me lo danno? L'accetto dalle mani del Signore. Vedete, noi tante volte, tante volte, non siamo capaci di accettare dalle mani del Signore quelle croci che vengono dai nostri fratelli o dai nostri superiori, cioè non sappiamo vedere il timbro di Dio, il sigillo di Dio nelle croci che troviamo sul nostro cammino. Ora, sentite, è vero che la condanna di Gesù, la flagellazione, eccetera, sono venute dalla cattiveria degli uomini; anche Pilato stesso che per paura lo condanna... Però il Signore le ha accettate dal Padre, le ha accettate come mezzo di salvezza dei fratelli. Ora, io vorrei domandare a me e a voi: sappiamo noi accettare dalle mani di Dio le croci che ci vengono?

MO300,8 [25-03-1970]

8. Porto un caso. Quando nello scorso anno, o meglio nell'altro anno ormai perché gli anni passano, eh, stavamo lottando per il diaconato, noi cercavamo di tutto per ottenerlo perché ci sembrava volontà di Dio che arrivasse il diaconato; ma gli ostacoli che trovavamo per istrada, almeno mi par di essermi sforzato di dire a voi: “Accettiamoli dalle mani del Signore; è il Signore che permette questo”. Perciò lottavamo, se volete, con gli uomini, ma non avevamo astio con gli uomini. Non avevamo nessun... niente contro gli uomini. Perché? Perché ci sembrava doveroso andare per là, ma nello stesso tempo noi vedevamo gli uomini come strumenti nella mano di Dio per la nostra purificazione. Non so se ho reso il pensiero?
Ora, vedete, bisogna che anche voi sappiate prendere dalle mani di Dio, cioè spiritualizzare, trasformare quelle occasioni che avete di sofferenza, oggi qui... che può essere un professore a scuola, che può essere il vostro confratello, che può essere il datore di lavoro, vero, nel caso nostro in legatoria o anche il direttore generale dei lavori della villa San Giovanni, eccetera. Ma bisogna saper cogliere, perché se non siete capaci di spiritualizzare le croci che incontrate oggi sul vostro cammino e vi ribellate in forma umana, criticando, vero, chi ve le fa subire queste croci, guardate che non sarete capaci domani, in campo apostolico, accettarle come mezzo di salvezza vostra e di salvezza dei fratelli. Guardate che in tutte le croci che incontriamo è chiaro che c'è, vorrei dire, o una cattiveria umana da una parte, o una incomprensione o una leggerezza umana. Ma è questa la bellezza, saper dire: "Renzo, per distrazione sua, mi ha messo dentro nel caffelatte, mi ha messo dentro delle robe amare, e io lo mangio per amore del Signore", e cerco di dire a Renzo: "Sta’ tento un'altra volta...", ma con semplicità. Ecco, questo... Non so se sono riuscito a rendere il pensiero. Vedete, Gesù sapeva che i Giudei commettevano un peccato, sapeva che era ingiusta la sua condanna, sapeva che le parole che dicevano contro di lui non dovevano dirle, non avrebbero dovuto dirle; però sapeva anche che quelli erano strumenti un po' della sua crocifissione e della sua passione, necessaria per la salvezza degli uomini. Ora io direi: se non ci abituiamo a saper soffrire per amore del Signore nella Casa dell'Immacolata, cambiamo casa, cambiamo luogo, cambiamo mestiere! Perché se non siamo capaci di soffrire qui da parte dei fratelli qualche cosa, non saremo capaci domani di accettare una croce che può venirci dall'intendente di Roque Sáenz Peña, potrebbe venirci dagli abitanti di Resistencia, potrebbe venirci... o di Resende, potrebbe venirci anche da un vescovo... da dove che vuole il Signore. Questo non vuol dire de essere dei bauchi un domani, questo non vuol dire di non dire con semplicità le ragioni che si devono dire, ma bisogna dire anche un pochino: “Io ce l'ho messa tutta, e adesso sia fatta la volontà del Signore”. Che... corri, corri, andemo da nostra nonna, vero, Vinicio, che la metteva a coare la cioca e la dixeva: "Adesso mi go fatto tutto; adesso, Signore, rangiate ti! Se i nasse bona e senò pasiensa!". O metteva il dolce sul fogo e dire: "Mi ghe la go messa tutta... Signore, na benedision; se la se brusa, pasiensa! Se la ghe vien fora bona, ringrasiemo el Signore, e se non la vien fora bona, pasiensa!". Ecco, questo saper accettare dalle mani del Signore, e non ciaparsela col casolin perché el ga dà la farina vecia, e ciaparsela questo e ciaparsela là... accettiamo un pochino dalle mani del Signore. Non so, gonti dito brutte parole? Ti, Vinicio, sito d'accordo? Non so se son riuscìo a rendere el pensiero, ma struca, struca... a son a posto!

MO300,9 [25-03-1970]

9. Il terzo pensiero sarebbe questo: Gesù accetta liberamente, va incontro lui alla passione, tace e soffre, però, però... vuoi andare incontro alla passione e vuoi tacere, lo fa non naturalmente, non con un gusto umano, lo fa... come dire: "Xe parchè ghe xe qua me papà...Ve mostrarìa mi!", vero?
Qualche volta tu vedi l'atteggiamento: ci sono cinque, sei, sette, otto giovani e c'è anche don Ottorino presente. Uno dice una frase, e tu vedi negli occhi che sembra che dica: "Ringrazia el Signore che xe qua don Ottorino... te mostrarìa mi!". Se don Ottorino poi si allontana per cinque minuti, te senti: "Booooo...", el motoretto che va su de giri, no? Toni: "Bom". "Cosa ghe gera?". "Ah, gnente, gnente!". Robe che capitano, spessissimo capitano. Eh, siamo in humanis! Cioè, in altre parole, in altre parole, no, fin che c'è lì el barba bisogna stare attenti perché, sa, el podarìa tirar xo un'altra paca più forte, no? E allora viene moderata la pressione. Si muove: paff! Ecco, mi par questo: che Gesù, Gesù proprio soffre, ma dinanzi allo sguardo del Padre, il quale Padre vuole quella sofferenza per la salvezza degli uomini. Cioè, in altre parole, non l’è un bauco il Signore, non l'è un insensibile il Signore; perché il Signore, intelligentissimo, eccetera, certo era più sensibile al dolore di tutti gli uomini. Però, però, ha accettato e l'una e l'altra cosa, sentendo il dolore. Ora io vorrei proprio dirvi questo: noi non possiamo pretendere di non sentire il dolore, di non sentire la croce; il fatto di accettarla per la salvezza delle anime non vuol dire di essere divenuti insensibili. Perché qualche volta noi diciamo: "Accetto la croce", però, quando che ci capita sulle spalle: "Eh, sì, ma...". Ma, amici miei, guardate che restiamo uomini, e un'umiliazione è sempre un'umiliazione, e una bastonata è sempre peggio che non una carezza. Ora, se, per esempio, tu vai a fare una predica e con l'aiuto del Signore ti va bene, senti che sei un po' contento; e se invece ti accorgi che è andata male, stai male perché... Eh, questo, questo, è impossibile togliere questo gusto o questo dispiacere. Viene da te una persona e riesci a combinarla e riesci anche, scusa, umanamente parlando, a fare bella figura perché viene a domandarti un consiglio e viene fuori proprio l'argomento... dice: "Guarda, sono venuto dal nostro caro Giorgio; avevo domandato a filosofi e teologi, ma nessuno. Invece quello: paff... immediatamente, immediatamente". È logico che Giorgio, sa, sente una certa gioia. E se invece viene lì: "Ma, sa... non savarìa gnanca mi". "Ben, ben, pazienza!", e va via: "Ben, ben, pazienza!". È chiaro che resta disgustato, no? Ora non possiamo togliere il gusto o il disgusto. Ora, Gesù stesso l'ha mostrato questo con le sue parole ultime: "Padre, Padre, perché mi hai abbandonato?", sembra quasi dirci: "Ricordatevi che io ho mangiato questo pane della passione, ma guardate che mi è costato sangue questo pane della passione, no? Ho accettata la passione, ma ricordatevi che è passione, ed è stata vera passione".

MO300,10 [25-03-1970]

10. Ora, fratelli miei, io vi dico quello che ha detto don Giovanni Calabria: "Mettete in preventivo che la passione resterà passione, la sofferenza sofferenza, l'abbandono abbandono, la tristezza tristezza”. Non potete trasformarla perché l'offrite al Signore. Una giornata di lavoro, offerta pure per la patria, va bene, ma è sempre una giornata di lavoro, no? Andate a sudare una giornata, a sudare, va ben, offritela per chi volete, è una giornata di sudore. Ora io la offro al Signore, sentirò una certa gioia nell'animo per offrirla al Signore, ma, amici miei, quella giornata che io soffro, soffro e sto male e più che sto male, vero, più guadagnerò per il Paradiso, più guadagnerò per le anime, ma resta che il male è male.
Ecco, vedete, qualche volta io ho trovato questo: che, supponiamo Ruggero offre la sua croce al Signore. È tutto contento, d'accordo in pieno: "Vado prete, offro le mie croci al Signore". Tutto quello che vuoi. Quando sta portando la croce: "Sì, ma... sì, ma". “Ma l'hai offerto?”."Sì che ho offerto al Signore, ma, capisce, ma...". “Ma, insomma, l'hai offerta sì o no?" "Sì, ma...". In altre parole: "L'ho offerta, ma mi pensava che non me pesasse". Allora questo è portare una catenella d'oro con la crocetta d'oro falso, no? È chiaro? Ora Gesù vuole insegnarci questo in questi giorni: che lui l'ha accettata, lui durante la croce taceva e offriva, però sentiva male. Ora, ricordatevi, se vogliamo essere suoi seguaci, se vogliamo essere il Cristo che continua l'opera della salvezza degli uomini, dobbiamo anche noi accettare questa che è la base del nostro sacerdozio: accettare la volontà di Dio, e nella volontà di Dio state sicuri che c'è la percentuale giusta di croce; quella vi assicuro che non manca mai. Va ben... Accettarla volentieri dalle mani del Signore, saper tacere perché senò non è accettata, saper tacere, e però mettendo in preventivo che le pache restano pache in saecula saeculorum. Amen.