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71 La morte di Francesco Giuliari

Don Ottorino non pone al un titolo al suo racconto.

SS71[1941]

È il racconto della morte del giovane Francesco Giuliari, avvenuta il 9 gennaio 1941, che don Ottorino accompagnò momento per momento affidandogli un messaggio per il cielo. Si conserva il testo originale: sono le pagine 28 - 34 di un quaderno a quadretti (Q7), scritte con inchiostro, con alcune cancellature e correzioni. Non c’è alcuna indicazione di data, ma senza dubbio può risalire al 1941.

SS71,1[1941]

1 Nella domenica 22 dicembre 1940 mi reco alle ore 13 come al solito in Oratorio per la Dottrina Cristiana. Mi accorgo subito che Angelo Giuliari, uno dei sorveglianti, deve avere qualche grave dispiacere poiché una nube di tristezza, mal celata, traspare dal suo volto sconvolto. Mi avvicino e mi dice: “Mio fratello Francesco è grave; il prof. Pezzotti, questa mattina, è venuto ed ha detto che non c’è più alcuna speranza. Ora tenta con alcune iniezioni, ma con poca speranza di riuscita”. Cercai di consolarlo, ma avrei avuto bisogno di essere consolato io stesso.
Durante l’autunno il mio caro Francesco, ragazzo di soli 14 anni, si era completamente dedicato, tutto il giorno, per il bene dei miei piccoli dell’Oratorio. Egli aveva in custodia la squadretta dei piccoli e la faceva funzionare in un modo edificante. Tutto il giorno egli giocava con loro, raccontava loro delle storie, e noi stavamo da lontano ad ammirare la bella scena. Egli insegnava loro le preghiere e faceva loro delle raccomandazioni superiori alla sua età. I bimbi lo amavano, lo ascoltavano, lo obbedivano. Io mi ripromettevo molto da lui. Ora stava per morire… Che fosse vero? Alle 15, avendo un momento libero, sono corso al letto del caro Francesco. Egli mi ricevette come un padre ed un fratello. Rimasi solo alquanto con lui e gli dissi: “Senti, Francesco, se il Signore ora ti dicesse che ti vuole in Paradiso, andresti volentieri?”.

AUTOBIOGRAFIA Araceli

Cioè nel momento prima di morire.

SS71,2[1941]

2 Egli mi rispose che non avrebbe esitato un istante e mi chiese come somma grazia di portargli Gesù e mi promise che di un tale dono mi sarebbe stato sempre grato.
Egli amava tanto Gesù, e quando lo riceveva nel suo cuore sembrava quasi trasfigurato nel volto, tanta era la gioia che lo inondava. Più tardi gli portai la S. Comunione, e dopo il ringraziamento egli volle rimanere solo con me per dirmi alcune cose in segreto. Tra le varie cose che egli mi disse mi espose anche il timore di dovere passare per il Purgatorio e soggiunse: “Vede, Don Ottorino, io voglio andare dritto in Paradiso… Come potrei fare?”. Io gli spiegai l’efficacia dell’indulgenza plenaria, che si può acquistare mediante la Benedizione Papale e con il bacio del Crocifisso benedetto ‘in articulo mortis’. Allora egli mi supplicò a dargli subito la Benedizione Papale. Non mi sembrava tanto grave, ma non seppi resistere alle sue pressanti preghiere. La malattia, il giorno seguente, sembrava fermare il suo corso. Il Signore voleva maturare mediante la sofferenza un suo angelo per il Cielo. La sera del lunedì seppi dai genitori che Francesco durante la giornata si era tanto lamentato, specialmente quando gli facevano le iniezioni (6 o 7 al giorno). Io allora, rimasto solo con il mio caro aspirante, lo invitai ad offrire tutto al Signore senza lamentarsi per la conversione dei peccatori, e gli spiegai l’efficacia della sofferenza. La sera del martedì, la prima cosa che mi dissero i genitori appena mi videro fu: “Noi non sappiamo comprendere, ma oggi Francesco è stato un angelo.

AUTOBIOGRAFIA Araceli

Forse don Ottorino scrive in forma errata il santo a cui ricorreva il piccolo Francesco, che potrebbe essere San Salvatore di Horta (1520-1567), calzolaio, poi fratello laico francescano, spagnolo, morto nel convento di Cagliari e canonizzato nel 1940, cioè in quello stesso anno.

SS71,3[1941]

3 Non si è mai lamentato e quando gli facciamo le iniezioni stringe forte il crocefisso tra le mani, ma dal suo labbro non esce un lamento”.
Entrai nella stanza. Il piccolo mi accolse con un sorriso. Rimasto solo gli chiesi che cosa avesse imparato restando a letto ed egli rispose: “Ho imparato a patire per amore di Gesù”. Ed io che lo ho seguito passo passo, fino alla soglia del Paradiso, posso dire che veramente ha imparato a patire poiché in poco più di quindici giorni egli ha fatto passi da gigante verso la perfezione cristiana. Sei volte durante la malattia egli ha ricevuto Gesù e sempre fu lui a chiederlo senza che noi facessimo neppure la più piccola pressione. Una sera, mentre stavo cenando, mi chiamano al letto del caro Francesco d’urgenza poiché, sentendosi peggiorato, egli voleva ricevere di nuovo la S. Comunione e anche l’Olio Santo. Soddisfeci questo pio desiderio, ma, nel vedere la serenità di quel giovane e la gioia con la quale ricevette l’ultimo sacramento della Chiesa, non seppi trattenere le lagrime. Il fanciullo confidava tanto in S. Salvadore di Aorta e sperava che questo santo o lo guarisse o gli aprisse le porte del Paradiso, ma la guarigione egli l’avrebbe voluta prima del 5 gennaio del 1941, altrimenti niente.

AUTOBIOGRAFIA Araceli

SS71,4[1941]

4 Visto passare il 5 gennaio, egli disperò di guarire e concentrò tutti i suoi desideri nel Cielo. Anelava al giorno e all’ora in cui si sarebbe unito ai cori degli angeli, e nello stesso tempo non ricusava la sofferenza che continuamente offriva al Signore per i poveri peccatori. Ripetutamente egli mi promise che in Cielo si sarebbe ricordato in modo particolare degli aspiranti, dei sacerdoti affinché fossero santi, e dei compagni cattivi.
Il pomeriggio del giorno otto venni chiamato d’urgenza alle ore 2,30 al letto di Francesco. Aveva il viso completamente freddo, mentre un gelido sudore annunciava l’avvicinarsi della morte. Il giovinetto soffriva terribilmente a causa del rapido avvelenamento del sangue. Appena mi vide volle ricevere la S. Comunione e poi mi supplicò a far presto a recitare le preghiere dei moribondi, sperando che, appena avessi finito, si aprissero le porte del Paradiso. Chiamò a sé i genitori e i fratelli, e ad uno ad uno chiese ripetutamente perdono delle offese e disobbedienze commesse. Promise che in Cielo si sarebbe ricordato di tutti e avrebbe mandato per tutti tante belle grazie. Chiese perdono anche a me e a tutti i giovani dell’Oratorio.

AUTOBIOGRAFIA Araceli

La mamma di Francesco era già morta, e il padre si era risposato per dare una adeguata educazione e assistenza alla sua numerosa prole.

SS71,5[1941]

5 Il suo sguardo era sempre rivolto verso di me e mi supplicava a continuare a pregare, e temendo che fossi stanco volle che mi fosse dato un confetto. Voleva sempre vedere dinanzi il crocefisso e ad ogni due o tre minuti voleva baciarlo. Quando lo baciava, non era un bacio che egli dava, ma una serie di baci dati con tutta l’effusione del cuore, e continuati anche quando il crocefisso era già deposto sul letto.
Ad un certo momento egli disse: “Ecco le porte del Cielo che si aprono… ecco… ecco…”. Ma poi, quasi deluso, si volse di nuovo a me e sorridendo disse: “La serratura si è rotta, ma non vado se prima non vengono aperte”. Poi: “Tra breve andrò in Paradiso. Là ci sarà il Signore, la Madonna, la mamma mia, i santi. Che gioia!”. Nel dire queste ultime parole chiuse gli occhi e il suo volto sembrava quello di un angelo più che quello di un ragazzo morente. Alle quattro mostrò di essere stanco. Allora lo invitai ad offrire tutto per alcuni compagni cattivi. Egli accettò di soffrire, fino alle 4,15. Volle vedere l’orologio, e quando mancava mezzo minuto disse: “Ancora mezzo minuto e poi andrò in Paradiso”.

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SS71,6[1941]

6 Passato il tempo mi guardò deluso e allora gli dissi che tanti altri giovani non amavano Gesù, lo bestemmiavano, e che bisognava salvarli. Egli allora: “Soffrirò finché vorrà il Signore per questi giovani”.
Verso le cinque la crisi sembrava passata, ma le pulsazioni del cuore indicavano sempre più l’avvicinarsi della fine. Alle sette si rivolse a me: “Don Ottorino, quanto resta ancora vicino a me?”. Gli dissi: “Sei stanco di vedermi qui?”. Mi rispose: “No… no… no… noooo… no. Ho paura che vada via. Io mi sento più sicuro quando lei è vicino”. Andai a casa per la cena e tornai subito. Rimasi solo con il giovane una mezz’ora ed egli continuò ad interrogarmi sull’Oratorio, sui giovani… Lo pregai a voler riposare, e mi disse: “Non posso, proverò, ma mi dia prima la Benedizione”. Gliela diedi. Dopo poco mi disse: “Se domani mattina sarò ancora vivo, mi porterà subito la S. Comunione?”. Glielo promisi. Mi raccomandò di ricordarlo nella S. Messa e mi promise che mi avrebbe seguito dal Cielo durante il mio lavoro apostolico. Prevedeva ormai imminente la fine. Alle quattro aveva detto al delegato degli aspiranti di raccomandare ai suoi compagni di essere buoni e di dirgli un ‘Requiem’. Verso le undici di sera i dolori erano cessati ed ormai l’organismo cessava di reagire contro il male. Francesco mi raccomandò di avere cura dei suoi piccoli dell’Oratorio e mi disse che per lavorare in mezzo ai giovani bisogna essere santi come Don Bosco.

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SS71,7[1941]

7 Verso le una, quasi inavvertitamente, si spegneva ed andava dritto lassù in Paradiso per mandarci quelle grazie che aveva promesso di inviarci dal Cielo.
La sua salma non faceva compassione, ma invidia, poiché sembrava una culla dove riposasse un fiore appena colto per il Cielo.

AUTOBIOGRAFIA Araceli