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ASPETTI DELLA VITA COMUNITARIA

MO192 [21-06-1967]

21 Giugno 1967

MO192,1 [21-06-1967]

1 Riprendiamo la nostra cara lettera ai Tessalonicesi. In principio d'anno pensavamo di farne due tre: ghin'emo fatta una, gnanca finia! Abbiamo interrotto per alcune meditazioni su don Poppe, e credo e penso che si stata una cosa piacevole per voi e anche per me.
Continuando questa, riprendiamo... verso la conclusione, e cioè: "Nei versetti seguenti, Paolo presenta un esame di coscienza alla comunità. Si deve porre attenzione a cinque cose, se si vuole che la vita comunitaria si conservi sana. Ma l'anima di tutto sta nell'amore fraterno: è esso che in tutti i problemi fa trovare il vero ordine delle cose". Primo punto: concordia piena d'amore... capo quinto, dodici tredici. "Vi preghiamo poi, o fratelli, di aver riguardo per quelli che tra voi si affaticano e a voi presiedono nel Signore e vi ammoniscono; abbiateli in somma stima e amore a motivo dell'opera loro. Vivete in pace tra voi". Stamattina ci fermeremo in modo particolare su questo versicolo qui. Guardate che poi parla molto, più avanti, di aver pazienza coi deboli; e mi permetto di premettere questo perché è una cosa importantissima. Dopo, più avanti ancora: 'Vincere con la carità il male'. C'è uno che fa male? Soffocarlo con la bontà! Uno ti dà pugni? E tu soffocarlo con la bontà! Ma su questo punto... Presto incominciano le vacanze e, nelle vacanze, è logico, si cambia un po' di attività; finché uno è in studio e lavora per conto proprio, beh, può essere vicino di banco di un altro e non si pestano i piedi, sono in silenzio, basta che uno non studi forte, lui studia, quell'altro studia, tutt'al più poi in ricreazione. Ma quando che si va, per esempio, in lavoro, in laboratorio, e ciò... c'è da portare un pannello: tu hai Renzo, là in fondo, che porta tre quintali, e il Raffaele, poareto, che porta un quintale solo, no? Scusa, Raffaele... E allora pretendere che... Renzo, pretendere che tu prenda in mano un pannello che pesa sei quintali e tu porti tre e che anche lui porti tre...

MO192,2 [21-06-1967]

2 Ecco, guardate che ci vuole tanta umiltà: il non volere che tutti camminino col passo nostro, sapere sopportare i deboli, cioè dire: "Questo non può fare più di dieci chilometri all'ora. Ringraziando il Signore io ho le gambe lunghe, posso farne anche trenta all'ora", ma saper portar pazienza con chi ha le gambe che possono fare dieci solo. Ma, no portare pazienza se questo tale, invece che far dieci chilometri ne fa cinque; allora bisogna aiutarlo, con la carità fraterna, con la correzione fraterna, a fargli fare i dieci chilometri allora, perché se quello può andare a dieci chilometri all'ora, deve andare a dieci chilometri all'ora. Ma non pretendere che lui vada a trenta chilometri all'ora. Perché è facile che succeda questo: tu puoi andare a trenta chilometri all'ora, pretendi che lui vada a trenta, e tu minacci di andare a venticinque e lui va a dieci e un pezzettino anche... e che lui dinanzi al Signore prende dieci, e tu prendi appena un sette e mezzo otto, e forse anche un cinque, qualche volta, no? Perciò, ognuno deve dare tutto quello che può dare al Signore. E per conservare questa carità, guardate che gli atteggiamenti che vi dico nel lavoro, domani nelle Comunità, nel lavoro apostolico, oggi, dico durante l'estate, ognuno deve dare tutto quello che può dare, nella preghiera, nell'unione con Dio, e nel lavoro anche materiale o nell'altro lavoro, eccetera, quello che noialtri dobbiamo dare.
Dobbiamo, attenti, ecco le due cose: prima di tutto saper noi dare; secondo, saper sopportare i deboli, cioè coloro che non possono dare, cioè aiutare i deboli, dare una mano in modo che possano dare di più. Perché è facile che uno vede l'altro che cammina e lui non l'è bon de camminare, e allora el se ferma. No! E allora, per aiutarlo, bisogna che te te fermi, dirghe: "Senti: no pretendo mia che te porti tre quintali se no te sì bon de portare tre quintali, ma se te poli portarghene uno quelo pòrtelo!". È chiaro? Chi è in testa, lo dica con una certa autorità, fraternità e autorità, ma bisogna che uno porti quello che può dare! Perché oggi lo fate portando il pannello, domani lo fate nel campo apostolico. Don Marcello, dico bugie? Beh, mi pare questo: ognuno deve dare quello che può dare. E guardate che qui San Paolo su questo punto...

MO192,3 [21-06-1967]

3 Intanto ci fermiamo al primo punto, e cioè: "Concordia piena di amore, piena di amore. Non ci può essere vita di comunità senza che alcuni vi si dedichino in modo speciale per regolarne il funzionamento e gli interessi".
Quante volte è stato detto che il governare è servire, è servire! Una mamma è la prima in casa, ma però cosa vuol dire essere la prima? "Mamma, me occorre le scarpe! Mamma go le braghe rotte! Mamma, mamma, go fame!". Che cos'è? La serva! È lei che comanda, è lei che deve dire: "Piccolo, no! Bisogna che te vegni casa! No! Spetta magnare, se no bisogna butar zo i risi diese volte, no?". È lei che dice: "No, aspettiamo a mangiare! Aspetta un momentino! Fa' questo, fa' quello!". Però, però... è a servizio, è a servizio! È necessaria l'autorità, figlioli miei, è necessaria, ma va vista con fede, vista con fede! Domani, in qualunque comunità vi troviate, qualunque sia il superiore, sia uno che corre a trenta chilometri all'ora o dieci chilometri all'ora, uno grasso o magro, ma guardate, lui ha il dovere di servire, ma noi abbiamo il dovere di collaborare. Non... non: "Adesso... adesso... e adesso cosa gonti da fare?". No, questa non è l'obbedienza che vuole il Signore! È una collaborazione, una collaborazione attiva, di modo che ognuno dia tutto se stesso nel lavoro apostolico. Ma, però, in questo ordine che è stabilito dal Signore e che è necessario: anche se non ci fosse la vita eterna! "Così, anche a Tessalonica c'erano di quelli che si affaticavano molto per gli altri: si prendevano cura di tutto, si occupavano in modo particolare della cura pastorale dei fratelli, ammonivano, richiamavano, esortavano". Guardate, mi dispiace che ci sia don Marcello presente, che non creda adesso che lo facciamo per lui, ma lui è tanto buono e sa compatire sta roba qui. State attenti: in una Comunità, prendiamo la Comunità di Monte... Montepulgo, là... Montepulgo, no? Capita questo, che quello che è in testa della Comunità, è logico che sente le cose, scusate, senza offendervi, con un amore più grande di un altro. Supponiamo un particolare: io sono a capo di questa Comunità qui. Se c'è un debito da pagare e digo: "Tusi, dixemo un'Ave Maria perché oncò go da pagare una cambiale de cinque milioni". Prendiamo un caso materiale, voi... beh, insomma... voi, senza offendervi, ma voi non sentite il peso che sento io, perché me toca mi andar pagare i cinque milioni. Sì, lo ghemo tutti el debito de cinque milioni, el debito xe de tutti, voi siete preoccupati: "E allora, xei rivà? No xei rivà?", ma, eeeeh, un po' de sbrisighela qua dentro, no, cioè, la ga quelo che bisogna che el vada a pagarli, insomma, no?

MO192,4 [21-06-1967]

4 Si tratta domani che bisogna andar fare una predica, supponiamo doman fare... incontrarsi con una persona: "Tusi, vardè... che xe roba importante, savìo!", te poli condividere: "... flere cum flentibus!", ma quello che ghe tocca 'flere' più de tuti xe la mamma che ghe xe morto el toso, no? Ora, quello che è in testa alla Comunità, càpita un piccolo incidente nella parrocchia, càpita una difficoltà, càpita una cosa... sì, sente tutti, ma quello che ha la responsabilità, voi capite chiaro che la sente di più. Perché, quello che ga da fare gli esami... semo in dù, eh, e el va a far l'esame, quello che ghe tocca star lì a fare l'esame bisogna che el pensa de più, no?
Ora, sentire nella Comunità il peso che ha quel povero disgraziato che ghe toca dopo a gratarsele... Supponiamo adesso, senza offendere, supponiamo, là siamo in Bassa Italia. Don Luigi Smiderle va e combina una... sbagliando... sbaglia una cosa. E va ben... Vien casa don Marcello e el dixe: "Tusi, xe capità questa...". Lu, sa, el fa fadiga dirghelo parchè, se no, dirghelo el lo offende, el toso sta male... e allora el dixe appena una parola, ma quell'altro bisogna che el metta a posto... che el zonta i tochi. Xe sbalià ste robe qua, ciò, don Marcello? No la xe realtà questa qua? E varda che xe difficile... Lo digo perché xe ventisie anni, o ventisette ormai, che porto sti pesi qua. Xe impossibile, vorria dir, quasi, che uno che nol ga el naso in qualche responsabilità, se renda conto di quanto pesa sulle spalle la responsabilità! Nel senso che se sente la responsabilità, il dovere, no, il dovere... Uno ha in mano... Tu, don Guido, hai in mano l'Esternato: no xe mia come dire, no? "Gonti fatto tutto o no gonti fatto tutto?". Gli altri vengono via, hanno in mano il loro gruppo, ce la mettono tutta, gli assistenti hanno in mano il loro gruppo, lavorano, si preoccupano: bellissima cosa, grande cosa! Ma quello che ga in mano tutto quanto si preoccupa di quel piccolo particolare e ci pensa sopra. Perciò io direi, ecco, la carità nella Comunità c'è quando quello che è superiore si consuma per la Comunità, e quando gli altri capiscono quello che ha la responsabilità e lo aiutano, lo aiutano, con la preghiera non solo, ma anche sapendo capire un pochino, stringendosi intorno, in modo che lui senta che sono in sei o sono in sette, ma sono in uno! Lui deve sentire che sono in uno, e l'altro che sono uno: allora c'è la carità! Ma guardate che bisogna non metterve a dire: "Be, ne basta che ottegnemo el permesso de don Guido...". No, stiamo collaborando, tutti insieme, perciò dobbiamo metterci tutti insieme, quasi vorrei dire, dovrebbero saltar fuori iniziative continue da parte di tutti: "Vero, don Marcello, se podarìa fare così? Scusa, go pensà stanotte... no se podarìa far così? Cosa ghin disito?". Ecco, questa... tutti motori, tutti motori! Ma messi in questa... capendo, insomma, capire un pochino chi è in testa. E questo un domani può essere anche il vescovo! Senza pretendere che chi è in testa sia perfetto.

MO192,5 [21-06-1967]

5 Quante volte vi ho detto qui: "Guardate che andrete in giro pel mondo, troverete... lasciamo stare la nostra Comunità intima, troverete dei vescovi i quali sono uomini, sono uomini”! E tante volte sono uomini che non hanno ricevuto quello che avete ricevuto voi, e bisogna saper capire, comprendere, e d'altra parte bisogna rispettare in loro quell'autorità che Dio ha messo in loro. Domandate a don Marcello se si è trovato dinanzi a un uomo o no, lì a Crotone? Un uomo buono, un uomo santo fin che volete, ma uomo. Quando che andrete in America Latina, troverete un altro uomo, andrete... nella luna: un altro uomo ancora. Scusa, ci troviamo l'autorità che il Signore ha messo in mano a degli uomini. Ora, saper conciliare la carità, il rispetto, l'obbedienza, ma nello stesso tempo saper anche fare la volontà di Dio, senza... Non si tratta di menar pel naso, si tratta, come abbiamo detto tante volte, vedere cosa che Dio vuole e poi usare quei mezzi idonei per collaborare con l'autorità, aiutare l'autorità a fare. Non so se sbaglio nel dir questo: aiutare l'autorità a fare!
Scusa, dicevo in altra circostanza qui dentro: domani so che andando a domandarghe a monsignor Raimondi una cosa stamattina el me dixe de no, e secondo mi me par che la sia giusta, e ghemo parlà insieme in Comunità e sarìa conveniente far quella data Messa in quel dato momento. So che andando in quell'ora lì el me dixe de no, ma se so che vado dopo magnà e el ga bevù un gotin de vin de più del solito el me dixe de sì: sarìa macaco a non andar dopo magnà, no? Ora, non per abusare dell'autorità, ma per vedere di aiutare l'autorità a fare... a far meglio, no? Questa è collaborazione! E questo ve lo digo: fèlo anca con mi! Ma non per fare quello che volete voi. Perché lì avete doppia responsabilità, per pregare, pensarci sopra, consigliarvi fra voi, e fare quello che vuole Dio; perché stiamo cercando quello che vuole Dio e il bene delle anime e consumarci per le anime. E quando dico per le anime... dico anche per i corpi, perché semo composti de anima e corpo, no, caro Luigino. Andiamo avanti! "Si deve pensare soprattutto a persone preposte alla comunità, sia che Paolo stesso le abbia costituite prima della sua 'fuga', sia che lo abbia fatto poi Timoteo per suo incarico". E saltiamo avanti... "Una comunità cristiana è una fraternità. La vita in essa è regolata dall'amore fraterno. Ma l'amore sa che dev'essere gerarchicamente ordinato e sa a chi deve subordinarsi. Nell'amore l'uno è 'sottoposto all'altro nel timore di Cristo'. In tal modo non ci può essere discordia e si conserva la pace. Così, nell'amore che cerca ovunque l'unità, molte cose si ordinano da sé".

MO192,6 [21-06-1967]

6 Ora, vedete... Ecco là, Gaetano inserito in una Comunità, e a capo della Comunità, supponi, c'è Raffaele. Ora, attenti, è vero che tu devi mettercela tutta... Te disi: "Senti, ciò, Raffaele, varda, mi pare... secondo me sarebbe conveniente fare così... Cosa ne dici tu?". Poi, non puoi pretendere che, sempre, quello che è in testa della Comunità... che tu riesca a convincerlo a fare quello che ti pare che sia conveniente. Tu hai il dovere di dire la parte tua, di dire... di illuminare perché ci possono essere delle circostanze tali che sfuggono a quello che è in testa, possono essere... Il Signore può parlare attraverso anca alla mussa de Balaam, qualche volta, no, e può illuminare il superiore attraverso di te, siccome lavoriamo in collaborazione; ma non che tu... di voler insistere su questo, non pretendere sempre che il superiore faccia quello che secondo te par che vada ben. Resta in te il dovere di proporre, di collaborare, di mettercela tutta, ma ricordati, può esserci il momento che il Signore illumina in modo particolare il superiore o il superiore conosce delle cose che tu non conosci, ovvero lo illumina, ovvero lo fa anche sbagliare... perché il Signore vuol essere lui che fa. Può avere dei motivi che tu non sai, o saputi qua e là, per cui 'è conveniente che si faccia diversamente; può lui, vero, anche sbagliare, anche sbagliare; e il Signore, magari attraverso uno sbaglio tuo, vuol fare un'altra cosa che non è quella che pensi tu né quella che pensa lui.
È sbagliato questo, don Marcello? No, me pare, digo... questa roba... Se vuoi aggiungere qualche parola tu che hai pratica su sto punto qua... non ti pare che sia giusto col Concilio sta roba? Cioè, dire: "No, non guardate me!"; stiamo col Concilio. Ha parlato chiaro su sto punto qua, e cioè: "Siamo tutti a servizio!". Zo capitèi e troni e tronetti del superiore... di là in alto in alto! Ma, guardate, che siamo tutti a servizio, ma per essere a servizio, cioè, perché prendiamo la particola consacrata e la mettiamo sopra l'altare, resta sempre Cristo... siamo donati a Nostro Signore e siamo sempre offerti a Nostro Signore. Cioè, se da una parte diciamo: "Tu superiore, guarda che sei a servizio! Guarda che tu devi cercare solo la volontà del Signore, e devi sforzarti anche di cercarla in compagnia, cercare insieme coi fratelli la volontà di Dio, in modo che ognuno sia nel suo posto, possa sviluppare la sua personalità, possa lavorare più che è possibile...". Se da una parte dico questo, dall'altra dico: "Signori, guardate che siamo offerti al Signore, e perciò abbiamo, attraverso il superiore, la volontà di Dio!". E perciò non si può dire: "Ma io...".

MO192,7 [21-06-1967]

7 Se so che... Per esempio tu mandi uno in un dato posto: "Va’ e fa’! Tu va’ a San Francesco: va’ e fa’!". Va ben, tu vai e fai. Ce la metti tutta, devi mettercela tutta. No: “Son nda là, no go visto nessun e vegno a casa!”. No, devi andar là e scovarli fuori e lavorare e lavorare, fin che no salta fora, vero, i figli di Dio. Ma se ti dicono: "Va’ a San Francesco, però fermati a metà strada, non star oltrepassare quella casa...", allora, scusatemi tanto, se non c'è un motivo proporzionatamente grave, uno deve fermarsi per strada. Non so se sbaglio a dir sta roba qua! Tu vai, mettercela tutta, non dire: "Mah, el me ga dito solo ca vada fin a quella casa". Te vedi un'anima che ga bisogno: ma no! Avanti, avanti, avanti! Ma, se a un dato momento tu hai ricevuto l'ordine da un superiore che può essere anche vent'anni più giovane di te, può essere più cretino di te, meno intelligente di te, quel superiore ti dice: "No, varda, tu vai, fai... ma fermati a quel punto là...al trentottesimo parallelo, al trentottesimo parallelo fermati!". A meno che di là non ci sia un caso grave, che tu sai già che quello non era previsto, e dici: "Caro, te me gavevi dito de fermarme... Ho trovato uno che stava morendo di là... e ghe go dà l'assoluzion...", no? O: "Mi è capitato questa cosa...". E allora ti prendi la tua responsabilità e fai: "Mi sono incontrato... ho trovato qualcuno, e ho creduto conveniente...". Ma ti accorgi subito.

MO192,8 [21-06-1967]

8 Pensare che bella la vita comune così! Si capisce soltanto se ci vogliamo bene, se ci vogliamo bene gli uni gli altri. E volerci bene vuol dire... quel che verrà subito dopo qui: saperci compatire. E già che c'è tempo facciamo anche questo.
Dunque: "Vi esortiamo pure, o fratelli: correggete i disordinati, incoraggiate i pusillanimi, sostenete i deboli...". "L'esortazione dell'apostolo ad aver cura spirituale dei disordinati, dei pusillanimi e dei deboli, non è rivolta soltanto agli uomini preposti alla comunità, bensì 'a tutti i fratelli'...". Eccolo qui! C'è, per esempio, in una comunità, uno debole: essere debole vuol dire uno che non ha ricevuto i dieci talenti, uno che ha un modo di pensare un po'... è un po' difficiletto da trattare... un po' per il modo di fare. Non tocca soltanto al superiore sopportare il debole, ma tocca a tutti comprendere il debole, aiutare il debole. No restare alla finestra... soltanto chi è in testa che se lo pappa e gli altri: "Eh ben, tocca a lu! Nol xe lu el superiore? Che el se lo porta lu sulle spalle!". Guardate che è importante sta roba qui, eh? 'Saper sopportare i deboli!'. Mettere già in preventivo che in ogni Comunità ci sarà qualcuno di debole. Io non penso che siano 'disordinati', capite... parla di pusillanimi, eccetera, disordinati. Pensiamo ai 'deboli', che vuol dire che no i xe mia cretini proprio del tutto, ma un pochetin... Siccome che un rametto lo gavemo tutti, vero, un po' deboli siamo tutti, 'imbecilles' siamo un po' tutti quanti! Ora, saper sopportare, partire già con l'idea: "Inter vos sunt multi imbecilles...", 'inter nos' invece che 'inter vos'! Partire con l'idea: "Io vado in una Comunità dove non c'è la perfezione, mi troverò con uomini, e io sono uomo forse più degli altri", e perciò tutti abbiamo qualche punto debole: uno che russa de note disturba i altri che dorme, l'altro che non l'è bon dormire alla sera e alora el disturba l'altro che... uno... Ecco: saper compatire, saper aiutare questa povera gente! È la carità verso i deboli, perché se no i te resta sentimenti.

MO192,9 [21-06-1967]

9 Quando diciamo la parola amore, volerci bene... non si può dire: "Te voio ben perché te me piasi, perché te ghe un bel ciuffetto, un bel nasetto, parchè te me fe un bel sorrisetto...". Ma scùseme tanto: quella no la xe mia carità! Quelo el xe sentimento! Noi dobbiamo... La mamma vuol bene al suo figliolo anche se l'è scemo, anche se l'è deficiente: l'è il suo figliolo! Io voglio bene a te perché sei mio fratello! Sei mio fratello non solo perché sei cristiano, ma perché siamo religiosi di una stessa Famiglia, e collaboriamo per la stessa causa, siamo consacrati alla stessa causa.
"L'esortazione dell'apostolo... è rivolta a tutti i fratelli, a tutti i membri della comunità. La comunità infatti è come una famiglia, un campo di azione pastorale, nel quale l'uno è responsabile della salute dell'altro". Semo in cinque, semo in sei, semo in quattro, uno è responsabile della salute dell'altro, salute spirituale e fisica, fisica e spirituale. Quasi come il Signore ga domandà a Caino: "Dov'è tuo fratello?", come se te fussi responsabile ti. "Ma, mi non centro! Xe don Marcello el superiore zo là!". No, tutti, tutti! “Ti, don Piero, come xela che don Bruno l'è malà?”. "Cosa centro mì?". No, te centri anca ti! "Come mai go visto Vittoriano, poareto...". Te centri anca ti! Ognuno è responsabile della salute spirituale e fisica del fratello! Questa è carità, no? In una famiglia, questo è il volersi bene nel vero senso della parola! "Tutti i particolari uffici e funzioni di una comunità devono essere perciò inseriti armoniosamente nella compagine della sua vita, nella quale ognuno serve e lavora secondo il proprio dono". Uno l'è bon a insegnare el canto, lè bon cantare: insegnerà a cantare! Uno l'è bon, bravissimo a far conferenze: bene! A seconda del suo dono, a seconda della possibilità... ognuno a seconda dei doni che el ga ricevuto da Dio, ma tutti a servizio della Comunità. Uno l'è bon a far la malta, fa la malta; uno l'è bon a fare i quarei, fare i quarei! Uno l'è bon a fare el falegname, fa el falegname! Uno l'è bon... in questa casa... Questo nel campo materiale e questo in campo spirituale! Siamo lì per costruire la più grande famiglia di Dio, per trasformare tutte quelle creature in tanti fratelli, e allora, secondo i doni ricevuti da Dio, dobbiamo fare: però tutti a servizio! Io servo... semo in sei: ognuno serve gli altri cinque e da ultimo serve se stesso.

MO192,10 [21-06-1967]

10 La mamma prima dà da magnare al figlio e dopo, se ghin resta, la magna le sate. E va ben: in una Comunità ognuno serve gli altri cinque, ma serve anche materialmente. Arriva a casa uno in ritardo, gli altri cinque dovrebbero saltare in piedi subito a portarghe da magnare. Uno finisce da mangiare, gli altri quattro, gli altri cinque dovrebbero alzarse in pie e portarghe via el piatto. Ecco, tanto per dire... che adesso no se spachemo la testa per portar via un piatto! Ma, questo è lo spirito! Non so se xe sbaglià. Invece magari, no, può capitare l'inverso: ma che i cinque sta là a vardare, e l'altro... beh, insomma, podarìa capitare questo! Ora, questo è lo spirito... siamo lì tutti quanti per servire gli altri. Proprio lo spirito delle nostre buone mamme, quello che abbiamo imparato dalle nostre buone mamme: "... magna ti, va là!". "Ma ti, cosa magnito?". "Va là, mi me rangio, mi me rangio!". Purchè sia a posto i fioi! Ora, dobbiamo fra noi volerci meno bene di quello che una mamma vuole bene al suo figliolo?
"Prima di tutto si tratta di correggere i disordinati e negligenti". È chiaro, siamo uomini... Dixea monsignor Volpato che tutti facciamo qualche giornata da santo, ma vuol dire che le altre giornate no le xe mia da santi, no? E allora vuol dire che nelle altre giornate siamo un po' disordinati, un po' negligenti, e allora abbiamo bisogno, in quelle giornate in cui noi siamo negligenti, abbiamo bisogno che gli altri ci diano una mano; e in quel giorno che saremo nella giornata noi da santi aiuteremo gli altri. Quando che passa l'influenza nella casa, uno l'è in letto con la febbre e allora l'altra... il marito fa da magnare lu; dopo se ammala la moglie... se ammala il marito e la moglie fa ela, no? Tante volte se se aiuta così, no, quando che uno è ammalato. E vedete che la nostra vita purtroppo è un'altalena: ci son delle giornate di fervore, domani si può andare un pochino giù, e allora si può anche essere un pochino disordinati, magari pregare meno, magari... E allora ecco la carità fraterna che, come ti spinge a portar da mangiare al tuo fratello, a portargli il piatto, a portargli il piatto da mangiare, ti spinge anche a dire una parola buona, una parola... di pregare per il tuo fratello, circondarlo di affetto in modo particolare e intervenire anche, così fraternamente, con la correzione fraterna, senza far sempre intervenire quel benedetto superiore, che pare sia lì per bastonare. Invece si può benissimo, da buoni fratelli, darci una mano, a braccetto e sostenerci, no? Quando che uno ga male una gamba el se tacca a braccetto dell'altro perché el lo aiuta un pochetin; quando che uno xe vecio el se taca a brassetto a uno de giovane per ndar su dalle scale alla sera, parchè l'è stufo, no? Così!

MO192,11 [21-06-1967]

11 "Quando in una comunità la carità fraterna è viva, il peccato viene vinto dall'aiuto vicendevole. L'uno si preoccupa dell'altro e ognuno veglia sui suoi fratelli. Ecco, la disciplina giuridica penitenziale della Chiesa si inserisce in questo contesto di premure fraterne e si basa sul fondamento di una tale fratellanza spirituale. La vita dei 'fratelli' che aspettano la venuta del Signore, è una vita nello Spirito del Signore...".
Siamo lì in cinque sei, stiamo aspettando il Signore, e quando il Signore viene, vuole trovarci uno, ma no uno soltanto coi cinque o coi sei, uno con tutta la parrocchia. Non noi che mangiamo polastro e gli altri patiscono la fame, noi che abbiamo i soldi alla banca e gli altri là che i pianze parchè i ga da pagare una cambiale... Non noi pieni di grazia di Dio e gli altri in peccato mortale... Non solo la parrocchia, non solo una regione, ma il mondo intero... Quando viene giù Dio a chiamarci, ci vuole uno, tutti uno, e secondo la nostra possibilità dobbiamo sacrificarci per far diventare tutti gli uomini uno. E allora questo è possibile se formiamo questa unione nello Spirito santo. Perciò, vorrei dire, come uno che xe imbriagòn, che nol sogna altro che bevare quattro goti... ripieni di spirito di Dio, che non sognamo altro che arrivare a questa unità, consumati per questa unità: che tutti gli uomini abbiano un pezzo di pane, che tutti gli uomini abbiano la possibilità di un letto per dormire, che tutti gli uomini abbiano la grazia di Dio, che tutti gli uomini si vogliano bene! Noi ci vogliamo bene: che tutti gli uomini si vogliano bene così! Che i finissa le guerre... "Ma, Signore, basta ste guerre, basta sti odi, basta così!". Siamo responsabili tutti e bisogna fare qualche cosa. "Ma se in un fratello viene a mancare lo slancio gioioso - ecco qua: lo slancio gioioso - pieno di pace e di speranza, e subentra la pusillanimità, bisogna incoraggiarlo". Svegliarlo... Può benissimo parlarsi a un dato momento, sa, come i mussi che quando che i corre... borombonborombonborombon... ma dopo i scominsia a cambiar marcia... borombonbon... ban-ba-ban... e i scominsia con "va pensiero sull'ali dorate...", e allora bisogna scominsiare a farghe cantare: "Quando marciano per via...". E pol darsi benissimo che te batti, che te batti con entusiasmo: "Cambia marcia!". E allora ecco, un colpo uno, un colpo l'altro... I tacca i bò a dù a dù e allora sa, uno tira un pochetin e quell'altro se smove parchè se no el se ciapa indrìo... cosa xe che i ghe ciama a quelo che i ghe mette sulle spalle del bo? Eh, el tira sì, el tira! "Naturalmente, ciò presuppone dei carismi, che sono atti a risvegliare in cuore una tale fiducioso coraggio. Infine - e termino - in una comunità c'è anche una terza categoria di bisognosi di aiuto: i deboli, che hanno continuamente necessità di istruzione e di chiarimenti, - vorria dire che dopo averghe chiarìo i sta... - di aiuto e di sostegno, per poter viver la vita comunitaria in tutta la sua pienezza e profondità. È necessario perciò 'prendersi cura' dei deboli con amore costante...".

MO192,12 [21-06-1967]

12 Vorrei dire che proprio in questo caso c'è proprio da dire: "Pauperes semper habetis vobiscum...". Io vorrei dire quasi che... è quasi impossibile che in una Comunità non ci siano i deboli. Per quanta buona volontà che ci mettiamo in avvenire perché... qua, col maestro dei novizi e compagni non abbiano da passare dei deboli, può passare uno che sta ben, ma dopo, a un dato momento, el ciapa el raffreddore o el se rompe una gamba, e... È chiaro? Uno può essere robusto come Renzo, a un dato momento el va su par nda pianta, el se rompe un brasso e l'è debole, eccolo là, un brasso al colo, vero? Può capitare robe de sto genere qua! Sa, a vent'anni uno può essere robusto, e dopo invece a venticinque el scominsia a diventar vecio, ah? Perciò dico, può darsi benissimo che dopo divengano deboli; bisogna star 'tenti, svejemose noialtri qua, che non passa i deboli, almeno, sa... ma dopo rassegnamoci o che deboli ne avremo sempre nelle nostre comunità, e stiamo attenti che la superbia non ci accechi e che non ci accorgiamo poi che i deboli siamo noi! E perciò, ecco, farci un po' l'idea: in mezzo a noi ci sarà sempre qualcuno un po' debole, e allora convivi con la carità, proprio... il Signore...
Quando che se va a comprare la carne, el dixeva monsignor Rodolfi, se porta via sempre, vero, el ghe dixea a monsignor Fanton: "Caro don Carlo, non sta a scandalizzarte... Ricordati che quando vai a prendere la carne c'è la polpa e dopo un po' di osso!". E anche nelle nostre Comunità un po' di osso... un po' di osso... Quanto è bello vedere qualche volta qualche papà e mamma: "Sa, venticinque anni che stiamo assieme, sempre andati d'accordo... Beh, qualcosina, qualcosina, ma... quella è inevitabile, è inevitabile... anzi, serve a fomentare la carità! Qualcosina, ma è inevitabile e fa fomentare la carità... son robe da niente! Sì, qualche colpetto, qualche colpetto...". Beh, mettere già in preventivo che questo... qualche persona debole, o per natura o per periodo... qualcheduno magari per un periodo di tempo, che è debole, che è un po' di peso magari alla Comunità per la sua debolezza, vardè che può essere una grazia di Dio, può essere una grazia di Dio perché fomenta proprio la carità. Quante volte che go sentìo dire in certe famiglie dove c'è una persona disgraziata in casa: "El staga attento, el varda, per noi è una grazia di Dio quello là, perché è stata quella creatura che ci ha fusi in carità"!

MO192,13 [21-06-1967]

13 Varda, uno a Milano, là, Cepparo, el signor Cepparo ha detto, che ha quei due ragazzi un po' sordi là... ha detto: "Io ringrazio il Signore perché proprio questi due ragazzi, che hanno avuto bisogno particolare di noi, sono stati quelli che ci hanno fuso talmente in famiglia, che ci hanno poi cementato in unità, per cui ci siamo uniti. Io ringrazio il Signore di questa grazia, perché è stata un grazia, una grazia perché poi ci ha fuso insieme".
Io penso, anche nelle nostre Comunità, che non andiamo noi a cercare il debole, che ghe rompèmo le gambe noialtri par farlo deventar debole, no! Ma se poi ci accorgiamo che uno è debole, che ha... per cui fa fatica a capire certe cose, per cui se dici una roba ne capisce un'altra, se... eccetera. Ma state attenti, che non sia una grazia di Dio mandata alla Comunità per fomentare la carità. Guardate... Anche a casa tua, Venco, da tua zia, quella mamma... zia tua che ga quella povera fiola de vent'anni là: "El nostro angelo, el nostro angelo!". Dalle Suore Dorotee, quando che fasevo... go fatto un po'de ritiro in preparazione alla festa del Sacro Cuore, go dito alla madre generale... Go tirà fora la nipote là dei Venco, sono entrato in questa casa, sta povera ragazza di vent'anni, là, te vedevi che non la capiva gnente... capisce niente... mandava là grida continuamente, seduta su sta sedia là così... e la mamma: "Questo è il nostro angelo! Questo è il nostro angelo!". Vardè che la ga dell'eroismo la mamma, eh? Una creatura che non conosce, che non mostra l'affetto alla mamma e al papà, che ha bisogno di tutte le premure, di tutte le cure, e la mamma che dice: "Questo è il nostro angelo!". E allora ho detto alle suore: "Guardate, voi avete tante Comunità, - erano là ventiquattro-venticinque suore - state attente: in ogni Comunità c'è un angelo, più o meno angelo, ma c'è un angelo... quando che no i xe due o tre, no? E allora, saper vedere proprio questo: è un angelo che il Signore ha messo in questa casa qua perché portiamo pazienza, perché abbiamo modo di esercitare la carità". Non dobbiamo... Attenti, non mettiamoci le ali per diventare angeli apposta per tormentare gli altri, ma se il Signore manda qualche angelo, accettiamolo dalle mani di Dio.