Meditazioni italiano > 1970 > L’OTTIMISMO NASCE DALLA FEDE E DALLA CERTEZZA DELLA VOLONTÀ DI DIO.

L’OTTIMISMO NASCE DALLA FEDE E DALLA CERTEZZA DELLA VOLONTÀ DI DIO.

MI313 [24-07-1970]

24 luglio 1970

MI313,1 [24-07-1970]

1. Siamo stati incaricati di portare il saluto fraterno di tutti i fratelli che sono lassù a Carbonin. Don Venanzio mi assicura che le cose vanno veramente bene, e con gioia mi ha detto: “I giovani del corso liceale sono veramente di esempio agli altri, e i giovani del corso ginnasiale - cioè i ‘piccoli’, ma non bisogna dire così a don Venanzio - sono edificati dal contegno dei grandi, cioè sono veramente edificati dallo spirito di servizio, dai discorsi che fanno, dal loro comportamento”.
Era un pezzo che non andavo a mangiare insieme con i ragazzi più giovani, e per me è stata una rivelazione constatare lo spirito con cui lavorano e fanno ogni cosa. Don Venanzio mi ha detto che ha visto in loro una grande trasformazione. A loro volta i più grandi sono contentissimi, e Faggian nella conversazione mi diceva: “Noi risentiamo moltissimo dell'influsso di Lorenzo Centomo (non di Domenico, eh!). Con il suo esempio ha dato un'impronta al noviziato: senza tante chiacchiere, con il suo esempio ha dato un'impronta, e noi sentiamo il bisogno di imitarlo; sentiamo il bisogno di essere come lui”. Mi ha fatto tanto piacere notare che i vostri fratelli del corso liceale, sono stati presi dall'esempio di un confratello più vecchio che è in mezzo a loro, e che i più giovani sono presi dall’esempio di questi. Bisogna che ringraziamo il Signore: sono contenti, allegri e sereni. È sufficiente ascoltare Michele quando racconta le avventure: quando racconta, fa teatro. Ieri ci siamo fermati ad ascoltare gli avvenimenti salienti del campeggio e a ridere, e qualcuno si contorceva dalle risate. Quando ci si vuol bene e si vive un po' in serena compagnia, anche le cose più semplici diventano motivo di allegria e di gioia, come quella, per esempio, di domandare ad un turista la via per tornare a Carbonin perché a un dato momento non erano più capaci di ritrovare la strada di casa. Carbonin in tedesco si dice 'Schluderbach'. Michele continuava a sbagliare la pronuncia, il suo interlocutore non capiva e Michele continuava ad insistere, finché si è rivolto a Lunardon, che sa il tedesco e gli ha corretto la parola. A un dato momento l’interlocutore di Michele se ne è uscito dicendo: “Ehi, io so dove si trova la Rosa, ma non so se è quella la località dove siete diretti”. E allora hanno capito che era un veneto: dopo aver bestemmiato per un pezzo in tedesco senza riuscire a farsi capire, hanno compreso che il loro interlocutore era un veneto. Potete immaginarvi Michele a raccontare l’avventura! Dopo sono saliti in alto, ma non vedevano il sentiero e non riuscivano a trovarlo: vedevano la cima del monte, ma non il sentiero. Alla sera, durante la preghiera comunitaria, Aldo Bernardi ha così pregato: “Signore, ti ringrazio per il monte che c'era e per il sentiero che non c'era”; ha detto queste parole e a un dato momento sono dovuti scappare tutti perché non sapevano trattenersi. Ho notato un senso di gioia che fa piacere, che rivela anche nei più giovani la presenza dello spirito della Casa.

MI313,2 [24-07-1970]

2. Anche mons. Fiordelli è stato colpito da questo. Lunardon mi ha raccontato che ieri mattina, mentre don Venanzio assieme ad altri era assente, mons. Fiordelli è stato insieme con loro un po’ di tempo a chiacchierare; degli assistenti c'era solo Piergiorgio Paoletto. Mons. Fiordelli ha detto: “Perché non venite a Prato? A me piacerebbe che veniste nella mia diocesi”. I ragazzi hanno raccontato che era entusiasta nel modo di parlare con loro, e noi abbiamo visto il frutto dopo, perché quando io sono andato a salutarlo verso mezzogiorno, subito dopo che avevano celebrato la Messa, mi ha offerto un bicchierino, e dopo mi ha chiamato da una parte e ha detto: “Senta, don Ottorino. Una signora di Prato mi ha offerto per una borsa di studio per un seminarista, e io ho pensato di darla a voi. Sì, la do a voi perché noi non ne abbiamo bisogno e ci arrangiamo. Intanto mi ha dato quattrocentomila lire, ma ha voglia di arrivare al milione, e allora ve lo mando, lo mando a voi”. Con molta probabilità ha preso questa decisione perché, stando in mezzo ai ragazzi, ha visto un po' lo spirito che hanno e questo gli ha fatto una certa impressione: ringraziamo il Signore!
È quello che stavo per dire: se ha visto ciò questa settimana, che cosa sarà la settimana ventura? Tra l'altro mi ha chiesto se Don Girolamo sarebbe salito, perché ha un'amicizia particolare con don Girolamo, anche perché sono due spilungoni eguali. Mi ha detto che don Girolamo gli aveva chiesto il posto e allora ha aggiunto: “Non occorre. Dica a don Girolamo che qui basta avvisare che arrivate. Basta così, non occorre domandare; qui si avvisa che venite e basta!”. Sono belle, insomma, le amicizie di questo genere. E allora, dato che parliamo della natura, siamo andati in mezzo a quei monti e a quelle cascate. È bene quindi che intoniamo la meditazione di questa mattina sulla natura.

MI313,3 [24-07-1970]

3. Giovanni era andato sulla cima della montagna con il Signore e Gesù gli ha fatto una predichetta vedendo i monti e le cascate d’acqua. Allora Maria gli disse che avrebbe avuto piacere di ascoltare la predichetta che Gesù gli aveva fatto lassù sul monte. Simone, che era presente, esclamò: “Eh, Giovanni te la fa adesso, te la ripete tutta se vuoi”.
Ora leggiamo il libro. «“Oh! Simone! Può mai un ragazzo ripetere le parole di Dio?”. “Un ragazzo no. Tu sì. Provati. Per compiacenza alle tue sorelle e a me che ti voglio bene”». Vorrei porre l’accento su questa parola: “Un ragazzo no, ma tu sì”. Dovremmo arrivare al punto che anche di noi si dica: “Un ragazzo no, ma Pietro sì; un giovanotto no, ma don Giorgio Girolimetto sì”. Dobbiamo da arrivare a una tonalità tale da poter affermare: “Io, con la mia realtà di uomo no, ma con la grazia di Dio, con quello che ricevo da Dio, con la sapienza di Dio, sì. Un ragioniere no, ma Zeno sì”. Non so se ho reso il pensiero. «Giovanni è molto rosso quando inizia a ripetere il discorso di Gesù. “Egli disse: 'Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola 'Credo'“». Mi dispiace che qui non ci sia Vinicio perché ieri continuava a ripetere questo giacché c’erano ruscelli e acqua su cui le correnti scrivono la parola ‘Credo’; Vinicio guardava se questa parola appariva sulle montagne e voleva che ci fermassimo a contemplare ogni montagna. A un dato momento mi ha fatto scendere dall’auto per fermarmi a contemplare ed esclamava: “Guardi che meraviglia! Guardi che libro! Guardi...”, e don Matteo completava con il resto. Pensate come ero messo con Vinicio e don Matteo! A un dato momento don Matteo ha detto: “Guardi che montagna! E pensare che se questa è una meraviglia, che cosa sarà un'anima, un’anima che è senza dubbio una montagna più bella! Ma noi neppure pensiamo a questo...”. A un dato momento ero costretto ad andare in estasi se non avessi avuto il volante in mano. «“Ecco la pagina infinita su cui le correnti scrivono la parola 'Credo'. Pensate il caos dell'Universo avanti che il Creatore volesse ordinare gli elementi e costituirli a meravigliosa società che ha dato agli uomini la terra e quanto contiene, e al firmamento gli astri e i pianeti. Tutto già non era. Né come caos informe, né come cosa ordinata. Dio la fece”». La settimana ventura sarete in mezzo alle montagna; sedetevi a contemplare e dite: “Hoc fecit Dominus, queste cose sono state fatte da Dio”. Capisci, Gianni? Queste cose sono state fatte da Dio! Fermatevi davanti a un ruscello, fermatevi davanti a un torrente e riflettete: “Queste cose le ha fatte il Signore!”. Si notava che anche la gente, presente con migliaia di macchine, si fermava a guardare con i cannocchiali e con i cavalletti. Ad un dato momento ho visto un turista che usava un cavalletto e guardava, e allora ho detto ad Antonio: “Quello sarebbe un cavalletto che andrebbe bene per noi”. Quando si vede la gente che osserva, è bene fermarsi un istante a pensare che queste cose le ha fatte il Signore, sapendole vedere proprio con la semplicità di un bambino, perché bisogna tornare alla semplicità dei bambini. Io ricorderò sempre quello che diceva mons. Fanton lassù in montagna d'inverno quando abbiamo visto spuntare qualche fiorellino: “Io mi domando: per chi il Signore ha fatto spuntare questi fiorellini? Il Signore non fa spuntare per nulla questi fiorellini: per chi li ha fatti? Io penso che li abbia fatti per i suoi angeli perché guardando in giù cantino le glorie di Dio”. Vi raccomando di andare in montagna sopratutto per sentire Dio. Approfittate di queste vacanze per vivere immersi nella natura e per sentire il Signore.

MI313,4 [24-07-1970]

4. «“Dio la fece. Fece dunque per primi gli elementi. Perché necessari sono, sebbene talora sembra che siano nocivi. Ma, pensatevelo sempre: non c'è la più piccola stilla di rugiada che non abbia la sua ragione buona di essere, non c'è insetto per piccolo e noioso che sia che non abbia la sua ragione buona di essere”».
Anche le zanzare hanno la loro buona ragione d’essere; capisco che sia fatica qualche volta rendersi conto di questo: quale buona azione può venire da una zanzara che punge e che fa venire la pustole? Eppure! «“E così non c'è mostruosa montagna eruttante dalle viscere fuoco e incandescenti lapilli che non abbia la sua ragione buona di essere. E non vi è ciclone senza motivo. E non vi è, passando dalle cose alle persone, e non vi è evento, non pianto, non gioia, non nascita, non morte, non sterilità o maternità abbondante, non lungo coniugio né rapida vedovanza, non sventura di miserie e malattia, come non prosperità di mezzi e di salute che non abbia la sua ragione buona di essere, anche se tale non appaia alla miopia e alla superbia umana che vede e giudica con tutte le cataratte e tutte le nebbie proprie delle cose imperfette. Ma l’Occhio di Dio, ma il Pensiero senza limitazioni di Dio, vede e sa. Il segreto per vivere immuni da sterili dubbi che innervosiscono, esauriscono, avvelenano la giornata terrena, è nel sapere credere che Dio ha fatto tutto per ragione intelligente e buona, che Dio fa ciò per amore, non nello stolido intento di crucciare per crucciare”». È fatica qualche volta credere questo. Per esempio, consideriamo la malattia di Lorenzo. Adesso c’è anche Tonello , poverino: anche lui ha la sua malattia. Giuseppe ha le sue sante piaghe, anzi le stimmate, e tu non hai le tue? Ogni cavallo ha le proprie! Umanamente parlando si fa fatica comprendere che tutto ciò sia giusto e ci si domanda: “Come mai? Come si spiega?”, perché si vedrebbe meglio uno che uno stesse bene, che lavorasse, che si desse da fare. Non vi sembra giusto? Ad esempio, il prefetto che ho avuto in prima ginnasio in seminario è partito per andare missionario; Si chiamava don Chiazza ed era un uomo di grande spirito di penitenza e di mortificazione: ha lasciato il seminario, è partito e dopo un anno o due è morto avvelenato da una scatola di sardine. Insomma è fatica vedere come ciò sia positivo: non sarebbero stato meglio che fosse vissuto trenta o quarant’anni nelle missioni facendo apostolato? Quanto bene avrebbe fatto! Ma noi non consideriamo il valore del sacrificio e misuriamo con il nostro metro che ci sembra giusto, ma che è spesso fuori fase. Se io guardassi con un cannocchiale rovesciato sembrerebbe piccolo, ma a me parrebbe giusto. Per piacere, abbiate anche voi delle distrazioni.

MI313,5 [24-07-1970]

5. Adesso il nostro libro parla degli angeli.
«Dio aveva già creato gli angeli. E parte di essi, per avere voluto non credere che fosse buono il livello di gloria al quale li aveva collocati, si erano ribellati e con l'animo arso dalla mancanza di fede nel loro Signore avevano tentato di assalire il trono irraggiungibile di Dio. Alle armoniose ragioni degli angeli credenti avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati». Per piacere, rileggi quella frasetta che può essere causa di discordia: il pessimismo. «Alle armoniose ragioni degli angeli...». No, no, basta, l'ultima riga. «... avevano opposto il loro discorde, ingiusto e pessimistico pensiero, e il pessimismo, che è mancanza di fede, li aveva da spiriti di luce fatti divenire spiriti ottenebrati». Anche noi nella vita dobbiamo cercare, o per natura o per virtù, di avere un sano ottimismo. Ottimismo non vuol dire: “Eh, è tutto facile!”. Per conto mio è ottimista colui che sa misurare se stesso e misurare le difficoltà che ci sono, ma che poi parte. C'è da costruire, ad esempio, una piccola stalla per il maiale: l’ottimista sa che per costruire la piccola stalla per il maiale ci vuole il terreno, ci vogliono il materiale e i soldi; misura le sue forze, confida nelle sue possibilità, ma non vuole essere sicuro soltanto delle sue forze; confida prima di tutto nella volontà di Dio e nella provvidenza che le è annessa, e poi dice: “Adesso comincio!”. Va bene? Non bisogna dire come sentito da qualche prete: “Io comincio a costruire la chiesa solo quando ho tutti i soldi in tasca, altrimenti non comincio a costruire neanche per sogno”. Insomma, va bene che si deve essere prudenti, ma alla fine bisogna partire con un certo senso di fiducia nella provvidenza. Mi pare che sia stato Papa Giovanni a dire, parlando ai membri della F.A.C.I. : “Guardate che non si può sostituire la previdenza alla provvidenza”. Ora io penso che l'ottimismo, per noi che siamo uomini di Dio, nasce anche pensare alla provvidenza. Dobbiamo prima di tutto evitare di fare cose cervellotiche o strampalate, e poi avere un po' di ottimismo nei riguardi degli uomini, e non vedere tutto nero.

MI313,6 [24-07-1970]

6. Per esempio, supponiamo che andiate in missione un gruppo di quattro o cinque, con don Girolamo come capo della spedizione: don Girolamo e insieme con lui i quattro che sono in mezzo, don Giorgio e tutti gli altri.
Se don Girolamo cominciasse a dirmi: “Don Ottorino, che cosa vuole che faccia con questi confratelli? Va bene, sì, ma...”. “Bada che don Giorgio è professore di filosofia”. “Va bene, ma che cosa vuole che ne facciamo della filosofia nel Chaco!”. “Va bene, vedrai che un domani sarà utile anche la filosofia, e guarda che Daniele è un bravo elettricista”. “Sì, ma...”. “Guarda che Giuseppe...”. “Sì, ma...”. “Insomma, Giuseppe sa fare da mangiare; quell’altro pianterà i radicchi... Alla fine avrai San Tommaso e avrai anche chi fa le cose pratiche, avrai tutte e due le correnti filosofiche e così, nella diocesi, ne avrai per tutti i gusti”. Se ti fermi a guardare la parte negativa trovi che uno è zoppo e quell’altro è orbo, uno ha la chierica giù per la nuca e quell’altro ha un difetto. Insomma, se vogliamo guardare la parte negativa, siamo d’accordo che troveremo sempre difetti. Lasciate un po’ di spazio anche alla provvidenza del Padre. Avremo anche un po’ di ‘pelata’, ma pazienza! Dico male, Pietro ? Ricordate che il pessimismo fa vedere le difficoltà più grandi di quello che sono, ma soprattutto fa vedere quello che manca e non quello che c’è. Mi sembra che l’ottimista non è un facilone, ma uno che valuta bene quello che c’è. Se, per esempio, hai una cesta di mele, non devi affliggerti perché vedi che in cima al mucchio ce ne sono tre di marce; pazienza, butta via quelle marce, e invece di trovarti con dieci chili di mele, rimarrai con nove chili, ma i nove chili restanti sono di mele buone. Bisogna saper distinguere. Ad esempio, si riceve la donazione di un’azienda, e subito si va a guardare la lista dei debiti: “Mamma mia, come posso accettare questa azienda con tutti questi debiti?”. Un ragioniere invece direbbe: “Accetto con il beneficio dell’inventario”. Si fa un bilancio, e si scopre che ci sono cinquanta milioni di debito, ma anche duecentocinquanta milioni di capitale, e che inoltre l’azienda ha un avviamento e anche quello ha un valore! - che forse non compare nel bilancio ma che può essere quantificato, magari, in cento milioni di lire. E allora, che cosa sono cinquanta milioni di debito di fronte al valore effettivo dell’azienda? Il facilone invece si lascia incantare guardando le merci in magazzino: “Ehi, guarda quanto materiale c’è! Bene, bene”. “Guarda che ci sono anche i debiti”. “Eh, non importa, guarda quanto materiale!”. E magari ci sono duecento o trecento milioni di debiti. Quello è uno stupido, e si può essere stupidi a destra e stupidi a sinistra. Vorrei dirvi questo: a un dato momento ci vuole equilibrio, che vuol dire buon senso. Ottimista allora è la persona che ha buon senso e che valuta le cose per quello che valgono veramente. ,

MI313,7 [24-07-1970]

7. Noi non possiamo mai pretendere che scenda un angelo dal cielo e che dica: “Fa’ questo, fa’ quello”, perché non saremmo neanche uomini. Il Signore ha lasciato anche a noi qualcosa da fare.
Per esempio, prendiamo il caso portato alla nostra attenzione da don Zeno: esaminata la cosa dinanzi a Dio, mi sembra che sia la cosa giusta da farsi. Naturalmente dire che è una cosa giusta da farsi non vuol dire non vedere le difficoltà che ci sono; non crediate che non abbia calcolato le difficoltà, ma si è visto l’utilità che questa iniziativa può portare. Si sono misurate l’utilità e le difficoltà, e visto che le difficoltà con l’aiuto di Dio, non certo da soli, si possono superare, siamo decisi a superarle. E allora, confidando nell’aiuto di Dio perché sembra una attività utile per il regno di Dio, si parte. Il partire non significa che dal cammino siano scomparse le difficoltà: le difficoltà restano. Può succedere anche che in qualche momento si trovino delle montagne insormontabili, e allora ricorreremo alle perforatrici, ricorreremo agli elicotteri, per superare quelle montagne. Può succedere di dovere ammettere: “Signore, ho sbagliato! Mi sembrava di aver fatto le scelte giuste, ma ora mi sembra di avere sbagliato”. Se effettivamente si riconosce di avere sbagliato vuol dire che si potrà pregare con sincerità: “Signore, bene per me se sono stato umiliato” , e accettiamo lo sbaglio come mezzo di santificazione. Bisogna sempre esser pronti a fare la volontà di Dio: se il Signore mi facesse comprendere che è sua volontà che l’Istituto sia abbattuto, io disfo immediatamente trent’anni di lavoro, così, con semplicità. Ma nello stesso tempo, se si parte, si deve partire con tutte e quattro le mani, e non con due soltanto, per difendere quella che è l’idea di Dio e non mia. Avete visto quando si è trattato del riconoscimento del diaconato alla Congregazione: in quell’impresa, per arrivare in fondo, abbiamo impiegato tutta la nostra parte, anche umana, con qualunque mezzo. Ma questa parte umana l’abbiamo impiegata in tanto in quanto mi pareva che ciò corrispondesse al dovere di raggiungere il fine che era voluto da Dio.

MI313,8 [24-07-1970]

8. Ricordo quando abbiamo costruito l’officina meccanica dell’Istituto San Gaetano. Ricordate la storia? Forse voi non c’eravate ancora. Anche mia mamma, poverina, mi chiese: “Siete sicuri, siete veramente sicuri di quello che fate?”. Quando abbiamo costruito questa casa, che non è certo quella del Cottolengo, cioè la seconda parte di questa casa, contemporaneamente si dava inizio all’officina dell’Istituto. Ricordo che in macchina ho accompagnato qui mia mamma: l’ho caricata in macchina, poverina , e le ho fatto vedere i lavori appena iniziati. Poi l’abbiamo portata di sopra, seduta su una sedia, e l’ho messa a dormire in una delle stanzette del corridoio dove c’è don Venanzio. Quando ha visto lavori impiantati di qua e di là è restata tanto scossa che quando l’ho riportata a casa mi ha detto:: “Senti, figliolo, ho una cosa da dirti. Sei proprio sicuro che questa sia la volontà di Dio? Sii attento a non fare troppi debiti. Sei proprio sicuro che questa sia la volontà di Dio?”. Allora le ho detto: “Senti, mamma. I ragazzi non ci stanno più e allora, per forza, dobbiamo ingrandire la Casa dell’Immacolata di qua e i laboratori dell’Istituto di là”, e le ho mostrato che le due cose, umanamente parlando, erano da farsi. Ma lei aggiunse: “Eh, incominci ad impiantare ancora debiti!”. E io le ho risposto: “Se io vedo che attraverso le circostanze il Signore mi dice di partire, devo fare rifornimento prima di partire, altrimenti mi fermo. Non e vero? Ma io non posso fermarmi nella corsa che mi ha tracciato il Signore”.
Ricordo che il giorno dopo sono partito per Roma e ho fatto un sogno. Beh, i sogni sono sogni! Monsignor Rodolfi nel sogno mi diceva: “Il Signore è contento perché sei preoccupato di fare la volontà di Dio”. Era venuto un’altra volta a dirmelo. “È contento perché vede che siete preoccupati di fare la volontà di Dio”. Non ha detto perché la facciamo, perché chissà quante volte io non l’ho fatta, ma perché nella Congregazione c’è la preoccupazione di fare la volontà di Dio. “Riguardo ai lavori che hai cominciato, non avere paura. Come segno che è veramente volontà del Signore, che lui è contento di quello che stai facendo...”. Potrei anche aver sbagliato ad interpretare, ma lui ha messo la questione come volontà di Dio: infatti quando ci si sforza il Signore mette la firma, alla fine pone la sua firma, come nell’occasione in cui San Pietro anticipò il Signore sulla questione del tributo da pagare e il Signore gli disse: “Bene, va’ e prendi il pesce...”. “Il segno sia questo: quando tornerai a casa ci sarà una persona che ti porterà dieci milioni”. Io non avevo mai visto arrivare dieci milioni tutti assieme d’un colpo solo: guardate che dieci milioni allora erano una somma ingente; infatti per costruire tutto l’immenso edificio dell’officina meccanica ho speso undici milioni e mezzo. Il giorno del mio ritorno a Vicenza è venuta una persona a portarmi i dieci milioni. I sogni sono fantasiosi, ma i dieci milioni li ho presi stretti perché non mi scappassero dal sogno... tanto per essere sicuro che fossero una realtà. Io penso veramente che se in noi c’è questa preoccupazione di vivere nel piano di Dio, di vivere nella corrente di Dio, e questo anche nelle missioni, questo anche in qualsiasi posto in cui Dio ci chiamerà a lavorare, Dio interverrà con la sua provvidenza: perciò andiamo avanti con un certo senso di ottimismo.

MI313,9 [24-07-1970]

9. In altre parole, il pericolo per chi si sforza di fare la volontà di Dio, quando cominciano le difficoltà, è quella di dire: “Per caso non avrò sbagliato ad interpretare?”. Non so se rendo il pensiero, ma è facile cadere in questo genere di errore perché è duro affrontare le prove.
Una delle tentazioni che all’inizio dell’Opera mi veniva quando cominciava la fatica era quella di dire: “Ehi, avrò forse sbagliato? Sarà questa la volontà di Dio? Sarò fuori strada? Che non sia meglio tornare indietro un pochino?”. Mi succedeva questo anche le prime volte che mi sono animato a volare in aereo e avevo paura di volare perché vedevo sotto di me acqua e monti e dicevo: “Che non sia meglio atterrare?”. È una delle tentazioni che può capitare quando ci si trova in difficoltà, quando si fa fatica andare avanti: domandi a uno che ti aiuti e non ti aiuta, quell’altro non ti aiuta, e tu ti trovi magari solo. Io ho osservato che nelle opere di Dio fisogna arrivare sempre a un momento quasi di solitudine, di abbandono, e allora dopo cominciano a fiorire. È il principio del seme che deve andare sotto terra e marcire. Credo che in ogni opera che si fa per il regno di Dio ci sia questo principio; io almeno l’ho sempre trovato. Non so se ho reso il pensiero. In un primo momento si parte con un po’ di entusiasmo, perché sembra che quella sia la volontà del Signore. All’inizio sembra così, come quando, per esempio, abbiamo cominciato a fabbricare la chiesa; poi è giunto un secchio d’acqua, e dopo un altro ancora. Chi di voi era presente sa che abbiamo dovuto sospendere i lavori per parecchi giorni. Arriva sempre il momento nel quale si parte perché pare che quella sia la volontà di Dio, e dopo arriva il momento che ci si trova soli e proprio in quella solitudine si trova Gesù abbandonato. Tuttavia anche in quel momento si deve dire: “Signore, è tua volontà che io vada avanti o vuoi che mi fermi?”. Allora ci si esamina dinanzi al tabernacolo con calma e ci si chiede: “La strada è questa o ho sbagliato? Eppure sono partito senza motivazioni umane, ma per questo motivo e per quest’altro...”. E allora, ci si accorgerà di avere una testa di acciaio, di quelle che fanno il buco. Le difficoltà sono la tempra della testa: il Signore ci mette in quello stato all’inizio di ogni sua volontà per temprare la testa in modo che la testa possa poi fare il buco. Mi guardate e tacete: non avete capito? Io posso dirvi che da quando sono sacerdote fino ad oggi non c’è mai stata una volta che abbiamo iniziato qualcosa senza il momento critico, che è sempre necessario. Lo si vede anche nella vita di Gesù, dappertutto, perché fa parte del piano di Dio, è nella logica della semente che si butta e che deve marcire, bisogna che marcisca, cioè, vorrei dire, che venga purificata. Considerate l’arrivo del diaconato e la morte di Lino : è stata quasi una purificazione, una purificazione di ogni elemento umano, per togliere qualsiasi motivo di superbia umana che avrebbe potuto portare a dire: “Sono stato io!”. Il Signore ha voluto dirci: “Guarda che hai preso in mano quel seme perché te l’ho dato io e perché tu lo mettessi là... Ecco quello che ti ho fatto e sono io che ‘do incremento’ “. Queste verità sono difficili, ma sono anche facili. Non è vero, Severino ? Per questa mattina basta così!