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Meditazione ai Religiosi e a Novizi della Casa dell’Immacolata. Don Ottorino, prendendo spunto dai versetti iniziali della prima lettera di San Paolo ai Tessalonicesi, sottolinea l’importanza di saper vedere la mano di Dio in ogni avvenimento e in ogni persona, e di conseguenza la necessità di elevare una costante preghiera di ringraziamento, e di avere uno sguardo sereno e ottimista verso i fratelli. Il testo originale è registrato e la sua durata è di 33’. 1. IntroduzioneIl testo registrato è lacunoso nel suo inizio per cui sembra che la meditazione cominci in maniera improvvisa, senza una adeguata introduzione.
Don Ottorino si serve per questa meditazione del testo di HEINZ SCHÜRMANN, Prima lettera ai Tessalonicesi, Città Nuova editrice Roma 1965. La frase citata è presa dall’introduzione, a pag. 9, e viene riportata in corsivo, come tutte le altre citazioni dello stesso testo, prese dalle pagg. 13, 23 ,25, 33-34, senza ulteriori richiami.
La frase latina significativa : “Se questi e queste riuscirono,perchè non posso anch’io?”.
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1.San Paolo ha questa convinzione: i cristiani restano uomini! Questo è consolante anche per noi. “Del resto anche i cristiani restano uomini, e costretti a vivere nella diaspora, sono sempre esposti a rischi e a defezioni. Non dobbiamo idealizzare la comunità di Tessalonica, se vogliamo capire le ammonizioni di Paolo: quei cristiani ci assomigliano sotto molti aspetti, quanto a deficienze, debolezze e pericoli”. Se noi vogliamo fare il parallelo fra la cristianità di Tessalonica e la nostra comunità, questo ci dà consolazione perché constatiamo che questa comunità ha ancora i suoi difetti. Speriamo di non trovare in noi i difetti che c’erano in quella comunità; speriamo di essere un tantino più avanti in fatto di uccisione dell’uomo vecchio. È come leggere la vita di un santo: la vita di uno che è nato santo ti scoraggia, mentre la vita di uno che ha avuto le sue miserie ti dà coraggio. “Si isti et istae, cur non ego?”. La frase latina significa: “Se questi e queste riuscirono, perché non posso anch’io?”. Se costui, pure birichino, ha fatto così, perché non posso diventare anch’io come lui? Allora Paolo, trovandosi dinanzi a questa comunità che non è perfetta, che ha i suoi vizietti, le sue miserie che deve correggere, che cosa fa per elevarla un pochino? Dice: “Questa comunità troverà aiuto”. Dove troverà aiuto? Lo troverà in Cristo e nello Spirito Santo, e in ciò che Dio, con la sua grazia, opera in seno alla comunità, e perciò lo troverà nella fede, nella speranza e nella carità. Ecco i tre punti sui quali Paolo insiste fortemente. Chissà quante volte ci fermeremo a meditarci sopra! Questa povera comunità, esposta a tutte le difficoltà, che deve stare in guardia dai peccati impuri e dagli imbrogli se vuole salvarsi, deve avere fede, speranza e carità. Allora Paolo ha forti espressioni sulla fede. Dice: fede che comporta la conversione dagli idoli, il distacco dalle cose vecchie; fede che deve essere operante - e su questo punto San Paolo insiste tanto! - e poi la carità, la carità! 2 Il sostegno della carità e della speranzaPASTORALE laici
COMUNITÀ
PECCATO
CONVERSIONE
APOSTOLO vita interiore
DIO Trinità
VIRTÙ
fede
VIRTÙ
speranza
PECCATO passioni
In queste affermazioni don Ottorino mescola le sue personali osservazioni con il testo dell’introduzione di Schurmann.
Don Lino Dal Moro si stava preparando per partire missionario in Brasile.
Si tratta di don Pietro Martinello e dell’assistente Antonio Zordan, destinati al Chaco Argentino insieme con don Graziano Celadon e gli assistenti Antonio Ferrari e Mirko Pasin.
Cfr. 1 Cor. 13.
Il riferimento è sempre al testo dell’introduzione del libro di Schürmann.
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2.“Una comunità che vive in un ambiente non cristiano trova il suo sostegno e la sua forza soprattutto nella carità fraterna”. Ed è quello che capiterà a voi quando andrete in un luogo di missione. Dove troverete la vostra forza, il vostro sostegno? Nella carità fraterna. La carità non esclude alcuno. Essa si estende oltre la vostra comunità e si irradia anche su tutti i fedeli. Quindi: carità fra voi, carità verso i giudei, e carità persino verso gli infedeli In queste affermazioni don Ottorino mescola le sue personali osservazioni con il testo dell'introduzione di Schurmann. È quello che dovrete fare voi. San Paolo arriva persino a questo punto: “Una comunità della diaspora, o è una fraternità in cui regni sovrana la carità, o cesserà presto di essere una comunità cristiana”. Ed è quello che dovremo dire delle nostre comunità. A Rio, caro don Lino , benedetto della Madonna - non è presente stamattina - e al Chaco, caro don Pietro e compagni, e Antonio , questa è la realtà: vi troverete posti, come la comunità di Tessalonica, in mezzo a un mondo che, se non è pagano, è paganeggiante. Vi troverete un po’ nelle stesse condizioni. Ora, attenti: “... o è una fraternità in cui regna sovrana la carità, o cesserà presto di essere una comunità cristiana”. Nella vostra comunità regnerà sovrana la carità soltanto se voi siete uniti a Cristo individualmente. Se uno invece di essere unito a Cristo ha la sua amante, tanto per parlarci chiaro, anche senza andare insieme, e ha il cuore che pende sempre a destra e a sinistra, figlioli, non c’è niente da fare: la carità fraterna non è possibile e allora, dopo un po’ di tempo, la comunità non è più comunità cristiana, e se non è comunità cristiana non dà testimonianza del Cristo e perciò non converte. Paolo ha dei voli meravigliosi nei riguardi della carità. Sempre San Paolo inoltre dice che dopo la fede, la carità, che ne è il distintivo, è necessaria. Ci riferiamo a quello che abbiamo detto ieri sera. Portate pazienza se siamo un po’ pesanti: dopo possiamo partire, ma è necessario avere questa base, e vorrei anche dire che bisogna insistere fortemente su queste cose perché sono i principi. “In una comunità perseguitata, infine, è forza particolarmente potente la speranza, che Paolo intende quale viva “aspettazione” del Signore: aspettazione piena di amore e di profonda nostalgia”. E qui bisognerebbe leggere due pagine meravigliose, ma non voglio prevenire i tempi, dove Paolo continua ad insistere che vuole la gioia, dove dice: “Guardate che ci sarà la persecuzione...”, e termina dicendo che “Cristo è risorto!”. È il principio che abbiamo esposto ieri sera: se Cristo è risorto, risorgeremo anche noi, anzi la risurrezione è già cominciata. Le croci, le tribolazioni? Sono un segno della fine escatologica. Non ha detto il Signore che, quando verrà la fine del mondo, sarà preceduta dalle tribolazioni? Non dovete scoraggiarvi: “Uhhh! Sta arrivando la fine del mondo! Sta venendo il Cristo, sta arrivando il Cristo...”. Le tribolazioni, le croci che troverete per strada non devono scoraggiarvi perché sono il segno premonitore della venuta del Cristo. Qualcuno potrebbe osservare: ”Ma, ci vogliono degli anni...”. Che cosa volete che siano gli anni dinanzi all’eternità? Che cosa sono gli anni dinanzi a Dio? Non spaventatevi!VIRTÙ
speranza
COMUNITÀ
unità
nella carità
GRAZIA Corpo Mistico
CONGREGAZIONE storia
SOCIETÀ
CARITÀ
GESÙ
unione con...
COMUNITÀ
CONSACRAZIONE mediocrità
Il riferimento è a S. E. mons. Costantino Luna, vescovo di Zacapa in Guatemala.
Raffaele Testolin, all’epoca, stava facendo l’anno di noviziato.
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3.Ecco Paolo! Insisto su questo perché voglio che conosciate Paolo, e allora capirete tutto il resto. Ecco Paolo in due parole! Finiamo e poi avremo un bel quarto d’ora per partire con il nostro argomento. Ecco Paolo che si rivolge a questa piccola comunità; non si scoraggia, neanche per sogno, se vede che in questa comunità ci sono anche delle miserie... Non dice: “Per carità, non c’è niente da fare...”, non si scoraggia perché sa già che hanno ricevuto solamente un mese, un mese e mezzo, due di istruzione. Li premunisce e dice: “Oh, attenti! Per salvarvi, in una situazione difficile come quella in cui vi trovate, in mezzo a difficoltà, in mezzo a un mondo pagano, in mezzo a nemici, dovete avere fede; voi vi salverete, però dovete avere fede”. E insiste molto sulla fede. E aggiunge: “Dovete avere tanta carità e dovete vivere con l’idea del Cristo risorto, dire cioè: io risorgerò! È cominciata la risurrezione! Cristo è risorto; fra poco risorgeremo anche noi! Quando? Non importa: risorgeremo tra poco! Guardate il segno: le vostre tribolazioni, le vostre croci, le vostre sofferenze non sono altro che il segno del Cristo che sta per arrivare, perché l’ha detto Lui: ci saranno tribolazioni, tempeste... eccole qui!”. Perciò il cristiano che vive sopra la terra, quando sente rumori di guerra, persecuzioni e lotte, non deve scoraggiarsi: è il preavviso del Cristo che sta per arrivare, è il preavviso della vittoria finale. “Ecco, adesso scoppia la guerra: dunque fra otto giorni arriva la fine del mondo!”. No, no, no! Per te verrà presto la fine del mondo, perché “quando sono morto io sono morti tutti!”; infatti se muoio sono già arrivato, ma ognuno deve sentire la tromba di questo arrivo. 3. L’intestazione della 1ª lettera ai Tessalonicesi Ora, poiché non voglio dilungarmi troppo, qui ci sarebbe da commentare l’indirizzo della lettera: “Paolo, Silvano e Timoteo”. Sono tutti e tre che dovrebbero scrivere: cioè scrivono in tre. La lettera comincia con “... alla chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre e nel Signore Gesù Cristo. A voi grazia e pace!”. Se noi ci fermassimo su tutte le parole, arriveremo all’inizio della lettera fra otto giorni; è meglio che partiamo subito. Eventualmente ci fermeremo su queste prime parole, poiché Paolo comincia le sue lettere sempre così, in altra circostanza. Il testo della lettera comincia con il ringraziamento al Signore; e stamattina ci fermiamo sulla prima riga. “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi nelle nostre preghiere”. Paolo, benedetto della Madonna, direbbe padre Luna , dice: “Ringraziamo sempre Dio per tutti voi nelle nostre preghiere”. Ringraziamo il Signore! I poveri Tessalonicesi sono ancora titubanti nella fede, e qualcuno dovrebbe essere anche ripreso perché non fa troppo bene, per cui avrebbe dovuto dire: ”Ringraziamo Dio per qualcuno di voi!”. Invece San Paolo è ottimista. Eppure San Paolo non è uno che le risparmia; San Paolo batte “urbi et orbi”, e quando c’è da battere non le risparmia ad alcuno. Qui invece è ottimista, e riesce a vedere in uno, in Raffaele , ad esempio, un filo d’erba e dice: “Non tutto è bruciato. Ho trovato un filo d’erba. “Coraggio, attacchiamoci su quello!”. Il Signore ha dato veramente a Paolo un cuore, vorrei dire, oggettivo. 4. Il filtro della preghieraAPOSTOLO chi è
l’
apostolo
VIRTÙ
fede
CARITÀ
GESÙ
CROCE prove
NOVISSIMI morte
PAROLA DI DIO
DOTI UMANE ottimismo
COMUNITÀ
Girolamo Venco frequentava all’epoca il 3° anno del corso teologico.
Crotone era la prima esperienza pastorale della Congregazione lontano da Vicenza, e don Marcello Rossetto era il superiore della Comunità.
Nella zona rurale della Casa dell’Immacolata, vicino al deposito degli attrezzi per coltivare il grande orto e il vigneto, c’era un fabbricato adibito a stalla per l’allevamento di alcuni maiali che venivano utilizzati per la produzione dei salumi per il consumo interno.
La Congregazione possedeva nel comune di Monteviale (VI), in collina, un piccolo appezzamento di terreno su cui era stata montata una delle case prefabbricate costruite nella Casa dell’Immacolata. Si era più volte pensato di ampliare la proprietà per farne un luogo adatto a ritiri e a periodi di preghiera.
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4.“Paolo svolge l’apostolato pregando; e nella sua preghiera apostolica, usa accogliere i bisogni delle sue comunità”. “... svolge il suo apostolato pregando”. Quando sarà, o mio Dio, che i nostri Religiosi svolgeranno il loro apostolato pregando e, cioè, la loro vita sarà tutta preghiera, sarà tutta unione con Dio? Durante la preghiera faranno i progetti e durante la realizzazione dei progetti faranno preghiera. I progetti che vengono loro in mente durante la preghiera non sono distrazioni, ma conversazioni con Dio sulle cose che stanno per fare. Ecco là, Venco , che sta progettando la sua “opera omnia”, e allora durante la meditazione pensa, ma quel pensiero non è distrazione, perché lui ha cominciato con Dio quell’opera, la discute con Dio e la realizza con Dio. Le opere, che noi compiamo, dovrebbero tutte partire da Lui, essere tutte discusse con Lui. Vai in chiesa a pregare: a un dato momento metti giù il breviario e ti metti a pensare alle case prefabbricate, ma pensi con Dio, discuti con Dio, perché le hai cominciate con Lui e le stai continuando con Lui, stai discutendo con Lui che cosa devi fare. Sei in chiesa e stai recitando la corona da solo; a un dato momento sei preoccupato per le vocazioni, per i giovani, di come devi comportarti con gli ammalati perché sono lontani da Dio, e ti fermi, e continui a riflettere con Lui e con la Madonna. È come quando qualche volta si sta recitando la corona in corridoio, e a un dato momento viene in mente una distrazione e ci si ferma a parlare. Ecco, invece di parlare con gli uomini, si parla con Dio e si resta lì con Dio, perché i nostri progetti hanno tutti come marchio di fabbrica Cristo; partono tutti da Lui! E allora, necessariamente, come Paolo, l’uomo di Dio, “svolge l’apostolato pregando; e nella sua preghiera apostolica usa accogliere i bisogni delle sue comunità”. “Signore, - egli dice - dà un’occhiata a Crotone. Signore, a Crotone di che cosa hanno bisogno? Di che cosa ha bisogno don Marcello? Dagli la salute, aiutalo perché abbia la salute, povero figliolo!”. E tu con il pensiero fai una visita a Crotone e passi in rassegna i confratelli uno ad uno, consideri i bisogni di ognuno, e te la racconti con il Signore e preghi il Signore: “Signore, di che cosa ha bisogno la Comunità? Ha bisogno di un centro giovanile, avrebbe bisogno della canonica, avrebbe bisogno di questo, di quello... Signore, aiutala! Nei rapporti con il vescovo, di che cosa ha bisogno? Signore, ecco... ecco...!”. È un pensare e un pregare, è un progettare e un discutere insieme con il Signore... E poi passi a Monterotondo, e poi passi a Zacapa... e poi passi, magari, nella stalletta dei maiali in fondo al cortile :“Quanti ce ne sono? Non sarebbe il caso di comprarne qualche altro?”. Poi passi a Monteviale : “Non sarebbe il caso di comprare un po’ di terra per andare lì a pregare e meditare insieme?”. Figlioli, guardate che a questo punto dovete arrivare anche voi, perché se voi separate la preghiera dall’azione, a un dato momento, fratelli miei, non riuscirete a spiritualizzare il vostro lavoro. Ciò non vuol dire, allora, che vi dobbiate fermare solo a pensare a questo; dico soltanto che queste cose materiali devono passare attraverso il filtro della preghiera. 5. La preghiera di ringraziamentoPREGHIERA unione personale con Dio
PREGHIERA dialogo con Dio
PREGHIERA meditazione
DIO
APOSTOLO chi è
l’
apostolo
DIO contatto con
PREGHIERA pratiche di pietà
PREGHIERA rosario
APOSTOLO profeta
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
PREGHIERE per la comunità
Il riferimento è a don Luigi Furlato.
Aneddoto dei Padri del deserto. Un eremita passeggiando percuoteva con il suo bastone i fiori perché loro lodavano e ringraziavano Dio con la loro bellezza e il loro profumo, mentre lui, creatura più perfetta, non riusciva a farlo in modo conveniente e continuato.
Nel 1955, dato il grande numero di ragazzi ospitati nell’Istituto San Gaetano, don Ottorino pensò di costruire l’attuale chiesa. Ma, qual’era la volontà di Dio? Durante tutto il mese di ottobre i ragazzi pregarono per ottenere un segno; e il segno era questo: entro ottobre dovevano arrivare almeno cinque milioni necessari per dare inizio alla costruzione. Mons. Giuseppe Sette (1905-1977) aveva parlato del progetto di costruire la chiesa alla sig.na Clementina Valeri (1888-1977) che aveva in animo di fare qualcosa a ricordo del nipote Cristoforo disperso in Russia. Lei accettò la proposta donando subito due milioni per l’altare e poi saputo che il segno atteso era di cinque milioni, volle donare anche gli altri tre... e dopo qualche tempo si offrì di pagare tutta la chiesa.
Era l’anno 1957, e “i poveri preti” erano don Ottorino e don Aldo che, seduti su un tombino, stavano chiedendosi se era volontà di Dio quella di costruire l’esternato. Passò in quel momento il comm. Mario Volpi che, in memoria dei suoi genitori defunti, pagò il terreno necessario per la costruzione dell’esternato.
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5.“Ma la preghiera gli si trasforma subito, spontaneamente, in ringraziamento”. Ecco Paolo che prega, ma la preghiera non è prima di tutto richiesta, è ringraziamento: “Grazie, Signore!”. Ah, figlioli miei, figlioli miei! Il nostro caro maestro dei novizi quando parla loro dice che mentre ci si lava il viso al mattino dovrebbe sgorgare dal cuore un “Te Deum laudamus”, o un “Laudate Dominum omnes gentes”, o un “Benedicite”, cioè un inno di ringraziamento. Non so se adesso nei noviziati si fa ancora così, ma questo dovrebbe essere lo spirito della nostra Casa. Appena svegliati, mentre si sta mettendo a posto le proprie cosette, bisognerebbe che dal nostro cuore si alzasse un inno di ringraziamento: “Signore, ti ringrazio!”. L’uccellino al mattino, appena si sveglia, comincia a cantare, e questo canto è un inno di ringraziamento al Signore. Perché, fratelli miei, dobbiamo sempre andare a dire al Signore: “Signore, dammi; Signore, dammi questo; Signore, dammi quello, dammi...”? Diciamogli, invece: “Grazie, Signore... Mi hai dato la salute; grazie, Signore!”. Ti viene un mal di denti: “Grazie, Signore, perché non ho anche il mal di gambe, non ho anche il mal di testa. Grazie, Signore!”. Ti viene da vomitare: “Grazie, Signore, perché non ho buttato fuori anche le budella. Grazie, grazie, Signore!”. Figlioli miei, ci sia un inno di ringraziamento al Signore per tutto! Caschi a terra e ti rompi una gamba: “Grazie, Signore, perché non me le sono rotte tutte e due, perché ho ancora la testa a posto. Grazie, Signore!”. Cerchiamo di vedere quello che abbiamo ricevuto, cerchiamo di sentire il dono grande della vita che Dio ci ha dato, il dono della grazia, il dono della vocazione, il dono della vita ma in uno spirito missionario... Figlioli miei, ringraziamo, ringraziamo Dio! Ricordate quel benedetto santo che andava in giro battendo l’erba e i fiori: “Tacete, tacete, lo so, lo so...”. Ebbene, ricordatevi continuamente che dobbiamo ringraziare il Signore: “... lo so, lo so, tacete...”, e che ogni pietra della nostra Casa dovrebbe parlarci del Signore. Quando voi andate all’Istituto e vedete la chiesa, dovrebbe subito, venirvi in mente quel miracolo di grazia che il Signore ha fatto il giorno in cui ci l’ha regalato. . Quando andate all’Esternato per assistere i ragazzi, immaginatevi di vedere questi poveri preti che stavano dondolandosi sopra un tubo di cemento. Arriva un benefattore e chiede: “Che cosa fate... che cosa non fate?”. “Eh, siamo qui a vedere...”. “Ma, ditemi un po’, che cosa state facendo?”. “Oh, stiamo vedendo un po’ acquistare o no questo terreno”. “Quanto costa?”. “Tredici milioni”. “Ebbene, ve li do io. Oggi andavo in cerca... cercavo come fare un’opera di bene e il Signore mi ha portato qui”. E allora voi andando là dovreste vedere in quel pezzo di terra la provvidenza che viene da Dio... “Haec fecit Dominus: il Signore ha fatto queste cose!”.PREGHIERA ringraziamento
CREATO
CROCE
DIO riconoscenza a...
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CONSACRAZIONE
PROVVIDENZA episodi di...
DIO presenza di...
Don Ottorino si riferisce alla chiesa della Casa dell’Immacolata costruita in pochi mesi, da maggio a ottobre del 1960, e all’ala nord costruita in seguito a completamento del progetto iniziale.
Il riferimento a don Lino Dal Moro, che stava per partire per il Brasile con il primo gruppo destinato al Patronato di Resende. La famiglia di don Lino abitava a Belvedere di Tezze sul Brenta che dista da Vicenza circa 25 Km. Per comprendere bene l’esempio di don Ottorino è bene ricordare che nel primo anno di sacerdozio don Lino andava di solito ad aiutare, il sabato e la domenica, il parroco di Arsiero, ove poi rimase per un tempo prolungato facendo servizio nella parrocchia di Casotto.
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6.E passando in questa Casa, quando vedete questa chiesa e quest’ala, figlioli miei, ogni sasso di queste costruzioni vi deve parlare del Signore: non soltanto vi deve spingere a parlare, ma a cantare, a cantare! E non soltanto quando vedete queste costruzioni, ma quando vedete uno dei vostri compagni, l’anima dei vostri compagni perché... ognuno di voi è un monumento della grazia del Signore. Io vedo, per esempio, il nostro caro don Lino : lo vedo marmocchietto, piccolo, neppure capace di pulirsi il naso, poveretto; bisognava anche aiutarlo a fare quell’operazione difficile. E poi, pianino, è arrivato anche lui a grandi crisi, lui era precoce e ha avuto la crisi in seconda media, per cui ricordo questo povero figliolo in burrasca. Quando la mamma venne a conoscere questa piccola burrasca - Non meravigliatevi! Le abbiamo avute tutti le burrasche, se non le abbiamo ancora addosso! - e vide il suo piccolo in pericolo, partì a piedi e si recò a Monte Berico (quanti chilometri sono, caro figliolo, dal tuo paese fino a Monte Berico? 25 o 27-28? ) a pregare la Madonna, con spirito di fede, con spirito penitenziale, non per forzare la mano di Dio, non perché suo figlio si facesse prete se non era chiamato ad essere prete, ma perché la Madonna ottenesse al figlio la forza di dire di sì se questa era la volontà del Signore... Questo è solo un piccolo particolare, ma quando io guardo don Lino vedo un monumento di Dio... Da quando l’ho visto a Belvedere, davanti a quel mucchio di sabbia mentre stava giocando come un monelluccio... e poi su, su, su... fino a quando l’ho visto compiere le sue azioni bellicose ad Arsero; ormai me lo vedo già apostolo a Rio... Figlioli, ognuno di voi è un miracolo di Dio! Se sapeste quante volte, passando vicino a voi, mi sento spinto a cantare! Peccato che io sia stonato, altrimenti mi sentireste qualche volta cantare un “Te Deum laudamus” a 4 voci dispari... da solo! Perché? Perché ognuno di voi è qualche cosa di più della chiesa dell’Istituto; ognuno di voi è qualche cosa di più di un pezzo di terra che ci è stato regalato quella sera famosa. Figlioli, ognuno di voi è, si può dire, un mare di grazie che il Signore ha riversato! Allora, figlioli miei, qualche volta bisognerebbe fermarsi un pochino e ringraziare. La nostra preghiera, figlioli, se non diviene preghiera di ringraziamento, difficilmente sarà una preghiera piena di amore, di carità; sarà una preghiera egoistica propria di uno che va e chiede, che domanda, domanda... Figlioli, ecco Paolo! Sua prima prerogativa: l’afferrato da Cristo si dona a Cristo, sente il bisogno di ringraziare; ringraziare per quella brusca fermata che ha avuto; ringraziare per i doni eccelsi che ha ricevuto; ringraziare per le persecuzioni, per le lotte, perché tutto è grazia per lui. Predica che tutto è grazia ed è convinto che tutto è grazia, e allora ringrazia.COMUNITÀ
confratelli
CONSACRAZIONE
CROCE sofferenze morali
MARIA devozione a ...
PENITENZA
VOLONTÀ
di DIO
CONGREGAZIONE
APOSTOLO uomo di Dio
PREGHIERA
APOSTOLO
GRAZIA
Essere di giornata indica nel gergo militare il responsabile, per quel giorno, di un determinato servizio o incarico di comando (caporale di giornata, ufficiale di giornata).
Nel testo registrato si percepisce che don Ottorino batte fortemente il pugno sul tavolo per far capire quanto duro fosse diventato il suo riso.
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7.Sì, figlioli, bisogna ringraziare Dio perché ci manda i milioni quando ci occorrono; ringraziare Dio perché fa risplendere il sole e ringraziare Dio anche quando permette che venga la tempesta: la tempesta sulla Congregazione con la morte di Giorgio, o la tempesta su qualcuno di voi perché suona l’ora dura, l’ora nera, l’ora della tristezza, l’ora dell’abbattimento... Ringraziare Dio! “Sì, Signore: ho mal di testa, non ne posso più, sto poco bene, ho un momento di tristezza... grazie, Signore! Grazie perché in questo modo tu mi richiami alla realtà, mi fai vivere la fede, la speranza, la speranza nella futura risurrezione, e mi aiuti anche a purificarmi, Signore!”. Ecco come Paolo comincia la sua lettera. 6 Una lettura di fede delle croci della comunità e uno sguardo di ottimismo verso i fratelli “Avviene così a quelli che con occhi luminosi sanno riconoscere l’azione di Dio nelle comunità e nelle anime”. Sappiate riconoscere l’opera di Dio anche quando sarete nella vita missionaria: sappiate riconoscere la vostra piccola comunità. È il Signore che ci vuole bene : “Transitus Domini”. Arriverete a casa... Ecco Zordan che ha preparato il cibo perché era lui di giornata ; arrivano a casa don Pietro e compagni, e Zordan, poveretto, ha bruciato tutto. Ha ripetuto quello che ha fatto don Ottorino una volta. La mamma gli aveva preparato tutto il necessario e gli aveva detto: “Io vado in città a fare la spesa; tu metti sul fuoco la pentola e alla data ora versa il riso...”. Io l’ho buttato giù il riso, ma... a un dato momento, mentre stava cuocendosi, il riso si è fatto asciutto, e allora ho buttato giù acqua... e giù acqua, continuavo ad aggiungere acqua. Ad un dato momento, sul fuoco, il riso bolliva troppo, e sta di fatto che ne è venuta una cosa dura così , nonostante tutta l’acqua aggiunta. Né mia mamma né mio papà l’hanno mangiato, e neppure io ho tentato di fare l’eroico e mangiarne un boccone: non c’era niente da fare perché la parte sotto era già alta così, tutta nera, dura come un mattone e la parte di sopra era tale che si sarebbe potuto provare a romperla con lo scalpello.PROVVIDENZA
DIO riconoscenza a...
CONGREGAZIONE storia
CROCE
VIRTÙ
CONVERSIONE
COMUNITÀ
confratelli
VIRTÙ
fede
MISSIONI vita missionaria
COMUNITÀ
Tirar quatro òche significa, in dialetto veneto, bestemmiare, ma anche dire brutte parole, dare in escandescenze con frasi irriguardose.
Nel testo registrato don Ottorino aggiunge scherzosamente “con l’apostrofo”, abbinando cioè il termine superiore a oco.
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8.Mi pare di vedere quando arrivano a casa i nostri cari missionari, con il nostro caro Antonio che prepara loro una minestra di questo stile perché tocca a lui preparare il mangiare perché è di giornata, e poi la carne tutta bruciata... E gli altri arrivano a casa, e lui si è perso a suonare... a meno che non si sia lasciato suonare da qualche altro o da qualche altra. Trattiamolo bene perché bisogna trattarlo bene Antonio. Come faranno i confratelli a tenere a freno i nervi quando arrivano a casa pieni di fame, stanchi, accaldati, avendo lasciato a casa l’altro a riposare con questa sola incombenza? Eh, figlioli miei, bisogna saper vedere la mano di Dio senza “tirare quattro ochette” , di quelle che si possono tirare! È un gioco difficile, eppure bisogna saper vedere la mano di Dio anche in queste circostanze. Il superiore locale dirà la sua parola: “Senti, figliolo, fratello mio, mi raccomando: vedi di stare più attento un’altra volta”, finché lo porterà a due o tre lacrime di compunzione... e poi basta! E allora facciamo digiuno? Nemmeno per sogno! Va’ subito nel pollaio, raccogli due o tre uova, rompile e facciamo una frittata, ‘et sit nomen Domini benedictum’; se c’è un uovo solo sarà diviso un pochino per ciascuno. Figlioli, bisogna saper vedere le croci della comunità, le difficoltà anche quando andate e trovate uno che è addormentato; bisogna saperle dire le cose, correggere, ma soprattutto saperle accettare dalle mani di Dio ed insegnare alle anime ad accettare queste cose dalle mani del Signore. E ringraziare, ringraziare anche per questo, perché, queste cose vi portano più vicini al Signore. “Evidentemente Paolo scorge più chiaramente l’azione della grazia che non le deficienze per le quali pur deve pregare”. Anche qui: bisogna essere ottimisti e saper scorgere piuttosto le azioni della grazia...MISSIONI vita missionaria
COMUNITÀ
fraternità
CROCE
DIO presenza di...
COMUNITÀ
correzione fraterna
CONVERSIONE pentimento
CROCE prove
DIO riconoscenza a...
In dialetto veneto, riferito a persona, si intende: uno tutto pepe, poco trattabile, con cui è difficile convivere.
Don Luigi Mecenero era destinato alle missioni brasiliane assieme a don Lino Dal Moro, all’assistente Gianni Sgarbossa e all’assistente Pietro Simonetto.
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9. Supponiamo che fra qualche mese venga nel Chaco: “Don Pietro, come va?”. “Ah, don Ottorino, che cosa vuole: Antonio Zordan... sì, sì, ma... Mirko? Sì, ma... Don Graziano? Sì, maaa... Antonio Ferrari? Sì, maaa...”. Chiamo Zordan: “Come va?”. Mi risponde: “Ah, caro don Ottorino, disastri con don Pietro! Finché era a Vicenza... sì, sì; finché era là, finché c’era lei... Ma da quando è venuto qua, è diventato un “pevarin” , peggio di quei peperoni famosi... quelli che lei ha portato a casa dal Brasile. Se vedesse... se vedesse...! Autoritario, despota: ta, ta, ta...! Fa tutto lui! Gli altri invece... Fa la sua oretta di lavoro e dopo si ritira in stanza: ‘Io ho da prepararmi la predica; arrangiatevi, cari!’. Anzi se c’è da portare la comunione in tanta malora, tocca a noi andarci; se c’è da fare qualcosa, tocca a noi! E lui, caro don Ottorino, fa il parroco, il superiore!”. Ecco, se un domani, per esempio, si arrivasse a una situazione così: che brutta cosa! Invece: “Come va, don Pietro?”. “Ringraziando il Signore, don Ottorino, le cose vanno bene; bisogna proprio che ringraziamo il Signore!”. “Ma, non ci sono mica difficoltà?”. “Sì, sì, ma che cosa vuole! Sapevamo già che dovevamo trovare un po’ di difficoltà”. “Antonio?”. “Antonio? Bene, poverino”. “Ma, proprio bene, bene, bene?”. “Che vuole... Sì, qualcosina ci sarebbe, ma... perché fare tante storie! Sì, va bene! Che vuole... ho visto che c’era una cosetta, ho parlato... Che cosa vuole... Ne ho anch’io di cose che non vanno ... Chi è senza peccato... specialmente poi nel Chaco dove i peccati crescono bene perché la terra è buona e c’è l’umidità...”. “E Antonio Ferrari, come va?”. “Ah, bene! Guardi, non credevo... Sì, gli scappa qualche ‘oca’...”. Figlioli, almeno fatelo per compassione di quei poveri disgraziati che attraversano il mare per venire a trovarvi, almeno fatelo per questi, per non avvelenare il primo pasto che fanno con voi; almeno fatelo per questo! Abbiate pietà di noi: siate un po’ ottimisti! Essere ottimisti non vuol dire essere insulsi, non vuol dire non essere oggettivi; ma se in uno vedi il 30% di marcio, non dire che è tutto marcio. Sii giusto, onesto: “Ringraziando il Signore c’è un 70% veramente buono; peccato che ci sia un 30% di... ma, con l’aiuto di Dio, vediamo, proviamo... Aiutatemi anche voi; dica anche lei una parolina...!”. E poi : “Credo che non si possa fare niente, credo che Antonio Zordan se lo deve portare a casa, sa, don Ottorino, però ha un 70% che è un tesoro. Per quell’altro 30% si potrebbe provare a mandarlo con don Luigi Mecenero ...”. Figlioli, mettete il buono davanti: mettetelo, mettetelo!MISSIONI
COMUNITÀ
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unità
nella carità
DOTI UMANE ottimismo
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Cfr. Giovanni 13,15.
Leonzio Apostoli, chierico, frequentava all’epoca il 3° anno del corso teologico.
Don Vittorio Venturin stava frequentando l’ultimo anno del corso teologico.
MI114,10[01-12-1966]
10.Ricordate come insiste San Francesco di Sales: ”Quando hai da correggere uno, comincia con il dire che è un buon uomo, comincia ad esaltare le sue virtù”. Guardate a che punto arriva lui, il santo della carità: “... e se non trovi niente di buono, è il caso che tu dica una bugia, inventando”. Supponiamo che io debba correggere don Pietro Martinello e non trovi niente di buono in lui: sarebbe proprio il caso di dire che è un bel ragazzo, inventando! È una brutta cosa non saper altro che vedere mancanze e difetti, mancanze e difetti: c’è sempre qualcuno che non è capace d’altro se non di suonare la marcia funebre. Antonio, dico male, caro? Sei d’accordo? Ehi, tu, Antonio Zordan, parlo male? È così bello vedere un po’ di sorriso! E invece arrivi là e cantano la Messa da morto: ‘Requiem aeternam’; se non è ‘Requiem aeternam’ è ‘De profundis’; se non è ‘De profundis’ è il ‘Dies irae’; se non è il ‘Dies irae’ è il ‘Libera me Domine’... sempre Messa da morto! Lascia che qualche volta canti ‘La bella violetta’. Qualche volta cantate qualcosa di allegro, ma non troppo allegro per non scandalizzare. Non osservate solo difetti e miserie; cercate di vedere un pochino il bene in ognuno. Se c’è qualche pessimista in mezzo a voi, deve elevarsi. Il maestro dei novizi cerchi di vincere un pochino questi difetti in se stesso e negli altri : “Exemplum dedi vobis ut quemadmodum ego feci vobis, ita et vos faciatis”. Non è vero? Il maestro dei novizi fra i suoi novizi, Leonzio in mezzo ai suoi giovani, don Vittorio Venturin... E questo non vuol dire essere faciloni, vuol dire essere oggettivi. Siamo, ognuno di noi, un cu mulo di grazie di Dio: guardate quelle e cantate la gloria del Signore! E qui ci sarebbe ancora da dire... Leggo almeno queste due o tre righe. 7. Conclusione “Il rendimento di grazie del cristiano è largo e profondo, abbraccia tutto, nel tempo e nello spazio; comprende con riconoscenza, in tutta la sua ampiezza, l’azione della grazia di Dio: Rendete grazie per ogni cosa; ché questo è il volere di Dio per voi, nel Cristo Gesù (1 Tess 5,18)... E tale grazie deve essere incessante: Rendete grazie sempre e per tutte le cose!(Ef 5,20)”. E poi dà una battuta tremenda. Dice: “Ma noi dobbiamo ricordare che questo fuoco è già stato acceso nei nostri cuori la grazia e pertanto ci è possibile l’azione di grazie come Paolo la esige. È da pagani - dice Paolo ai Romani - ‘non dar gloria a Dio né rendergli grazi’e(Rom 1,21)”. Perciò un cuore che non è pieno di senso di riconoscenza verso Dio, che non canta i ringraziamenti al Signore, che non va in chiesa a dire : “Grazie, Signore! Io ti adoro qui presente, Signore; io ti amo, Signore. Grazie dell’amore che mi porti; grazie, Signore! Grazie!”, un cuore che non canta così, è un cuore pagano, un cuore pagano. E siccome spero che nessuno di voi desideri avere un cuore pagano, ‘ergo’ penso che da questo momento si cominci ad essere un po’ più riconoscenti verso il Signore. 7 dicembre 1966COMUNITÀ
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