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RITIRO DEL NATALE 1970

MO339 [25/27-12-1970]

25-27 dicembre 1970

MO339,1a [25/27-12-1970]

1. Ave Maria
Ieri all'ospedale in una cella. Signum (sigillo sulla cassa e sulla carta = documento di autorizzazione - trasporto cadavere padre assistente Schiavo). Signum - sigillo necessario per ogni ordine. Ai pastori: andate, troverete un fanciullo, eccetera. A Maria: tua cugina Elisabetta è già al sesto mese. Dio prende un uomo: gli impartisce un ordine - dà il segno dell'autenticità e la linea che deve seguire assicurando la sua presenza. Dio prende chi vuole, spesso un balbo come Mosè, che deve essere completato dalla voce sicura di Aronne, e comanda e vuole. Dio ha preso anche questo povero balbo, zoppo e cieco, e attraverso vari segni che hanno avuto il loro culmine con il fatto di Giuliari e la firma del vescovo, ha impartito un ordine, ha dato una linea da seguire, promettendo la sua presenza. A conferma: pochi giorni prima della morte mons. Rodolfi mi fa aprire il cassetto del comodino, mi fa prendere le tre mila lire che c'erano e mi dice: “Prendi quel denaro; ormai non ho più niente. Va’ avanti sicuro, cerca solo la volontà di Dio, non ti mancherà mai niente”. Premessa: siamo stati chiamati da Dio e siamo ai suoi ordini per una missione non ordinaria e non conforme alla logica del mondo, ma conforme solo alla tremenda logica del Vangelo e delle beatitudini in modo particolare. 30 anni di cammino cosparso di segni. Collettivi a) Materiali

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2. Ave Maria
I. I segni di Dio Doni collettivi: a) Materiali: Le prime cento lire (bilanciere) - (avv. Giuliari). Le 500 lire della prima Boston tipografica (mons. Dalla Libera - S. Messa - supplica al Signore). Le 30.000 lire per la tipografia. Le 100.000 per la casa e terra (“Quanti soldi ha di debito?”. “300 lire”. “Pago io”.). Le lenzuola: alla sera dopo pochi minuti dall'arrivo del giovane. Le 1.000 lire di mons. Snichelotto per i fagiuoli. Le 65.000 per le macchine. Il pane al momento della colazione. Le 100 lire della donna che non aveva mangiato. Fior da fiore: La rete del ladro. La campagna di Grumolo. “Signore, manda ferro”. La bicicletta rubata dalla brigata nera e la provvidenziale pioggia di materiale. Il denaro per l'esternato. Il denaro per la terra della Casa dell'Immacolata (la famosa grazia). I cinque milioni al pino (per pagare le tratte scadute). I 13 milioni dell'esternato. La chiesa richiesta in ottobre ed arrivata nel mese stesso. I dieci milioni dell'officina (sogno di mons. Rodolfi). La chiesa dell’Istituto San Gaetano. Il terreno di Vidale. Il dono dei Vangeli da parte della Mimep. La vecchietta di San Pietro. I dodici milioni dell'Isolotto. La Villa San Giovanni. La Genoveffa (offerta della vedova). La Trestin. Nelle missioni: Maltauro per il Guatemala. Marzotto per il Brasile. Il vescovo e il governo per l'Argentina. Il pane per tutte le comunità. Il diaconato - le missioni. b) Spirituali: 1) Membri - consideriamone solo 3 + 3 (adulti) Don Aldo - Don Piero - Don Rodighiero - Don Zeno. (giovani) Don Martinello - Orfano Giovanni - Creazza - Don Paolino. La quasi totalità è così. (N.B. Una nota stonata si sente tra cento e fa più impressione. Però la realtà è realtà). 2) Lo spirito che anima la Congregazione, conforme allo spirito evangelico, alle direttive della Chiesa e ai bisogni dei fratelli.

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3. 3) Le prime esperienze apostoliche, sebbene regnino le inevitabili carenze umane, sono certamente positive.
N.B. Anche le più attrezzate industrie, dopo aver studiato un prototipo di macchina, sanno che con l'esperienza dovranno apportare delle modifiche. Ciò non squalifica né la fabbrica, né i tecnici. Così nelle prime esperienze apostoliche era naturale la defezione di qualcuno dinanzi al rodaggio della dura realtà. Da notare l'assistenza particolare di Dio che ha dato la possibilità ai nostri religiosi giovani ed inesperti di vedere frutti veramente insospettati: Crotone - Roma - Istituto (ex allievi) - Casa Immacolata (ex allievi) - Guatemala - Brasile - Argentina - Isolotto - Laghetto. 4) La presenza di Dio nella direzione della Congregazione. Doni personali: a) La vocazione a questa Famiglia (Don Calabria: “Qui c'è Dio”). b) La grazia speciale avuta da Dio per dire di sì. c) La tintarella acquistata alla luce del Sole. d) Il posto speciale nel cuore della Madonna. e) La stima anche umana che ne deriva ai singoli per l'appartenenza a questa Famiglia. f) La gioia immensa di poter avere dei fratelli dello stesso spirito.

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4. Perché? Il filo della tela del ragno, che scende dall'alto: taglialo, cade la tela.
1) Dio è il fondatore, il superiore, l'organizzatore ed il giudice nella Congregazione. 2) I singoli membri sono chiamati a continuare la costruzione e non a distruggerla per farne una di nuova. Perciò ognuno, in ginocchio ed in ascolto deve riferire ciò che Dio gli suggerisce, e mettere a disposizione tutti i doni ricevuti da Dio, non per criticare, ma per collaborare nel continuare il lavoro ed eventualmente per correggere con il proprio sacrificio errori commessi da confratelli o superiori. 3) Il figlio di un grande industriale, fondatore di una azienda, si rovina quando vive alle spalle dell’azienda, con la testa nelle nuvole, senza considerare le enormi difficoltà sostenute dal padre, spendendo il denaro paterno per gite e divertimenti con la scusa di vedere mostre estere inerenti l'azienda. Al ritorno, invece di passare le notti insonni a studiare progetti e a costruire prototipi, si limita nei salotti, con gli amici, a criticare l'azienda paterna dicendola sorpassata ed intanto mangia e beve alle spalle della sorpassata azienda. L'esperienza dimostra che questi figli alla morte del padre fecero fallimento. 4) Quando uno perde quota ? - Quando prega poco. - Quando non si mette completamente a disposizione di Dio come Gesù. - Quando cerca nell'apostolato la sua integrazione e il suo sostegno. - Quando non può vivere senza i suoi amici, il suo lavoro, le sue iniziative. - Quando piano piano dimentica la Congregazione, gli inizi di essa, i doni, lo spirito, i confratelli, la missione della Congregazione, ed è contento e soddisfatto solo nel proprio lavoro.

MO339,5A [25/27-12-1970]

5. Ci sono poche vocazioni?
1) Si sente poco la vocazione della Congregazione: si sente di più la propria realizzazione personale, egoistica, anche se apparentemente spirituale. 2) Si prega poco e ci si sacrifica poco per chiedere vocazioni. 3) Si lavora troppo poco per le vocazioni. N.B. Se io non mi fossi curato di cercare voi avrei creduto niente alla mia vocazione. E voi? Come si muore: a) Ci si tuffa nel lavoro apostolico, dando per scontato che si sta lavorando per la Congregazione e che si sta realizzandone il programma. b) Si resta accecati dalle lodi e si accettano senza forti reazioni i confronti (Lei... no lui). c) Si stabilisce una vita libera ed autonoma, e si passa alla critica dei confratelli (che non sanno fare... che potrebbero... vedano me...). d) La Congregazione ha fatto il suo tempo. Non è più all'altezza. Solo una certa categoria media di persone la può seguire. C'è incompatibilità di carattere. Manca la carità. È uscita di strada. Mi ha sempre sacrificato. La mia voce non è mai stata ascoltata. Sento il dovere di coscienza di andare per la mia strada. N.B. Un ladro comincia col rubare un ago. Un religioso o è un consacrato totalitario o è uno che ha già cominciata la discesa. Obbedienza. Povertà. Castità. (Giornata libera - denaro - compagnie - cene). Ite Missa est.

MO339,1 [25/27-12-1970]

1. Ieri ho partecipato alla pietosa cerimonia della sepoltura del papà di un nostro carissimo confratello assistente Schiavo, e prima che venisse portato al cimitero, o meglio prima che incominciassero i funerali, c'è stato la chiusura del cadavere nella cassa. E io mi sono portato lì, nella cella mortuaria dell'ospedale, ad assistere alla mesta cerimonia.
Più di una volta ho assistito a questa cosa, ma è sempre una cosa impressionante veder chiudere per bene un cadavere e rassicurarsi poi che non abbia a respirare con la candela, ma una certa impressione mi ha fatto ieri particolarmente. Cioè quando si chiude la cassa c'è anche l'infermiere attorno perché non abbia da scoppiare qualche cosa: ci mettono con la ceralacca il sigillo, il timbro, e poi un pezzo di carta siccome viene portato il cadavere fuori comune, un pezzo di carta, e sopra questa carta che è il documento ufficiale versato un po’ di ceralacca e il sigillo, è firmato: adesso può andare. L'altro ha fatto la firma di ricevuta ed ecco questo tale può partire col cadavere: ha un pezzo di carta, un sigillo, un segno e può partire. Ora, mi pare che è importante sottolineare questo particolare, e cioè che ogni ordine dato da una autorità deve portare un certo sigillo, un certo segno, no, ufficiale, un marchio ufficiale: perché chi me lo ha detto, chi me lo fa fare. Una bolla pontificia, che nomina domani il nostro carissimo monsignor Cicchè canonico di San Piero, è logico non può essere fatta a voce, dev'essere scritta, dev'essere... e con tanto di sigillo, di segno. Se noi prendiamo in mano l'Antico Testamento, la Scrittura, e guardiamo un po’ quando il Signore chiama un uomo per una missione particolare ed esaminiamo un po’ attentamente, vediamo che sempre il Signore dà un segno, dà un segno, cioè fa vedere che è lui, che è lui. Persino quando ti manda gli Apostoli per prendere l'asina o ti manda per preparare il Cenacolo: "Andate, troverete, dite: È il Maestro che vi manda", no?

MO339,2 [25/27-12-1970]

2. Se noi prendiamo, per esempio, parlavamo prima dei pastori, in Chiesa; i pastori sono stati avvisati dall'Angelo: "Andate, troverete; ecco il segno: un bambino nella paglia". Ecco il segno! Quando è apparso l'Arcangelo Gabriele alla Madonna, anche Elisabetta, sterile, era al sesto mese: ecco un segno! Il Signore manifesta alla Madonna attraverso l'Arcangelo una cosa misteriosa, grandiosa come è la Concezione, non è vero, da parte di una Vergine senza l'intervento di un uomo. Concezione e... però dice: " Guarda, ecco c' è un segno, anche esterno: Va là, troverai tua cugina in quelle condizioni". Ora mi pare che sia importante vedere un pochino, anche in certe opere particolari, come il Signore sempre chiama una persona, ma dà questo segno. Per esempio, ecco quello che ho scritto un pochino in Chiesa: Dio prende un uomo, gli impartisce un ordine, dà il segno dell'autenticità e la linea che deve seguire assicurando la Sua presenza; mi pare che di solito fa così il Signore. Ti prende il nostro caro padre Giacobbe, cioè scusate Abramo: "Vieni e..." non dà tutto quanto, non dice tutto; lo chiama, dà un segno della Sua presenza e poi: "Avanti! sarò con te". Dio prende chi vuole, è qui l'importante! Quando vuol fare una cosa il Signore, è Lui che prende, dà un segno, ma Lui prende chi vuole. Spesso, e qui entriamo un pò in casa, prende un balbo come Mosè che dev'essere completato dalla voce sicura di Aronne, e comanda, e vuole! Guardate che è importante! Non prende Mosè perché sa parlare meglio, non prende Mosè perché è più santo, perché tra l'altro ha anche lui le sue magagne, no? Prende Mosè perché vuole Lui prendere Mosè. E vuole che Mosè sia completato da Aronne:" dirai e lui parlerà".

MO339,3 [25/27-12-1970]

3. Proprio a voi sottolineo questo, perché mi pare che è un po’ il caso nostro. Dio ha preso anche questo povero balbo, zoppo e cieco, e attraverso vari segni che hanno avuto la loro conclusione con il fatto di Giuliari e la firma del vescovo, ha impartito un ordine e ha dato una linea da seguire, promettendo la sua presenza.
Ora, qui, guardate che ho scritto due, tre parole in chiesa, poi discutiamo da buoni fratelli, ma volevo mettere un po’ questo cappello prima di partire. Quando il Signore ha preso Mosè sapeva che Mosè era balbo. Quando ha preso questo povero uomo, va bene, sapeva già che questo povero uomo non solo era balbo, che era zoppo, eccetera, tutto quello che abbiamo detto prima. Perciò nel prendere Mosè, Dio aveva scelto anche Aronne e tutti gli altri, perché aveva preso Mosè per l'iniziativa e gli altri per completare l'opera. Ora, vedete, dovete pensare questo, e rendervi conto di questo: che Dio chiamando me, con la stessa chiamata ha chiamato anche voi. Facendo il disegno dell'Opera che, insomma, il Signore ha affidato alle nostre mani, faceva conto anche della vostra presenza, faceva conto in pieno della vostra presenza. Faceva conto di don Piero De Marchi il quale ha portato la sua nota, di don Giuseppe Rodighiero che ha portato la sua nota, di don Zeno che ha portato la sua nota... di ciascuno di voi. Ma, allora, perché non avrebbe potuto chiamarvi tutti insieme? No, perché il Signore ha chiamato Mosè e gli ha detto: "Vai tu che te si balbo, e chiama gli altri, tan, tan, tan! E lavorate insieme". Guardate che è importantissimo questo, perché non si può pretendere che Mosè sia anche il tagliatore e sia tutto. Mosè, come uomo, come uomo, è un uomo come gli altri, limitato. Lo stesso Gesù, come uomo, è limitato nel tempo e nella sua nazione, è chiaro, come uomo. Immaginarsi gli altri uomini, che non sono perfetti come Gesù, se non portano i segni un po' dei loro limiti, compresi poi i limiti che sono stati, vero, un po' provocati dai peccati, dalle miserie, dalle incorrispondenze... ciò che non troviamo in Gesù e nella Madonna, no? Ora, è importantissimo sottolineare questo, sottolineare come l'Opera è di Dio, Dio si sceglie uno per iniziare e per continuare; ma Dio già pensava "ab aeterno" un’Opera fatta non di uno, ma di più, i quali più devono portare la loro parte che, spesso, è una parte determinante che fa cambiare completamente il colore esterno, non l'anima, ma il colore esterno vien dato poi. Chiaro?

MO339,4 [25/27-12-1970]

4. Per esempio, domani può darsi che una congregazione religiosa come quella di don Calabria abbia, ipotesi, una manifestazione esterna, supponiamo, sulla televisione, sul cinema, qualche cosa... data da un uomo che è andato dentro dopo che aveva trentacinque, quarant’anni, va ben, e che dà una tonalità per cui la congregazione di don Calabria dopo è riconosciuta per quell'opera esterna. Ma è lo spirito quello che anima quell'opera che forse fa impressione dinanzi al mondo.
Domani, per esempio, può darsi che un don Matteo, noi moriamo tutti e resti don Matteo con il cinema... che venga lanciato, chissà che cosa, e sembra la Congregazione solo don Matteo perché è conosciuto solo don Matteo. Ma non è la Congregazione don Matteo, e neppure io, e neppure ognuno di voi, ma è lo spirito che Dio ha dato a tutti quanti. Prima di andare avanti vorrei un pochino che ci fermassimo un momentino su questo. Vedere se siete d'accordo, se vi pare giusto... Cosa dici tu, Giorgio, di questa linea? Se potessimo un pochino su questa linea fermarci un momentino e mettere un po' in chiaro questa faccenda qui, va ben, vedere un po' se siamo d'accordo su questo particolare, vero? Non so se avete qualche cosa da domandare in proposito. MICHELE SARTORE: Io non ho colto proprio il succo che lei vuol dire, che dobbiamo tener presente più che degli uomini dello spirito... No! Attento, questo io volevo dire... Beh, non so... Vediamo se riesco a far capire. MICHELE SARTORE: Non so se gli altri abbiano già capito. Tu hai capito, don Giorgio? DON GIORGIO GIROLIMETTO: Sì. Adesso resta da determinare specificamente il ruolo dell'uno e dell'altro. Mi pare che questo, attento, adesso... Prendiamo il caso di don Calabria, no? Il Signore ha preso don Giovanni Calabria, gli ha fatto capire che voleva un'opera e a don Giovanni Calabria il Signore ha dato quel dato spirito, no, ma, però, attento, non vuol dire che don Giovanni Calabria sia tutta la congregazione. Per esempio, l'"Apostolica vivendi forma" che è stata scritta, non è stata scritta da don Calabria, ma è stata scritta da un sacerdote che era dentro, che non ha voluto per umiltà mettere il suo nome; ma tutti si sa chi l'ha scritta. Lui aveva delle doti meravigliose, sapeva scrivere e scriveva bene, ma là c'è tutto lo spirito un po' della congregazione. Hai capito?

MO339,5 [25/27-12-1970]

5. Domani invece che scrivere un libro può essere, per esempio, che uno di quelli di don Calabria vada a finire Papa e porti una tonalità, porti in mezzo al collegio dei cardinali, dei vescovi, eccetera. Per esempio, il caso particolare del Caraffa è un caso particolare. Ora, attento, volevo sottolineare questo, che non possiamo dire: "Adesso c'è don Calabria e perciò tutto quello che fa don Calabria, lui dev'essere tutto, lui dev'essere il maestro di meccanica, lui dev'essere il maestro di falegnameria, lui dev'essere il maestro di chi scrive gli articoli". No! Perché lui è stato chiamato da Dio a dare un richiamo e a segnare qual è la missione della Congregazione, ma dopo quello che è la realizzazione ognuno deve portare un po'... Avete capito?
Supponiamo c'è da fare qui il villaggio, il villaggio. Va bene? Portiamo un caso materiale. Il Signore ci fa capire che vuole un villaggio, un villaggio qui, fatto il meglio possibile, eccetera. Ora bisogna lasciare un po' di largo alle persone, alle doti personali. Perciò allora c'è Daniele che si specializza nella corrente elettrica, c'è il nostro caro Alberto specializzato a comandare negli impianti idraulici, don Mariano e suo fratello specializzati nelle decorazioni, eccetera, eccetera. Insomma ognuno mette, ma sempre per fare il villaggio, non per dire... Allora adesso Daniele dice: "Io il villaggio lo faccio vicino al Summano, qua, io lo faccio là...". No! Ci mettiamo insieme, discutiamo insieme, diamo una linea, ma poi su quella linea lì ognuno deve collaborare, portare qualche cosa anche di se stesso. Hai capito? Perché, guarda, se non ci fosse stato don Leonzio, Mariano, per decorare le pareti, forse a nessuno sarebbe venuto in mente di decorare in quel modo lì... Direi che ognuno lascia un po' la sua impronta perché, perché quei doni che ha ricevuto da Dio, se Dio l'ha chiamato in questa Congregazione, fanno parte un po' della immagine, no? Porto un altro particolare. Supponiamo, il Signore ha chiamato Marco qua con noi. Una serata lui si mette a cantare, fare un po'... a scherzare un pochino, e questo Marco per... Un altro per... Giorgio per la musica, quell'altro per... questi doni qua. Questa Congregazione prende anche un colore esterno, una manifestazione esterna dello spirito che è dovuta alle doti di ognuno.

MO339,6 [25/27-12-1970]

6 Ora, questa mattina abbiamo cantato, eccetera, ma per insegnar a cantare non posso mica farlo io. Non so se ho reso il pensiero... Quelle doti che ognuno ha ricevuto da Dio le ha ricevute, ma per entrare poi nella Congregazione, per poter obbedire al Signore.
Se il Signore, facciamo un altro caso anche un po' materiale se volete, ci dà l'ordine di, ci dà l'ordine di riempire una fossa, supponiamo un ponte, c'è una fossa e bisogna riempire, no, dice: "Sentite, voi venite e riempiamo qui". E allora ci sarà uno che avrà dei doni particolari: ci sarà quello della luce elettrica per illuminare in modo che gli altri ci possano lavorare, ci sarà invece un altro che avrà la ruspa e allora andrà con la ruspa, un altro col camion, un altro con la carriola, un altro con le braccia, un altro darà l'appoggio morale se non potrà far altro, un altro andrà a prendere da bere e porterà un bicchiere di vino... cioè tutti stiamo costruendo, cioè riempiendo quel vallo che Dio vuole che sia riempito. Ma ognuno deve mettere la sua iniziativa, la sua parte, la sua attività cioè, e il Signore già quando ci ha comandato di riempire sapeva, faceva conto anche degli altri. Perché? Perché comandi a me di chiudere un buco così grande se poi non manda uno che ha la ruspa, se non manda uno che ha la carriola, se non manda uno che cosa potrei fare? È inutile che comandi a Mosè di andare dal faraone se non ha poi un Aronne che sa parlare per lui: fa altro che fadiga per niente, no? Noi esageriamo un pochino... Mi par che sia importantissimo mettere a fuoco questo. Cosa ne dite? LUIGI DE FRANCESCHI: Pare anche a me, almeno da quello che ho capito, che prima di tutto bisognerà tener fisso el filon nostro, quello che xe la nostra missione come Congregazione, sì, e come con Nostro Signor, come Dio aveva un piano per arrivar all'incarnazione del Cristo, lu el ndava drio a quel piano lì e dopo el se ga creà anche i suoi uomini e li ga messi in quella linea là, sì, quegli uomini che el ga messo dentro là i doveva fare insomma, portare tutta la loro personalità, ma dentro quella linea là perché se no non i saria rivà. Non so... per andare al concreto, insomma: Giovanni Battista el gaveva quel compito da annunciare e, a un certo punto quando, xe arrivà el Cristo, de ritirarse. Quella gera la sua missione. Ma se a un certo punto el gavese volesto diventare Cristo lu stesso, el saria andà fora dal quel filone là, non gavaria più avesto senso... Quando è poi entrato più tardi San Paolo in mezzo agli Apostoli, va ben, anche lui ha portato la sua personalità meravigliosa, ma non ha offuscato l'annuncio del Cristo o della volontà di Dio. Perché? Perché non è Paolo, non è Pietro, è Cristo che battezza, no? Ognuno deve mettercela tutta, ma dopo saper che è Cristo. Stiamo realizzando un piano di Cristo, un piano di Dio, per cui noi poveri uomini ce la metteremo tutta. Se siamo Paolo faremo da Paolo, se saremo Andrea un po' titubanti faremo da Andrea; però tutti, ognuno secondo i doni ricevuti da Dio, per realizzare il piano che è di Cristo, che è di Dio.

MO339,7 [25/27-12-1970]

7. Questo mi pare che sia importantissimo perché, a un dato momento, allora tu prendi quello che è incaricato da Dio a iniziare, lo prendi come uno strumento, un fratello, un amico, non lo divinizzi, che sarebbe sbagliato, ma nello stesso tempo non prendi sottogamba quello che ha ricevuto da Dio perché se il Signor mi ha detto questo... Amici miei, se il Signore mi ha detto questo, non lo posso mica cambiare, no? È sbagliato questo? Sarebbe sbagliata e l'una e l'altra cosa. Una divinizzazione? No! Quasi credendolo un impeccabile, quasi credendolo un infallibile, quasi che tutto quello che dice sia oro colato... No! È uomo, può sbagliare anche lui... Gli Apostoli... San Paolo, Barnaba, eccetera. Può sbagliare benissimo. Però, attenti che quella che è la missione, quello che è il filone, quello bisogna assolutamente... È giusto?
Altra voce: Mi sembra che uno che va in una Congregazione è dello spirito e quindi accetta lo spirito della Congregazione, dopo naturalmente deve lui aggiungere, mettere, eccetera. Direi, scusa un momento, se nel collegio apostolico noi troviamo Pietro che è lasciato da Cristo a capo della congregazione, e a un dato momento ci si trova che anche Pietro... Gli Apostoli facevano delle osservazioni a Pietro. Mica giusto? L'osservazione è giusto fargliela, ma in vista di quella che è la missione del collegio apostolico... non in vista di un proprio capriccio, cioè nell'interpretazione di quella che è la volontà di Dio. LORENZO CENTOMO: Mi sembra che sia importante esser convinti prima di tutto che la Congregazione l'ha voluta il Signore e lo scopo della Congregazione l’ha voluto il Signore, e quindi non dipende da noi il creare i fini della Congregazione. Noialtri dobbiamo buttarsi ad un certo momento, cioè entrare in questo fine che vuole il Signore, e allora se capisce che tutti i ga da portare la so parte per un unico motivo. Perché se comincemo a discutere come se fosse, dipendesse da noialtri decidere cosa fare dello spirito, eccetera. MICHELE SARTORE: Adesso go capìo un particolare: xe giusto el discorso del fine, ma il fine può essere anche molto generico, a un certo punto. Cioè, la nostra collaborazione ga da limitarse a un'attuazione pratica delle linee che xe sta già fissate oppure, non so, può esserghe anche una collaborazione nel fissare le linee anche di lavoro? Non so se ve go reso l'idea. Perché me pareva, almeno dagli esempi che portava lu, che gli esempi, se sempre limitatissimi, i se riferisce a un punto che se vol sottolineare, ma che la nostra collaborazione a un certo punto si limita a fare quel che xe sta stabilìo de fare. Fin che lu parlava mi me vegneva in mente tante affermazioni che lu faseva, disendo che la Congregazione xe questa, e a un certo punto, come dixeva Lorenzo, o se inseremo in questa Congregazione o ghin tolemo un'altra, sì, mi adesso volevo appunto chiarire questo argomento... Siamo ancora agli inizi degli argomenti che dovremo trattare. Bisogna trattare prima il punto di partenza e poi andiamo avanti. Ritorneremo verso la fine caso mai a trattare questi argomenti qui, ma mettiamo già un punto sulla "i".

MO339,8 [25/27-12-1970]

8. Sta attento: se la Congregazione, poniamo l'ipotesi, no... Prendiamone un'altra, invece che prendere la nostra prendiamo un'altra, prendiamo quella di San Francesco d'Assisi, cioè i Francescani. Il Signore ha chiamato i Francescani, in un momento in cui si viveva poco il Vangelo, a dare un testimonianza di vita evangelica. Sì o no? Li ha chiamati così: un testimonianza in un certo modo, una certa forma. Attento. Poteva Francesco permettere... che i Francescani primi avessero fatto: un gruppo fosse diventato Domenicani, un gruppo Camilliani per gli ammalati, un gruppo... avrebbe potuto anche far questo? Però, nella linea della testimonianza che Dio voleva dalla sua congregazione, aveva il dovere San Francesco e il dovere anche gli altri di esplicare le proprie doti, ma sempre lì: allora ecco Sant’Antonio da Padova che diventa il predicatore per eccellenza, mentre Francesco non è predicatore. È giusto, no? Ognuno dopo nella linea, ma in questa linea di testimonianza.
Supponiamo adesso un particolare. Vediamo i Camilliani: i Camilliani hanno la loro vocazione, la loro chiamata. In questa chiamata dei Camilliani, un camilliano dice: "Ma... noi... noi dovremmo adesso diventar giornalisti". Sceglie una congregazione de giornalisti! Noi abbiamo preso una linea specifica. Ora, quando io dico questo, quando asserisco con una certa forza: "Prendetevene un'altra!", intendo per questo motivo. Se voi volete, avete da portare qualche cosa nella Congregazione, ma siamo felicissimi che la portiate; ma no che voi, - saranno cose che dirò più avanti - supponiamo che uno di voi a un dato momento dicesse: "Ma io sono d'accordo con la Congregazione, però io realizzo la Congregazione, ma la realizzo per conto mio: vado dove voglio io, torno alla sera quando voglio io, vado via senza domandar i permessi, sto via una giornata senza domandar permessi. Basta, scusa! Io sono d'accordo, ho abbracciato la Congregazione, ho abbracciato lo spirito della Congregazione e faccio... accetto... però sento il bisogno di realizzarla in un modo come me par". Ma, scusa! Questo è sbagliato. Siete d'accordo? Questo, io intendo questo. Realizziamo, d'accordo, insieme, ma non dopo ognuno la realizzi come la vuole lui. Un senso di libertà? Siamo d'accordo, ma il senso di libertà non vuol mica dire che tu adesso vada fuori da qua, lasci detto che vai via e torni fra otto giorni. Questo, mi pare, che anche in una famiglia se ti sei sposato non puoi mica far questo, no? Ora me par che... sì... d'accordo la libertà, d'accordo mettercela tutta, d'accordo, eccetera, ma, un pochino d'accordo anche che... Siamo per collaborare insieme, non per rendere tante congregazioni quanti siamo noi. Nessuno ti dice: "Fa’ di meno", anzi ti rimprovero, e proprio dinanzi a Dio, se tu non porti il tuo contributo se hai delle idee e non le porti, eccetera.

MO339,9 [25/27-12-1970]

9. È venuta fuori la questione del cinema, forse uno vien fuori con qualche altra idea, qualche altra cosa da fare, che si potesse fare, che si potesse lanciare per la pastorale, per le vocazioni, per... cioè, per il fine della nostra Congregazione... preparando l’esercito per la Chiesa di Dio, no? Preparati alla vita pastorale. Se avete delle idee, se avete delle ispirazioni, qualche cosa che si può anche provare, vi dico, avete il dovere di portare per... di pensare continuamente queste cose e di portare il vostro contributo di scienza, di esperienza e di santità. Ma che uno dica: "Adesso io mi pianto per conto mio, vado per conto mio, e faccio un po' quello che mi piace, mi chiudo in me stesso, e faccio così...". Questo no! Mi pare...
ALBERTO BARON: Non è più collaborazione! Non è più collaborazione! MARIO CORATO: Credo che a un certo momento il fine e la realizzazione non le pòle disgiungerse. Cioè se la xe congiunta non se pole lasciare... Portato l'esempio di padre Massimiliano Kolbe... Milizia dell'Immacolata, eccetera, e poi con la realizzazione è arrivato perfino a fare un aereoporto, eccetera. Ma fin che si vuole, ma... MARIO CORATO: Se i superiori i gavessi dito: varda che xe meio ritirar completamente... realizzazione, ma nella linea in cui si è già inseriti. MARCO PINTON: Entrando in una Congregazione, credo che quello che accetta di entrare in questa Congregazione accetta un po' in tutta quanta la forma questa Congregazione, cioè la ga già una linea questa Congregazione. Voglio dire che praticamente quello che entra deve entrare anche con fede perché, insomma, non se pol entrar dentro e far comunela e far... cioè, praticamente quello che entra deve entrare con... avendo già uno spirito di fede, dixendo che quando entrerò mi non sarò miga... non sarò mia soltanto mi quello che cambierò... che fosse el me lavoro; anche mi faccio parte della Congregazione e son obbligà anche mi a dar il mio apporto, eccetera, in quanto mi è possibile, ma con ciò non vuol miga dir che mi son el padre eterno in questa Congregazione e... Non so se go reso... Io vorrei cominciare a partire, perché abbiamo ancora da cominciare a partire. State attenti! Io vorrei che fosse chiaro questo principio: che la Congregazione non è un colpo di testa di uno, va ben, che el parte: "Adesso impianto na baracca nuova!", o qualcosa del genere... ma che è una cosa sofferta, tremendamente sofferta, che la si inizia soltanto perché el Signore prende uno e dice: "Fa’!". Perché se no nessuno, neanche el Battista non sarebbe partito per andare nel deserto, vero, a metterse a predicare, perché la vita comoda va bene a tutti. Scusate, la natura umana, come la natura umana porta un giovanotto al matrimonio, credete a me che nessuno... sarebbe veramente pazzo dire: "Mi tiro fuori dalla vita normale per impiantare una cosa nuova", perché non c'è nessun segno di avventura, nessun segno... Vi assicuro che questa cosa si fa soltanto se senti che è un dovere, ma sempre contro il gusto umano, perché il gusto umano ti porterebbe a star calmo, a star tranquillo. È giusto, no? E questo bisogna che ve lo mettiate in testa.

MO339,10 [25/27-12-1970]

10. Perciò, se il Signore ti prende uno, e ci sono i sigilli che è stato il Signore, che non è stato un colpo di testa, che non è stato... che di solito, sai, si vedono facilmente i sigilli, se lo fa soltanto per ambizione o per altri motivi, eccetera, va ben, quando ci sono i sigilli, e i xe sempre nell'obbedienza, perché se si è fuori dall'obbedienza casca il palco, no, ci sono dei sigilli... Allora chi entra lì, allora deve mettersi... Ecco quello che volevo dire, in atteggiamento di ascolto insieme della volontà di Dio e non fuori della porta, di critica di quello che s'è fatto o di quello che si aveva detto di fare, che quella non è collaborazione. Hai capito?
Cioè io vorrei proprio che arrivassimo a questo primo punto, poi parleremo dopo del resto, di quello che ci ha tirato fuori tema. Io vorrei proprio che arrivassimo a questa conclusione come primo punto: noi siamo stati chiamati insieme, anche se a guidare un po' la marcia è stato chiamato uno prima di voi. Ecco, siamo stati chiamati insieme e siamo stati chiamati insieme non come aggiunti ognuno di voi, ma come complementari di un'Opera che Dio vuol fare, e ognuno ha la sua parte, precisa, ma nell'Opera, non fuori dell'Opera. Avete capito? Cioè come in un mosaico ogni tesserina ha il suo posto, così in questo mosaico che è la Congregazione, che rientra poi nel mosaico meraviglioso della Chiesa, perché non può essere fuori da quello, ognuno di noi ha il suo posto e il suo posto è talmente importante che se manca la sua presenza lì, il Signore ne fa venir un altro, se vuole che vada avanti la Congregazione secondo quel dato spirito. Se dovesse andar via Giorgio e Raffaele, se dovessero dire a un dato momento... siete liberi e potete dire: "Andiamo via", se il Signore vuol lasciare alla Congregazione quel senso di gioia, di musica, eccetera, anche nella liturgia, eccetera, il Signore fa venire dentro un altro. Avete capito? Perché, perché è una cosa complementare, fa parte quella roba lì, un po' dello spirito, dell' anima della Congregazione, ecco!

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11. Io vorrei che mi concedeste questo in partenza, in partenza questo punto qui e cioè, se non siete d'accordo cerchiamo di approfondirla, cioè: "Dio ha preso anche questa povera persona balba, zoppa e cieca e attraverso vari segni che hanno avuto il loro culmine con il fatto di Giuliari e la firma del vescovo, ha impartito un ordine e ha dato una linea da seguire promettendo la sua presenza". Un ordine e una linea che non vuol dire una linea con tutti i particolari, perché neanche ad Abramo, neanche alla Madonna non ha detto tutto, giusto, no, neanche a Gesù Cristo come uomo appena nato aveva detto tutto. Perché dopo i particolari li prenderemo insieme, i particolari... i particolari dell'Isolotto l'abbiamo accolto insieme... domani ci sarà un particolare in qualche altra parte del mondo, qualche specializzazione tipo quella del cinema adesso, o qualche altra; ecco, cercheremo insieme, ma... guardiamo la radice, il punto di partenza. E penso che sul punto di partenza siamo d'accordo, eh?
Se non siete d'accordo, allora ditemelo, e cominciamo... facciamo di nuovo... Siete d'accordo? Se avete dei dubbi su questo punto primo, siccome non era previsto trattarlo, ma io partivo un po' più avanti, va ben, son disposto a perdere anche i tre giorni per dimostrarve chiaramente e apertamente come non è stato un colpo di testa, come primo a non credere sono stato io, come Zaccaria, e che se non son diventà balbo, “egli è Gesù che non lo volle”, vero, o muto, va ben, e che ho voluto un segno chiaro, preciso; ho seguito, mi pare, tutte le linee che sono quelle stabilite dall'ascetica e cioè: direzione spirituale e i superiori e il segno anche un po' straordinario. Riassumendo in due tre righe tutto quello che è stato detto. Sono partito dal funerale del papà dell'assistente Schiavo: un foglio di carta, un po' di ceralacca e un sigillo. È il segno, chiaro e preciso, che quel cadavere può essere trasportato fuori comune. Ora, ogni Opera, mi pare, un po' straordinaria è segnata sempre da un sigillo, da una firma, da una garanzia; questo in mezzo agli uomini, e don Zeno può appunto essere un po' teste in questo per il fatto che se va alla banca, però va con un assegno senza firma, una carta senza timbro, non vale.

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12. Ora, anche Dio ha seguito questa linea quando voleva chiamare una persona per compiere qualche cosa di straordinario e dava sempre qualche segno, compresi i pastori: "Andate e troverete"; alla Madonna: "Ecco che Elisabetta tua cognata, eccetera". Ora, Dio ha usato questa forma prendendo anche Mosè e ha detto: "Vai, vai dal faraone", e gli dà... Leggo queste due tre righe qua per fare più presto: "Dio prende chi vuole, spesso un balbo come Mosè che deve essere completato dalla voce sicura di Aronne e comanda e vuole". Questa è la linea un po' di Dio. "Dio ha preso anche questo povero balbo, zoppo e cieco, e attraverso vari segni che hanno avuto il loro culmine con il fatto di Giuliari e la firma del vescovo ha impartito un ordine e ha dato una linea da seguire, promettendo la sua presenza".
Ecco, siamo arrivati a questo punto, abbiamo un po' discusso, dopo siamo andati un po' fuori di strada su cose che dobbiamo trattare più avanti. Ma la sostanza è questa, e ho domandato un po' la parola di voi anche perché aspettavo che arrivaste voi, perché da Vicenza hanno telefonato che eravate partiti. Vorrei chiedere se siete d'accordo, e lo ripeto per i tre fratelli che sono arrivati, che questa è un’Opera voluta da Dio il quale ha chiamato un povero uomo ad iniziare, ma non ha chiamato questo povero uomo solo, ha chiamato tutti noi perché ognuno di noi è una tesserina di questa Opera qui, essenziale. Perché il Signore non ha pensato don Ottorino Congregazione, ha pensato un gruppo di persone. Il Signore ha chiamato Mosè: "Va’ e porta il mio popolo", no: "Va’ in Egitto, va’ nella terra promessa, ti"; ha chiamato lui per condurre un popolo, ma poi ognuno del popolo aveva la sua missione. Noi, nel caso particolare, abbiamo ognuno la nostra parte, e portavo il caso di Giorgio e di Raffaele che se dovessero andar via, la Congregazione perde il colore, non se canta più. Cioè non se canta... il Signore susciterebbe qualche altro, manderebbe qualche altro, però immediatamente si sentirebbe la mancanza di loro due. Vuol dire che avevano la loro missione.

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13. Ora, se siamo d'accordo su questo, adesso diamo uno sguardo in avanti. Penso che su questo non sia il caso di... Cosa dice don Matteo? Se c'è bisogno anche su questo di una dimostrazione, allora torniamo indietro e dimostriamo. Alzi la mano se qualcuno ha qualche cosa da dire in proposito. Nessuno? Avanti.
"A conferma: pochi giorni prima della morte, mons. Rodolfi mi fa aprire il cassetto del comodino, mi fa prendere le tremila lire che c'erano e mi dice: "Prendi quel denaro. Ormai non ho più niente. Va’ avanti sicuro; cerca solo la volontà di Dio, non ti mancherà mai niente". Ecco... perché ho portate queste parole qui? Le ho riportate per questo motivo. Non sono proprio all'inizio dell' Istituto, sono dopo un paio d'anni, ma perché mi paiono l'ultima firma del vescovo che ha avuto la missione da parte di Dio di mettere la firma sul documento di partenza. Chiaro? Dicevamo che la linea seguita: padre spirituale, autorità ecclesiastica - il Signore mandava persino: "Andate e mostratevi ai sacerdoti", no? la linea gerarchica - e l'intervento straordinario di Dio. Ma l'intervento straordinario di Dio s'inserisce sempre in quella che è la linea gerarchica, la linea regolare, non andrà mai contro il padre spirituale e contro i superiori. Ci saranno delle difficoltà per far capire, il Signore ti manderà e rimanderà e ci saranno delle questioni, però non andrà mai contro il padre spirituale e contro i superiori. Il Signore le sue opere non le fa mai così: farà dei miracoli per convertire i superiori, farà morire qualche superiore, ne metterà un altro... però sempre una linea. Ora, attenti, ho sottolineato questo particolare perché mi pare che questo vescovo, grande vescovo che sta per morire, che ti mette la firma e dice: "Guarda, non sta aver paura, va’ avanti tranquillo, il Signore sarà con te, ti accompagnerà. Tu cerca solo la volontà del Signore". Allora "una premessa: noi allora qui siamo stati chiamati da Dio e siamo ai suoi ordini per una missione non ordinaria e non conforme alla logica del mondo, ma conforme - ricordiamo il discorso del Santo Padre questa mattina - conforme solo alla tremenda logica del Vangelo e delle beatitudini in modo particolare". Ecco, se volete, qual è, qual è lo spirito animatore della Congregazione? Il discorso del Papa questa mattina. Gli altri sono particolari, capisci, Michele, sono particolari: la veste o non veste, mmm... l'Isolotto o in America Latina, sono particolari. Piuttosto il richiamo che la Congregazione deve fare attraverso esempi concreti è proprio quello lì: nell'obbedienza a Dio, ai superiori, vivere lo spirito evangelico proprio così, con semplicità, come certamente oggi il mondo non lo vorrebbe, perché il mondo vorrebbe un Vangelo conforme alle comodità, conforme alla logica del mondo. E invece no! Le beatitudini non saranno mai conformi alla logica del mondo, no? D'accordo?

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14. Ecco, mi par questo. E questo, capisci chiaramente, se un membro della Congregazione l'accetta, è in paradiso: "O quam bonum et suave vivere fratres in unum!". Se non l'accetta: "Vita comunis maximum martirium". È chiaro? Perché se accetta il cristianesimo, abbiamo allora un santo come un Giovanni, un Andrea, un Tommaso, eccetera, e se non accetta abbiamo un Giuda che si ribella.
È un boccone duro accettare il Vangelo come è, però ti fa felice nell'altra vita e anche in questa vita... il centuplo in questa vita e la vita eterna. Ma bisognerà accettarlo, direbbe San Gaetano "sine glossa", frase ripetuta poi da don Calabria e da tanti altri santi. Il Vangelo va preso "sine glossa". Se volete proprio riassunte in poche parole un po' le linee fondamentali della Congregazione sono proprio queste, non c'è altro. Ora, un'apertura anche esterna - andiamo fuori strada - che sia contro il Vangelo o contro lo spirito di mortificazione o contro... "Trent'anni di cammino cosparso di segni". Siamo entrati a cominciare. Questi trent'anni che abbiamo camminato insieme anche se voi non c'eravate, perché ricordatevi bene che trent’anni fa voi eravate presenti tutti nel cuore di Dio a nome mio, senza nome anche nel mio cuore, perché ho cominciato a pregare ancora allora ogni giorno per ciascuno di voi, globalmente, ma per tutti voi, per tutti i membri di questa Famiglia che il Signore stava per costituire. E perciò in questi trent’anni la parola del vescovo, prendiamo come parola ispirata da Dio: "Camminate su quella strada e non vi mancherà il necessario". E qui vorrei proprio che facessimo, proprio, quasi cantassimo un po' le glorie del Signore. Perché, scusate un momentino, perché dobbiamo commuoverci se una persona amica ci manda una bottiglia o ci manda un dolce o ci manda un mandolato... eh... restiamo un po' commossi. E perché non dobbiamo commuoverci considerando tutto quello che Dio ha fatto in questo tempo per noi? Sa, una moltiplicazione di pani viene scritta nel Vangelo, e dopo duemila anni ancora si predica, vero, in giro per il mondo questo miracolo meraviglioso, questo pane moltiplicato. Di modo che, venendo ai fatti, mi, se non vi dispiace, così, ricordiamo. Fate conto che io faccia una meditazione un po' a voce alta, un pochino. Se voi avete qualche cosa poi che vi viene in mente, che vi ricordate di avere visto o di aver sentito dire, aggiungetela liberamente. Prima di tutto: segni da parte di Dio collettivi. Il Signore ha dato dei segni a tutti, no, e tra i segni collettivi ce ne sono di materiali e di spirituali. Guardiamo un po' quelli materiali. Non intendo fare una lista completa... così, fior da fiore.

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15. Le prime cento lire.
Voi non so se abbiate mai provato a trovarvi da soli in una strada lontana, lontana, senza acqua e senza pane e senza soldi in tasca. Ecco, guardate che l'inizio della Congregazione è stato qualche cosa del genere: "Salta giù dalla finestra, comincia". Venticinque anni! Cominciare a venticinque anni, senza sapere dove comincerai, con che mezzi comincerai e con che persone comincerai. Solo il permesso del vescovo: "Quando vuoi, comincia. Resta nella canonica di Araceli quando vuoi e quando vuoi andar fuori, va’ fuori". Guardate che adesso un pezzo di pane si troverebbe in mezzo agli amici, ma trent’anni fa si trattava anche del pane oltre che del resto. E ho avuto il primo incontro, un po', il primo incontro con un fatto che mi ha colpito, buttato fuori così... Cominciato sotto il palco del teatro con la cassetta dei ferri... Perché adesso, quando c'è bisogno di qualche cosa, si va da Vinicio, fa il buono e va da Lanza. Allora non c'erano i soldi per andare da Lanza. E mi ricordo che il papà di don Luciano Biagi - conoscete il parroco, l'arciprete, parroco di Santo Stefano - era dei vigili del fuoco, in pensione, e aveva una cassettina così di ferri, strumenti... Ormai era anziano, e me li ha portati sotto il palco: "Ho sentito - dice - che sta preparando per far lavorare sti ragazzi e ho portato alcuni attrezzi, se le possono servire". Mi ricordo che c'era un martello, qualche lima, uno scalpello vecchio... materiale che per noi era di più del pulmino di don Giuseppe Molon, perché era avere qualche cosa quando che in tasca non avevi niente, aver un martello voleva dire avere qualche cosa. Se siamo ricorsi alle pietre del cimitero, le pierette del cimitero che erano lì, in mucchio da una parte, perché non avevamo i soldi per comperare i mattoni, siamo ricorsi a due porte vecchie perché non avevamo i soldi per comperare delle tavole per mettere sopra. Allora era così. Bene! Ricordo che sono stato a Custozza... a Custozza mi conoscevano perché ero andato due o tre volte a fare un corso di esercizi agli aspiranti, parecchie volte, insomma, lì. E allora ho raccontato il fatto che mi era accaduto lì con don Giovanni Calabria, e uno dei fratelli ha detto: "Guardi, se vuole le do anch'io... Ho un bilanciere", perché mi interessava come raddrizzare le lamiere, no? Tagliavamo le lamiere con lo scalpello e il martello e bisognava raddrizzarle poi. E allora era un bilanciere, però... "È un bilanciere... guardi, io glielo regalo: però è rotto sotto". Va ben. Voi capite, che un bilanciere fatto così... rotto qua sotto, vuol dire... val più niente. Perché tutta la pressione la fa sotto e sopra, no? I nostri meccanici... E se... saldare qui, saldare qui... Ebbene, dice: "Guardi, saldarlo è un po' un disastro, però c'è uno lì in via del Gas che salda bene e la può fare quella saldatura lì. Certo non è come prima, ma per raddrizzare le lamiere può andare". Ricordo che me lo hanno portato a casa loro, e io l'ho portato col carrettino a mano, portato lì in via del Gas.

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16. ... mancavano i soldi allora, non c’era in circolazione denaro, per cui era una certa cifra. Portato là, mi mandano a dire che è pronto il bilanciere, dice: "Può mandarlo a prendere". Ne avevamo assoluto bisogno anche per far lavorare i ragazzi perché, sa, il problema era cosa farghe fare a sti tusi, no, per lavorare: c'era bisogno del bilanciere. Ma... e i soldi? Come faccio ad andar a prenderlo e dirgli: "Le porterò i soldi"? I soldi non li avevo... avrò avuto cinque o sei lire in tasca, tutta la mia sostanza, va bene. Secondo giorno o terzo mi mandano a dire un'altra volta che vada a ritirarlo, che è pronto; avevo dato l'urgenza prima, no... ma adesso non avevo urgenza ad andarlo a ritirare.
E ricordo che, mentre mi mandano a dire che è pronto, m'incontro - sto tornando verso Araceli - davanti, un po' più avanti del seminario, mi trovo con l'avvocato Giuliari, il papà di Francesco, e mi dice: "Ah, don Ottorino! - dice - L'altro giorno lei ha detto una Messa per Francesco. Prenda che le do l'offerta". Tira fuori il biglietto da visita, scrive lire cento e mette là, e mi dà... "Avevo preparato - dice - per dargliela", e mi dà cento lire. Aveva anzi preparato il biglietto, perché c'era scritto cento lire, l'aveva scritto da casa, in qualche angolo, proprio il bigliettino con scritto cento lire. E mi dà il bigliettino: cento lire! Non faccio altro che continuare il viaggio. Ho portato le cento lire a quello del bilanciere, gliele ho date, e ho mandato a prendere per un ragazzo, o chichessia è andato a prendere il bilanciere.

MO339,17 [25/27-12-1970]

17. Scusate, m'è venuta in mente un'altra... la mettiamo qui.
Qualche giorno dopo le signorine Pastorio, le zie della signora che viene a far scola lì, no, Pastorio, mi mandano a chiamare e avevano un po' di tipografia, quasi su per la pontara di Santa Corona, un po' dentro lì. Han detto: "Guardi, ho sentito che lei ha cominciato con due o tre ragazzi, così". E dice: "Guardi, posso darle un po' di caratteri, un paio di cassette di caratteri e una macchinetta, - dice - intanto se vuol fare un po' di esercizio con i ragazzi". E mi regala due cassette di caratteri e una macchinetta piccola. Oh, tenete presente che sapevo cos'erano un po' il duplicatore, il ciclostile... ma di quel tempo, no quelli di adesso. E ci siamo messi a fare i tipografi, ho portato a casa la macchinetta e... Però, dopo un po' di tempo, l'appetito vien mangiando, no? Hanno incominciato i ragazzi a far un po' di composizione, far su, stampar su qualcosina. C'erano dei giovanotti dell'Azione Cattolica che venivano ad aiutarmi. E mi hanno detto che c'era a Vicenza uno, un bravo uomo, un certo Galvan, che vendeva macchine vecchie - no, Daniele - e sono andato lì da questo, e ha detto: "Senta, - dice - avrei una macchinetta che va proprio bene per lei, una Boston". Boston era con un piatto, così, sopra un tavolo. Fate conto: una pedalina alta così, con un manico che si girava a mano, manego a man; foglio che si poteva stampare, pressapoco così... una pedalina vera e propria, solo che invece che avere un piedistallo fino a terra si appoggiava sopra un tavolo, e invece che avere il motore si girava a mano. Gli ho detto: "Senta, quanto vuole?". "Cosa vuole, - dice - sa, sono robe che sono ricercate, sa...". Voi non conoscete, domandate a Danilo chi era Galvan. Adesso è morto, poveretto, non si può dir male... Bene! Me l'ha data per cinquecento lire. E gli dico: "Senta, non so, accetterebbe che gliela pago entro una settimana, me la darebbe?". "Oh, sì, sì! La porti pure, sa". E me l'ho portata a casa. Voi non avete l'idea che cosa vuol dire andar a letto la prima sera con il pensiero di dover pagare cinquecento lire dopo una settimana e non aver soldi. È stata la prima volta che ho contratto un debito. Un debito, sa, sì, c'erano i debiti prima di casa, ma c'era il papà, c'era la famiglia, tutta un'altra cosa, no? Dire: il debito l'ho contratto io, mi sono impegnato io a pagarlo. Alla notte vi assicuro che ho dormito molto poco. Fa impressione dire: io devo pagarlo perché, sa... Ora, il bilanciere avevo ancora da andare a prenderlo, no? Ma questo qui dire: io mi sono impegnato entro una settimana di pagare cinquecento lire.

MO339,18 [25/27-12-1970]

18 La mattina vado a celebrar la Messa; mentre ho il Signore in mano gli dico: "Senti, Signore, adesso non voglio mica continuar a chiedere miracoli, ma... mettiti nelle condizioni mie adesso, da qui una settimana con sto mestiero qui".
Mi sembrava che il Signore mi dicesse: "Ma, oou! E la fede?". "Fede sì, ma mettete ti in questa condizione qua, e devo andar con i ragazzi, per là, devo interessarmi perché avevo una parrocchia con seimilacinquecento anime, cappellan da solo, e ammalati e Azione Cattolica e tutto il resto; e in più ghe xe i ragazzi sotto il palco, e in più le cinquecento lire sullo stomaco. Mi te chiedo, per piacere, Signore, per questa volta dimme de sì... va là... combiname presto". Vado in sacrestia e sto per svestirmi; c'è mons. Dalla Libera inginocchiato lì a parte, che sta preparandosi per la Messa che doveva celebrare dopo di me. El me se avvicina e dice: "Senti, don Ottorino, passa in seminario dal prof. Cola, - arciprete attuale de Montebello - va’ - dice - perché mi ha detto ieri sera che è morto don Giuseppe Mozzato, che era cappellano del ricovero San Pietro, e mi ha lasciato mille lire: cinquecento lire le ho già date ad un'opera - non so el me ga dito le Poverelle - e cinquecento lire te l'ha date a te per l'opera che hai cominciato lì sotto il palco". Adesso mettetevi voi, dopo aver celebrato la Messa, dopo aver trattato così con il Signore, immediatamente, ancora con i paramenti addosso, sentirti dire: "Passa per il seminario per ritirarte le cinquecento lire". Sono andato in seminario e in seminario immediatamente don Cola, don Mario: "Senti...", dice: mi dà le cinquecento lire. Corro subito da Galvan: "Ehh... el gaveva tempo, el gaveva tempo!". "No, perché può darsi che qualche altra volta che se ghi n'ha de bisogno i diventa quindase. Dato che stavolta i go vudi...". "Ma sì, col ga bisogno el vegna qua, eccetera, eccetera". Però, amici miei, adesso siamo insieme, siamo in tanti. Guardate che ero solo, guardate che ero solo, con una missione più grande di me un miliardo di volte, con una tremarella di quelle, vero, che voi potete immaginare, come lo avevo espresso con don Giovanni Calabria, con un ordine preciso e perentorio: "Ho detto che è Dio e non tu. Tu preparati a soffrire". Congratulazioni! Avanti, Savoia!

MO339,19 [25/27-12-1970]

19. Ho detto che saltiamo un po' qua, un po' là.
Tanto che abbiamo parlato di Galvan, dopo un po' di tempo, intanto eravamo già... eravamo nella prima casetta. Sa, dopo torneremo indietro un pochino, abbiate pazienza. Dopo un po' di tempo che eravamo nella prima casetta, si presenta un giorno a me Galvan e mi dice: "Senta, dato che avete incominciato così a... - ero già andato a comperare un pezzo di macchina, caratteri, eccetera - Mi è capitata un'occasione ottima, - dice - guardi. Ho prelevato una tipografia che ha fatto fallimento e ci sarebbe una macchina meravigliosa, bella macchina. Guardi, gliela do così com'è, rischio e pericolo. Io non l'ho neanche montata, niente. È arrivata alla stazione, l'ho scaricata là, eccola là. Mi hanno detto che non manca neanche una vida... trentamila lire! Se la vuole, così com'è, ma a rischio e pericolo suo. A me hanno assicurato che è a posto, eccetera". E dice: "Se vuole, io le mando un uomo che venga ad aiutarla a montarla... che le dia una mano. Ma guardi che è una buona macchina, eccetera". Fatto si è che mi sono riservato qualche giorno per dare la risposta. Credo sia stato il giorno dopo, è venuto il signor... quello famoso della seta... Bocchese, viene là e dice: "Ho sentito, sa, un po'... - a piedi - ho sentito che avete cominciato così, vediamo un po'... Cosa volete fare, una tipografia?". Sa, lui industriale: "Volete sviluppare?". Tenete presente che era già passato un certo periodo, avevamo già sessantacinquemila lire delle macchine, eccetera. "La tipografia bisogna svilupparla un po' di più; voglio darvi lavoro anch'io poi, eccetera". "Sa, adesso ho la questione della macchina. - ho detto - C'è una macchina... ce l'ha offerta Galvan ieri, così, così... trentamila lire". "La prenda, la prenda... trentamila lire gliele do". In conclusione mi ha date le trentamila lire. Ricevere trentamila lire per me è stato una firma che la macchina certamente sarebbe stata efficente, perché se no el Signore non avrebbe mandato i soldi, no? Fatto si è che abbiamo montato la macchina. Appena montata, appena Galvan... - posso dire che era un ebreo? Beh, insomma, ci capiamo in quel senso - appena l'ha vista funzionare ha detto: "Senta, le do centocinquantamila lire se me la dà". Credeva che fosse un osso, no, e invece era una macchina che funzionava molto bene, stampava molto bene, de tipo vecio, naturalmente, a mano... tutto quel che volete, però centocinquantamila lire dopo pochi giorni, appena montata mi ha offerto centocinquantamila lire... Tenete presente cosa... Eravamo nel tempo nel quale con sessantacinquemila lire comperavate le macchine, ricordate bene. Forse era passato un pochino, non tanto, perciò... Il denaro stava scivolando un pochino, ma non proprio proprio.

MO339,20 [25/27-12-1970]

20. Ricordiamo qualche altro fatto che voi conoscete molto bene. Per esempio, quello della prima casa, il primo pezzettino di terra.
Quella casa lì, davanti all'Istituto, di Liani, la prima quella lì. C'era solo quella casetta lì una volta... nella stradella Mora, in principio, solo quella lì; poi c'era quell'altra in fondo, di Carraro, cioè di... di... no. Di quello che abbiamo buttata giù, del fiorista; c'era Carraro una volta lì, e poi quella in fondo, l'ultima. In stradella Mora c'erano solo tre case. Lì c'era Liani, quella del fiorista e quella lì in fondo ultima di Chimetto. Io gli ho domandato e lui aveva chiesto centomila lire della casa con duemila mq. di terra, vero. Certo che era poco duemila metri, perché non si poteva neanche giocare, né niente. Ma, oh, amici, da sotto il palco, avere una casa con duemila metri di terra, tempo di guerra, sarebbe già stato, sì. Capite, da uno che non aveva neanche le braghe, ad avere anche il mantello è già qualche cosa. Dopo arriva la bicicletta... dopo co arriva l'automobile, dicevo: "Ero povero...". Ma intanto, in quel momento lì, per me sarebbe stata una ricchezza. Vorrei sottolineare qui tutti i particolari un po' della mano di Dio. Se noi avessimo comperato da principio quella casetta lì sarebbe stato un disastro, perché non ci sarebbe stata possibilità di svilupparsi attorno, e con una casetta fatta su... come una famiglia privata, insomma, bisognava poi buttarla giù e comperare un altro pezzo di terreno in altra parte. Avevo cercato in vari posti della città, cercando il posto, e tutti gli altri posti son cascati dopo il bombardamento, tre posti, tre bombe... ta ta ta! Avevamo intivato proprio male... Lasciamo stare quei particolari lì. Avevo fissato ormai la testa lì e... purtroppo. Io sono andato un paio di volte da don Giovanni Calabria: "Cosa ne dice?". "Ma, senti, vedi, cerca tu, arrangiati tu. È inutile cercare che il Signore ti dia il disegno della casa, ti faccia...". Tutta la parte umana c'è voluta, insomma. Mia mamma continuava a dire: "Chissà che el Signore te apra una strada. Te me mori, fiolo, te me mori". Perché, invece de andar a riposar al pomeriggio, dedicavo quelle ore lì, dall'una alle tre - dopo c'era l'oratorio, non potevo più muovermi - in cerca dell'ambiente. Sono andato vicino a Monte Berico, là vicino alle scalette. Perché don Giovanni ha detto: "Magari una chiesa vecchia, se trovi una chiesa da riaprirla al culto", perché lui aveva cominciato con una chiesa vecchia su a San Zeno in Monte. E allora anche là c'era una chiesa vecchia, vicino alla Madonna del Porto, no? Passato lo stabilimento di Rossi, non c'è una chiesetta lì, dentro là? Poi ho guardato dentro nell'interno, c'è pochissimo terreno... Ebbene, allora ho tentato di comperare la casa... cercavo di comprare, di vedere senza neanche un centesimo in tasca, no, con la stessa sicurezza che andavo a comprar una macchina, cercavo di comprare una casa, un terreno... Andavo in cerca... Ho tentato lì e mi hanno detto di no. Ma io pensavo di comprare la chiesetta, la chiesetta costava poco, ma poi tutta la casa di dietro, il cortile interno, e far là il posto. Poi ho cercato Sant' Antonino, dove c'è tutta quella strada, la circonvallazione, e lì mi hanno detto... Stavo per trattare un tre campi, un due tre campi, stavo per combinare il prezzo... Stavamo per vedere, trattare; a un dato momento c'è stato uno che mi ha avvisato, mi dice: "Guardi, c'è il piano regolatore: faranno venir fuori una strada", e perciò sarebbe stato un disastro, basta, avrebbe rovinato tutto. E allora abbiamo cercato... a via Riello dove c'è il cav. Barban, proprio dove c'è la curva della Genoveffa, non so se ve ne ho accennato. E lì, mi ricordo, dopo sono andato lì un giorno, subito dopo i bombardamenti, ho raccolto tochi de morto de qua, tochi de morto de là... la casa tutta quanta per aria. Conclusione, avevo fissato la testa lì perché una persona mi ha detto: "C'è un tizio che ha sta casetta e forse la vende".

MO339,21 [25/27-12-1970]

21. E, state attenti, vi racconto un particolare perché bisogna tener su un po' il morale della truppa.
Ho cercato: me la vende, non me la vende. Quello aveva cominciato con quarantamila lire, poi di più, cinquanta e poi centomila lire, poi ha detto che non la vende più. Un giorno mi trovo all'ACI con uno, e mi dice, siccome erano della bassa Italia i padroni di quella casa lì, e mi dice: "Allora compera quella casetta là nella stradella Mora?", el ga dito. "Ma el tasa, va là. - go dito - El xe quel napoletan là...". El gera el so fiolo quelo che parlavo insieme: "El xe me papà!". "Beh, el scusa alora". "Eh, ma l'è cussì, el xe fatto così me papà". Andiamo avanti... Fatto sta che el ga portà da quarantamila a centomila lire. Quando mi sembrava che fosse disponibile ormai, fosse maturo... Allora un giorno ho parlato, una domenica, con l'avvocato Giuliari e ho chiesto consiglio a lu. Commendator Volpi ho chiesto consiglio, cosa dice lui... perché c'erano alcuni che mi sconsigliavano perché era troppo in campagna, troppo lontano dalla città, troppo fuori. E allora siamo andati, dopo le funzioni dei ragazzi, l'avvocato Giuliari e il commendator Volpi, siamo partiti a piedi da Araceli e siamo venuti a vedere, guardare la stradella Mora, guardare sta casa, vardare il posto. E mi ricordo che, insomma, l'avvocato Giuliari: "Sarebbe buono, sì, certo, un po' fuori, ma insomma... poi la città si sviluppa...". Quando siamo arrivati di ritorno, davanti a Zuccolo, lì, mi dice il commendator Volpi: "Ma, senta. - dice - Lei che tratta con tanta sicurezza di comprare, di trattare, comprare, eccetera, così... - dice - e insomma quanti soldi ha?". E ho detto: "Commendatore, vuol proprio saperlo?". "Sì, mi dica con sincerità, siamo amici". "Trecento lire di debito". Si sono messi a ridere come matti, l'uno e l'altro. Allora io ho detto: "Avvocato, non c'è da ridere. Proprio lei si mette a ridere? Quando a Francesco, suo figlio, ho chiesto la volontà di Dio, io ho chiesto di fare quello che vuole il Signore, non quello che voglio io. Ora, qui si tratta solo di vedere se è volontà di Dio o no, e dopo il Signore penserà lu. Quando io ci metto la mia parte, il Signore mi ha detto di andare a cercare il posto, dopo mi dirà dove andare a cercare anche i soldi".

MO339,22 [25/27-12-1970]

22. E così, camminando, parlando in questa forma qui siamo arrivati a casa Giuliari, che era subito passato il seminario, là dove c'è un portone, dove mettono le macchine adesso, dentro lì, proprietà del seminario. Siamo andati dentro lì, ci siamo messi nel tinelletto e abbiamo incominciato a parlare: "Che cosa vorrebbe fare? Come la vorrebbe fare?". Prima eravamo andati sotto il palco a vedere i grandi laboratori, no? E siamo andati avanti un pochino, e a un dato momento il commendator Volpi ha detto: "Senta, - dice - cominci pure e tratti pure. - dice - Le centomila lire gliele do io".
Ecco, non so se voi avete mai provato queste cose qua. Le prime cento lire dell'avvocato Giuliari, le cinquecento lire, e queste qua. È stato il terzo colpo proprio forte. Passare da cento a cinquecento è stato un trauma, no? Adesso passare da cinquecento a centomila lire addirittura da paralisi cardiaca. Fatto sta, cari miei, che quella sera sono andato in chiesa così volentieri, la mattina ho detto la Messa così di gusto, ho pregato la Madonna così volentieri! Ma vi rendete conto che cosa vuol dire avere una casa? Pensate a due sposetti che stanno preparandosi per il matrimonio, e un dato momento passasse un signore e dice: "Ti regalo casa e tutto quanto". Io stavo per metter al mondo qualche cosa, no, mettere al mondo qualche cosa. E dove ci metteremo? In che posto ci metteremo? Che cosa? Trovare improvvisamente il posto e trovare la terra, la casa... Senonché il giorno dopo vado glorioso e trionfante, eccetera: "Non vendo più, non vendo più". Non vuol più vendere. Un altro colpo: "Non vendo più". Avevo paura de perder le centomila lire, no? Allora vado da Chimetto. Ormai mi ero innamorato del posto. Vado da Chimetto e dico: "Senta, non potrebbe lei vendermi un pezzo di terra? Siccome c'è una persona che mi vorrebbe pagare la casetta, così, così...". Se mi vendesse un pezzettino di terra dalla parte di qua... ecco, perché siamo andati di fronte... un pezzetto di terra dalla parte di qua, io potrei farla su la casa, no? E mi ero fissato su tremila metri di terra e con i soldi, con le centomila lire starci dentro, no?

MO339,23 [25/27-12-1970]

23. E sono andato dal commendator Volpi: "Senta, commendatore, guardi che saremmo disposti così. Me la darebbe per centomila lire, si potrebbe farla di qua e di là, eccetera". "Beh, beh, faccia lei, combini senz'altro... faccia conto sulle centomila lire". E vado allora da Chimetto, combiniamo. Beltrame, papà del geometra Beltrame, che è il santolo di Chimetto, vengono fuori coi picchetti, tracciano tutto quanto. Chimetto arriva in ritardo, riva in ritardo...
"No, non ve la vendo più la terra". "Ma senti, fiosso, non te ghe dito che...". "Ghe go pensà sora, go parlà con me sorela, non vendo". "Ghemo combinà tutto, xe traccià tutto, eccetera". Intanto el piccolo Chimetto, Beniamino, va visin là, ghe toca el picheto e lo rabalta. Chel'altro: bom, un scopeloto! Se ga insustà el papà: "Vien qua, caro tesoro, e lu santolo el se vergogna!". I scumissia barufare... E mi con la me casa che crolla per la seconda volta. A un dato momento el butta una frase: "El senta, se el vol comprare tutti i sie campi...". "Ma scherzelo? - go dito - Sie campi? Cosa ghin fasso?". "Sentì, o tutti i sie campi o niente... Prezzo buono, go parlà con me sorela, novantamila franchi, tutti quanti, quindicimila al campo". "Ma el fassa na carità! Cosa fasso con sie campi?”. "El senta, o tutto o niente, ghe ghemo pensà sora: se el vole comprare i sie campi o se no niente!". Mi, ve digo la verità, avvilio morto. "El senta, el me sappia dire qualche cosa; se el vol così o niente". Chimetto lassa impiantà tutto, el va via coi piccoli. Beltrame raccoglie i so picchetti, e mi con la bicicletta, va ben, molo, molo, torno casa. Ho centomila lire a disposizione: comprare sei campi per novantamila franchi, e dopo chi me fa su la casa? Vado dal commendator Volpi il giorno dopo e gli espongo la situazione: "Beh, senta, compriamo tutto". "E la casa?". "Beh, - dice - vorrà dire che le darò duecentomila lire". Pensate un momentino: se avessimo comperato i tre mila metri di terra, cosa avremmo dovuto pagare dopo il resto del terreno? Cosa avremmo fatto un anno dopo quando il danaro cominciava già a valere più niente? Chimetto più volte mi ha detto: "Quelle novantamila lire messi alla banca!". I xe sta là tutto il tempo di guerra in banca... El se ga trovà più gnente. “L'unica consolazione è di aver fatta un'opera buona. Se li avessimo dà a un altro sarissimo morti dalla disperasion", el ga dito.

MO339,24 [25/27-12-1970]

24. In mezzo poi, in mezzo a queste se podaria buttarghene... e fior da fiore, eee? Adesso in mezzo a questo, quando ho cominciato la piccola casa, mettiamo dentro quelle famose lenzuola quella sera che...
Dunque, per cominciare a far dormire i ragazzi, erano otto nove interni, messi a dormire in una piccola stanza come questa, messi per così, per così, in tutti i modi e in tutte le forme. E le lenzuola di mia mamma... e ne aveva tre lenzuola e le altre le aveva tagliate tutte; le lavava una alla volta: era tempo de guerra, vero... Io avevo parecchie lenzuola, che una mia zia dalla Francia mi aveva fatto un regalo: dieci dodici lenzuola, sa, i preti novelli, sa, una volta facevano la liscia una o due volte all'anno, nelle canoniche non avevano mica le lavatrici. Bisognava aver parecchia biancheria buona, che ti servisse per un domani. E li ho dati a sti ragazzini, no? Ricordo che la sera, verso le nove che entra mia mamma, lì, cioè entra un ragazzetto e mi domanda piangendo: "Son vegnù qua. El me tegna qua. Me mama ghe vole più ben al can che no fa a mi. La xe sempre imbriaga, eccetera". El pianse e el vol star lì. Cosa far? Lo conduco dentro: "Mama, ghe n’è rivà un altro, - go dito - xe rivà un altro". E la dixe: "Benedetto fiolo, dove xe che lo metemo a dormir?". "Metelo sol me leto". La se mete ridare: "No go gnanca on nissolo". "Ben, per i nisoli, in qualche modo el Signore provvederà, intanto daghe da magnare... lo metteremo in qualche parte". Ghe xe un corridoietto, no, a sinistra la cusina, io esco. Arrivo sulla porta, e arriva un cavallo, un cocio, smonta: "Me ga mandà el barone Rossi, cioè il marchese Roi a portare sto pacco de nissoi". Veniva da Cavazzale dove c’è il canapificio, no, e andava in città ogni sera sto cocio e passando, vien su da Cavazzale, porta sto pacco: dieci lenzuola nuove! Vo dentro col pacco e: "Mama, te ghe dito che manca i nissoi, no?". "Si... gnanca uno!". "Ben, so andà a torghene un pochi!". Me pare ancora de vedere le lacrime di mia mamma: "E dopo i dise che non ghe se la provvidensa, e dopo i dise che non ghe se la provvidensa!”. Vedere sto pacco de nissui nuovi... Me papà, quando vedeva quelle robe lì, el vardava... I omeni, te se... i omeni...

MO339,25 [25/27-12-1970]

25. Una sera vien una veceta de Saviabona, la me dixe: "El senta, don Ottorino. Ghe go portà una robetta... poco salo... no posso". E mi dà cento lire: "Pei tosi qua", la ga dito. Io sapevo che era una povera.
"La me diga la verità. - ghe go dito - Ela come gala fatto a metter insieme questi soldi?". "Beh... non importa". "La me diga la verità: gala magnà ancò?". "No". "A mezzogiorno?". "No". "Stasera?". "No". "Stamattina?". "No". E la me dixe: "Se non costa un po' de sacrificio la carità cossa xe che la vale?". Aveva preso il denaro, guardate che era povera, povera, che le doveva servire per il pane e me lo aveva portato per i ragazzi. E allora volevo lasciarglielo. "Neanche per sogno!". E allora l'ho presa, li ho accettati... e l'ho condotta dentro da mia mamma perché le preparasse qualche cosa da mangiare. Ma son di quei segni, capite chiaro, che valgono più di centomila lire per far su la casa. Quando te vedi una vecchietta che vien là e ti porta... è un danaro che ti scotta nella mani. Poi, il famoso buono dei fagioli.

MO339,26 [25/27-12-1970]

26 E poi, saltando un pochino un po' più avanti, la famosa bicicletta che m'è stata rubata da quelli della brigata nera, che ha sollevato le sorti di tutto l'Istituto, che ha chiuso un po' una partita della guerra per aprirne una di nuova. Pensate, e ricordate il particolare, no?
Alle Garziere di Santorso avevamo una quarantina circa di ragazzi, no... e un pochi erano su alla Madonna delle Grazie, aliter "Disgrazie", diceva don Aldo perché ghe gera sempre disgrazie col ndava su. Alle Garziere di Santorso bisognava far rifornimenti... Ormai avevamo messa sui cavalletti la macchina perché ormai c'era pericolo... non si poteva più girare con la macchina. E per cinque sei mesi io son andato... io seguivo le Garziere e don Aldo seguiva Santorso, sì, cioè dico... Madonna delle Grazie, e andavo in bicicletta a portarci due volte la settimana da mangiare ai ragazzi lassù; mi Procurarsi il magnare durante la guerra era fadiga anche col denaro, e quando non c'era denaro ancora peggio, e allora se andava per carità alla Camera del Commercio per qualche buono straordinario; il ragionier Pietrobelli era impiegato e ne sa qualche cosa... Allora si andava dal dott. Cazzola che era direttore: "Dottore, galo vanzà qualcosa?". Una volta mi ha dato un buono, mi pare fosse mezzo quintale o un quintale di fagioli. Mi dà il buono... Vegno casa trionfante: un quintale di fagioli, secchi s'intende, veci, straveci... Messi in acqua... polenta e poceto de fasui durante la guerra gera un pranzo da nozze. La gera fame, fioi! Mia mamma mi dice: "Senti, Ottorino, te ghe quel buono de fasui. Per piacere, va’ torli prima de mezzogiorno, che alora li metemo in moia stasera, perché domani non ghe xe proprio gnente". "Sì, mamma". Ma andare al consorzio prendere i fasoi, bisognava pagarli in contanti. E allora verso le undici la vien un'altra volta. Mi gero in officina in mezzo ai ragazzi, perché dovevo fare il maestro di lavoro e tutto. Ghe gera Mariano Bazzan con mi, come aiutante, aveva diciasette anni e bisognava tendare lu tre volte... Tusi da diciasette anni, te poi imaginarte, di N.N., poareto, me dava un po' una mano. Me ricordo una volta, che gavevino un carettino e el sitava far bagolo su par la siesa e me papà: "Oh, Mariano, xe peso dei tusi... po el rovina tuto, xe un pecà". "Eee, la provvidenza ghin manda un'altro dopo!". Capite la mentalità. Pomeriggio verso le due e mezza, tre, vien mia mamma: "Senti, scusa se insisto, ma guarda che non ghe se niente doman; se non te ve tore i fasoi cosa ghe demo doman a sti tosi?". E non volevo dir a me mama che non go schei, perché le mame xe mame, no, e farle soffrire... E verso lì, verso le due mezza, tre, vien dentro mons. Snichelotto. È venuto due volte, è stato lì all'Istituto, o meglio tre. Una volta quella volta lì, un'altra volta quando è morto mio papà, e una volta sono riuscito condurlo lì per condurlo a Grumolo a magnare la ua. Non credo sia venuto altre volte. Bene! E venuto lì, apre la porta: "Uuu... Don Ottorino! Una persona mi ha dato - dice - un'offerta per fare un'opera buona. Penso che sia un'opera buona sta qua, e allora la go portà qua", el ga dito nella sua semplicità. E el me dà la busta con mille lire dentro. Quando è andato via, dopo un poco è andato via... el me saluta... corro subito: "Mamma, adesso vo tore i fasoi", go dito. "E prima, parcossa non te si andà?". "Perché non gavevo i schei. Ora il Signore me li ga mandà, i xe settecentocinquanta franchi, el Signore min ga mandà mille, vanzemo dosentocinquanta franchi". E allora mia mamma tutta contenta, sono andato a prendere i fagioli con le mille lire.

MO339,27 [25/27-12-1970]

27. Qui ci sarebbe da ricordare le famose sessantacinquemila lire delle macchine. È inutile che ve lo ricordi, lo conoscete meglio di me nei loro particolari: le diecimila lire della signora Malvezzi, no, le cinquantamila lire del barone Rossi, scusate, marchese Roi e le cinquemila lire dell'arciprete di Sossano, mons. Meggiolaro, incontrato a Grisignano di Zocco.
Ci sarebbe da ricordare il famoso pane, famoso, di quella mattina che mancava il pane. Mia mamma mi chiama giù, si mette a piangere: "Non c'è neanche un boccone di pane". "Perché non me lo hai detto ieri sera?". "Per lasciarti dormire". "Tu hai mangiato ieri sera?". "No". E mentre stiamo così un po' disputando un pochino, apre la porta, entrano due suore con due valige, una di pane e una di polenta: le suore del seminario che sono venute a portare il pane che era stato avanzato il giorno prima dai seminaristi che erano andati a casa. Sarebbe da ricordare la famosa rete del ladro che vien a domandar la carità e che dice: "El me daga qualche cossa". "Ma, benedetto del Signore, non go niente. Manco de lu. Gavevo da comprar un poca de rete per chiudere, xe tuto aperto". "Penso mi!", el ga dito: "So dove che la ghe xe... stanotte vo torla e ghe la porto qua". "Nol scherzerà mia", go dito. "No, no! So dove che la xe. Doman mattina la trova". Il mattino seguente trovo un bel rotolo di rete in mezzo al cortile... Cosa volete fare? Il ladro non l'ho più visto, non sapevo chi fosse... Può darsi che sia stato un mandato dal Signore!

MO339,28 [25/27-12-1970]

28. Ci sarebbe da ricordare il "Signore, manda ferro".
Vedete, il Manzoni dice: "Son casi che non son casi". Ma adesso metti tutti questi casi che ci accompagnano giorno per giorno, momento per momento. Questo ragazzino mandato davanti al tabernacolo. Rendetevi conto che cosa vuol dire sospendere il lavoro. Per me voleva dire impedire l'entrata dei ragazzi, vuol dire non sollevare, eravamo nel '43, non sollevare delle vittime della guerra: ragazzi buttati nelle stalle, messi là a soffrire fame e disagi. Era un momento tremendo: non poter raccoglierli perché, perché mancava un po' di ferro per far su la casa. Questo ragazzino che va davanti al tabernacolo per due ore: "Signore, manda ferro. Signore, manda ferro". Al momento giusto, l'ultimo istante, mentre gli operai stavano per andar via, in fondo verso il pino, viene il camioncino col ferro, con le verghe giuste, con il numero giusto, spessore giusto di ferro... fermavo due tre giorni là e resto a Vicenza. Là c'era anche don Bruno Tibaldo, un boceta de prima media, la mamma che veniva attraverso i monti per trovarlo là; là c'era Trieste, il famoso ebreo.

MO339,29 [25/27-12-1970]

29. E andavo in bicicletta col portabagagli davanti e col portabagagli di dietro. Venivo a casa, e allora, sa, un po' alla Camera del Commercio, un po' di qua, un po' di baccalà, un po'... insomma quel che si poteva. Per il pane c'era la donna di servizio della contessina Thiene che era lì, che andava in giro con la carriola per le famiglie a questua del pane ogni settimana. Con la cesta portava a casa il pane, un po' di pane lo avevamo in carità. Molto mi hanno aiutato le suore di Santorso, un po' di verdura, qualcosina mi aiutavano loro... Carne, qualche bestia, qualche bombardamento copava qualche vacca provvidenzialmente e allora mi assegnavano un po' di carne; e allora portavo su dieci quindici chili di carne, portavo su ogni settimana, portavo là. Non avevamo frigoriferi allora, il frigorifero era un lusso, ma ce la davano al macello, ce la davano volta per volta un pezzo di carne così, con dei buoni speciali, quelli dei bombardamenti... sicchè in mezzo alle disgrazie c'era anche...
Ricordo: era un po' pesantino quel viaggio lì perché non si poteva andare per la provinciale, bisognava andar per strade di campagna, non asfaltate allora, per la questione dei bombardamenti; non si poteva andar, per esempio, per Villaverla perché c'era il campo di aviazione lì nella distesa dei prati, lì c'era un campo per piccoli aerei. Allora di solito si andava per Dueville, Montecchio Precalcino, attraverso lì si arrivava a Thiene per sopra... Bisognava andare attraverso vie di campagna, insomma, eccetera, si arrivava un po'... morti, insomma, ecco, sebbene avevo trent'anni circa, sa. Non son mai stato un pezzo grosso di salute.

MO339,30 [25/27-12-1970]

30. E ricordo che una volta - venivo a casa la mattina e tornavo su verso sera - arrivato a casa ho mandato con la mia bicicletta in giro per la città a far un po' di provvista, di roba, alcune cose, con i buoni, e viene a casa piangendo il ragazzo che era andato e mi dice: "Mi hanno portato via la bicicletta". Guardate che... scusate, adesso voi entrate a San Gaetano e biciclette ne trovate, sì, non sapete neanche voi quante. Ma guardate che allora biciclette voleva dire... A San Gaetano due ne avevamo, due. Portar via la bicicletta a don Aldo voleva dire tagliargli le gambe, tutto il movimento in città, una per andar su alla Madonna delle Grazie, e per me... Non avevamo mica altro.
E allora ho preso e hanno detto: "Son stati quelli della brigata nera", che erano di stanza al ricovero San Piero. Lì, vicino alla chiesa, sapete che ci sono due ricoveri. E allora ho detto: "Vado io a vedere". Vado dentro, eravamo alla fine degli ultimi giorni della guerra, vado dentro e trovo uno, dopo c'è il caporale, il caporale maggiore e riesco davanti al colonnello. Era in una stanza: pistole da tutte le parti, e avevano appena preso un partigiano al quale han portato via una pistoletta così... il colonnello aveva una pistola in mano e dice: "E se i tuoi compagni...", e maneggiava sta pistola... E io aspettavo fora dalla porta per andar dentro, e tutti gli altri armati, che stavano litigando con sto partigiano. Poi viene fuori un ufficiale, il colonnello vien fuori e mi dice... e dico: "Senta, signor colonnello. - dico - Guardi, m'è capitato così: io sono con quei ragazzi di Saviabona...". Sapete la questione che mi era capitata, che per poco volevano portarmi via l'Istituto. Lo sapete, no? Racconteremo anche quella... Era capitato questo: poco tempo prima era capitato il famoso capitano Polga, quello che ammazzava... dopo è stato ucciso anche lui verso Priabona, ma era il più feroce della brigata nera. Un giorno viene all'Istituto e dice a don Aldo, io ero via: "Abbiamo pensato di requisire tutto l'Istituto perché c'interessava a noi, eccetera, così, così". Don Aldo spaventà morto, poveretto, e dice: "Cosa femo? Il direttore non c'è, è via, vien a casa domani". "Quando lo possiamo trovare?". "Domani mattina senz'altro". "Gli dica che mi aspetti quì, eccetera, eccetera". La mattina dopo viene con tre quattro dei suoi armati fin sopra la testa e vien dentro lì. "Signor capitano...".

MO339,31 [25/27-12-1970]

31. "Non so se le ha parlato il suo aiutante, eccetera, eccetera. Abbiamo pensato che a noi occorrerebbe...".
"Volentieri. Pronto. A disposizione...". Facciamo un giro, insomma... Abbiamo girato più di un'ora con carte e cartine: "Qui mettiamo questo, qui mettiamo quello, qui mettiamo qua, qui mettiamo là". E mi ha detto: "Sa, reverendo, è la prima volta che in questo momento troviamo un sacerdote veramente comprensivo". E quando siamo arrivati di sopra c'era la camerata, ha veduto un po' i letti. "E questi letti... - dice - Qui possiamo mettere questo, eccetera. I letti li porta via". "E no! - go dito - Porto via, scusa". "Come facciamo? - dice - Ci occorre per mettere dell'altra roba". "Scusa, e i ragazzi dove li mettete a dormire?", ho detto. "Quali ragazzi?". "Gli orfani, i ragazzi che abbiamo raccolto sotto i bombardamenti, i ragazzi che abbiamo raccolto così... Noi vi diamo tutto, vero". "E, no i ragazzi! Dove volete che li metta io?". "E no, - ho detto - per carità... noi lasciamo qui tutto, anche i letti, tutto. Dove volete mettere dormire i ragazzi?". "Ci sono anche i ragazzi? Reverendo, - dice - allora lasci che ci orientiamo in un'altra parte". Così mi ha lasciato stare. In un'altra circostanza... vi racconterò quella della tipografia... Voleva far chiudere la tipografia. Fatto sta che ormai avevo avuto qualche piccolo scontro con quelli della brigata... ma sempre uno scontro signorile così, no, in forma tale che non mi ero mai urtato. Perciò ho detto: "Guardi, signor colonnello, adesso siamo in questa situazione: ho i ragazzi a Santorso, cioè alle Garziere, ci abbiamo i ragazzi dall'altra parte e dobbiamo portarci da mangiare. Mi serve per portar la roba". Allora si è visto l'uomo. "Reverendo, - ha detto - guardi, noi siamo alla fine e dobbiamo scappare, dobbiamo scappare... Abbiamo bisogno delle biciclette per scappare via. Sarà questa notte, sarà quest'altra notte, ma dobbiamo scappare tra un paio di notti perché ormai stanno avanzando". Pensate che avevano le mani macchiate di sangue. Dice: "Senta, abbiamo bisogno delle biciclette, si prenda quello che vuole qui, guardi, - dice - vuole macchine da scrivere, vuole... - dice - Per la bicicletta le do magari una calcolatrice, due tre macchine da scrivere buone...". Poi dice: "Guardi, se vuole una macchina, ho qui un camioncino, una 1100: mancano le ruote, ma può portarsela a casa, eccetera.

MO339,32 [25/27-12-1970]

32. Mi faccia un piacere, - dice - mi dica una preghiera, mi dica una preghiera. Poi vorrei chiedere un piacere: guardi, noi scappando abbiamo bisogno di soldi... Non potrebbe - dice - prendere tutto il magazzino, le diamo in mano tutto per i suoi ragazzi?".
E dico: "Ma, sa, domani come me la cavo?". "Facciamo fattura regolare. Lei mi dà qualche cosina di soldi". E allora sono andato in prestito dalle Suore Poverelle di centoquarantasettemila lire e dopo aver... Mi hanno fatto tanto di ricevuta, di fattura, comperato, eccetera, eccetera. E allora con sei sette carrette e carrettini, e mussi e tosi, eccetera, abbiamo perso una giornata intera per portare a casa tutti i magazzini. Pensate, avevano per cinquecento persone: stoffa nuova, da inverno e da estate, per far cinquecento vestiti. Avevo tutto il necessario per cinquecento persone, di maglie, di maglie nuove... per attrezzare cinquecento persone di maglie... perfino il sacchettino con la forbice e i aghi, bottoni per le riparazioni, no... cinquecento doppie paia di scarpe nuove, da estate e da inverno, cioè mille paia di scarpe. Voi non avete idea di cosa abbiamo portato a casa. Abbiamo riempito delle stanze di ogni ben di Dio, ogni ben di Dio. Abbiamo terminato alla sera verso le undici e mezza, mezzanotte. Già i partigiani gridavano: "Ma voi state portando via". "No, abbiamo comperato". Io stavo alla porta a dirigere. Ogni tanto qualche partigiano che mi avvicinava, qualcuno lo conoscevo, no: "Ma... voi, cosa state facendo?". "Regolarmente comperato, stiamo portando a casa". Fatto sta che dopo finito, abbiamo venduto per un milione e mezzo di roba, venduto... Dopo aver fatto una divisa a cachi per tutti i ragazzi. La signora Tosato ci ha fatto la fattura gratuitamente. E alla processione del Corpus Domini già del 1945 tutti quanti ottanta e più ragazzi erano in divisa. Ma erano gloriosi!

MO339,33 [25/27-12-1970]

33. Questa era l'idea. Il Signore ci ha detto: "Questa è la strada". Perciò: umiliazioni o non umiliazioni, difficoltà, difficoltà con i ragazzi, difficoltà con l'ambiente, difficoltà... Pazienza! Le avevo già messe in preventivo... Il Signore, chiarissimo, mi ha fatto capire che voleva la Congregazione così. Si trattava di arrivarci attraverso un'opera caritativa, perché era più facile, durante la guerra, era più logico, no? E allora bisognava affrontare in pieno l'opera caritativa, tutte le difficoltà, tutti i rischi e le umiliazioni, tutte le pacche, tutte le incomprensioni. Ma, per carità, neanche una parola. Ma il sangue bisognava versarlo, non c'è niente da fare. Qui non è caso di sottolineare i sacrifici: quelli li sa il Signore, come sa i peccati, vero, che ho commesso e le miserie che ho commesso.
Però bisogna che sottolineamo questo in questi anni, fino al '52, che ho appena accennato ad alcune cose, ma c'è stata una presenza di Dio, vorrei dire, quasi matematica, impressionante, che qualche volta ti lasciava senza fiato, ecco. "Ma, insomma, Dio, Dio dov'è?". Quando don Calabria è venuto là nel cortile e ha detto: “Ma, Dio, non senti che qui Dio c'è, io sento Dio. Don Ottorino, ma qui c'è Dio, qui c'è Dio!". Ecco, questa presenza di Dio, presenza di Dio, questa sensazione della presenza di Dio, ma la avevamo chiaramente, insomma, ecco. Quando mio papà, nel fatto delle sessantacinquemila lire, alla sera come commento con me mama in leto el dixe: “Senti, ciò, Clorinda. Xe parchè mi conoso me fiolo, so chi che l'è, se no me vegneria de tentar de dire che el xe imparentà col diavolo". E mi ricordo stava là in mezzo al granoturco perché lui sapeva che aspettavo sessantacinquemila lire per comprar le macchine... "Ma, fiolo, cosa feto, cosa feto? Sessantacinquemila franchi de macchine?". E allora ghe go dà la busta: "Papà, ti non te ghe credi miga alla provvidenza?". "Sì, ghe credo, ma non gavaria mai pensà che la te ghesse mandà i diesemila franchi stamattina. Diesemila franchi: seto cosa che vol dire diesemila franchi?". Quando che sento Vinicio dire: "Mi gavaria dovudo lavorare tante ore", mi le gavevo sentio dire da me papà quele robe lì: "Quanto mi dovaria lavorare per ciapare disemila franchi! Però, gheto coraio adesso, con diesemila franchi comprare? Come feto, don Ottorino, come feto?". "Senti, popà, e vuto che la provvidenza me abbandona?".

MO339,34 [25/27-12-1970]

34. "Sì, ma varda che andare a sessantacinque ghi n'è altri cinquantacinque".
"Papà, - go dito - varda", e go tirà fora na busta rossa. La go ancora davanti. "Conta cosa che ghe xe qua dentro". I gera cinquantamila lire. Me pare de vederlo sto uomo in mezzo al sorgo. "Ciò, no capisso pi gnente... Dove sito andà a torli?". "Te go dito che ghe xe la provvidensa". "No capisso pi gnente, non capisso pi gnente...". I xe colpi, i xe colpi... La paura tremenda mia xe questa: che noialtri se abituemo a ste robe. Vardè che ogni intervento della provvidenza de Dio dovrebbe essere sempre il primo. Son convinto che la Madonna lo vedeva sempre il primo; cioè, la xe una grazia attuale ogni volta. Guardate che ogni intervento della provvidenza, anche quello che abbiamo detto l'altra sera, dei duecentomila franchi, per esempio, la Teresina ha dato duecentomila franchi per il cinema, perché si diffonda in tutto il mondo. La Teresina mi ha dato una letterina con duecentomila franchi per il cinema. La go in scarsela e me par de sentire el calore de Dio. Insomma, te resti massa colpito con ste robe qua, gnente da fare. Colpito, non per il cinema, per questo Dio, insomma, che xe presente, ecco. Mi go vossù tirar fora questa sera qui in clima natalizio un po’ alla base della Congregazione alcuni particolari che adesso poi continueremo domani mattina... ma, per farve capir, tusi, che non bisogna mia ca scherzemo, insomma. Bisogna ca sentimo questo Dio che sta camminando invisibilmente con noi, sta camminando invisibilmente con noi. Guardè che sarebbe doloroso un domani far la costatazione degli Apostoli di Emmaus, i discepoli di Emmaus, dire: "Ma... come mai i nostri occhi... come mai che non lo hanno visto?". Il giorno della morte dovessimo dire: "Ma come? Camminavamo con Dio e non l'abbiamo visto, lo avevamo insieme, era lì, era vicino a noi, e non l'abbiamo visto". Perché, perché dobbiamo aspettare il giorno della morte per accorgerci che Dio stava camminando con noi?

MO339,35 [25/27-12-1970]

35. Continuiamo un pochino. Poi, i famosi cinque milioni, per esempio...
Se vi ricordate bene, che alle undici e tre quarti c'era una cambiale che doveva... - tiriamo fior da fiore, no? - alle undici e tre quarti la cambiale da pagare che si poteva rimandare al massimo al lunedì mattina; i ragionieri sanno cosa vuol dire. Guardate che allora... Adesso se ti trovi male con cinque milioni, Zeno, tu vai, telefoni alla banca... in qualche modo ti salvi, ma allora era perder il sonno, miga scherzi! "E adesso dove andemo? Da chi andemo in cerca de cinque milioni?". Guardate che l'Istituto non era conosciuto come adesso, non aveva la stima di adesso, bisognava andar per carità di una firma, e dopo la banca... Se vado adesso alla banca e ho bisogno di dieci milioni, vado là e immediatamente mi fanno il fido... insomma, o una banca o l’altra... ma allora no, allora gera un pensiero. Ricordo anche con don Aldo: "Cosa facciamo o non facciamo? Dove andiamo e dove non andiamo?". Undici e tre quarti... "Beh, senti: intanto preghemo! Abbiamo tempo fino a lunedì mattina; domani, domenica, andremo in cerca". E dovevo andare in città a confessarmi. Va ben: "Undici e tre quarti; se voio fasso tempo, vado lì, tic, tac". E al pino trovo la sig.na Pulcheria: "Eh, don Ottorino, non el vaga via, son vegnù qua un momento. Sa, gavemo fatto i nostri calcoli, là e - vago a casa subito, no? - sono vegnù fora dei soldi: cinque milioni, e ghemo pensà de comprar un appartamentino tanto per capitalizzarli un po’ e, ieri sera, in vaporetto, go comincià a pensare, pensare che forse voialtri gavì bisogno, che, forse... E allora la tentazione fra comperare l'appartamentino e forse ghi bisogno, tutta sta notte non so mai sta bona dormire, pensando che forse ghi bisogno". E ha detto: "E stamattina go ciapà la macchina e son vegnù qua apposta da Venezia a portarveli. Eccoli qua". E mi dà i cinque milioni: cinque assegni di un milion l'uno!

MO339,36 [25/27-12-1970]

36. Semo alle undici... Mezzogiorno e un quarto quando vado a pranzo, mangiavo assieme con don Aldo, andavo a mezzogiorno a mangiare di là, e si faceva la lettura a mezzogiorno. Mi son qua, don Aldo xe qua e Valentino xe de qua. Go preso tre milioni su una scarsela, mentre stanno facendo la lettura, tiro fora e ghe do a don Aldo un milion, ghin dao un altro, do il terzo. Allora i scomissia ad accorsarse gli altri, vero.
Ferma la lettura: "Insomma, cosa succede qua?", el ga dito. "Ma da dove vienli?". "Provvidenza", dico. "Ma se poco fa se ghemo lassà...". "Provvidenza!", ho detto. Ghemo comincià a discutere de la provvidenza. Valentino: "Provi a guardare in scarsela se ghe ne xe dei altri". "No, te vui massa, adesso!". Dopo un tochetelo tiro fora anche gli altri due. "Provi a guardare ancora...". Ma, guardate, son cose, amici miei, che sono indescrivibili. È difficile descriverle fuori, farle capire a uno fuori, cioè far capire la forza del segno, amici miei, del segno. Mons. Rodolfi che ci dice: "Cercate la volontà di Dio e avanti, non aver paura! Il Signore provvederà al resto, va avanti per quella strada". Avete capito?

MO339,37 [25/27-12-1970]

37. Cioè, per me, come quando è stata guarita mia mamma a Lourdes, io ho avuto la certezza che sarei arrivato al sacerdozio perché mia mamma aveva chiesto di guarire per condurmi al sacerdozio. Io avrei giurato dopo la prima media che io sarei arrivato al sacerdozio, ma ero certissimo, ma io non ho mai discusso la mia vocazione, neanche pensato di non poter andar prete. E mi venivano le tentazioni impure, e avevo delle altre tentazioni, come possono capitare a una certa età... ma le cacciavo subito, basta. "El vol che sia prete el Signore, chiarissimo". È chiaro? Era la questione se la vita missionaria o qua. Ma andar prete...
E così, io penso, vedete questi passaggi di Dio, sono segni che sei sulla strada, perché a un dato momento il Signore ti lascia subito un pochino, si ritira un pochino. E allora pensaghe su... che non te sii drio sbagliar strada, vero? Tante volte il Signore guardate che viene, anche se tu sbagli strada, ma non vuoi sbagliar strada. San Piero quella volta famosa, no, quella del pesce: "Beh, veramente, - ha detto - il figlio del re deve pagare o no? Ad ogni modo per questa volta va’, ciapa el pesce, tira fora la moneta". Perciò, chissà quante volte il Signore ha pagato anche gli sbagli che abbiamo commesso, forse dei debiti che non dovevamo fare, delle spese inutili che abbiamo fatto o fatte male. Ma sapeva già il Signore che abbiamo dei limiti. Se lo sforzo nostro è quello di servire il Signore, di fare la volontà di Dio, e qualche volta sbagliamo o perché ci pensiamo poco o ci consigliamo poco o anche per cattiveria e ci pentiamo. Ma certo non ci lascia in braghe de tela, ci aiuta al momento opportuno. È giusto? Ora, il nostro sforzo dev'essere quello, ecco, quello della volontà di Dio, e mi sforzo di andar per quella strada là. La mia imperfezione, la mia cattiveria mi fa anche sbagliare, mi fa brusar la pignatta. Ma il Signore sa che io ero misero, ero balbuziente e ti manda un'altra pentola, ma questo è matematicamente sicuro. E così hai un segno ancora che sei sulla strada buona: "Cor contritum et humiliatum Deus non despiciet".

MO339,38 [25/27-12-1970]

38. E i famosi dieci milioni per l'officina, per esempio.
Quando me mama poveretta nel ‘54 - saltiamo di qua e di là - mi fa osservazione: "Sei proprio sicuro che sia la volontà di Dio?". Il termine era sempre quello, no? Due fabbriche contemporaneamente: ampliamento della Casa dell'Immacolata e l'officina. Spesa dell'officina circa undici milioni, undici milioni e mezzo. Casa dell'Immacolata la spesa pressapoco uguale. "Benedetto fiolo, pensa quanto te te impieni de debiti". "Ma, mamma, sta’ attenta: i tosi dall'Immacolata non ghe sta più... O femo de manco tor su tusi, ma ghemo da preparare i preti, ghemo da preparare i diaconi. Nell'Istituto non i ghe sta più, nell’officina te vedi come ca semo messi. Ora, o se fermemo o andemo avanti. È necessario assolutamente da una parte e anche dall'altra; el Signor provveda in qualche modo". "Sì, fiolo mio, qua bisogna pregare, pènsaghe sora, pènsaghe tanto. Attento che non te fassi la tua volontà, che sia volontà de Dio, basta! Mi son contenta lo stesso". Pensè adesso un fiolo che va davanti al Signore: "Signore, fa’ un piassere, dimme cosa che te vui". Giusto? E il Signore che ti risponde dopo due tre giorni, un giorno, due a Roma. I sogni son sogni, dite quel che volete. Mons. Rodolfi che mi dice: "Va’ avanti tranquillo, cercate di fare la volontà di Dio, sforzatevi, cercate la volontà di Dio". Sogni son sogni! "Quando che a vai a casa, vedrai che ti arrivano i dieci milioni, subito". Arrivo a casa: nello stesso giorno arrivano dieci milioni... "Mama, varda che xe rivà diese milioni... Mi me sento tranquillo... La xe la volontà de Dio".

MO339,39 [25/27-12-1970]

39. La chiesa: richiesta entro ottobre la grazia, vi ricordate. Chiesti almeno cinque milioni, e la sig.na Valeri che si impegna poi di pagare completamente la chiesa.
Il terreno per l'esternato. Là, con don Aldo, col tombino: che sia volontà di Dio o non sia volontà di Dio. Arriva il comm. Volpi, un'altra volta strumento della provvidenza, e el dise: "Ma cosa steo a far qua?". I ragazzi erano andati a Monte Berico a pregare e il Signore fa capire, insomma, che vuole anche lì qualche cosa. Possiamo aver sbagliato, intanto l'idea era di far la volontà di Dio, di fare la volontà del Signore, e intanto ti arrivano... Ha detto: "M'impegno io, i soldi li do io. Quest'oggi - dice - ho preso in mano l'annuncio funebre di mio padre e di mia mamma, e ho pensato che non ho fatto ancora niente per ricordare i miei genitori, e allora son venuto verso qua a vedere se avete bisogno di qualche cosa. Vedo che avete bisogno del terreno: andiamo a combinarlo subito". Siamo andati da Chimetto; ancora quella sera ha firmato. Poi siamo andati su a Monte Berico a ringraziar la Madonna, erano le dieci di sera, a ringraziarla lui e a ringraziarla noi. Era chiusa la chiesa, abbiamo recitato la corona attorno, fuori della chiesa, per ringraziar la Madonna. I ragazzi erano andati prima: 25 agosto, per pregarla.

MO339,40 [25/27-12-1970]

40. Il terreno famoso di Vidale.
Ci dice un giorno, il giorno delle elezioni: "Ma perché non lo comperate? Guardate che vi è necessario, guardate che vi occorre". E poi questa persona dice: "Ve lo pago io". E qui ci sarebbe ancor da andar tanto avanti, ma il tempo... Vorrei chiudere sta partita stasera. Saltiamo un pochino. Concluderei sottolineando, così correndo, due tre particolari. Il dono, per esempio dei Vangeli. La provvidenza di Dio ci ha fatto aprire la legatoria, che ci ha potenziata l'officina, la tipografia, e che ci ha dato la possibilità di stampare il Vangelo. Pensate, se non avessimo questo lavoro dovremmo continuamente rivolgersi a destra e a sinistra con lavori saltuari, diversi. Che bello che è invece poter dire: "Stampiamo il Vangelo", anche per voi, dinanzi alla gente che viene, no? È un mezzo di apostolato nel vero senso della parola perché effettivamente lanciamo il Vangelo in giro per il mondo e nello stesso tempo ci aiutiamo, aiutiamo la provvidenza. Mi pare che anche questo va considerato come uno dei doni grandi che la provvidenza ci ha fatto, al momento giusto. Ieri, quando eravate più piccoli, mandava il pezzo di pane o mandava il milione; oggi ti manda la macchina, ti manda il lavoro e dice: "Adesso, piano, adesso ti aiuti un pochino". È giusto? Sottolineiamo qualche particolare. I dodici milioni, per esempio, dell'Isolotto. Non vi dicono proprio niente i dodici milioni, in questi ultimi giorni qui? La Villa San Giovanni. La sig. Trestin che è arrivata e che ha dato dieci milioni di titoli? E vorrei che adesso non io, ma don Zeno sottolineasse un particolare che credo sia un po’ tanto efficace. Vi ricordate a suo tempo che abbiamo parlato di quella vecchietta del ricovero di San Piero, che faceva di meno di bere il caffè, che si sacrificava "per i preti di don Ottorino, per i preti di don Ottorino". E alla morte ha lasciato ottocento e tante mila lire per i preti di don Ottorino... Ora, guardate, se voi siete con lo spirito che avete, se le doti anche esterne si sono sviluppate come ringraziando il Signore si sono sviluppate, forse lo dovete a quella vecchietta che faceva di meno di bere il caffè, che faceva di meno di bere l'aranciata, che soffriva la sete, cieca, che per tanti anni ha servita la sua padrona. Vi ricordate i particolari... Ma di queste anime, come quella vecchietta che ha portato le cento lire, no, ce ne sono ancora. E stanno ancora una volta a dimostrare a noi: state attenti perché ci sono delle anime buone che forse vi battono, delle anime apostoliche che forse vi battono.

MO339,41 [25/27-12-1970]

41 E c'è una certa donnetta che può terminare, quella anche un po’ in allegria, che si chiama Genoveffa, che ci verrà descritta da nostro caro don Zeno.
DON ZENO: Bisognerebbe conoscerla la Genoveffa! Adesso la xe all'ospedale, poveretta. La ga fatto proprio in tempo, giusto prima de ammalarse.... de andare all'ospedale, de fare testamento. Comunque Genoveffa la xe una donna veramente umile che ha passata la vita a servire, preti tra l'altro. Ed è sempre stata trattata molto male.... ma lei non è che si lamenti, anzi dice: "Per i miei meriti - dice - il Signore me ga da anche massa. Me accontenteria solo de poder solo darghe uno sguardo al Signore e po basta". Beh, comunque la ga, pensè, che ella la ga fatto trent'anni con un sacerdote, che non so neanche... Don Ottorino forse lo conosseva. E la ga messo con questo tutti i suoi risparmi per comperar una casa, e insomma i ga comprà mezza casa assieme; prima i gaveva cercà anche de imbrogliarla; i ghe ga intestà questa mezza casa. E, a un certo momento, quando che lu non el podeva più tegnerla alle sue dipendenze, el xe andà al ricovero de Rosà, el ricovero dei sacerdoti. E ela, allora, xe andà a lavorare dai Giuseppini. E de giorno la lavorava là dai Giuseppini, e alla notte andava ad assistere, andava a Rosà ad assistere questo prete il quale, poveretto, alla fine, per ricompensa, el ghe ga lassà questa casa che i gaveva metà per ciascuno. El ghe ga lassà l'usofrutto della sua metà, no, e la proprietà della casa alla Casa del Clero. Però ela, per accettare l'usofrutto, bisognava che la rinunciasse subito alla sua, anche alla sua metà a favore della Casa del Clero. Tanto per dirvi, insomma.. Ecco, per cui ha dovuto ricomperare la casa, proprio lavorando come donna de servizio, insomma, la ga ricomprà questa casa. Oh, ella la xe nella zona de San Paolo, ecco, per podere mettere da parte un pochi de soldi; ela la ga sempre pensà de aiutare i missionari. Alla fine aiuta i missionari. Ha detto. "Mi pensava de aiutare i missionari, de mandare alle missioni...". Vardè che la ga una fede veramente commovente. Per poder realizzar ancor de più, la xe andà a star in una catapecchia, ecco, dove che la gavemo conossuda noialtri. La casa l'ha data da affittare; con i risparmi ha fatto un terzo appartamentino... E adesso la donna la ga el problema, la dise: "Mi vago a stare questo appartamentino che la se gaveva fatto fare per ela; quei altri due mi li affitto, e con un poca de pension mi stago là e stago ben". Invece la ga pensà: "Mi son massa egoista. Xe meio che aiuta i missionari". La ga trovà un parente che ghe ga parlà de San Gaetano, e alora xe sta quando che semo entrà in scena noialtri. Pensè che ela, poareta, pensava che al momento de fare testamento: "Ghe lasso, e dopo se gavarò bisogno de qualcosa...". Invece dopo ga parlà anche don Ottorino: "La varda, saria meio che la vendesse, noialtri ghe demo...". Insomma, davanti a ste robe, la ga rinuncià, e vardè che la gera tacà veramente. Provè pensare, la ga lavorà settant’anni, la ga messo da parte risparmi, la ga di fronte la vecchiaia, e la rinuncia a quello che la ga fidandose de noialtri... Se domani la gavarà bisogno, ghe daremo... Insomma, la ga fato testamento e la xe sta contentissima: ogni volta che andemo là la piansea e la disea: "La xe sta la roba più bela che go fatto!". Dopo xe andà don Ottorino e xe sta per combinare, per vendere la casa. Poareta, la ga fatto na specie de collasso, la xe in ospedale, speremo che la se tira su; comunque gavemo za el testamento in mano, la casa costerà dieci milioni... E non la vol mia vegnere a Villa San Giovanni, la vole andar là in fondo, sotto i portici, perché la dise che non la xe degna, e la vol vivere da povera.

MO339,42 [25/27-12-1970]

42. Io vorrei aggiungere a questo la provvidenza de Dio che ha aiutato anche le varie missioni: in Guatemala, voria dire in tutte le parti, in Argentina, in Brasile. Si è vista la provvidenza anche all'Isolotto stesso. Ga mai mancà el pan a sta gente? A Crotone i ga el necessario. Ti, Raffaele, te ghe visto, no? Daniele, ghi visto. Ghe ga mancà a Roma el necessario? Dappertutto i ga trovà chi che ghe ga dà una mano. Insomma, xe vero che se lavoremo per il Signore el Signore xe bon, el ne dà anca el soprappiù. Go visto all'Isolotto che praticamente no i spende quasi gnente da mangiare, i dà via, i fa carità dappertutto. A Roma te vedi: Frattini che ghe dà el vin, quell'altro che ghe dà l’olio, quell'altro.... Insomma, quando l'uomo de Dio se dona, el Signore provvede.
Ora, go vossudo tirar fora questi segni materiali prima, perché fa forse una certa impressione ricordarli così, uno drio l'altro, messi insieme così, per dire: "Tosi, vardè che xemo sotto lo sguardo di Dio, insomma, e che non perdemo el tempo, e che non xe proprio el caso che se perdemo in stupidaggini, quisquilie, in bagoletti, insomma". Se xe necessario, fare un esame de coscienza, cominciando da mi, se gavì da richiamarme, diximelo; qua bisogna che se femo su le maniche, che femo quello che vuole il Signore, che non se perdemo in piccinerie, in bambinate: "Mi qua, mi là, mi sotto, mi sora". Qua siamo tutti chiamati da Dio e bisogna che xe mettemo in attenti, ecco. Domani passiamo al secondo punto: uno sguardo ai doni spirituali. Prima i doni materiali e dopo alcuni doni spirituali, che se i fa meno impressione sotto un certo punto de vista, però i xe più grandi dei doni materiali. Parola del Signore!

MO339,43 [25/27-12-1970]

43. Continuando il discorso di ieri sera, mi è venuto in mente appena fuori da qui, che mi sono dimenticato di un particolare, almeno di uno un po’ grosso, grosso, che avevo dimenticato: la campagna di Grumolo; l'è tanto grossa, se no Toni el se rabbia...
E era proprio alla fine del mese, c'erano da fare le paghe. È sempre stato un problema atroce quello delle paghe, problema, direi, più atroce allora, quando c'erano sessanta, settanta, ottantamila lire da pagare, che non adesso che sono milioni. Perché più di una volta dovevo andare in giro in città in prestito dei soldi per pagare, riservandomi di portarli entro otto giorni, entro sette otto giorni, dieci giorni. Uno che mi salvava "in extremis", sempre, era mons. Fabris, che era viceamministratore della curia. Mons. Stocchiero era amministratore, ma era scappato a Roma durante la guerra, era scappato via, era in Vaticano... e allora lui faceva un po’ d'amministratore diocesano. E prima tentavo in tutte le parti, poi andavo là, siccome era stato mio prefetto in seminario, mi voleva bene, ho detto: "Senta, don Antonio, può aiutarmi?". Allora lui mi prestava trenta, quarantamila lire della curia, metteva un bigliettino nella cassa e el me diseva: "Tasemo sempre: se moro i sa che te i ghe ti, e se non moro la ciave la go solo che mi, co te me i de i mettemo dentro; i me dirà che go fatto un'opera buona". Ma questo l'ha fatto decine e decine di volte. Quando mi trovavo con una cambiale da pagare e non sapevo dove sbattere la testa: "Don Antonio, el me faga una carità". Ero arrivato su qualche volta con la cifra... Un'altra persona che mi ha aiutato spesse volte "in extremis" è stato Zuccollo, non Ciccio, l'altro Zuccollo, Fortunato. Mi dava venti, trentamila lire, m'imprestava: "Fortunato, el scusa la libertà, porlo darme una man, per piacere, un pochi de giorni, sette, otto giorni?". Dopo sette otto giorni andavo in prestito da un'altra parte e li portavo lì. E d'altra parte, bisognava così... Na tragedia... Quando eravamo soli, che dovevamo affrontare il mercato per comprar la roba, dovevamo affrontare le paghe e tutto, bisognava arrangiarse e far così; e guardate che erano tempi piuttosto duri, duri, duri.

MO339,44 [25/27-12-1970]

44. E in uno di questi mesi, ricordo che eravamo arrivati alla fine del mese e bisognava far le paghe. E ricordo che allora erano settantamila lire. Paghe, eh... dovevano essere il giorno seguente o quel giorno stesso. Fatto si è che sono andato in giro per la città in cerca di soldi. Sono andato in bicicletta... ho concluso niente in quel giorno perché... "in extremis" andavo da mons. Fabris, ma prima si tentava se qualcuno poteva aiutarti, a darti una mano, da non doverli restituire, no? E poi si cercavano vie nuove. "Sa... vedremo, ci penserò", eccetera. Quante volte ho sentito: "Vedremo, ci penserò"! Quante volte sono entrato in chiesa a San Gaetano o ai Servi: "Signore, aiuteme, damme el coraggio de andar a domandar cinquemila franchi de qua, diecimila de là..."! Potrebbe parlare l'altare, prima che fosse... prima dei bombardamenti.
Ora, quel giorno lì sono andato in città e purtroppo non ho concluso niente, completamente niente. E verso la una e mezza tornavo, d'estate, quando che sono arrivà al ponte degli Angeli si buca una gomma. Sicchè ho cominciato a piedi... Tutte andavano storte... Adesso fate conto di luglio, con la gomma, a un boto e mezzo, fame, caldo, stufo, e il pensiero delle settantamila lire. Andavo avanti come un'automa, con le gomme xo...

MO339,45 [25/27-12-1970]

45. Forse uno dei segni per me personalmente, per me, che sono stati i più efficaci per farmi veder, per convincermi che non è opera mia, ma è opera di Dio, è stata, vorrei dire, la ritrosia umana, la difficoltà umana che ho sempre provato nel fare le cose.
Per esempio, quando sono andato a Verona da don Giovanni Calabria la prima volta, mi ricordo ancora che ero... Non ho trovato un posto a sedere, come al solito, vero, nei treni; ero nel corridoio, lì con la testa appoggiata su per il vetro - ho guardato a San Bonifacio per salutarti, ma non c'eri - con la fronte appoggiata lì, e continuavo a pregare il Signore: "Fa’ che don Calabria diga che son matto; chissà che...". Speravo che mi salvasse dall'impresa. Avete capito? Sentivo che c'era un'impresa che stava per avvenire, ma speravo che mi salvasse dall'impresa. E sì che avevo chiesto un segno, e sì che era venuta a confessarsi quella donna, no, ma nonostante tutto speravo che mi salvasse dall’impresa. Ora, vorrei dire, che in ogni cosa nuova, in ogni cosa che bisogna affrontare, sentivo sempre... per esempio, un momentino. Facciamo conto adesso, facciamo una proposta di fare... Cosa ne direste voi di fare domani che è festa? E allora subito Giorgio ha un'ispirazione: "Si potrebbe cantare questo e questo". Ma lo sa già che quando fa questa proposta poi dovrà sobbarcarsi il peso d'insegnare e far tutto quanto el resto. Ma lui deve parlare, ha il dovere di parlare. È giusto? Non dire... perché sarebbe comodo per lui tacere: "Perché mi domani go un programma, gavevo in programma di far un giro di qua e di là. Se io faccio la proposta, è chiaro che viene accettata, e se viene accettata io devo prendermi l'incarico poi di insegnare". Ecco, direi proprio questa cosa qui: ogni volta che si fa una proposta, un programma, nell'intimo si sente il bisogno di farlo, si sente il bisogno che venga quasi scartato per non portare il peso. Questa è la natura umana. Non so se sono riuscito a spiegare. Guardate che in tutte le cose, per conto mio, per me, il segno più grande, più grande, vorrei dire i paracarri che mi segnano la strada sono questa, non la soddisfazione umana, anche se può esserci una soddisfazione del far la volontà de Dio, può essere anche una soddisfazione umana in mezzo, ma non nel filone, nel filone. Supponi... stiamo trattando adesso il problema del cinema: può essere una soddisfazione umana in un particolare, se ti riesce bene, uno o qualcosa del genere, ma non tutto il filone. Quello lo fai, perché mi pare che vada bene farsi. Quando si è trattato di far il villaggio lo abbiamo affrontato da uomini. Si tratta di fare la chiesa, si tratta di fare l'officina, si tratta di fare un'altra cosa, no, si fa, ma non perché la natura umana ti porti a fare.

MO339,46 [25/27-12-1970]

46 Scusa, adesso noi siamo venuti su: non direte mica che la natura umana ci porta a restare qui tre giorni, no? Almeno con la situazione fisica che mi trovo io qua dei bronchi. Lo sa Vinicio, stanotte, che ha visto che gero là che sbolsegavo, no? Cosa importa? Questa qui è una cosa secondarissima. La gioia deve stare nel dire: "Mi pare che questa sia la volontà di Dio, mi pare che...", e allora avanti si va. Sottolineo questo perché guardate che non potete pretendere di dire: "Ma, forse non si è capaci di farla... che non sia volontà di Dio", perché non sentite soddisfazione. Quando non sentite la soddisfazione, quando vi vien la tentazione che sia o non sia la volontà di Dio, andate alla fonte che è il padre spirituale, i vostri superiori, per mettere e riguardare la firma, ma non per sentire il gusto o per tirar via il peso. Perché il peso...
Per gli Apostoli non è stata una gioia a udire: "Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo". Per San Paolo affrontare i viaggi apostolici... Guardate i viaggi apostolici: va là e sul più bello che si era riscaldato un po’ l'ambiente, via da un'altra parte per impiantarne un'altro. Magari essere preso, messo in carcere e bastonà... E dopo via da un'altra parte. Sul più bello che se riscalda l'ambiente, in cui si starebbe benino, no, impianta, lassa uno lì, e via da un'altra parte. Questa è la nostra missione! Xe sbaglià? Ora, attenti, anche in quel caso lì, di, ecco, tornavo con la bicicletta e stavo pensando adesso quello che pensavo allora. Voi non avete idea, umanamente parlando, dal ponte degli Angeli fino al seminario, quante, diciamole maledizioni ho dato alla Congregazione. Voi mi capite in che senso. "Maledetta quella volta che xe nato un omo", ga dito Giobbe, no? "Nol gaveo altro da fare? Metterme a impiantare una roba cussì, ma varda che rassa de testa!". Proprio lì, nel terreno che calpestavo prima senza pensieri, vero, dove ero cappellano a Araceli, già mi volevano bene in oratorio, qua... non avevo preoccupazioni economiche, non avevo mai le paghe da fare, avevo i ragazzi dell'oratorio.

MO339,47 [25/27-12-1970]

47. Soltanto per avere un'idea, tu, Zeno, che sei andato a Pessano, era un gusto fare il prete, no? Io, il primo anno, il sacerdote l'ho fatto così. Un ambiente, Araceli, che portava già el frutto del lavoro di mons. Tagliaferro, di mons. Zaffonato... era un posto meraviglioso; fa conto de essere a Pessano, direi ancora de più. Con la differenza che tutta la gioventù dell'Oratorio l'avevo in mano completamente da solo: seimilacinquecento anime; il parroco aveva il suo ufficio, eccetera, e io avevo il mio da assolvere, no? Un regno, potrei dire, anche umanamente parlando, di soddisfazione. Avevo più di cento giovani di Azione Cattolica, un centinaio di aspiranti, gli ex allievi dell'oratorio tutte quante persone della banca, qua e là... cioè gli amici... Insomma, umanamente parlando, apostolicamente parlando, ti sentivi prete insomma, ti sentivi prete. La mia stanzetta di sopra, durante il cinema, per ricevere giovani, confessioni, direzione spirituale tutto il cinema, la domenica fin mezzanotte e si davano il cambio, due tre fuori della porta che aspettavano. Ti sentivi prete. Da lì, capito, alle paghe degli uomini da pagare...
Quando vegnevo dal ponte degli Angeli, passando vicino alla porta Santa Lucia, quella stradetta dell'Araceli che avevo fatto centinaia di volte, dall'oratorio alla canonica, dalla canonica all'oratorio, dicevo: "Ma perché son andato a cambiar queste robe qua? Ma questa è la volontà de Dio e va bene, basta! Sia fatta la sua volontà". E avanti nell'incertezza: dove pescherò i settantamila franchi? Adesso vado a casa e bisogna che giusta la gomma perché gavevo imparà... Non se andava mia da Striolo, perché i soldi non c'erano... te te metevi e te la giustavi... Capisito?

MO339,48 [25/27-12-1970]

48. E quando arrivo davanti alla porta del seminario sta uscendo il notaio Zampieri: "Toh, varda, proprio lu! Gavea da vegner là - ga dito - o mandarlo ciamare, perché ghe xe una cosa. Il barone Rossi - che io non conoscevo neanche de nome, nel senso che non ho mai avuto rapporti col barone Rossi - ha lasciato all'Istituto una campagna de quaranta campi a Grumolo, e un milion e mezzo per fare la fattoria", el ga dito. Mi pare sia stato nel '46... però el milion e mezzo... el valeva ancora el milion e mezzo! A lo go vardà... "Sì, - ha detto - l'è andà dal vescovo che gli ha detto: passa all'Istituto San Gaetano". Questo bisogna riconoscere: è proprio il vescovo che ha indirizzato la beneficenza verso l'Istituto San Gaetano, e ci ha voluto bene sul serio.
Bene, capite adesso, improvvisamente, da le scarsele sbuse trovarme che avevo un milion e mezzo. Voi capite adesso, vado in prestito da una parte e l'altra, e dopo paghemo... Sa, è sempre la solita firma famosa. È logico che io non avevo le settantamila lire da far le paghe, ma avevo la sicurezza che il Signore m'avrebbe dato... insomma... avanti, coraggio! Sono iniezioni di coraggio, par quasi un'apparizione di un angelo che ti dice: "Continua il cammino, non sta aver paura! Va’ avanti, avanti!". Ecco, dopo, i particolari li sapete, che ancora il pomeriggio siamo andati con l’ ingegner Dal Conte, don Aldo e l’economo del seminario mons. Zilio a vedere la campagna, con la Balilla e, per istrada, nel ritorno, go copà una piegora... O copar na piegora o copar un uomo o andar contro una macchina o un carretto... Fra le quattro go scelto la piegora. Ecco, questo faceva parte dei fatti di ieri sera. E quanti altri ce ne sono! Caso mai, lasceremo a voi di raccontarli ai nipoti... Passiamo ora alla seconda parte, cioè alla seconda parte della prima parte, e cioè: i doni spirituali.

MO339,49 [25/27-12-1970]

49. Fra i doni spirituali ho messo qua, primissimo, proprio in testa, il dono del diaconato.
L'ho messo qui perché, l'ho scritto dopo, perché è il giorno di Santo Stefano, e mi pare che sia una delle caratteristiche della Congregazione. L'ho messo qui anche per un altro motivo: perché per me è stato un segno. Guardate che quando io l'ho detto le prime volte a voi che lo sognavo fin dall'inizio, forse qualcuno avrà detto: "Ma che sia proprio vero?". Poi penso che avete sentito più di una persona esterna che ha testimoniato che privatamente a qualcuno lo avevo detto. Ora, la Congregazione io l'ho sognata così. Quando a don Calabria un tempo ho detto: "Don Giovanni, io penserei così la Congregazione", "Sai, - dice - non domandare a me questo; domandalo al Signore". Non mi ha mai permesso che dica a lui le finalità della Congregazione e lo spirito della Congregazione. Lui mi ha incoraggiato, mi ha dato anima sulle linee fondamentali dello spirito, ma ha detto: "Il resto arrangiati con Nostro Signore". Quando da mons. Rodolfi sono andato per la prima casetta a portare il disegno, vi ricordate bene, non ha voluto neanche vedere il disegno; ha detto: "Io, tu sai, sono l'ordinario amministratore della diocesi; tu lo sai che io ci metto il naso un po' dappertutto, e perciò fa' un piacere, quelle cose lì intendetele con il Signore". Ero andato in treno fino a San Quirico, a piedi fino su a Fongara; mi ha trattenuto a pranzo... Ora, mi ha invitato lì a pranzo, neanche... forma di amicizia, no? Non ha voluto che aprissi il plico dove c'era il piccolo disegno fatto da mons. Miotti; la prima casetta è stata disegnata da mons. Miotti. E ha detto: "No, no! Tu capisci che se me li mostri io qualcosa devo dire, e io non voglio che le opere di Dio... Intenditela con il Signore; sbaglia pure su qualche cosa, non importa niente... intenditela col Signore! È opera di straordinaria amministrazione: deve guidarsela il Signore”. Ecco, un vescovo, che ha piena responsabilità della sua diocesi e dei suoi preti, che ti dà libertà di agire e che ti dice: "Arrangiati!".

MO339,50 [25/27-12-1970]

50. "Et Iesus autem tacebat". Guardate... un'altra cosa tremenda è quella di sentire il Signore che tace, vero. E sentire freddo e difficoltà di poter stabilire un rapporto. Mettete adesso l'aridità spirituale; il vescovo che dixe: "Arrangiate", no? Ben! E avanti, e vedere che il Signore vuole una Famiglia religiosa così, e bisogna farla in altro modo perché sennò non arrivi là... Cioè bisogna... e l'opera caritativa è stata utilissima, santa, ma è stato un mezzo per arrivare là.
Perciò ecco, io direi che uno dei segni per conto mio forti della nostra Famiglia è proprio il diaconato, che è arrivato al momento giusto, all'ora giusta, ma che già era stato preparato nell'animo prima. E prima del Concilio vi ricordate, quando sono andato da mons. Fagiolo, quando mons. Felici durante il Concilio ha detto: "Se chiuderanno la porta in Concilio, per voi lasceremo aperta la finestra". E vedete che oggi è una realtà per noi. Tra l'altro è da aggiungere che la Santa Sede si è fermata adesso nel dare, vero, don Zeno, nel concedere il diaconato ai religiosi. L'ha concesso a due famiglie religiose: noi e un'altra, e dopo basta, si è fermata, adesso. Non so. Lo sapevo già un pochino il motivo, in quanto che c'è un certo movimento tra le famiglie religiose. I padri non vorrebbero concedere il diaconato ai fratelli, anche i Comboniani, eccetera, "perché altrimenti - dicono - sono come noi, non abbiamo più i fratelli", insomma. Vuol dir non aver più i fratelli, vuol dire eliminare i fratelli. Perché sono venuti tanti fratelli da me a domandare in proposito. C'è tutta una mentalità... Guardate che il diaconato, credo che sia più difficile per il prete vivere con il diacono che il diacono con il prete. Cioè, che il prete capisca la missione del diacono, sbaglio? Perché sarà una cosa meravigliosa il lavoro tra diacono e prete e prete e diacono, ma quando il prete avrà capito quale è la missione del diacono, e il diacono avrà capito quale è la missione del prete. Nel Vangelo di stamattina, cioè nell'epistola di stamattina, i diaconi sono stati scelti lì, consacrati, imposte le mani, per dar la possibilità al prete di pregare di più e di dedicarsi alla predicazione. Ciò non dice che anche il diacono non abbia da predicare. Ma se a un dato momento il prete vuol fare tutto lui, vuole andare lui... perché deve apparire, perché deve essere lui e lui e lui... te capissi chiaro che allora il diacono diventa un servo e allora... quello non è il diaconato, allora quello è fratello laico.

MO339,51 [25/27-12-1970]

51. Se vogliamo che sia un fratello laico col diaconato perché ci aiuti a comunicare, allora no, è sbagliato. Dico male? Del resto tu hai visto, don Zeno, quando padre Huot ha detto: "Bisogna mettere chiaro, sennò dopo si vedono, eccetera", alludeva proprio a queste robe qui. Sapendo io tutto quello che c'era sotto un po’ nelle varie famiglie religiose, avevo avvicinato varie famiglie religiose ultimamente... o pezzi grossi o pezzi piccoli, ma se lo sai già un po’ quello che c'è sotto, ho capito che la questione era tutta lì. Quindi la questione non dev'essere una rivendicazione del diacono sul prete o del prete sul diacono. Qui dovaria essere...
Quello che abbiamo detto, vero, per il passato: che in un ospedale ci vuole il chirurgo e il medico. Se prima c'era un medico che faceva il medico e chirurgo, e non vuol saperne del medico, ha paura di perdere il prestigio, casca el palco. Vi ricordate di un certo ospedale di questo mondo: c'era un medico che aveva iniziato l'ospedale e faceva il medico e il chirurgo. Quando è arrivato il medico, questo chirurgo l'ha ricevuto male, ha detto male contro il medico e insomma, vorrei dire, per qualche anno non si sono neanche guardati in faccia. Perciò non c'era collaborazione fra medicina e chirurgia, e le spese le hanno sempre fatte i poveri disgraziati degli ammalati, perché non si aiutavano fra loro, giusto no? Erano come due ospedali staccati l'uno dall'altro. Mentre che l'ospedale va bene se c'è l'armonia e una collaborazione fra chirurgia e medicina. Ognuno si sente responsabile nel suo campo e sente il bisogno di collaborare coll'altro campo, giusto? Ora, nel campo nostro, diacono e sacerdote devono essere due fratelli che collaborano insieme. Se, per esempio, per portare un caso pratico, se fossero due sacerdoti e uno è specializzato nella predicazione e l'altro invece è specializzato un pochino nel saper organizzare le cose, organizzare nell'oratorio, nella organizzazione, è chiaro che non prendi quello dell'organizzazione per fargli fare la predicazione e viceversa.

MO339,52 [25/27-12-1970]

52. È chiaro che anche qui in casa nostra, quando si è trattato di fare un po’ di accademia, abbiamo detto: "Mario, per piacere, la organizzi tu per stasera?", perché lui ha delle doti per quella roba lì. Si trattasse domani di organizzare qualche altra cosa, per esempio, che so io, in cucina, e allora ghe xe Bepi, vero Bepi, specializzato per la cucina... magari a far la polenta, no, Bepi? Scusa lo scherzo, hai altre specializzazioni, quella della carità e della diaconia con gli ammalati, sia nell'apostolato per le vocazioni in modo particolare, direi. Credo che ognuno ha delle doti, ha delle qualità e allora si cerca questo uno e si dice: “Tu prendi in mano questo”. La vocazione... Perché è inutile che io dica, supponiamo, invece che a Mario, a Fernando che organizzi l'accademia. Se Mario ha le doti, Fernando farà un'altra cosa, lo metteremo in segreteria a scrivere lettere, a far moduli o a far qualcos'altro, secondo le doti di ognuno. È chiaro?
Ora, mi pare, che io non scelgo di andare a fare il predicatore se non ho le doti della predicazione, non vado domenicano se non sento di avere delle doti di predicazione, come non mi faccio camilliano se sento di non avere un po’ di amore verso gli ammalati, se sento ripugnanza... posso farlo per virtù, ma mi pare che non sia il caso di farlo per eroismo, quando so che poi ne soffriranno gli ammalati, cioè perché non posso curarli come dovrei curarli, perché mi vien male quando vedo sangue, per esempio. Ora, mi pare che anche la vocazione stessa del diacono e del sacerdote deve rispecchiare un pochino, un po’, quelle che sono anche le doti, mi pare... Dopo ci sarà sempre qualcosa... Un diacono che può fare un po’ da prete e il prete può fare un po’ da diacono, questo è chiaro. Non son miga tagliate col menarotto le cose. Ma direi, il diacono deve essere in modo particolare questo. Perciò, come se siamo in due in una famiglia, uno è specializzato in questo, uno nell'altro; non ci facciamo torto per niente se uno fa una cosa e uno fa l'altra, no? Così dovrebbe essere fra diacono e prete. Tu, Vinicio, sei capace di far quella cosa: e va bene, fa’ un piacere, fa’ quella roba li! Quell'altro è capace di fare l'altra, e va bene! Ti fa’ questo, mi fasso quello, no? Per cui stasera c'è bisogno, supponiamo, di fare un po’ di accademia. Tu dici: "Beh, senti, mi vado a comprar le bottiglie, intanto. E ti scrivi a macchina quella roba là; te me fa un piassere, te me sparagni una fadiga". "Ma scrivo a macchina mi, ti te ve tore le bottiglie...". Credo che non facciamo torto se ognuno...."Beh, mi go un po’ più pratica, conosco le persone e vado a tore le bottiglie; e ti va là, mettete là che te ghe più pratica a scriver a macchina, e scrivi a macchina". Stiamo facendo la stessa cosa.

MO339,53 [25/27-12-1970]

53. Mi pare che tutto, insomma, la grandezza, l'armonia, il bene delle anime deriva da questo, insomma da questa semplicità e da questo metter tutto a disposizione là, e dopo senza invidie, senza niente. Io ho delle doti? Le metto là, ecco, in casa. Come quando andiamo a prendere le caramelle e le buttemo là in cima, là in mezzo, va bene? E adesso dividiamo, mangiamo insieme, va ben? Così dev'essere anche dei doni di Dio, dei doni che abbiamo ricevuto: mettiamo a disposizione, ma senza preoccupazione di dire: "Voglio essere io, voglio qua...". Questo mi pare che sia un po’ il diaconato. Allora sì abbiamo una Comunità che vive in unità e dove si rende al massimo, perché ci sono i vari specializzati. Giusto, Michele? Xe inutile che in una famiglia, per esempio, in quattro persone, ognuno vuole fare da mangiare. Se uno è più capace di far da mangiare: "Ti fa’ da mangiare, mi fasso quell'altra roba...". Chiaro?
Per questo l'ho messo come primo questo dono del diaconato. Ci sono, poi, dei doni spirituali concessi a tutta la Comunità. E questo l'ho messo come pre-primo, diciamo...

MO339,54 [25/27-12-1970]

54. Primo dono.
Vorrei prendere in considerazione una cosa. Mettere un po’, come avete fatto voi quando avete fatto adesso l'accademia dell'Immacolata e avete messo Crotone, Monterotondo, e avete tirato fuori qualche scritta. Vorrei mettere sotto luce un pochino alcuni membri della Congregazione, "ut videant opera vestra bona et glorificent Patrem vestrum". Perché, vedete, noi per natura siamo portati a vedere più le miserie che non i doni e, direi, più il male che non il bene. E allora io, invece che parlarvi, fare una difesa, direi: abbiamo visto che il Signore ci ha dato questi doni materiali; adesso proviamo a considerare un momentino i doni spirituali. Consideriamo, prima cosa, il dono degli uomini che il Signore ci ha dato. Adesso potrei prendere in mano tutti i membri della Congregazione e fare un panegirico. Qui lasciamo stare la superbia, lasciamo stare... e guardiamo con semplicità alcuni. Prendiamone alcuni che sono venuti qui già uomini. Quando io parlavo nella piccola chiesetta dell'Immacolata, dicevo: "Ricordatevi che voi non siete i soli. Ci sono già degli uomini preparati, e il Signore sta maturandoli in altri campi, in altri posti, e poi verranno qui e si uniranno a noi. Noi siamo una parte dell'esercito, stiamo preparandoci qui, noi qui in casa, ma altri stanno preparandosi in altri luoghi e verranno qui e saranno uno, saremo fratelli".

MO339,55 [25/27-12-1970]

55. Ed ecco il primo: don Aldo.
Scusate, avete mai pensato voi al dono immenso che il Signore ha fatto alla Congregazione col dare don Aldo? Dicevo ieri sera che ognuno di noi è complementare dell'altro: avete mai pensato come don Aldo sia complementare con don Ottorino? Quando si è trattato di scegliere, io ho chiesto al vescovo: "Eccellenza, mi può dare un aiuto?". Io sentivo il bisogno di un altro sacerdote che collaborasse con me prima di tutto, primo motivo era per la formazione dei futuri apostoli. Nel ’44 ho detto: "Eccellenza, per preparare", perché ha detto: "Preparateli tu i preti". "Era quello che aspettavo, - ho detto - Eccellenza, che mi dicesse". Però per prepararli avevo bisogno almeno di un altro, in modo che mentre io tengo la parte esterna ci sia uno che, pensavo a mons. Volpato, nella parte interna dica le stesse cose. Perché è inutile che io dica: "Facciamo la volontà di Dio", e magari l'altro va a confessarsi dai frati di Santa Lucia o da un'altra parte: "Beh, no, è meglio che stiamo con San Francesco". Chiaro, no? È giusto avere una linea uguale, e dice mons. Zinato: "Ma io non posso, - dice, era da un anno vescovo di Vicenza - io non posso - dice - darti uno così. Qui è una vocazione speciale. Tu – dice - hai qualcuno?". "Ce ne sono cinque, Eccellenza, - ho detto - che hanno chiesto di venire, mi hanno chiesto", e ho detto i nomi. "Scegli quello che vuoi, - tra questi c'era anche don Giuseppe Molon - scegli quello che vuoi". Io ho scelto don Aldo.

MO339,56 [25/27-12-1970]

56. Umanamente parlando, scusate, sarebbe stato da scegliere don Giuseppe Molon, mi sarebbe stato molto, molto utile, perché veniva già durante l'estate, per liberarmi completamente da tutta quella che era la parte materiale, siete convinti, perché aveva delle doti speciali in materia. Dopo si è mezzo assassinata la salute in seminario: infatti l'hanno messo lì e ha lavorato come un cane mentre era in seminario; ma mi sarebbe stato molto utile sotto quel punto lì. A me interessava invece uno che facesse da padre spirituale ai futuri apostoli. Perché ho detto: se non c'è un altro che prende in mano... un domani io prendo in mano la casa di formazione, lui può tenere gli orfani, eccetera, la parte caritativa, ma essere il padre dei futuri apostoli, allora facciamo degli uomini "uno", se no facciamo degli uomini...
Ora, io credo che sia inutile fare l'elogio di don Aldo. Pensate solo lo spirito di povertà, lo spirito di carità, lo spirito di mortificazione, di preghiera, di vita religiosa che ha, eccetera. Penso che per me è stata una delle più grandi grazie che il Signore m'ha fatto: avere un fratello che mi è stato d'esempio, fratello che mi è sempre stato di sostegno, specialmente quando mi diceva che non era d'accordo. Vi dico: specialmente quando mi diceva che non era d'accordo. Perché? Perché allora mi faceva fare l'esame di coscienza di più, mi faceva meditare di più, e più di una volta, quando mi diceva che non era d'accordo, io mi fermavo e aspettavo un giorno, due, mi consigliavo o con mons. Franchetto o con uno o con l'altro o con st'altro. Ritornavo alla ricarica, magari dopo un anno, come è successo con le Costituzioni.

MO339,57 [25/27-12-1970]

57. Vi ricordate quando ho presentato a don Aldo un po’ il programma, alcuni particolari? Lui era venuto, poveretto, animato dalla parte caritativa, no, perché ha visto un'opera caritativa, gli orfani, eccetera: veniva lì alla sera, aderiva a questo movimento e si era entusiasmato. Guardate che erano tre anni che io già lavoravo, o meglio erano sette anni che stava maturando invece la Famiglia in quella data forma. Per lui è stato un colpo quando ho presentato un po’ certi punti che erano stati detti in forma generica, eccetera, ma non digeriti sufficientemente e... ho presentato un po’ il foglio, un po’ di schemi. Va bene, ripensiamo, rivediamo. Un anno intero abbiamo lasciato sotto la cenere quel foglio, un anno intero. E dopo un anno siamo andati a Lourdes, insieme. Celebrato la Messa là, presentato il foglio alla Madonna, e siamo andati su per la Via Crucis e siamo stati due ore insieme. E ho tirato fuori il foglio e ho detto: "Guarda...". "Così sì mi piace, non come quello dell'anno scorso". Ed era lo stesso foglio, dattiloscritto, di quello che era scritto prima. Ora, vedete che il Signore ha fatto lui; mi ricordo che abbiamo cantato così di gusto il Magnificat, proprio col cuore alla Madonna. Perché abbiamo ringraziato il Signore, ed io ho ringraziato lui e lui ha ringraziato me, e insieme abbiamo ringraziato Dio, perché così si è maturato di più, no?
Come col caso del diaconato: il vescovo ci ha fermati un pochino. Umanamente parlando sembrava una croce, ma invece è stata una grazia immensa: essere fermati un anno, meditare di più, vedere di più a fondo, prepararsi meglio, eccetera. Ora in don Aldo io ho visto questo grande dono di Dio, l'uomo di Dio che mi aiutava a non mettere niente di umano nell'Opera, di approfondire la volontà del Signore. Vorrei dire che mi dava forza di continuare nella volontà di Dio. Ma che dopo, quando insieme si era stabilita una cosa, mi accompagnava fino in fondo fraternamente, proprio fraternamente. Ora, pensate: se nella Congregazione ci fosse solo un uomo così, io credo che non sarebbe, sì, da perdere il coraggio se anche dovessero venire degli scrosci, come ieri il nostro caro don Luigi che el fasèa, el movèa el figaro, no? Durante la partia de carte: "Scorlemo el peraro", el diseva... Quando tu pensi che nella Congregazione c'è un uomo come don Aldo... se casca anca qualche pero... Ma stiamo ancora con gli uomini un po’ di una certa età, che sono arrivati dentro maturi.

MO339,58 [25/27-12-1970]

58. Pensiamo a don Piero de Marchi.
Guardate, io ho una venerazione e non ne ho nessun merito, perché né don Aldo, né don Piero De Marchi, li abbiamo preparati noi, no? Ma pensate quell'uomo che impronta ha dato alla Comunità dell'Isolotto e a tutta la famiglia parrocchiale dell'Isolotto. L'ultima volta che sono andato lì, insomma, tu resti colpito perché è un uomo che prega, un uomo che crede, un uomo che ha i suoi limiti, è chiaro. Tutti noi abbiamo i limiti. Bisogna che partiamo dall'idea che abbiamo i limiti, no? Ma un uomo pieno di Dio, che si è donato interamente al Signore. Ma quando il cardinale Florit mi ha mandato una lettera esaltando don Piero e tutti i religiosi, no, esaltando don Piero. Quando tu vai là, dice: "Ma voi ci avete mandato dei santi. Ah, don Piero! Ci avete mandato dei santi". In fondo se noi non avessimo avuto don Piero in quel momento lì, forse non avremmo accettato l'Isolotto, è chiaro. Avevamo gli studi in pieno... Non potevamo prendere don Giuseppe perché aveva la scuola, eccetera. È difficile affrontare l'Isolotto. Un uomo come don Piero, dell'età di don Piero, con lo spirito suo, ci ha dato la possibilità di affrontare l'Isolotto. Una Congregazione che ha un uomo così, penso...

MO339,59 [25/27-12-1970]

59. Don Giuseppe Rodighiero? Un altro anziano, che il Signore ha preparato in un altro posto, che poi è venuto attraverso delle cose che sì, umanamente parlando, sembravano disgrazie, no?
Andata male all'esame, eccetera, un pochettin de rabbia contro i professori del Pigafetta, andiamo a finire, da una parte e dall'altra, da mons Carpenedo che ci dice di no, al Cavanis ci dicono no, al Barbarigo ci dicono di no; umanamente parlando veniva voglia di dare qualche benedizione "urbi et orbi", e finalmente vai da mons. Sebben il quale dice di no. Dico: "Pazienza!"; dinanzi alla "pasiensa" è cascato. E insomma, viene, eccetera, e lì viene una certa amicizia e... don Giuseppe viene indietro e avanti, e finisce per cadere. Ora, amici, credo che sia inutile dirvelo; anche qui un dono meraviglioso di Dio. A questo si potrebbe aggiungere anche un altro: don Zeno, sebbene quello non è un santo prete, vero, santo. Ma adesso dico tanto per far capire un pochino come il Signore ti chiama uno, anche anziano, che è già sistemato, che non ha problemi. Non è che abbia detto: "Foedere non valeo, mendicare erubesco, scio quid faciam... Ibo ad Sanctum Caietanum" no? No, no, aveva il suo posto, la sua sistemazione; e attraverso la via misteriosa della grazia e di don Giuseppe, eccetera, finisce proprio per venire nella nostra Famiglia religiosa. Ho detto che prendo tre o quattro, così dei più anziani. Prendiamo adesso alcuni che sono venuti su da giovani qui.

MO339,60 [25/27-12-1970]

60. Pensiamo a don Piero Martinello, per esempio.
Adesso mi domando io: un ragazzo, scusate la parola, un ragazzo di ventisette anni, mi pare che è partito a neanche ventisette anni, che parte e lascia la patria, a capo di una spedizione nell'interno del Chaco. Matto lu, ma tre volte matti noialtri a mandarlo, no? Metterse là e, sa... Tutto contento, è saltato alto quando gli ho detto de andare. Ricordo el salto che ha fatto in segreteria; ha detto: "Non ho mai detto niente perché pensavo che mandasse me, ma avevo paura che se io avessi detto non mi avrebbe mandato". Ha fatto un salto: "Don Ottorino, grazie!". Contento. Quando son stato là l'ultima volta: "Ma, son giovane, salo, son giovane, don Ottorino, son giovane; non vede che giovani che semo!". E go dito: "Te sito accorto adesso che te si giovane? Va là, ringrazia el Signor, - go dito - xe già passà due anni che ti si qua". Pensate cosa ha fatto quel figliolo... Voi direte: "Ma ha commesso anche qualche piccolo errore!". Ma va là. D'altra parte chi è che non ghe ne commette qualche piccolo errore? Per me è stato un eroe per sapere affrontare la vita, con le difficoltà, la direzione di una casa, le difficoltà, il vescovo del tempo, che so io, del caldo, economiche, tutte le difficoltà... Poi, don Paolino Crivellaro, tanto per prenderne un altro. Chi è che non sentirebbe di inginocchiarsi davanti a quel ragazzo lì, sereno, contento, con l'umiltà che ha quel figliolo lì? Mi domando: San Luigi Gonzaga è diverso da don Piero, da Paolino? Se il Signore vuole santi più grandi, non so. Che el se li fassa lu, mi non posso, vero! Siamo stati a Roma in questi giorni qua... Ti dice mai di no, don Paolino? Pensa, aveva un esame da fare... Gli ho detto: "Senti, poito vegnere con mi?". "Sì, sì", ha detto. "E l'esame?", ga dito che altri. "Ah, non importa, non importa!". Disponibile, proprio disponibile... Per guardar poi due diaconi. Il nostro caro Orfano Giovanni, varda come si è formato bene, lo vedi preparato bene, lo vedi proprio, col suo carattere, con la sua forma, ma all'Isolotto lo vedi là, insomma, anche lui sul piano di don Paolino, sul piano dell'altro. Il diacono Creazza Lorenzo, il nostro caro Lorenzo, a Crotone, varda con che spirito missionario che lavora, con che dedizione, con che spirito proprio di intima preghiera, di unione con Dio. Tu capisci che, varda, tanto per dare un'idea, prendi Orfano e prendi Creazza; se io prendessi in mano il telefono e dicessi: "Orfano, guarda, fa’ un piacere, vieni qui a Vicenza, perché domani devi partire per il Brasile". Che cosa direbbe Orfano? "Don Ottorino, mi ghe vegno!". Creazza direbbe altrettanto. Da qui capite gli uomini. Chiaro?

MO339,61 [25/27-12-1970]

61. Ecco, guardate, mi fermo qui, mi fermo qui. Ne ho citati soltanto otto. Ora, se per cinque giusti il Signore sparagnava la Pentapoli... Tiremo via don Zeno, e supponemo che i sia sette... Però, attenti. Perché ho voluto sottolineare anche alcuni nomi, non in forma generica sola? Perché a un dato momento non capiti che vien voglia di dire: "Ciò, xe andà via questo, xe andà via quell'altro; ma allora, ma allora...". Anime di Dio, guardate che è una tentazione del demonio, guardate che in casa, tolto via quello che go nominà ultimo che è qui presente, guardate che in casa abbiamo alcuni santi con l'S maiuscola davanti, eh!
Adesso voi non andrete... Penso che tu, se stai registrando, devi cancellare questa frase qui, perché non deve andar fuori questa frase qui. Ferma il registratore... Ne ho nominati alcuni, ma ce ne sono degli altri. "Si isti et istae, cur non ego?". Anche questa è una grazia di Dio non indifferente, eh! Non bisogna mica scherzare dinanzi a certi doni del Signore. Che non siano solo gli esterni ad accorgersi di queste cose qui! Che in noi ci sia invece un senso proprio di pettegolezzo, per cui vediamo soltanto la parte negativa di uno, dell'altro, de st'altro, e non ci accorgiamo che invece c'è una parte positiva meravigliosa, grandiosa. Perciò vi dico: se vogliamo guardare, dopo una camminata sul Novegno o sul Pasubio, i piedi di tutti quanti gli uomini, cosa volete, sono un po’ sporchi, certo, dopo una camminata. Anche i piedi di Gesù, giusto? Perché... e infatti se li lavava, no? Ora, attenti, non bisogna mica che ci fermiamo a guardare quella po’ di umanità che possiamo trovare in tutti, anche in quelli che ho nominato adesso, per quanto buoni, anche in don Aldo... Beh, lassemo stare mi. Mi, ieri sera go xa dito cosa ca son; don Piero, don Rodighiero... Paolino, Creazza. Certo l'umanità c'è. Solo... Ma, perché dobbiamo essere così crudeli, mettere subito il dito sull'umanità e dimenticando invece tutto quello che c'è? Guardate che è una grande ingiustizia... prima che contro i fratelli, contro Dio, il quale ha creato questi uomini, e ha dato delle grazie straordinarie a questi uomini.

MO339,62 [25/27-12-1970]

62. Quindi dobbiamo contemplare qui la provvidenza, prima del pezzo di pane o dei dieci milioni. Perché, insisto, che non sono questi otto solo; ce ne sono tanti altri, anche di più giovani di noi, che devono essere motivo, proprio anche per noi, di edificazione. E quando vediamo in chiesa qualcuno di giovane che prega, qualcuno messo davanti al Signore in atto di adorazione, in contatto con Dio, "insomma, insomma, - dici - qui sta lavorando il Signore".
Quante volte ho sentito la gente da fuori dire: "El sarà stato bravo fin che si vuole, ma, el me scusa salo, ma non xe mia possibile che un uomo fassa ste robe qua. Qua ghe xe, non solo el dito di Dio, ma anche el pie del Signore, - el ga dito - qua". Un giorno, sotto il portico dell'Istituto, uno mi ha detto: "Qua ghe xe anca el pie del Signore, no el deo solo". Ora, guardate che tanta gente si accorge che nella nostra Famiglia c'è il dito di Dio. Dobbiamo accorgercene anche noi, non per insuperbircene, perché quando Tobia e Tobiolo si sono accorti di Raffaele, no - no el nostro, quell'altro! - cosa hanno fatto? Si sono prostrati per ringraziare il Signore. Dinanzi ai doni di Dio noi dobbiamo sentire il bisogno di dire le parole del padre Matteo nostro qua: "Signore Gesù, abbi pietà di me peccatore", vero, russo, come el pubblicano... Matteo, Matteo el gera un pubblican, più o meno... Qui c'è messo un "Nota Bene: una nota stonata si sente tra cento perché fa più impressione. Però la realtà è realtà". Domani in una Famiglia religiosa, su cento religiosi... A un dato momento Daniele el va a robare in banca, i lo mette dentro, i lo mette in galera. "Oh, San Gaetan! Gavì sentio? Varda cosa che i fa e dopo i va in cesa e dopo i va a predicare ai Servi, e dopo i va qua e dopo i va là. I fa el cinema sul Vangelo, varda là; che i pensa per loro prima!". Anime de Dio, perché vogliamo condannare tutto il collegio apostolico per uno che ha tradito il Signore? Perché vogliamo commettere questa ingiustizia? E perché la vogliamo commettere noi in casa nostra questa ingiustizia? Guardate che è un'ingiustizia contro Dio, contro la bontà di Dio. Non so se sbaglio. Chiaro? Perciò ammettiamo le nostre miserie, comprendiamo con tanta carità le miserie dei fratelli, ma nello stesso tempo guardate che se Dio ci dà delle grazie attorno a noi, ce le dà perché cresciamo, no perché diminuiamo nello spirito, direi anche nell'entusiasmo di seguire il Signore. Ciò, quanto tempo xe che stiamo parlando?

MO339,63 [25/27-12-1970]

63. Un altro dono collettivo è "lo spirito che anima la Congregazione, conforme allo spirito evangelico, alle direttive della Chiesa e ai bisogni dei fratelli".
Non so se ricordiate quando Papa Giovanni ha fatto un discorso, un certo discorso. In casa è stato detto: "Ma galo lu copià da noialtri o noialtri copià da lu, su certe carte, proprio con certe parole?". Quando nel Concilio sono state dette certe cose circa la formazione dei preti, padre Mellinato a scuola ha parlato, e poi mi ha preso subito dopo e ha detto: "Ma, senta, lo savevalo lu de Roma?". Certe cose, vi ricordate i particolari; qualcuno si ricorda questi particolari. Ora, mi par, che fa una certa impressione vedere che le cose che dicevamo quindici anni fa, non le abbiamo dovute cambiare perché è venuto un Concilio. Perché se a quel tempo ci fossero stati i registratori e avessimo registrato, forse allora il parlare sarebbe stato più figurato attraverso esempi, paragoni... Sa, bisognava parlare attraverso i segni, no, i segni, attraverso magari un calice, un bicchiere, una scudella, eccetera, così, però, stringi, stringi... o la candela, lo stoppino impissà... Però, guardate che mi pare non è cambiato niente da quello che è la linea. Ora, questo qui: nessuno di noi può vantarsi di questo, né io, né voi, perché la maggioranza delle cose che sono state scritte e state dette, le abbiamo scoperte insieme ad Asiago, là, raccolti come adesso, discutendo, parlando, pregando. Certe frasi le abbiamo compilate insieme. Ora, amici miei, questo è un altro segno che Dio è con noi. Perché, ed è giusto, perché se dobbiamo fare una cosa insieme, per forza el Signore ha preparato... Mi ricordo che tuo zio, Giorgio, Ermanno, qualche giorno prima che fosse finita la chiesa dell'Immacolata e propriamente il venerdì sera, è venuto a vedere, e alla domenica dovevamo benedirla. Mi ha detto: "Senta, è impossibile che, - ti ricordi, no? - è impossibile che sia finita per domenica, è impossibile!". Pensa che mancavano tutti i santi su, tutti i santi attorno... Era un disastro. Alle due di notte poi ghemo cantà el Magnificat, alle due di notte. Quando la domenica è venuto: "No, - el ga dito - non credeva mia. Non gavaria credù neanche per sogno!". Ma perché? Mettiamo tutti i santi: li avevamo pronti, bastava metterli su, bastava metterli su. Stiamo solo ai santi: pensa senza tutto l'insieme, e messo su cambia subito colore; i lampadari metti su, cambia tono. Sì, a un dato momento, è stato un insieme di cose che in una giornata sono andate su, ma erano preparate prima. Ora, il Signore, se vuol preparare una Chiesa nuova, una Chiesa nuova, prepara i pezzi e li monta lui, no, li monta al momento opportuno. Per mettere a posto, supponiamo, un po’ la vita spirituale dell'Isolotto, il Signore non ha cominciato a preparare dopo che don Mazzi ha cominciato un po’ della sua ribellione, ma aveva cominciato a preparare don Piero già anni prima, e al momento giusto lo ha messo là, nella sua nicchia.

MO339,64 [25/27-12-1970]

64. Ora, dovete pensare che la Congregazione ha una missione nella Chiesa di Dio, che non poteva il Signore aspettare che venisse fuori il Concilio ecumenico per dire: "Adesso incominciate da qua...". Bisognava preparare prima. Ecco perché io sono convinto che ci sono in giro nel mondo parecchie vocazioni adulte che stanno aspettando di entrare qua dentro. Perché il Signore deve averle già preparate, perché la Congregazione non può aspettare quindici anni: prender i piccoli e avanti in su. Avete capito? Non può il Signore aspettare questo. Bisogna pure che andiamo in ricerca. Non possiamo aspettare neanche che vengano da sole perché c'è una parte che dobbiamo fare noi: dobbiamo andare alla ricerca di queste vocazioni. E quando noi ci accorgiamo che un'anima suona, come don Piero de Marchi, come don Giuseppe Rodighiero, cioè suona con la Chiesa, vediamo se per caso Dio l'ha chiamata con noi, perché guardate che sono già preparate queste anime qui.
Sentire che siamo col Papa; ogni discorso del Papa ci dice sì. Anche il discorso del Papa ieri ci dice: "Beh, no! Bisogna cambiare perché il Papa ha parlato differente?"; me pare de no. Mario, cosa ghin disito ti? È una gioia per noi sentire che siamo con Cristo, che siamo con il Papa, che siamo con la Chiesa. Mi pare che questo, che il Signore ci abbia portato, anche nei particolari, con il Papa e con la Chiesa; mi pare che questa è una gioia, un segno.

MO339,65 [25/27-12-1970]

65. Terzo: le prime esperienze.
Ho scritto questo qua, è un po’ lunghetto perché avevo paura di dire bestialità, come tante altre ho dette. "Le prime esperienze apostoliche, sebbene segnino le inevitabili carenze umane, sono certamente positive". Questa è un'affermazione che mi permetto di fare; se volete che facciamo contradditorio, lo facciamo. Per conto mio, le prime esperienze umane segnano naturalmente la mancanza d'esperienza... e ben, credi che gli Apostoli... Varda San Paolo ad Atene, no? "Te sentiremo un'altra volta" no? Penso che anche gli Apostoli, se sono stati furbi, non ammettere tutti i fiaschi che i ga fatto, e i ga fatto ben. Qualchedun, qualche fiaschetto che proprio gera così palese, ma quei fiaschi che hanno fatto un po’ di nascosto... quelli proprio, sa? "Piuttosto che i metta un altro, meio che i metta mi", i diseva. Ma penso, penso che anche loro hanno fatto i loro fiaschi. Ora, non possiamo pretendere che iniziando una missione, per esempio a Crotone, non ci siano dei fiaschi iniziali. Ma sarebbe pazzesco, da audaci pensare che si vada e non si faccia qualche fiasco! Lì, a Monterotondo, come ho visto anch'io, qualche sbaglio iniziale... Ma per forza! Però facciamo un po’ di bilancio: prendiamo Monterotondo, nel caso vostro, lì. Possiamo dire che non è stato efficace il lavoro? Eh? C'era niente, c'era niente, c'era niente. Sono andato lì, l'ultima volta, la settimana scorsa; alla Messa della sera ho contato... la Messa, c'è la Messa la mattina, la Messa alle cinque e la Messa alla sera alle sette, mi pare per la novena, e alla Messa delle sette c'erano settantacinque persone, Messa, va ben? DON MATTEO PINTON: "Monterotondo, che ghe xe un clima particolare". Appunto, giorno feriale, novena del Natale, tutto quello che vuoi, ma ci fossero anche dieci persone solo... Cosa vuto pretendere che in pochi anni già ci sia un fiorire di vita cristiana? Credi che gli Apostoli... ci raccontano la storia, ma per fare una comunità cristiana... Se è da fare una comunità di esaltati è un conto, ma per fare una comunità di cristiani che abbraccino il cristianesimo, ci vogliono anni e anni. È quel che ho notato a Monterotondo: ci sono alcuni cristiani, cristiani che stanno seguendo il cristianesimo realmente, alcuni, sì o no? Io vedo questo. A Crotone: la stessa storia! In principio c'è un momento, un po’ d'entusiasmo, poi si allontanano, vanno. Finchè restano alcuni che seguono il cristianesimo "realiter". Questo dicasi anche in Guatemala, in Argentina, in Brasile. Vediamo, insomma, adesso qui, voi che avete girato, avete fatto il giro, tu don Zeno, tu Vinicio, potete dire che non c'è stato un lavoro, un vero e proprio lavoro? Guardate, fosse anche che non avessimo raccolto niente, il sacrificio apporterebbe già un bene in altra parte del mondo. Ma il Signore, guardate, ha benedetto anche sul piano, direi, un po’ della raccolta, non soltanto: alcuni seminano e altri raccolgono, direi che proprio anche sul piano della raccolta, del lavoro apostolico, possiamo dire che sono stati efficaci.

MO339,66 [25/27-12-1970]

66. Se noi vogliamo un po’ mettere l'obiettivo solo, solo sulle carenze umane, solo sui fiaschi umani, che, intendiamoci bene, anche i più grandi santi hanno fatto, perché non... anzi Gesù Cristo per primo che non sempre sono fiaschi perché dovuti a una mancanza umana, che tante volte sono permessi da Dio, perché ci vuol una volontà anche dall'altra parte, vero? Il prete non è mica una ruspa che tira su. È uno che invita a venire; ci vuole una parte anche di là. È uno che stende la mano, ma ci vuole un altro che prolunghi la mano, perciò non può violentare le volontà. Quante volte il Signore ha parlato e sono andati via! Guardate a Cafarnao, a un dato momento ha detto agli Apostoli: "Volete andarvene anche voi?". Cioè, mettiamo già in preventivo che anche il più bravo, sotto l'aspetto umano, degli apostoli, il più capace, uno che ha studiato tutti i particolari e anche santo, può benissimo raccogliere niente. Abbiamo l'esempio di Gesù Cristo, l'esempio degli Apostoli, no?
Ma stiamo un pochino su questi particolari: le prime esperienze apostoliche, sebbene segnino le inevitabili carenze umane, inevitabili... Sapevamo noi che mandando don Piero e compagni là qualche sbaglietto... Bisogna farse i ossi, anime de Dio! Ma, scusate, una mamma, una mamma che prende in mano un bambino per la prima volta, suo figlio per la prima volta, la xe brava se non lo manda in paradiso, se non ghe xe so nonna tacà, vero, del bocia. Xe giusto? Perché sì, voltelo de qua e de là... come se fa, come non se fa? El secondo... "Eh, go imparà. El secondo, se el Signore min manda un altro...". Quante volte sentì le mamme: "Se il Signore min manda un’altro, se il Signore min manda un’altro...". Ah, ben! Col primo go sbaglià, col secondo e col terzo: "Ah, ben! Che el Signor ghin manda pure, adesso". Una volta i faseva così... chiaro? Perché la mamma ha imparato... Ricordo a Crotone don Marcello che diceva: "Ah ben, sa! El primo ano xe andà così. Se fusse adesso non cominciaria così, però, però...". Tutti i deve dire così, no? State attenti: se fosse adesso fare il villaggio San Gaetano, lo faresti così? Forse approffitteresti, qualche piccola cosa, nel modo di farlo, di organizzarlo, forse risparmieresti tempo, un po’ de qua, un po’ di là. Tutte le cose umane. Ma questo vuol dire che non abbiamo acquistato merito, che non abbiamo fatto la volontà di Dio, che abbiamo fatto il nostro capriccio? Questa è un'altra roba! Ora, nel campo apostolico, sappiamo che tutto va nelle mani del Signore poi, no? Perciò io direi, e penso che siate d'accordo anche in questo, che sostanzialmente insomma son state efficaci. Zeno, non sei mica d'accordo? Mi pare, insomma, guardiamo anche, per esempio, anche... Beh, dopo lo vediamo più avanti.

MO339,67 [25/27-12-1970]

67. "Anche, - e qui è un paragone tanto per non smentire me stesso - anche le più attrezzate industrie, dopo di avere studiato un prototipo di macchina, sanno che con l'esperienza dovranno portare delle modifiche. Ciò non squalifica né la fabbrica, né i tecnici".
Prendiamo anche la Fiat: con tutta l'esperienza che ha, con tutti i tecnici che ha, nonostante tutto fa una macchina, butta fuori una macchina nuova, secondo quel detto: "Modificheremo", e sì che l'hanno studiata, tecnici l'hanno provata, prototipo provato, collaudato, eccetera, eccetera. Lancia una serie: credo che sia un caso che non debbano fare delle modifiche. E tante volte, come la "600" prima che è venuta fuori, è stato un disastro... han fatto tante modifiche, grosse modifiche. Bene! Se questo lo fanno nel piano umano, perché l'uomo è uomo, è limitato, no, volete che noi, che non abbiamo diritto al ritiro di qualcosa anche da parte nostra? Così, nelle prime esperienze apostoliche, era naturale la defezione di qualcuno dinanzi al rodaggio della dura realtà. Non meravigliarsi... era naturale. Quando io mi sono sentito dire, per esempio, da uno, guardavo il crocefisso appeso là: "Eh, missionario! Me vien da ridere mi, - el ga dito - consegna del crocefisso, na storia e l'altra, me vien da ridare. El vegna qua...". Poesia! Chi? Se non si capisce che vita missionaria è in officina, come Vinicio dalla mattina alla sera, o insegnare a scuola o andare a Pessano o andare a Roma per trattare i Vangeli, con indifferenza, qua o là, di qua del mare o di là del mare; se non ci sentiamo missionari noi e crediamo che la missione sia varietà, sia poesia, è chiaro allora, no, non si resiste, no? Io devo sentirmi missionario. Cosa vuol dire? Portatore del messaggio di Cristo. Essere un portatore: voi a me e io a voi. Se esco e trovo Pio sono missionario, se trovo Giovanni digo una parola, e se vado a confessare sono missionario, e se dovessi andare a pranzo devo sentirmi missionario. Missionario o ti senti o non ti senti. Se ti senti missionario allora piangi dinanzi a quel crocefisso che porti appeso davanti al letto o in tasca, e anche dici: "Signore, non son degno di essere tuo araldo". Se sei missionario solo per fuori, per l'avventura, è una cosa che sbollisce dopo tre ore.

MO339,68 [25/27-12-1970]

68. Perciò, rileggendo questa frase: "Nelle prime esperienze apostoliche era naturale la defezione di qualcuno, dinanzi al rodaggio della dura realtà, della dura realtà". Comunque parleremo in avanti su questo.
Però è "da notare l'assistenza particolare di Dio che ha dato la possibilità ai nostri religiosi, giovani ed inesperti, di vedere frutti veramente inaspettati; vedi Crotone, Roma, Istituto con gli ex allievi". Varda quanti bravi fioi che ghe xe tra i ex allievi, dei bonissimi tusi, dei papà che vien là, eccetera, no? Casa dell'Immacolata: anche lì, oltre ai religiosi che abbiamo, tanti che sono andati via: "Xe andà via, xe andà via...", ma... E hanno portato via niente dalla Casa dell'Immacolata? Non bisogna mia dimenticare. Uno me dixeva giorni fa: "Sa, sono sta mi solo, son restà mi solo!". E gli altri che sono andati via hanno portato via niente? Varda tuo cugino, Adriano, per esempio, che è stato qui tre anni: ha portato via niente dalla Casa dell'Immacolata? Il fratello di Dal Moro Lino, cioè Gianni, è stato tre anni: ha portato via niente? Thiella ha portato via niente? Ma basta solo tre quattro, vero! Ricordatevi bene che il Signore può far venire... In seminario, qualcuno che era in seminario... Dicevamo con il prof. Zio l'altro giorno, parlava del seminario e el dixe: "Varda el seminario... Credo che tanti vanno in seminario - ha detto il prof. Zio - per andar a ricevere qualcosa di più. Però, quando si è stati in seminario, o si diventa più buoni del normale degli uomini o più cattivi, perché è un cibo che si mangia, che o fa bene o fa indigestione". È un fatto, eh! Tu puoi, infatti, uno che va in seminario, che a un dato momento onestamente dice: "Non ho la vocazione", o sente il bisogno di masticare, mangiare quel cibo e portarlo nella vita, va ben! O sente d'aver fatto una indigestione, dice: "Messe ghi n'ho scoltà al bisogno per tutta la vita, adesso non ghin scolto più", vero! L'indigestione è così. Infatti, anche nella Casa dell'Immacolata, abbiamo avuto più di uno: varda anche Antonio Turato, eccetera, altri che si mantengono buoni, che si mantengono buoni, che hanno portato via qualche cosa; e così dicasi dell'Istituto. Guatemala, accennavo prima, Brasile, Argentina, Isolotto, Laghetto? Guardate i nostri cari amici là al Laghetto: don Giuseppe, don Angelo, poveretto, che ha avuto anche la perdita del papà. E qui ci sarebbe l'ultimo punto, e dopo ci sarebbero i doni personali, che tratteremo stasera.

MO339,69 [25/27-12-1970]

69. Ultimo punto. Oltre che queste esperienze apostoliche, ghe xe questo: "La perenne presenza di Dio nella direzione della Congregazione".
Voltandomi indietro, più di una volta, ho detto: "Ma, fosse sta meio o fosse sta peso o fosse sta...". Insomma s'è visto, attraverso circostanze così quasi casuali, no, quasi casuali, tipo la venuta di mons. Di Stefano qua da noi, l'incontro col... Guardate quel particolare con il card. Baggio, allora mons. Baggio, e poi che ha voluto farci incontrare con il card. Rossi, il card. Rossi è amico di casa. Sa, direi son casi così, ma che sono provvidenziali, per conto mio. Quel caso famoso che mi ha portato don Zeno e anche don Giuseppe Rodighiero, per esempio, guardate che si ripete un po’ in tutte le circostanze. Perché se vogliamo, le nostre missioni le abbiamo prese, aperte per caso; le conoscenze con persone sono fatte per caso, va ben! Però, son quelle che ti portano poi una certa tonalità nel lavoro, ti mettono in una certa situazione del lavoro. Cominciamo a Crotone, per esempio, perché tre mesi padre... chi è stato... Favero, è venuto su ad Asiago, fare un po’ di noviziato con un gruppo dei nostri, fare un po’ di istruzione sul noviziato, no? E allora amicizia con quelli degli Oblati. Quello con il padre provinciale di Firenze; il padre provinciale di Firenze è andato giù a Crotone, perché là avevano un paio di Oblati in una chiesa, e il vescovo che chiede agli Oblati e gli Oblati dicono di no; e il padre provinciale dice: "Ma perché non andate a San Gaetano?". Ecco che indica San Gaetano. Così, da un caso, avete capito? E perché padre Favero? Perché mons. Barbieri mi aveva indicato padre Favero. Tutto un insieme di circostanze. Ora, mi pare che essendo stata la preoccupazione un po’ nostra di essere a disposizione di Dio, mi dà l'idea che Dio ha accettato la nostra buona volontà, anche se tarata da tante miserie. E cosa ha fatto? E insomma si può dire che la Congregazione l'ha guidata lui.

MO339,70 [25/27-12-1970]

70. Vi ricordate quella famosa partita a scacchi, cioè di dama, fatta su a Fongara tra don Triban e la contessina Muttoni? Parroco là dei Ferrovieri, là, don Triban l'è quelo. Lui e la contessina Muttoni. L'autista del vescovo era bravissimo a giocare, ma lei ha detto che non gioca perché quello imbroglia. Voleva un ragazzo semplice; e allora, io ero a capotavola, la contessina Muttoni di qua e Triban di là con la loro dama. Più in là c'era l'autista del vescovo e un altro che giocavano per conto proprio. La contessina Muttoni fa una mossa, e l'altro di là fa la stessa mossa; l'autista del vescovo, paff, ripete, e questo qua, paff, ripete. Sicchè, praticamente, lei ha giocato con l'autista. In principio era tutta contenta; insomma, cinque sei pedine e poi... sacagnada! "Ma sa, ma sa, ma questo ragazzo, sa, ma questo ragazzo, sa....". Insomma l'ha persa: che sacagnada! Conclusione: due tre partite. Ogni tanto l'autista: "Vero, come vala voaltri?". "Ma, sto ragazzo...". "Ghemo xa fatto un par de partie noialtri!". Ghemo xà fato un par de partie, noialtri! Ha continuato a giocare con l'autista.
Ecco, mi pare che il Signore fa un po’ così. Gli uomini hanno l'impressione di giocare con noi, hanno l'impressione di trattare con noi, ma se noi ci sforziamo di aver il contatto con Dio, la partita gli uomini la giocano non con noi, ma con Dio. Ma, guardate che abbiamo la tremenda responsabilità noi che possiamo rompere questo contatto con Dio. È chiaro? Perché se noi non facciamo le mosse stabilite da Dio, a un dato momento rompiamo l'incanto. Ecco, questa è la preoccupazione nostra: di essere in contatto con Dio per fare le mosse. Gli uomini crederanno di giocare con noi, ma giocano con Dio, solo in tanto in quanto noi saremo sempre preoccupati di guardare là e guardare qua come l'autista e l'altro, preoccupati di guardare qua e guardare là, ma intanto però la contessina giocava con l'autista. Non so se l'immagine possa andare. Non la pol miga andare secondo voaltri? Ma deve andare, in questa forma qua.

MO339,71 [25/27-12-1970]

71. Continuando questa mattina, dopo aver visto i doni ricevuti da Dio, adesso vedemo come Dio... sia materiali come un po’ spirituali... senza aver la pretesa d'insegnarvi, scegliendo un pochino fior da fiore... Perciò può darsi benissimo che ne abbiamo saltato qualcuno di importante, il più importante magari, com'era capitato col segno di Grumolo, nell'ambito dei segni materiali.
Adesso ci sono alcuni doni personali, che noi abbiamo ricevuto, e che certamente dovrebbero essere oggetto della nostra meditazione. Quando intendo, parlo un po’ dei doni personali... non voglio intendere quei doni personali qui adesso, che di certo sappiamo ognuno li ha ricevuti, come può essere un'educazione ricevuta in famiglia, la grazia di essere nati nei nostri paesi, la grazia di aver avuto vicino dei santi genitori; tutti quei doni insomma che uno ha ricevuti proprio intimamente così, da Dio, direttamente da Dio. Intendo quei doni personali che abbiamo ricevuto in relazione un po’ alla Congregazione. Doni che abbiamo ricevuto personalmente, ma tutti un pochino. E primo fra questi la vocazione a questa Famiglia. Guardate, vi ripeto quello che io tante volte ho pensato da giovane ragazzo seminarista mentre leggevo le vite delle famiglie religiose. Ricordo in modo particolare quelle dei Salesiani, quelle dei Gesuiti. Quante volte pensando ho detto: "Guarda che grazia sarebbe stato per me fossi nato anch'io là in principio, quando grazie particolari segnavano l'inizio di una famiglia religiosa!". Allora, sai il detto: "Quando la nogara fa nose, xe fassile magnar nose un po’ tutti", vero? Ecco, quando viene l'uva, è facile mangiar un grappolo d'uva. Ora, all'inizio di una famiglia religiosa il Signore dà grazie particolari, come le ha date al collegio apostolico per spingere gli Apostoli ad imprese un po’ eroiche, e ho detto: "Fossi nato anch'io lì, a Torino, in qualche parte, fossi stato raccolto da don Bosco, avessi avuto la grazia di parlare insieme con don Rua, con tutti quelli lì, insomma! Vivere sotto l'influsso di questo spirito iniziale, questa ondata di Spirito Santo!". Pensavo al tempo di Ignazio, quando quel piccolo gruppetto raccolto insieme, il famoso mese che hanno passato, no, in meditazione, in preghiera insieme, digiunando e facendo penitenza, la marcia che hanno fatto verso l'Italia per poi lanciarsi al lavoro apostolico, questo gruppo di anime generose. E ho detto: "Fossi stato anch'io trascinato dalla santità degli altri, da questi doni particolari!". Non per il gusto dello straordinario, ma perché insieme, sa, a chi è buono è più facile essere buono. Ora, se c'è un gruppetto di persone impegnate, per me sarebbe stata una grazia.

MO339,72 [25/27-12-1970]

72. Ora, qui, vedete, anch'io sono nelle stesse condizioni vostre; guardate che per me e per voi è una grazia eccezionale essere stati chiamati a questa Famiglia religiosa. Chi è vissuto in qualche altra parte può capire forse la grazia che abbiamo ricevuto noi qui. Tu, don Matteo, che sei stato un po’ di tempo in un'altra famiglia religiosa, sei in grado di capire, dico male, quello che il Signore ha dato e quello che abbiamo avuto possibilità, insomma, di ricevere qui dentro. Questi passaggi del Signore, questo vedere il Signore, questi miracoli della provvidenza sono tutte grazie particolari, sono tutte spinte.
Ora, perché il Signore ha chiamato me? Quanti più buoni di me in seminario potevano essere chiamati vescovi come mons. Faresin, guardate mons. Mistrorigo, mons. Zaffonato. Ho mangiato insieme il pane con mons. Zaffonato in seminario; sa, ci siamo visti da lontano, ma ci siamo visti. Va bene! Quante anime belle che io ho visto in seminario: se non sono andati vescovi, sono stati dei santi sacerdoti. Proprio a me questa vocazione! Quanti, il Padre, fra i Giuseppini, giovani studenti, proprio a te, per vie così, ha chiamato, ha dato questa vocazione. Attraverso strade così, come può essere capitato a Vinicio, attraverso il suo cappellano che in seminario è stato con me insieme con i ragazzetti, con i compagni di scuola, di don Giovanni Sartori, eccetera, l'ho conosciuto lì, poi è andato cappellano là, poi l'ha condotto qui. È stato a causa delle circostanze, che sembrerebbero casuali, così occasionali. Eppure siamo stati chiamati. Ora, io penso che questo è un dono personale che io ho ricevuto, io sento di aver ricevuto la grazia della vocazione alla Congregazione. La Congregazione è una cosa e la mia chiamata alla vocazione è un'altra. Che poi io sia stato il primo o sia stato il secondo, sia stato lo strumento chiamato a portare una secchia d'acqua o una secchia di vino, non importa niente; siamo strumenti nelle mani di Dio, no? Però la Congregazione è un'opera di Dio e io sono stato chiamato, come Marco, sei stato chiamato tu, e come Vinicio, sei stato chiamato tu; e perciò tutti insieme dobbiamo sentire la... proprio di ringraziare Dio, prescindendo dal posto che abbiamo nella Congregazione. Siamo stati chiamati in questa Famiglia.

MO339,73 [25/27-12-1970]

73. Secondo. Un altro dono personale. Quello di dire di sì, di aver detto di sì.
Guardate che senza l'aiuto di Dio non siamo capaci di dire neanche "Gesù mio, misericordia!". Abbiamo bisogno di un aiuto del Signore per dire di sì, per... La grazia di essere chiamati è una cosa, ma la corrispondenza poi alla vocazione è un'altra. Ricordo un giorno che mi son trovato a Mestre insieme ad un certo don Zeno: eravamo alle ultime battaglie, no, le ultime battaglie a dire quel sì famoso, quel sì famoso. E ognuno passa quel momento lì, sapete, ognuno passa. Sarà a quindici anni, sarà a vent’anni, sarà... uno che viene dentro da piccolo... arriva un certo momento in cui deve dire sì al Signore, deve vedere la Congregazione, sentire il peso e la gioia e dire: "Signore, accetto e vengo!". Ora, per dire quel sì ci vuole la grazia del Signore. Qui forse sarebbe il caso di rivolgere il pensiero al padre Felice, là al lazzaretto: "Rivolgiamo il pensiero - dice - a tanti che sono morti". Vi ricordate? Quanti fratelli nostri, forse più buoni di noi, anche senza forse, non hanno avuto la forza di dire di sì, non hanno avuto la forza. Noi non stiamo a giudicare, può darsi che non avessero vocazione. Però se noi abbiamo avuto la forza di dire di sì al Signore, riconosciamo che non siamo stati da soli. Forse la nostra buona mamma, la Madonna, forse le nostre mamme che hanno pregato, forse il sacrificio di qualche suora, di qualche ammalato, di qualcuno insomma che si è immolato. Ci accorgeremo in Paradiso, come quel vecchio famoso, che da sessantatré anni non si confessava, in Paradiso si è accorto chi è stato la causa della sua salvezza, in Paradiso ci accorgeremo chi ci ha aiutato a dire di sì! Proprio, io vorrei proprio sottolineare questo: guardate che tutti abbiamo potuto dire di sì. Vi dicevo questa mattina, quella difficoltà là in treno, con la testa appoggiata su per il vetro, lì: "Signore, Signore, Signore!", no? Tutti abbiamo dovuto dire di sì, e riconosciamolo, da soli non potevamo farlo.

MO339,74 [25/27-12-1970]

74. Terzo. Un'altra grazia personale che abbiamo avuto, sempre inerente alla Congregazione, chiamiamola in una forma un po’ poetica: è la tintarella particolare della Congregazione.
"Ma cosa avete voi? Cosa avete voi?". È un qualche cosa che non cambia natura. Se uno pesa novanta chili, resta novanta chili; se uno ne pesa ottantacinque, come Vinicio, resta ottantacinque; se uno ha quarantacinque anni come Vinicio, resta coi suoi quarantacinque anni; se uno ne ha cinquantatré come don Ottorino, resta coi suoi cinquantatré, vero? C'è sempre un compenso: si può prendere da una parte e metterla da quell'altra. Se uno porta gli occhiali come Raffaele, resta coi suoi occhiali; e se uno invece ha il suo naso lungo come Marco, resta col suo naso lungo. Non cambia niente! Però, però... c'è un qualche cosa, c'è un qualche cosa che deve distinguere i cristiani. Cos'hanno? Uno è meccanico, uno è calzolaio, uno è intelligente, uno è meno intelligente, però hanno tutti un qualche cosa. E questo qualche cosa è appunto lo spirito evangelico, lo spirito di gioia; è quello che è indefinibile, ma che il Signore voleva ci fosse nella Famiglia. È quello spirito che deve attirare un po’ l'attenzione di chi non ha gioia per venire a cercare la gioia, di chi non ha fede per venire a cercare la fede. Guardate che questa tintarella, chiamiamola con un termine così, non l'ho data né io, né voi, ce l'ha data il Signore. Perciò questo modo di fare che dinanzi ad una disgrazia si dice: "Beh, Signore, sia fatta la tua volontà", che dinanzi a una difficoltà si presenta un sorriso, come ieri vi è capitato quando si trattava di preparare da mangiare, di prendere le pentole e andar là, se foste stati sposati, forse, con la moglie, chissà quante oche sarebbero uscite fuori, no? Il giorno di Natale, proprio il giorno di Natale, giorno di festa, conduciamo su le donne perché ci facciano da mangiare, e dobbiamo mangiare un'ora dopo... Sa, eccetera. Insomma, il modo come... Guardate, io vi ho osservati uno per uno ieri, ho visto come avete accettato anche questo contrattempo. Non penso che... se almeno non sono state dette per dentro, per fuori bestemmie non ne ho sentite neanche una, insomma, oche. A meno che non le abbiate dette per dentro... E anche ho visto, insomma, che avete saputo reagire con quel senso, un po'... Ricordatevi bene: "Xe capità questo, pazienza!", no? Non avete imprecato contro nessuno. È capitato, pazienza! Ora, è questa pazienza, questo accettare le cose così con semplicità, anzi facendosi su le maniche e cercando di riparare le cose, sarà una cosa domani che farà impressione alla gente, perché si accorgerà che siete così perché vivete uniti al Cristo, perché state compiendo una missione. Ed è appunto, direi, quella fisionomia, fisionomia che devono prendere un po’ i membri della Congregazione; che non è né testa storta, né gambe storte, né svenire in chiesa perché si va in estasi, come Gianni quest'oggi... È un qualche cosa, è un qualche cosa che non si può definire. Perché, se tu facessi come Gianni, svieni, niente da fare, niente da fare. Sa, uno non può imitare l'altro, ognuno deve rimanere lui, rimanere lui, avendo quello spirito lì. Vi pare giusto o è sbagliato?

MO339,75 [25/27-12-1970]

75. Quarto. Un altro, ancora, dono personale è "il posto speciale nel cuore della Madonna" che abbiamo noi, membri della Congregazione.
Noi sappiamo che la Madonna è mamma, e la mamma è interessata per i suoi figli, ma se c'è un figlio ammalato sembra che in quel momento pensi solo al figlio ammalato, se c'è un figlio che ha da fare un esame: "Me raccomando, prega per i fioli, ma in modo particolare per don Matteo che ha da fare un esame", no? Cioè, se c'è nella famiglia un figlio che ha bisogno, un bisogno particolare, o perché va in guerra, si trova in Vietnam, o perché... Insomma, se è in pericolo o ha una missione particolare, un esame da fare, qualche cosa da compiere, la mamma senza diminuire l'amore per gli altri, no, però concentra un po’ il suo affetto e il suo amore lì. Ora siccome la Madonna è la mediatrice di tutte le grazie, è la madre della Chiesa, è la madre di tutti gli uomini, quando vede un fratello o un gruppo di fratelli che stanno radunati insieme per andare ad aiutare gli altri suoi figli, non diminuisce il suo amore se ha cure particolari per questi, perché mentre aiuta questi, aiuta gli altri figli, no? È chiaro? Una mamma che circonda di cure un figlio che sta raccogliendo cibo e medicinali per portarli sopra il Summano dove un fratello si è rotto una gamba, si è rotta una gamba, non manca di affetto a quelli che sono lassù o agli altri, no? Sta lavorando per tutta la famiglia. Ora, quanto più grande è la nostra missione domani nella vita della Chiesa, tanto più la Madonna è interessata a prepararci nella vita intima spirituale e anche in questa parte esterna: darci quegli aiuti che ci sono necessari perché noi possiamo,vero, camminare sulla strada di Dio. Perciò, il dire una frase che sembrerebbe un po’ di offesa agli altri, una protezione, cioè un posto speciale nel cuore della Madonna, non è un'offesa agli altri, perché vuol dire che noi, anzi, sappiamo che la Madonna si interessa di tutti, e in modo particolare dei più bisognosi, e noi ci mettiamo a disposizione di Dio che sta facendo qualche cosa per questi. Perciò la Madonna è con noi, che sta lavorando con noi, e lavorando con noi non fa offesa a nessuno, anzi, sta interessandosi dei più bisognosi. Siete d'accordo su questo? Penso che...

MO339,76 [25/27-12-1970]

76. Quinto. Poi, un grande dono, del quale noi non dobbiamo andare superbi, ma dobbiamo stare attenti però di non abusarne, è "la stima, anche umana, che ne deriva ai singoli per l'appartenenza a questa Famiglia".
Adesso nessuno può dire: "La Congregazione è stimata fuori per merito suo". Né per mio, né per ciascuno di voi. Il Signore oggi vuole che la Famiglia sia stimata. Può darsi domani venga una persecuzione e veniamo gettati in Arno, soppressi come i Gesuiti o qualche cosa del genere; e come perciò il singolo deve essere pronto ad accettare la croce, anche il gruppo collettivo dev'essere pronto ad accettare la croce. Oggi stiamo passando un momento in cui la Famiglia gode di una certa stima, no? Viene apprezzata, vuoi da parte della Chiesa, come dalla parte anche di quelli che non sono della Chiesa, perché loro stimeranno solo un po’ la forma dell'apertura... Guardate, anche don Aldo si è portato a Torino giorni fa: "Così mi piace, questa forma, questo modo...". Molti, gli altri partiranno soltanto nel vedere l'opera sociale che si sta compiendo in Guatemala, o con le scuole professionali in Argentina e in Brasile, e intanto per un motivo o per un altro, noi incontriamo il favore, direi la stima anche, della gente. Ora, attenti, questo è un dono del Signore, perché noi, incontrando la stima della gente, abbiamo già pronto il terreno per poter incominciare il lavoro apostolico. Perciò abbiamo già il terreno preparato. Quando noi ci presentiamo in una famiglia, troviamo una persona, se noi diciamo: "Siamo della Pia Società San Gaetano", siamo già bene accolti in genere, no, e ci dà, questo essere ben accolti, la possibilità di dire una parola da sacerdoti, da diaconi, da religiosi. Penso che se invece fosse successo qualche disastro, come dicevamo questa mattina, nella nostra Famiglia e avessimo perso la stima in forma collettiva, ci sarebbe da masticare qualche bel pezzo di pane prima di... "Ah? Basta!". Avremmo già tagliato i ponti in partenza e questa sarebbe una difficoltà non indifferente per poter fare il bene. Non so... siete d'accordo?

MO339,77 [25/27-12-1970]

77. Sesto. C'è un'altra grazia ancora, sempre singola, personale, ma che... è nei riguardi della Congregazione: «La grazia immensa di poter avere dei fratelli dello stesso spirito».
Pensate un momentino, adesso, i nostri poveri preti quassù. Dico "poveri preti" non perché siano poveri, né materialmente, né spiritualmente. Ma pensate il povero parroco di San Rocco... Diceva Fric-Froc: "Alla matina fasui, a mezzogiorno fasui, alla sera fasui". El xe andà in osteria una volta, e el ga visto che ai altri i ghe porta un altro cibo, sta tento... Vede... "Replica", i ga dito che altri; i ghe porta un altro toco de polastro... "Allora anca mi magno replica", el ga dito. "Replica", e i ghe porta un altro piato de fasui. Ora, vedete, pensate un momentino adesso: questo povero prete che si trova solo, con una donna lì in canonica che certo non è né il cappellano, né religiosa... a meno che non abbia la grazia di avere la mamma o una sorella, ma anche mamma o sorella non sono, vero, certo né parroco né cappellano; ma la maggioranza delle volte hanno questa povera donna, la quale è già arrivata al punto di dire: "Le me galine!". Primo tempo: "Le galine del parroco"; dopo: "Le nostre galine"; finchè la vien al punto de dire: "Le me galine!". Per cui spesso tu senti dire: "L'è anca un bon prete, peccato che ghe xe quela donna; xe ela che comanda in canonica". Pensate con chi può scambiare una parola e di che cosa può parlare quel povero prete? Che aiuto può avere lì in canonica da quella donna o da quelle due tre persone che frequentano la canonica per giocare la partita di carte? Ora, la grazia che noi abbiamo, invece, di essere uniti insieme, di avere i fratelli dello stesso spirito, in modo che, se oggi io ho una gamba rotta, gli altri mi prendono in braccio e mi portano, no, dentro. Può darsi benissimo che uno, a un dato giorno, sia giù di tono, uno, e viene a casa e gli altri se ne accorgono subito. Un altro giorno, un altro magari che è giù di tono... Questo sapersi aiutare, quel sapersi comprendere nella vita comune, penso che anche questo è una grazia immensa, ecco! E penso che anche di questo bisogna rendersene conto. Perché non capiti proprio che abbiamo delle grazie, le abbiamo ricevute, e quasi quasi ci dimentichiamo di dire "grazie" al Signore e ci ricordiamo solo di quello che ci manca e non di quello che abbiamo. Con questo io, in linea di massima, avrei terminata questa prima parte, e se volete che intavoliamo una discussione, senò passiamo alla seconda parte. Lascio a voi adesso... DON MATTEO PINTON: Io ho anche l'idea, ma è l'idea che abbiamo tutti, cioè che dev'essere una questione di vita, ecco, insomma, non soltanto questione di vestito, perché, non so... Su queste idee che abbiamo tracciato un pochino, in linea di massima, qualche particolare può essere discusso, siamo abbastanza d'accordo tutti quanti? Tu, don Antonio? E don Girolamo? GIANNI SARZO: La vigilia de Natale mi credea de vegner fora, insomma... Non perché vegna fora, non so, da na giungla o da una paese sottosviluppato, ma francamente, come che go dito a don Matteo del resto e a Fernando ancò, portando un termine forse che non se pol usare qua dentro, a un certo punto ghe go dito che son vegnù qua dentro come che ghesse ciapà na bidonada, in questo senso che... Cosa ve pare? Come linea me pare che la sia giusta... Ora, adesso, passiamo al secondo tema. Alcuni perdono quota. Perché?

MO339,78 [25/27-12-1970]

78. Qua naturalmente mi go buttà xo ciacole. Su questa, dopo sì ve pregaria, femo una discussione vera e propria. Perché quando che se trattava de dirve che xe vegnù una donna a portare cento franchi, non ghi gnente da aggiungere; i gera cento franchi, vero? Giusto? Se ve digo adesso che xe vegnù Thiella a portarme qualche cosa, un'offerta, el xe vegnù portarmela, e digo: "Ecco qua, Thiella me ga portà l'offerta". Tiro fora, verzo, el me ga portà cinquantamila lire. Non c'è niente da dire; un'offerta. Non podì dire che i xe diecimila franchi e gnanca centomila franchi; cinquantamila lire, in chiesa, attraverso un'offerta. Chiaro? Ghemo da vardarla...
Questa xe la realtà di ogni giorno, di ogni momento... viviamo da parte di Dio. Semo i mantenuti di Dio. Nel senso... ste boni... La mantenuta è a disposizione del mantenuto... Là è in senso cattivo. Noi siamo i mantenuti, ma fisicamente, spiritualmente, e dobbiamo essere "totaliter" a disposizione di Dio. Sant'Ignazio arrivava al punto di dire: "Perinde ac cadaver", vivo, però... perché dovemo mettare qualcosa anche de nostro. Adesso domandiamoci: perché? Portè pazienza; ho buttato giù un po’ in fretta, perciò non pretendete di avere un sillogismo in Barbara... sarà in Celarent. "Il filo della tela del ragno che scende dall'alto". Ve ricordè la famosa storia, no? "Tagliato il filo, casca la tela". Vi ricordate quando quest'estate consideravamo là quel famoso filetto che veniva giù, davanti alla chiesa a San Pio X, un ragno che aveva costruito... Se si taglia il filo, casca tutto.

MO339,79 [25/27-12-1970]

79. Perciò teniamo presente queste cose: "Dio è il fondatore, il superiore, l'organizzatore e il giudice nella Congregazione".
Bisogna tener presente questo: il fondatore della Congregazione è Dio. Se Dio è il fondatore e ha detto a don Matteo... Per esempio, portiamo un caso umano... Io dico a don Matteo: "Fa’ un piacere, don Matteo, tira fuori la 1100, preparala qui davanti". Viene don Antonio e dice: "Chi xe sta tirar fora la 1100?". Dice don Matteo: "La go tirà fora mi parchè me lo ga dito don Ottorino". Lu dixe: "Beh, se vede che el ga da andar via". Basta... Giusto? Non se fa così? Ora, attenti, se il fondatore è Dio, noi dobbiamo essere preoccupati de tirar fuori la 1100 quando vuole Dio e come vuole Dio e basta, no? Perciò non deve essere solo la preoccupazione della prima azione, cioè dell'inizio della Congregazione, ma la continua preoccupazione di tutti: mia, ma anche vostra. Non siete a posto voi quando che avete domandato il permesso a me; dobbiamo insieme vedere un po’ cosa vuole Dio. E dovete voi tornare indietro qualche volta e dire: "Senta, pensandoghe sora... non saria mejo, non saria mejo. Cosa ghe pare?". Perché il fondatore è Dio, è lui il fondatore della Congregazione. È lui il superiore della Congregazione. Il superiore esterno cosa fa? Cerca, si sforza d'interpretare la volontà di Dio, e naturalmente risponde dinanzi a Dio se dà degli ordini. Ma voi dovete ricordarvi che, obbedendo anche a un superiore, per quanto canaglia che sia... cercate di metterci subito l'atto di fede di obbedire a Dio. Perché? Perché il fondatore è lui, il superiore è lui; stiamo compiendo un'opera che è sua, una missione che è sua. Se durante la guerra il generale prende un gruppo di soldati e un capitano e li manda su al Summano, e lui è qui che guarda con il binocolo; il capitano: "Andiamo di qua, andiamo di là, di su...", ma è sempre il generale che ha mandato la spedizione, ed è al generale che il capitano e i soldati devono rispondere in pieno. E i soldati devono obbedire al capitano in tanto in quanto il generale ha dato l'ordine e bisogna andar su... "Ah, io vado di qua, io vado di là, io vado su...". Ma, sentite... Andiamo insieme... El generale el me spara drio, no?

MO339,80 [25/27-12-1970]

80. Non solo, ma è anche l'organizzatore il Signore. Ecco perché non possiamo noi organizzare qualche cosa se non invitiamo anche lui. "Cuncta bona actiones agimus... Veni Sancte Spiritus...", eccetera. Questa presenza di Dio, anche nei nostri incontri... sforzarci che sia una cosa personale: non che sia una cosa... Vedete, quando eravate più giovani, io facevo certe cose... vi ricordate quante volte che le facevo: "Abbiamo pensato alla Madonna? Abbiamo pensato? Non vi abbiamo pensato?". Vi ricordate, no, quante volte lo facevo... Il fatto che io non lo faccia adesso per non offendere certe personalità che ci sono, guardate che ciò non toglie che bisogna pensarci, bisogna pensarci.
Vedete, quest'oggi, per esempio, io sono stato cattivo: in chiesa, per esempio, ho voluto osservare chi pensava o non pensava quando entrava in chiesa. Chi ha pensato a Gesù facendo la genuflessione, e chi non ha pensato. Certi casi, tu vedi chiaramente: non ha pensato. Che male c'è? Niente, per carità! È entrato in chiesa per pregare, ma... Dobbiamo sentirla sta presenza di Dio. Non per farci vedere... La gente poi se ne accorge subito... Ma bisogna che ci sforziamo di sentirla la presenza di Dio. È lui l'organizzatore, è lui... Dobbiamo sentirla la presenza di lui, anche nelle nostre riunioni. Adesso che facciamo così. Quando ci troviamo in quattro cinque: "Cosa facciamo, cosa non facciamo?", diciamo un'Ave Maria alla Madonna, diciamo una preghiera al Signore che ci illumini, che ci aiuti. Insomma, non si può fare qualche cosa senza di lui. Questo anche nelle cose... che può essere mettere a posto la cucitrice, può essere... in tutte le nostre cose, insomma. Stiamo lavorando con lui: che ci consigli, che ci aiuti. "Sarò con voi fino alla fine dei secoli". Sarà con noi quando giocheremo una partita di carte. Una sera stavo giocando a carte: "Signore, no, non te digo mia, per carità, che le me vegna bele...", ma ghe gera la tentassion... "Signore, no, senò offendo me fradei che xe qua". Ma dovrebbe venire quasi la tentazione de domandare anche... Cacciala via, la xe una tentassion quella là... Noi dobbiamo insegnare agli uomini di vivere in terra, ma pensando al cielo, e camminando verso il cielo, no? Ora scusate, se non riusciamo noi...

MO339,81 [25/27-12-1970]

81. È il giudice nella nostra Congregazione.
Non basta far bella figura, non basta trionfare dinanzi agli uomini, non basta non avere un rimprovero dagli uomini, farla franca. "Qui judicat me Dominus est", diceva San Paolo. Perciò sentire che se lui è il superiore e lui vede, cosa vuoi, tu l'hai fatta al superiore facendo quella data azione, ma cosa hai fatto? Se il superiore è Dio, a Dio non la fai, Dio non si illude mai. Chiaro? A Dio non si può mentire. Perciò, io mi sono donato a Dio nella Congregazione: cosa interessa a me se vedono o non vedono che io faccia un'azione, faccio la Via Crucis o non faccio la Via Crucis, faccio l'ora di adorazione o no, cosa interessa? Io so, però, che al Signore non gliela faccio, al Signore... Lui può dirmi: "Tu sei nella Congregazione" o può dire: "Tu sei nella Congregazione soltanto con il tuo corpo". "Questo popolo mi onora soltanto con le labbra", ha detto, no? E noi possiamo essere nella Congregazione solo col corpo, e magari esternamente essere considerati i migliori della Congregazione, e magari esternamente essere: "Ah... quello, sa... se tutti fossero così!". No, no, no... Dio può dire, soltanto! E perciò dobbiamo sentire, sentire lui fondatore, superiore, organizzatore e giudice della Congregazione, e giudice mio.

MO339,82 [25/27-12-1970]

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MO339,83 [25/27-12-1970]

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MO339,84 [25/27-12-1970]

84. Ma "non per criticare, ma per collaborare nel continuare il lavoro, ed eventualmente per correggere col proprio sacrificio errori commessi da confratelli e superiori". Perché si possono commettere anche degli errori. Fai una costruzione e ti accorgi che è troppo stretta, ma ti accorgi dopo: "Potevamo pensarci prima!". Tutto quello che vuoi, ma ormai l'errore è stato fatto. E allora sentiamo... C'è da correggere: "La ga fata luri, che i se rangia!". Mica vero, mica vero, abbiamo sbagliato tutti. "Ma, se mi non parlava... Ma...". Beh, senti, è inutile che domandiamo chi è stato o chi non è stato. "È troppo stretta... bisogna allargarla". Mettiamoci tutti e allarghiamola. Bisogna cambiare sistemazione? Bisognava pensarci prima. Tutto quel che volete. Ormai è così, basta! Cambiamola! Giusto, no?
Ieri c'era il pranzo che non era pronto. "Ma, dovemo... Chi xe sta? La pignatta da tendare". È così la realtà. Vien a mancare il liquigas: "Ma, chi xe sta?". Scusa, xe inutile che perdemo la pace adesso, tusi, stemo attenti un'altra volta; adesso avanti! Vi sembra sbaglià questo modo de andar avanti, insomma? Adesso manca la nafta: "Ecco qua, tutti... chi è stato, chi non è stato, cosa è stato, cosa non è stato?". Sentì, adesso manca la nafta; cosa si può? Bisogna farla arrivar, bisogna scaldarse. Un'altra volta stiamo attenti, organizziamoci in modo che non capiti. Può essere causa mia che non ho dato ordine a uno che sia là, può essere causa di Vinicio, ma xe inutile che andemo a vedere causa de chi... adesso. Un'altra volta vediamo che non capiti. Non siamo mica qua per condannarci, siamo qua per aiutarci che non capiti più.

MO339,85 [25/27-12-1970]

85. Terzo. "Il figliolo... - e qui guardate che abbiamo degli esempi che quadrano molto - Il figlio di un grande industriale, che ha iniziato un'azienda, si rovina quando vive alle spalle dell'azienda, con la testa nelle nuvole, senza considerare le enormi difficoltà sostenute dal padre, spendendo il denaro paterno per gite e divertimenti, con la scusa di vedere mostre estere inerenti all'azienda".
Per esempio, io alludo a questo, a Pellizzari in modo particolare, dove che il povero Pellizzari ha cominciato da perito tecnico, e ha cominciato facendo dei motori; e siccome abbiamo cominciato anche noi la costruzione dei motori sappiamo cosa voleva dire... Quando veniva il maestro Sergio, di sera, a lavorare per fare uno stampo e impiegava un mese, tutte le sere, alla sera dalle otto fino a mezzanotte, le una, le due, anche le tre di notte, e io stavo là a fargli compagnia. Per fare uno stampo per tranciare i lamierini, un mese giusto. Ricordo una volta ha detto: "Don Ottorino, el me lassa ca lo tempra doman che xe festa". "No, Sergio, - go dito - no, Sergio". Dopo aver lavorato un mese. Era una trancia mi par de mezzo cavallo. El dixe: "Senta, solo temprarlo, temprarlo solo, perché, sa, così almanco l'è pronto per luni". E io ho detto di no perché di festa non si deve lavorare. E allora se l'è portato a casa di nascosto, e l'ha temprato a casa sua, suo papà aveva un fornetto, eccetera. E tempra... taf, salta in du tochi... L'è rivà al luni: "Don Ottorino, ghe domando scusa; el vedarà che non lavoro più de festa mi, non lavoro più de festa". El ga fato el segno de crose: "Non lavoro più de festa", el ga dito. Quando sono arrivato, i primi motori che, sbilanciati, bisognava tenerli fermi in du perché... bisognava trovare el modo per cosa i gera sbilancià, eccetera. Sa, chi ha cominciato una cosa sa cosa costa, insomma, metterla un pochino a punto. Pellizzari ha cominciato così, è riuscito a lanciare avanti il suo lavoro; sognava di avere un figlio e invece xe nate le fiole; xe morta la moglie e el se ga sposà un'altra volta per avere un figlio. È riuscito ad avere il figlio, lo ha fatto studiare perito tecnico sulla stessa strada sua, e quando il figlio è arrivato al momento che poteva essere di aiuto al papà ha cominciato a criticare: "Uh, po', quele macchine là! Non te te vergogni? Oh...!". Ma annuncia lu che desiderava cose più moderne, invece che dire: "Papà, varda, non saria el caso che fasessimo", eccetera. Lui si è dato alla pinacoteca: ha speso milioni e milioni di soldi per quadri; poi la musica, e poi per donne... per l'arte, eccetera. Fatto sta che dell'industria non si è più interessato, insomma, non si è più interessato. Lui era il padrone, ma non si è più interessato. E naturalmente il papà è morto, avvilito morto.

MO339,86 [25/27-12-1970]

86. Mi diceva la figlia sua Marì, andavo spesso... veniva... La conoscevo bene perché sono venute le signorine Meneghini e ha condotto sta signorina Marì; era una figlia che viveva fuori in una villetta, non voleva vivere in casa. E allora il papà andava là a sfogarsi ogni tanto; e questa portava via tutte le calse dei nostri ragazzi, la roba, mia mamma le lavava e poi le portavamo ad Arzignano e quella riparava le calse, le metteva a posto, e andavo a prenderme ogni settimana la roba in tram, torme el sachetelo de roba pei tusi. Naturalmente la ghea sempre qualche par de calse nove, ghe gera sempre robetta nova in meso... Insomma, sta provvidenza, che mi metteva a posto la roba, par due tre anni. Lavorava tutta la settimana per noi. E allora mi raccontava tutto il retroscena.
Quante lacrime quel povero Pellizzari vedendo il figlio che condannava il padre, invece che aiutare il padre ad andare avanti. Infatti, morto il padre, ha preso in mano lui e ha mangiato fuori tutto. Ora, state attenti: "Al ritorno, invece di passare le notti insonni a studiare progetti e a costruire prototipi, si limita nei salotti, con gli amici, a criticare l'azienda paterna, dicendola sorpassata, e intanto mangia e beve alle spalle della sorpassata azienda. L'esperienza dimostra che questi figli, alla morte del padre, videro il fallimento dell'azienda".

MO339,87 [25/27-12-1970]

87. "Quando uno perde quota?
Quando prega poco!". Primo segno: comincia a pregare poco. Comincia a lasciare certe preghiere sorpassate, il breviario, per esempio; comincia a lasciare la meditazione: non è necessaria; comincia a lasciare l'ora di adorazione, l'incontro personale con il Cristo. "Quando nella preghiera non si mette completamente a disposizione di Dio come Gesù". Uno può anche... Si diceva: "Ma, come mai quel tale che pregava tanto poi ha fatto fiasco?". Si può dir su tante preghiere, ma se nella preghiera io non m'incontro con Dio, non mi metto a disposizione di Dio come Gesù, non ho pregato. Se non dico il Padre nostro... capite, ma lo dico col cuore, che cosa ho pregato? Tu, maestro di ascetica, sito d'accordo? E de filosofia, va là, xe istesso. Ma xe giusto, no? Dir su parole, ti pare? "Quando cerca nell'apostolato la sua...". "... dimentica la Congregazione, gli inizi di essa, i doni, lo spirito, i confratelli, la missione della Congregazione, ed è contento e soddisfatto solo nel proprio lavoro". Salto via qui un punto, che faremo domani mattina.

MO339,88 [25/27-12-1970]

88. "Come si muore".
Primo: "Ci si tuffa nel lavoro apostolico dando per scontato che si sta lavorando per la Congregazione e che si sta realizzandone il programma". Prima fase, naturalmente dopo del non pregare. Seconda fase: "Si resta accecati dalle lodi e si accettano senza forti reazioni i confronti". Lei: "Ma lu, salo, ma lu, qua e là". Senza forti reazioni: "Ma, insomma", non si fa forti reazioni... I confronti: "Ah, xe vegnù qua a predicare degli altri, ma lu don Matteo! Ah... perché non l'è vegnù la domenega a predicare qua? Xe vegnù don Venanzio; sì, bon anche don Venanzio, ma... ma...". Si accettano delle lodi senza forti reazioni, si accettano i confronti. Terzo: "Si stabilisce una vita libera ed autonoma e si fa una critica dei confratelli che non sanno fare, che potrebbero, che guardino lui". E ultimo: “La Congregazione ha fatto il suo tempo, non è più all'altezza; solo una certa categoria media di persone la può seguire; c'è incompatibilità di carattere, manca la carità; è uscita di strada; mi ha sempre sacrificato; la mia voce non è mai stata accolta; sento il dovere di coscienza di andare per la mia strada”. Ecco come si muore! "Un ladro comincia col rubare un ago. Il religioso o è un consacrato totalitario o è uno che ha già incominciata la sua discesa". È aperto il dibattito! Cosa ti pare? MARIO CORATO: "Io credo che tutto el filon, el filon almeno mi pare che poderia essere dà per scontato questo, no? Ghe xe, però, un punto che el ga dito, quello che... volaria chiederghe a lu: quello della preghiera, cioè quando prego senza donarmi completamente a Dio. Volaria chiedere in questo senso: come mai può capitare questo, e come mai questo l'è anche un fenomeno molto facile?". Permetti un momento. Prima cosa mi diria questo: vardè che semo in una casa di Dio, dove che Dio è presente, e non si può scherzare, giusto? Gera giusto mettere questo a base. Allora, in un ambiente così saria logico che dovarissimo essere tutti santi, dovarissimo arrivare tutti alla santità. E in altro tempo mi ve go dito: vardè che la nave riva, ma quelli che xe in sima non i xe mia sicuri de rivare, nessuno, neanche mi.

MO339,89 [25/27-12-1970]

89. Come xe che se fa a ciapare il raffreddore per strada? Se ciapa el raffreddore... Prima roba: uno che prega, uno che prega non ciapa el raffreddore. Allora mi go tirà fora, go vossudo suscitare un po’ di discussione, no? Uno può dire: "Ma mi prego tanto". Pian! Xela preghiera o xe illusione de pregare? Perché uno che prega e dopo critica, che brontola, che dixe su de tutto e de tutti, mi ghe credo poco che el prega. Xe vero o no? Uno che prega veramente davanti al Signore e che el dixe: "Signore, mi te ringrazio dei doni che te me ga dà, però mi ammetto, riconosco che son un peccatore", che si mette con umiltà davanti a Dio, non per disconoscere i doni ricevuti da Dio, ma per dire: "Signore, te me ga dà una bella 1100, mi la apprezzo, una cosa bellissima, però, te me scusi, la go sfrisà". Questo anzi vuol dire che te la stimi la 1100. Dire: "Mi, Signore, te me ghe dà il dono dell'intelligenza, il dono dell'amore, il dono del cuore, il dono che mi posso pensare, posso parlare. Varda, quele parole, qualche volta vien fora qualche stupidaggine, magari qualche barzelletta sporca, come don Matteo, qualche volta, vero, quela dei monsignori. Posso tirar fora... Te me ghe dà el dono de pensare e varda qua quante stupidaggini... Il dono di amare, giusto, è una cosa bellissima e santa, e qualche volta, sì, qualche volta l'è andà un pochettin fora de posto...".
Ora, scusa, questo atteggiamento, non te me dirè mia che el sia un umiliare l'uomo; mi, par conto mio, è ingrandire l'uomo. Te umili alla mattina co te te lavi el viso e te tiri via un po’ de sporco che te ghe su par el viso? Anzi, diria che el se fa belo uno che se lava un pochettin, el se profuma un pochettin... Per conto mio, l'atto di umiltà dinanzi a Dio è un purificarsi un pochino da quel sporco che ghemo acquistà volendolo noialtri, perché senò non l'è mia peccato, no? Ora, chi xe che non se sporca proprio volendolo qualche volta, magari poco? Ora guardate che xe la base della nostra preghiera. Ora, se la preghiera xe fatta bene, allora mi metto a disposizione di Dio, completamente a disposizione di Dio. Perché, ma a disposizione di Dio, non di un... Per esempio, mi voleva mettere xo un altro punto, non son sta bon ch'el me vegna. Voleva, questa visione, vederla attraverso l'apostolato, invece, no? Qualcuno può dire: "Beh, mi me piaxe tanto andar missionario...". Me dixeva ultimamente uno: "Sa... il mondo me attira, la vita missionaria non me attira più come una volta, e sa... non so neanche mi". Ma non te poi miga pretendere che la vita missionaria sia come... te attira come una tosa a vent’anni, vero! A vent’anni una tosa te attira in modo bestiale, qualche volta; la vita missionaria, quello de farte vegnere in mente i banditi, gli orsi, i laghi, eccetera, ma non xe quella la vita missionaria: quello è sentimento. Xe giusto?

MO339,90 [25/27-12-1970]

90. Allora ti te poi guardare la tua vita apostolica un po’ in una forma umana, te poi vardarla: "Mi me piaxeria fare apostolato", in una forma umana. Soprannaturale, e invece in una forma proprio di donazione: "Signore, senti, mi non me interessa, mi vado prete, perché vui salvare anime. Adesso mandame da una parte, l'altra, st'altra, dove che te vui". Come San Paolo e gli Apostoli, no? Xe logico che quando che te ve in un posto te te affezioni all'ambiente; ma, scusa, non te sarissi gnanca omo... me meraviglieria che non te te affezionassi. E San Paolo dixe: "Signore, ti te consoli tutti, te me ghe consolà anche mi mandandome Tito. Te ringrasio". La parte umana gli Apostoli la gaveva, perché quanto più uno che ama de più, più sente anche il cuore un po’ così, ma, però, la disponibilità... il suo miraggio è la salvezza del mondo, il suo ideale è la salvezza del mondo, la salvezza dei fratelli.
Me ga commosso vedere il cardinale Rossi con che semplicità alla sua età abbandona San Paolo e prende in mano una missione lì. E ghe faseva compassion a quegli altri vedere, poareto, quell'uomo lì, in gabbia, praticamente... Non xe commovente vedere? Passare da una vita apostolica a una vita lì di ufficio, un pochettino così... Quei xe omeni, quei xe omeni che veramente se ga donà al sacerdozio nella santità! Capissito? Non i se ga donà all'ufficio, non i xe vegnù nella Congregazione perché ghe piaxe le opere della Congregazione: "Me piaxe lo spirito che anima la Congregazione". Non deve essere attirato uno per le opere; mi piace questo spirito, questa donazione. Adesso che mi vada missionario in Africa o in America o che resti qua: mejo, me piaxaria, son contento... Anca don Piero Martinello el xe saltà alto quando che ghe go dito che el va in America. Ma se ghesse dito: "Resta qua", "Beh, stao qua", el garia dito. Semo d'accordo? Ora, attento, nella preghiera, nella preghiera ci deve essere questa donazione. Ecco, capissito? Cioè mi non posso pensare a un prete, a un religioso, che non continua nella sua preghiera a rioffrirsi al Signore: "Signore, fa' di me quello che vuoi, però dammi anime. Da mihi animas et coetera tolle", quella frase di San Giovanni Bosco: "Dammi anime!". "Sitio!" del crocifisso, deve divenire: "Sitio, ho sete di anime". Lascia stare l'interpretazione biblica, qua vardemo le robe in una forma un po’ popolare, no? "Ho sete di anime!".

MO339,91 [25/27-12-1970]

91. Il prete ga da essere un assetato di anime, uno che vorria aver cento vite come Teresina del Bambin Gesù per essere missionario, essere di clausura, essere tutto, no? Dire...
Vedio, quando adesso, per esempio... "Cosa te piasarìa essere, ti, Renzo?". Lu dovarìa dirme: "Me piasarìa essere uno in clausura e sitar pregare; me piasarìa essere uno che confessa come padre Leopoldo, là sempre dedicato alle confessioni, a santificare le anime; me piasarìa essere un predicatore, avere il dono della predicazione come Sant'Antonio per convertire le anime; me piasarìa essere un missionario nella steppa; me piasarìa essere vescovo e poder ciapare un mucio de preti e portarli alla santità; vorria esser Papa...". Un uomo de Dio dovarìa voler tutto, come un toseto che vol tutto, che vol tutto. Ma capisci in che senso, in senso di servizio, di amore, di salvezza delle anime. Ora, un uomo di Dio, nella preghiera bisogna che lo diga al Signore: "Signore, mi voglio tutto e voglio niente". Non so, xe sbaglià? Quando che uno prega così, quelo sta a posto; capiterà qualche marachella, capiterà anche qualche peccato, capiterà qualche momento, qualche mese, andrà anche fuori strada, ma a un dato momento rientra, se prega così. A un dato momento ha nostalgia di questa preghiera, sente il bisogno di pregare, e dirà: "Mea culpa". Xe giusto? Ma bisogna crearla sta preghiera qua e stare attenti a non illuderse e dire: "Prego perché go dito su... sa, ut adimplerentur Scripturae, sa, ho fatto... faccio tutto... pago le decime, sa, io non sono come quello là: io, io, io, io, io". E allora casca el palco. Xe sbaglià o no? DON ZENO DANIELE: "Penso che anche nella preghiera, un altro modo di avvertire come che podemo andar facilmente fuori strada, invece di contemplare i doni che il Signore ne ga fatto, il dono per esempio della vocazione, tutti questi doni, anche quelli che gavemo visto adesso, xe un contemplare noi stessi delle volte... non so... Invece la preghiera xe contemplazione di Dio, insomma. Molte volte invece podemo fermarse soltanto a noi stessi e continuare a dire: "Ma così, ma vorìa colà", cioè continuare a domandare, anche bene, anche non so, mezzi e aiuti per l'apostolato, ma fermarse a quello aspetto là. Allora credo che non...". Allora xe come tacare i cerotti su pal vero. DON ZENO DANIELE: "Credo che sia molto facile... anche proprio esperienza personale, così... tante volte te credi d'aver pregà e invece non te ghe pregà proprio un bel niente...".

MO339,92 [25/27-12-1970]

92. Se volemo andare a pregare: "Signore, aiutami che adesso go da far la predica, aiutame qua, aiutame là...", cioè praticamente te domandi aiuto per apparire ti... "No, xe per le anime: Signore, fa’ che mi fassa quel che te vuli ti". La preghiera dovaria sempre combinare: "Signore, mi vui essere quelo che te vuli ti. Signore, varda adesso te me mandi a predicare. Mi non m'interessa trionfi o non trionfi...".
MARIO CORATO: "Mi me pararia che qualche volta l'illusion la xe facile, questa illusion, anche tutte queste cose che ghemo contemplà insieme, con animo che ringrazia proprio; qualche volta se le tacchemo su quasi come che fosse etichette intorno a noialtri, tanti doni di Dio e de provvidensa se tacchemo su, tante grazie spirituali de spirito, le tacchemo su, cioè le tacchemo su sulla forma nostra, e allora caschemo nel vero trionfalismo. A un certo punto, quando se trovemo a contatto con la vita concreta, credemo d'aver tutte etichette taccà d'intorno, tutte ste robe qua d'averle adosso, e invesse le xe etichette che le vien sbregà via. Forse, mi diria qualche caso, non so xe le xe idee mie, qualche caso non xe che uno sia passà attraverso quella trafila: perso la preghiera, perso tutto quanto. Se trova in campo apostolico, di fronte ad altre idee, ad altre robe, tutte ste robe qua le gavea tacà su come etichette e le ghe vien sbregà via, e el se trova...". Se uno, vito, prega in quella forma che dixivimo prima, allora, allora, vidito, a un dato momento, se uno prega così, te ve in cesa... Porto un esempio pratico. Vado in cesa, e vedo Marco che prega. Mi digo: "Signore, a son indegno! Varda sti fioi qua...". I altri dixe: "Varda come che el ga tirà su ben sti tusi, col naso longo, eccetera, eccetera, eccetera". "E pensare... varda... famme na carità...". E a un dato momento te te senti, te te senti, vero, quasi svergognato dinanzi agli altri che prega, agli altri che fa un atto di generosità, e per cui te dixi: "Ma varda, e mi me toca star qui, e fare...". Xe come, portavimo l'esempio una volta, non so se ve ricordè, portavimo l'esempio quando che ghe gera Battista in cattedrale, che a un dato momento il vescovo gavesse vudo bisogno de andare, to, un momentino ai servizi, e ghe dixe: "Par piassere, Battista, fintanto che i canta el credo, no, te metti su el piviale, eccetera". E lu el sta lì. Verso la fine del credo se non riva el vescovo... supponemo ch'el ghesse da fare una predica o el gavesse da intonare o da cominciare el prefassio o qualcossa altro... poro Battista! "Chissà ch'el vegna! Va' vedare... Chissà ch'el vegna!". Ecco, guardate che noialtri semo messi in queste condizioni qua. Bisogna che sentemo che tutto quello che xe sta fatto, xe sta lu a farlo, e noialtri stemo occupando un posto che certamente dovarissimo dire come el profeta: "A... a... a... nescio loqui". E allora te dixe el Signore: "Tutto quello che te ghe da dire, te lo disi, ma basta che te stai tacà a mi". Questo si sente in modo particolare co se cominsia il contatto con le anime, quando te disi: "Cossa ghe rispondo adesso? Cosa ghe digo a sta anima? Come la guido sta anima?". E allora te senti il bisogno d'invocare el Signore, di invocare la Madonna, e allora te senti che te sì strumento. Non podemo mia dismentegarse noialtri questo, no?

MO339,93 [25/27-12-1970]

93. DON MATTEO PINTON: "Nel Vangelo trovemo che una illuminazione, insomma, su questo, cioè che... Adesso porto un paragone anche nella filosofia. Socrate, poareto, morto da un toco, ma dixeva che la vera sapienza gera quela de convinserse che non se sa tante robe. Così anche nel Vangelo, a un dato momento, el Signore el ga proprio raccontà una parabola a coloro che si ritenevano giusti. E xe proprio la famosa parabola del fariseo e del pubblicano. Dove lu el vede la giustizia di uno o la non giustizia de uno? Cioè, come che el prega. Se, come che dixeva anche Zeno prima, cioè se el prega: "Signore, te ringrassio de non essere come l’altri", oppure: "Signore, mi vuio questo, vuio quest'altro, vuio quest'altro ancora", per essere sempre, non so, o noi incensati o noi sul piedestallo oppure, insomma, per trionfare noialtri. Oppure, se se mettemo in te un canton in fondo, avendo paura de alzare perfino i oci, eccetera. Però corre ancora un rischio, che xe l'altro rischio, cioè quello de inginocchiarsi pubblicani e de alzarse farisei e de dire: "Signore, te ringrazio di non essere come quel fariseo". Allora xe istesso, no? Cioè bisogna tener sempre la testa bassa, e quindi se gavemo qualche peccato nella vita, qualcosa, insomma, ricordarselo. Se el Signore se lo dismentega, noialtri non ghemo mia el diritto de desmentegarselo; tegnerselo calmo lì, caldo. No, perché senò se corre el rischio de inzenociarse pubblicani e alzarse farisei: "Te ringrasio, Signore, de non essere come quel fariseo", ma se xe compagni".
MARCO PINTON: "A me sembra che, oltre al lavoro di preghiera, di questo contatto intimo col Signore, mi sembra che ghe deve essere anche un lavoro un po’ pratico, cioè quello della direzione spirituale, quella cioè che vien ciamà direzione spirituale. Non so se lu ghin parlarà magari doman, in un altro punto. Mi me sembra, insomma, che se non se xe guidati anche o da una persona che ga un po’ più esperienza oppure da un fratello con cui se se confida, che se pole avere un consiglio, eccetera, credo che tante volte se trovemo proprio in vera difficoltà, insomma. Parlo un po’ per esperienza personale". Vedito, quei xe mezzi meravigliosi e necessari. Adesso mi guardavo la linea, no? Questo è un mezzo, però non è indispensabile, perché domani anche nella vita apostolica può essere un fratello, un confratello, può essere uno... cioè dubitare un po’ di noi stessi. E allora lì con il fratello si può intanto edificarsi a vicenda parlando un pochino delle cose nostre e di Dio, e poi sentire un po’ la parola di quel che xe, per vedere un po’ l'interpretazione della volontà di Dio in modo da non mettersi in pericolo di fare la volontà nostra. Perché non pensavo di entrare nei vari particolari, ma accennemo. Strucca, strucca, che fa cadere un apostolo è sempre l'egoismo: tiri via la "D" e resta l'"io", no, al posto di Dio resta l'io. E dove è sempre l'egoismo: "Io non ho più bisogno di Dio, e per mi xe sufficente questo, per mi me basta questo". Capiò? E cominci a trovare una soddisfazione nella vita apostolica, e ecco... Uno mi diceva una volta: "Sa, in fondo la pianta si conosce dai frutti. Mi vedo che ghe xe dei frutti meravigliosi sul mio cammino, perciò, vero, mi son convinto di essere sulla buona strada, e non son d'accordo con lu". Può essere anche frutti smarsi, vero? E po non xe mia detto che anche Giuda non abbia compiuto dei miracoli, vero, che non abbia fatto dei frutti buoni. Xe giusto o no? DON MATTEO PINTON: "Ghe xe nel Vangelo che i xe tornà tutti contenti, perché avevano fatto miracoli".

MO339,94 [25/27-12-1970]

94. D'altra parte... che colpa ghin n'ali, per esempio, supponiamo in una certa chiesa, supponiamo che sia ai Servi... No, adesso non possiamo giudicare male, mi ricordo don Giuseppe che xe andà via... Ma supponiamo che don Giuseppe, prima de andar via, gappia fatto robe che non va ben, ipotesi, no, supponiamo... non giudichiamo male, può darsi... Non si sentiva di essere prete, el ga domandà la dispensa e stop, xe finio... Ma l'ultima domenica che lu ga predicà in chiesa, supponiamo... fatta magari da un prete che fusse in peccato mortale... Xe possibile o no? Non è il caso, ma portemo un caso limite. Non te poi dire: "Dai frutti se conosce la pianta", perché il Signore può servirsi del suo ministro, anche di un ministro indegno, per compiere dei prodigi di grazia qualche volta. Ma a un dato momento dice: "Basta, vero. Adesso te go ciamà qua aiutarme a distribuire il pane del miracolo; basta, adesso me ritiro". E allora "abissus abissum invocat". Dico male? Insomma me pare che questo qui... la caduta, la perdita di quota...
DON ZENO DANIELE: "E naturalmente la Congregazione xe qualcosa, xe il mezzo, diria forse più visibile, il segno più chiaro, attraverso il quale il Signore se ga manifestà con noialtri. Quindi quel mettersi in atteggiamento di critica, di questo xe...". Mi ricordo che il commendator Volpi un giorno me ga ciapà e dice: "Don Ottorino, el varda, - el ga dito - adesso che ghe xe continuamente malattie alle galline, i pollastri che ga el male. Io ho scoperto una medicina. Podarissimo coi tusi lanciarla sta medicina, come "Astichello". Varda, - el ga dito - la xe roba che costa centocinquanta lire al quintale; si può venderla - el ga dito - a millecinquecento franchi all'etto; e se fa cartine, così e così, mettemo insieme, eccetera, e se dixe: "Toccasana per i polli". Varda, mi ghi n'ho xa fatte alcune, ghi n'ho xa vendù parecchie, - el ga dito - i le ricerca, i seita vegnere dalla campagna a domandarghene. E mi ghin cedo fasendo vedere che xe fadiga averle, che xe qua, che xe là, però voio che i me daga in cambio frumento". E lu così xe riussio, fra polvarette e altra roba, ad avere centocinquanta quintali di frumento “per i poveri orfanelli de San Gaetano”, che el ga messo in casa Bernardini, nell'angolo quando che andemo fora da viale Astichello, ghe xe quella casa lì; messi là sui granai ghe gera centocinquanta quintali de frumento per i poveri orfanelli de San Gaetano... Vendendo roba così. Casolini, eccetera: "Non posso darghela", "Un poca solo, el me fassa un passere, na carità! Ghe xe tutta la gente che domanda". Ora, un'altra volta xe vegnù el commendator Gresele co na penna biro; dice: "El guarda, don Ottorino", dice; el xe vegnù insieme con un altro. "Ghe xe – dice - questa penna: costa tanto, si può farle con tanta attrezzatura... Se pole vendarle a tanto e se ciapa tanto".

MO339,95 [25/27-12-1970]

95. Ora, te se, te ghe i debiti, non te si bon trovare schei... può essere una tentassion tremenda quella lì, no? Ma bisogna avere la forza de dire di no. "Ma qua... ma là....". Basta, nol me ga più dà schei per mesi e, vorria dire, qualche anno; arrabbià perché non go accettà. Il commendator Volpi se la ga ciapà, "perché non capisso gnente", el ga dito.
Ora, credo che la stessa tentazione può venire nel campo apostolico. Se va fora, se sente dire che se podaria far questo... se sente anzi esaltata una certa iniziativa; se occorre, un'altra iniziativa... tutto... bisogna far così; bisogna far così. Amici miei, bisogna stare attenti. Si porta a casa l'idea, si esamina, si analizza. Se pole vendare a millecinquecento franchi all'etto quello che costa centocinquanta franchi al quintale? Onestamente, no! E allora femo de manco farla. Si può? È un caso? Va bene! Può essere nelle iniziative apostoliche, può essere delle aperture, può essere qualcosa... Beh, tu vai fuori, capti questa cosa qui? Portala a casa, discutiamone nell'assemblea... Giusto, no? E vediamo un po’ se possiamo arricchire la Congregazione con qualche cosa, con qualche programma... benissimo! Ma dire: "Io la realizzo", e dopo mi arrabbio perché i me condanna, perché i me dixe: "No, non va ben da solo", ciò, questo mi pare che non si può fare. Non è questo il pensiero... Perché, guardate, una delle tentazioni tremende xe proprio questa, quella che go dito in altra forma ancora: non podemo andar a trovare la figura del prete dell'Istituto San Gaetano nelle riviste o sentirla dire a destra e a sinistra. Vangelo, Concilio, Papa! È chiaro? Poi ognuno di voi deve renderla viva questa figura, ma stando là... col "passa o non passa". Se siamo d'accordo con il Vangelo, col Concilio e con il Papa, allora sì, allora andemo avanti. Ma se sgarro, una de quelle non te poi calpestarla, vero... Non te poi dire che el Papa xe vecio e nol capisse gnente; che il Concilio xe già sorpassato; che il Vangelo... sa, ghe xe un qualcosa... xe sorpassato il Vangelo, ghe xe qualcosa de più, "Le lettere de Mao".

MO339,96 [25/27-12-1970]

96. Lo savì, no? La signora famosa de coso... quela che me ga dà i dodici milioni dell'Isolotto, la me ga dito questo: che don Mazzi, i xe andà in montagna in compagnia con un gruppo de tusi, e là: "E la Messa?". "Beh, ancò non posso, vedemo...". Insomma, dopo due tre giorni la xe riuscìa finalmente dire: "Ma sta Messa?". "Beh, stasera diremo Messa". La sera gli altri tusi xe andà a vedere la television o zugare, alle nove de sera, e luri, dopo cena, Messa lì a tola, dopo cena. Te poi immaginarte: ela se ga trovà a disagio, sta dona, sta signora... loro due soli, così. E, uno de qua, uno de là, comincia: "Nel nome del Padre...", avanti con la Messa. Arriva al Vangelo, chiude il libro, e el dixe: "Senta, signora, non ghe pare che sia sorpassà sto libro qua? Non ghe pare che ormai abbia fatto il suo tempo e che non risponda più alle esigenze del tempo?". "Cosa dixelo?". "No, ormai mi son convintissimo che la verità vien da un'altra parte. Questo ga xa fatto la so epoca, la verità vien da un'altra parte. - dixe - Per conto mio, oggi ghe xe le lettere di Mao che esprime molto mejo la via della salvezza, la via della luce... insomma...".
Perché se pole arrivare a questo, vero? Un passetto alla volta, un passetto alla volta, un passetto alla volta... DON MATTEO PINTON: "In concreto, la prima esperienza che se fa nella vita apostolica, la può essere un'esperienza validissima da un lato, e molto... da vedere con molta relatività da un altro. Cioè, siamo immersi in una determinata realtà, non so, in una parrocchia e fasemo una certa attività, per cui si può partire, per esempio; anche gli altri confratelli non xe che i staga lì proprio a giudicarte se te sbagli o non te sbagli; e se parte, mettendoghe anima e corpo, eccetera. Ora, xe proprio, mi credo, de partire con questa mentalità personale, proprio di relativizzare anche le proprie attività apostoliche, senò, a un dato momento, se fa della propria attività aspostolica, si fa il principio su cui bisogna giudicare tutti quanti che l'altri, oppure il filtro de ogni giudizio che gli altri fa de noialtri. Per cui a un dato momento non se riesce più a captare, per esempio, la correzione, eccetera, ma se vede soltanto come critica a noialtri". Il pensiero che ho detto prima è proprio questo: cioè ti te ghe l'impressione che il tuo orologio sia giusto, e tutti gli altri che non xe d'accordo col tuo i xe luri che sbaglia, no ti che te sbagli. Ora, la caduta di un cedro del Libano è proprio questa qua. Qualche volta mi ghe go dito a qualcuno: "Ma, senti, te sito mai gnanca messo in testa che per caso non te sbagli ti?". Capissito?

MO339,97 [25/27-12-1970]

97. Ora, per esempio, io ho detto tante volte a uno: "Prova ciapar dieci persone che te vui ti, a tua vista, e prova vardarghe l'orologio... col tuo...". Gnente da fare! I xe talmente accecati per cui non ghe xe niente da fare.
DON MATTEO PINTON: "Una volta, don Ottorino... Un caso concreto, perché ho visto che ha fatto impressione con qualcuno che abbiamo parlato. Una volta semo andà a Malo con don Piero de Marchi, e tornando parlavimo de una certa situazione della nostra Congregazion. E allora lu el ga dito: "Vito, in te na macchina ghe xe anca la retromarcia - el ga dito - e xe essenziale perché te ve all'ispettorato de motorizzazione, te fa la revision de la macchina, se te si senza retromarcia non i te lassa mia andar via, senò te si un pericolo pubblico. - el ga dito - Te imbocchi una strada, te intralci el traffico, non te si mia bon... te fe el disastro, no?". E allora el ga dito: "Anche nella nostra vita bisogna aver... Un uomo che non ha retromarcia non l'è omo. - el ga dito - Certo che non se va mia sempre indrìo... se va avanti, con la retromarcia, naturale... Ma qualche volta xe essenziale...". Ciò, feto un piassere? Femo fare una targheta da mettare fora: "Un uomo senza retromarcia non è un uomo", o qualcuna de queste qua, non se podaria mia mettarle xo? Podaria valere più de quella: "Cerca l'ultima porta", vero? DON ZENO DANIELE: "Xe un'idea anche come immagine, tanto importante, perché a volte ghe xe certi vicoli sbagliati, non se pole uscirghe altro che con la retromarcia". La mettemo fora bene, no, la mettemo fora bene; che magari su un bollettino vegnesse fora anca la figura, eccetera: "Retromarcia", ma metterla fora bene... Può essere un motivo: "Ma cosa vol dire sta roba qua?". L'idea del quadratin al so posto fa impression alla gente: "Cosa vol dire sta roba qua?". E allora te ghe dixi. Te la ghe la preghiera? Dove xela, qua? Xe mejo che te vai torla, e chiudemo dopo con quella preghiera lì. Per esempio: una frase de quel genere lì messa fora... te domanda: "Cosa vol dire sta roba qua?". E ti te scominsi dire: "Nella vita pol capitare da qua, così e così... se sbaglia, e tante volte se se punta e non se vole aver sbaglià. Se invece... cominsiar dire: "Sì, go sbaglià! Basta!". In famiglia, con la moglie, coi fioi, eccetera. Me ga fatto impression mi quella volta col dottor Tresso che el ga dito che a so fiolo el ghe ga dà na s-ciaffa e dopo el ghe ga domandà scusa: "A ghe go domandà scusa mi, per carità". Va ben! Quello aumenta immediatamente nella stima del figlio, vero? Il saper dire: "Ho sbagliato", non si perde stima, se ghin guadagna stima. Ora pensa che predica che se podaria fare a quelle persone che vien dentro lì, in casa nostra. Può essere un'idea per la santità nostra, ma anche un mezzo, oltre che per la formazione nostra in casa, anche per le persone esterne che podarìa essere quelle... Cosa ghin dixìo voialtri? Cioè per avere motivo di intavolare un discorso con uno, con una persona.

MO339,98 [25/27-12-1970]

98. DON MATTEO PINTON: "Xe sta l'altra domenica: la go letta in fondo alla Messa ai Servi. Xe sta silenzio. Go dito: "Son xa fora tempo massimo, - go dito - ma... saria belo...". Gera la IV domenica de Avvento, bisognava parlare proprio della preparazione del Messia, quindi della conversione dei peccati, no? Gavemo parlà tutto quanto sulla macchina, sula retromarcia... la predica, e alla fine go dito: "Bisognarìa che fasessimo na preghiera insieme per pareciarse al Natale. E allora ghe go letto sta qua della retromarcia. Ghe xe sta un silenzio! E dopo Momi, l'organista, el ga dito: "Bisognarà ch'el me la daga - el ga dito - perché go na persona che....".
"O Signore, la mia macchina è senza retromarcia; la mia vita è senza riflessione e senza umiltà. Non sono capace di tornare indietro. Sento che ho imboccato un vicolo cieco, il mio egoismo mi ha accecato. Cerco solo le mie ragioni, i miei interessi. Sono bloccato e molti strombazzano attorno a me perché intralcio la strada. Ma non ho la retromarcia. E continuo a credere che sia personalità quello di sfondare, di fracassare, di lasciare gridare gli altri. Siamo molti, Signore, a essere senza retromarcia; e la nostra vita è un groviglio indescrivibile: ci tamponiamo a vicenda e rimaniamo lì fermi, arrabbiati gli uni con gli altri. O Signore, tutto perché siamo senza retromarcia.

MO339,99 [25/27-12-1970]

99. La reputiamo viltà, mancanza di personalità,
e invece, Signore,sta proprio lì il segreto della nostra salvezza, della nostra conversione. O Signore, dammi tanta semplicità e umiltà, tanto senso del mio dovere e tanto coraggio, perché nella gran parte dei casi la vera personalità e la salvezza sta nel riconoscere i propri errori, nel chiedere perdono e nel ricominciare da capo con il tuo aiuto e con la tua parola di speranza". DON ZENO DANIELE: "... personali, no, prima di tutto, poi abbiamo anche quelle più clamorose, che se ga manifestà anche clamorosamente nella Chiesa dei nostri giorni, nel... Ciapemo anche il caso di don Mazzi stesso. Penso che a un certo momento proprio non sia... i se ga trovà in questa situazione perché non i ga vudo più il coraggio de fare retromarcia...". DON MATTEO PINTON: "Oppure se parte da situazioni anche banali, futili, che crea un complesso de cose; ma, dopo, al momento in cui ci si accorge, perché prima o dopo vien, perché senò el Signore, allora... bisogna ben ch'el ne illumina, no, prima o dopo... Xe proprio in quel momento lì che bisognaria essere tanto pieni de coraggio e de dire: "No, mi adesso go sbaglià, go sbaglià, e me ciapo tutte quante le responsabilità". MICHELE SARTORE: "La difficoltà xe anche che tante volte non se xe mia da soli. Dal momento che se xe spalleggià da altri che i ga preso la stessa direzione, el stesso senso de corsa, se pensa che i sia gli altri a sbagliare, e non se fa attenzione ai segnali stradali. Perché tante volte, purtroppo, non xe mia come nell'atto pratico che i xe evidenti, tante volte bisogna scoprirli...". DON MATTEO PINTON: "El sarìa el secondo tempo della preghiera... Podemo essere in tanti, e credere che sbaglia quei che va dritto, podemo essere in tanti a sbagliare e credere che sbaglia queli che va dritto. Credo che il vigile, insomma, sia sempre lì, a contatto con il Vangelo, umilmente, perché anche nella preghiera... Prima parlava anche Mario, el dixeva insomma: "Ma che cosa...?", e dopo don Ottorino ga tirà fora appunto quella frase lì: che adesso neanche più el Vangelo xe de moda. Cioè a un dato momento, insomma, se vede tante... Go parlà anche con persone: "Ma, adesso el parla tanto, tanto, - go dito - ma galo letto tutto quanto el Vangelo, na volta almanco?". In una settimana lesarlo tutto. Macchè! "Sì, lo go letto tutto, lo ghemo letto in ciesa, lo ghemo predicà in ciesa...". Eccetera.

MO339,100 [25/27-12-1970]

100. Ma nessun che lo ga letto tutto quanto, perché ghe xe de quele pagine che fa grattare la schena, che le xe robe paurose.
Per esempio, sta frase qua, le xe robe che fa vegnere... Beh, insomma, un momento, eccola qui. Quella là famosa, don Ottorino, dell'anno passà. Ogni tanto... "Voi scrutate le Scritture, perché pensate di trovare in esse la vita eterna, e sono quelle che rendono testimonianza di me. Eppure voi non volete venire a me per avere la vita. Io non accetto gloria dagli uomini, ma so che non avete in voi l'amore di Dio. Io sono venuto nel nome del Padre e voi non mi ricevete. Se altri venisse in nome proprio, voi lo ricevereste. - Vardemo quanti nomi sulla carta dell'odio - Come potete credere, voi che mendicate gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene dall'unico Dio. Non crediate che io voglia accusarvi presso il Padre; c'è già chi vi accusa: Mosè, nel quale voi sperate". Insomma, ma ghin'è tante de queste, cominciando dalle beatitudini, no? Ecco, insomma, che le fa andare non certamente sulla linea delle citazioni del presidente Mao, ma sulla linea proprio quella che ga dito anche el Papa, del Natale, insomma, in cui el regno de Dio taca proprio con umiltà. Co lu xe entrà nella vita, non l'è vegnesto armà col "parabellum"; el podeva vegnere, no? Oppure, el Signore podeva darghe agli Apostoli mitragliatrici; con una mitragliatrice dodici Apostoli i podeva far saltare l'impero romano, no? El Signore podeva farlo, lu el saveva che duemila anni dopo le gavarissimo inventà... eppure el ga dito: "Lavatevi i piedi gli uni gli altri". Insomma xe tutt'altro ragionamento, ecco, insomma. E questo xe anche molto difficile anche a dirlo perché xe difficile prima a praticarlo noialtri, e dopo xe difficile anche a farlo comprendere agli altri. E appunto gera quelo che xe dixeva tante volte parlando anche con Gianni, coi tusi, col gruppo del Vangelo, insomma: se vede che a un dato momento anche certe persone se sfalda proprio, e rimane tre o quattro, così. Anche rimanesse uno solo, il Signore... quando che i ga parlà, l'è uscio dagli equivoci... Xe bello vedere Gesù... Qua me son fatto una nota: "Gesù fugge gli equivoci terrestri"; le varie volte che Gesù fugge gli equivoci terrestri nel santo vangelo. L'è tremendo pensarghe su, perché proprio fa venir freddo vedere quando Gesù... Questo, per esempio, per esempio, xe nelle tentazioni, il demonio che dixe de trasformare le pietre in pane. El podeva el Signore fare una bella montagna de pan fresco per tutti gli uomini e risolvere el problema del terzo mondo, no, in anticipo, prima che el ghe fusse, perché allora el gera tutto terzo mondo, e invesse nol ga fatto. Par cossa? El ga predicà solo l'amore, no?

MO339,101 [25/27-12-1970]

101. Ecco qua, e allora el Signore dixe: "Non di solo pane vive l'uomo", cioè ghe mancava altro, ecco, de darne i schei anca senza che fasessimo fadiga per aumentare il nostro egoismo, no? "Non di solo pane vive l'uomo", di fronte a questa tentazione. La seconda tentazione, per esempio, all'invito delle scene clamorose, straordinarie e vanagloriose, di buttarsi dal pinnacolo del tempio, el Signore risponde: "Non tentare il Signore Dio tuo". Qualche volta anche noialtri siamo tentati di fare le nostre calate, no? Dal tempio alle bidonville, no? Là magari non più predicare el Vangelo, ma predicare la rivendicazione e l'odio. E allora... belle calate! Ma el Signore dixe: "Non tentare il Signore Dio tuo". Lo dixe ciaramente, insomma.
Non so, me ga fatto impression il discorso che Carlo Carretto ga fatto il 30 settembre, ghe xe anche dei ciclostilati, quando che appunto parla di questo e dixe: "Sì, xe fassile, se pole parlare dalla mattina alla sera dei campi dei Moitz, no?". Dopo, ghe xe quell'altro, nel fatto di Nazaret, per esempio. Il Signore Gesù a Nazaret, dixe esplicitamente il Vangelo, ha fatto pochi miracoli. Noialtri podemo dire: "Lu el xe vegnesto per amare. El podeva farli lo stesso, no?". Perché? Perché "non credevano in lui", e allora el ga fatto pochi miracoli. Per cossa xe ch'el ga fatto pochi miracoli? E allora che l'altri se la ga ciapà, no: "Medice, cura te ipsum! Perché non fai da noi quello che hai fatto a Cafarnao? Perché questo, perché quest'altro?". Perché sinceramente il Signore, no, vedeva in loro una voglia miracolistica, e non vedeva in loro la fede nel Messia, no? Allora lui non fa i miracoli. Tante volte noialtri siamo tentati di continuare ancora a fare determinate cose, supponiamo anche opere di carità, fare determinati miracoli, vedendo che continuemo a fomentare un equivoco: che no i crede in Dio. Dovemo fermarse - Il Signore non li ga fatti, e i voleva buttarlo xo dalla rupe, eh! - se vedemo che xe compromessa la fede in Dio, con le nostre, supponemo, anche opere buone. Il Signore non ga fatto miracoli, e i voleva tralo xo. Dopo ghe xe l'altro equivoco nella moltiplicazione dei pani; alla fine della moltiplicazione dei pani vogliono farlo re: "Ciò, sto qua ne xe comodo, - i dixe - el risolve tutto quanto el bilancio, e tutto...".

MO339,102 [25/27-12-1970]

102. "Allora egli fugge solo sul monte a pregare", dice il Vangelo, "solo, a pregare". Quindi... e subito dopo ritorna a Cafarnao e incomincia un altro discorso, il discorso cioè del pane di vita, e dixe: "Voi mi cercate per questo pane... cercate l'altro pane". Poi i dixe: "Ma questo discorso è duro!". Neanche fa nessuna obiezione per spiegare: "Vardè che mi go dito questo...". Niente! "Volete andarvene?", cioè: "Vol dire che non gavì nessuna fiducia in mi. Ve via! Resto anche da solo!".
RAFFAELE TESTOLIN: "Xe inutile pretendere che el Signore risolva el problema del terzo mondo, se dopo, in proporzione che diminuisce il terzo aumenta el quarto". DON MATTEO PINTON: "Sì, ghe xe anche el quarto: el xe el mondo del peccato che xe alla base dei tre mondi, della divisione in tre mondi. Xe sta una volta anche quello lì il tema appunto di una predica. Go dito: qua se parla sempre dei tre mondi. Una volta ghe go pensà... guardando anche le riviste, non te si mia bon trovare una definizione dei tre mondi. E allora appunto ghemo parlà in ciesa prima dell'Immacolata. Così appunto xe vegnù fora che ghe xe proprio il quarto mondo, quello che non se pole descrivere in un mappamondo, quello che tocca le nostre anime, che non se vede camminare per le strade e che credemo che non esista, mentre che el xe alla base della divisione degli altri tre: ghe xe il mondo del peccato, il mondo della dimenticanza di Dio, il mondo della mancanza di amore, di egoismo, a cui podemo far parte anche noialtri. Il terzo mondo xe ricco soltanto de miserie e di fame, no? Il quarto mondo xe ricco soltanto di peccato e di egoismi. E allora il Signore che cosa xelo vegnesto a fare? Xelo vegnesto a liberare dal quarto mondo, e tutti quanti ghe ga dito: "Idealista", e ghe ga dito: "Va là che noialtri gavemo più bisogno del pan adesso, femo una rivolusion. Quello xe el più interessante". Anche allora ghe gera i zeloti, i voleva una rivolusion concreta anche allora. "Sarete odiati da tutti per causa mia", ga dito el Signore. Saremo odiati dagli atei, dai terrestri perché parleremo del cielo; saremo odiati dai cristiani zeloti attuali, quelli che ga... ecco, perché predicheremo l'amore, ecco...". Gavemo ancora un quarto d'ora... DON MATTEO PINTON: "Liberami, Signore, dal pericolo di essere fariseo. Liberami, Signore, dal pericolo di dire: io non sono come i farisei, rapaci, ingiusti, superbi, prepotenti. Liberami, Signore, dal sentirmi in diritto di giudicare i miei fratelli.

MO339,103 [25/27-12-1970]

103. Liberami, Signore, dal pericolo di essere contestatore.
Liberami, Signore, dal pericolo di farmi bello delle tue parole solo per giudicare gli altri. Liberami, Signore, dal pericolo di non essere più un pubblicano che si pente, per erigermi a giudicare gli altri. Liberami, Signore, dal pericolo di fare mia la preghiera del fariseo. Liberami, Signore, dal pericolo di non invocare più il perdono dei peccati. Liberami, Signore, dal pericolo di inginocchiarmi pubblicano e di alzarmi fariseo, tronfio e superbo, violento e irriducibile, pieno di ira e di rancori verso coloro che sbagliano. Liberami, Signore, dal pericolo di lasciare il mio ultimo posto di pentimento, l’ultimo del tuo tempio, per potere amare te e farti amare con un cuore gonfio di amore". Come conclusione, questa sera, penso che dopo aver visto... bisogna che ci rendiamo anche conto che tutti possiamo cadere. Perciò non meravigliamoci se... Penso, domani, una frase, Marco, a te fa impressione un pensiero, una frase della Sacra Scrittura, la butti qua e... vien fuori "il quadratino fuori posto", capissi? Una ricchezza per tutta la Congregazione. Forse gli altri prendono quella semente e l'adoperano... E quel sassolino che tu butti per terra, un altro lo prende su e l'adopera per... DON ZENO DANIELE: "Credo che per questo xe molto importante anche quello che femo nell'impegno di vita. Vedo quanto utile anche per la predicazione qielle riflessioni che vien fora... Adesso poi che fanno l'impegno di vita nei Vangeli festivi, xe utilissimo, insommma. Ghe xe una ricchezza di intuizioni, di meditazioni, di esperienze che... anche perché xe robe vere, xe robe vive che dopo agli altri se sente il bisogno de comunicarghe questo. Quindi xe proprio un arricchimento parlarghene, senz'altro, insomma". Chiudiamo, allora.

MO339,104 [25/27-12-1970]

104. L'ultima parte del nostro tema.
Nella prima parte abbiamo visto un po' i doni di Dio nella nostra Famiglia; in altre parole ci siamo sforzati di vedere un po' la nostra Famiglia per renderci conto dove siamo stati chiamati, no? E perciò i grandi doni del Signore che sono stati dati in forma collettiva, forma... i doni materiali, i doni spirituali; abbiamo messo prima i materiali per preparare un po' l'ambiente; prima dovevamo mettere gli spirituali; ho messo i materiali perché quelli fanno un po' più impressione, e abbiamo cercato questo; da lì, preparato un po' l'animo, abbiamo considerato un po’ i doni spirituali. Arrivati a questo punto, abbiamo visto la grazia grande che abbiamo ricevuto noi nell’essere stati chiamati da Dio in questa Famiglia religiosa. E vorrei ancora sottolineare che questo... sarebbe un'eresia dire: "La grazia grande di voi essere stati chiamati dove ci sono io". No! Io e voi chiamati dove c'è Dio, avete capito? Questo è importante. Perciò sottolineo quel noi plurale. La grazia, grande, grande, che abbiamo ricevuto tutti nell'essere stati chiamati per questa missione. Guardate che è importantissimo questo, sottolineare questo, perché dobbiamo sentirci tutti sullo stesso piano, in fatto di missione. Che poi uno abbia una mansione particolare in chiesa, da sacerdote come don Guido e don Zeno stamattina, e che si presenti don Giorgio per ricevere la benedizione, questa è un'altra cosa... Ma poi, celebriamo insieme, no, ci comunichiamo insieme, lavoriamo insieme. Ora, arrivati a questo punto, ci siamo domandati: perché in mezzo a tanto fervore, in mezzo a tanti esempi buoni, c'è una dura realtà, e cioè che di tanto in tanto si vede un pochino qualcuno che ci lascia o qualcuno che perde quota? Ora, abbiamo cercato, anche in questo punto, non di andare a giudicare gli altri, ma di vedere quale potrebbe essere la causa di una perdita di quota. Perché abbiamo detto: "Se perdiamo quota, attenti! Vediamo che, per caso, mentre guardo l'altro che fa fuoco là vicino l'ala destra, e io magari ho la coda che sta bruciando, no?" Perciò io non giudico gli altri, cerco d’aver carità per gli altri, ma devo star attento che, per quanto è possibile, io devo togliere le cause. S’è fermata un po' la nostra... anche la discussione stessa sulle cause che potrebbero portare a questo raffreddamento. Uno non prega, o che prega così tanto per pregare, non è una vera preghiera umile, la preghiera che desidera, vero, portare l'individuo a fare la volontà del Signore; ora, che desidera a salvare... a entrare... insomma a fare entrare l'individuo nel piano di Dio per la salvezza delle anime, che vuol dire mettersi a disposizione di Dio pronti a qualunque cosa e anche a versare il sangue, come diceva bene ieri sera, quando parlavi del martirio di Santo Stefano, tu, Mario, parlavi del martire Santo Stefano, che cosa vuol dire martirio. Bene, dico, se non arriviamo a quel punto lì, c'è veramente il pericolo anche per noi di perdere quota. E siamo arrivati al punto dove bisognerebbe chiudere ogni registrazione e fare una bella discussione fraterna, e dire: "Un momentino! Noi, in casa nostra, proprio fraternamente, diciamoci, diciamoci proprio fraternamente...".