Meditazioni italiano > 1970 > IL RELIGIOSO È A TOTALE DISPOSIZIONE DI DIO

IL RELIGIOSO È A TOTALE DISPOSIZIONE DI DIO

MI307 [20-05-1970]

20 maggio 1970

MI307,1 [20-05-1970]

1 Sia lodato Gesù Cristo!
Vi annuncio con gioia che è ritornato padre Matteo junior e che avrebbe intenzione di terminare le sue meditazioni prima della fine dell'anno scolastico o per lo meno prima della fine dell'estate, perché altrimenti non riuscirebbe più a dare alla luce le sue nuove opere, che potrebbero offrire spunto di meditazione per altri tempi. Stamattina non è qui presente; mi ha delegato a trattare la questione. Dicevo che è tornato padre Matteo junior a predicare questa mattina. Prima, però, di iniziare la meditazione vorrei fermarmi su un piccolo particolare. Ieri sera mi sono trovato con alcuni compagni di scuola per una concelebrazione nella grande metropoli di Alvese. Eravamo in otto concelebranti; c'erano, quasi, più concelebranti che fedeli, anche se la chiesetta era quasi piena. Era il venticinquesimo dell'entrata di don Armido ad Alvese. Quando fu destinato ad Alvese, don Armido chiese al vescovo: “Dove si trova Alvese?”. “A dirti il vero - rispose il vescovo - non lo so neanch'io”. Sicché non lo sapeva né lui, né il vescovo. E lui, con tutta semplicità, l'ha ricordato alla gente: “Che volete? Così mi è successo. Quando sono arrivato a Chiampo, l'arciprete mi ha detto: “Senti: bisogna che tu salga da quella parte. Intanto prendi questo”, e mi ha dato un ovetto sbattuto perché si era accorto che ero pallido e dovevo prendere coraggio. Ci son volute quattro ore per arrivare quassù, quattro ore! Giunto vicino al paese ho trovato un uomo che mi ha domandato: “È lei...?”. “Sì”, gli ho risposto. Allora mi ha preso a braccetto e mi ha condotto qui”. Il vescovo aveva detto a don Armido: “Se non ti troverai bene, torna giù”. “Ho pensato che è troppo faticoso tornar giù, e allora sono rimasto. Se voi non mi mandate via, io resto ancora”, ha detto don Armido. La celebrazione si è svolta con molta semplicità ed è stato veramente bello. Era giusto, poveretto, che si andasse a fargli un po' di festa in paese. C'è stata la Messa alle otto; abbiamo portato i nostri paramenti; poi abbiamo cenato fraternamente assieme. Durante la cena, uno dei miei compagni, don Florindo Lucatello, arciprete di Trissino, discorrendo insieme, mi ha detto che ultimamente si è trovato in compagnia di un deputato comunista, e me ne ha fatto anche il nome. C'era con lui anche un altro sacerdote e alcune persone: formavano un gruppetto di sei o sette persone. Era un incontro un po' familiare. A un dato momento la conversazione è caduta sui fatti relativi all'Isolotto di Firenze. Il più accanito sostenitore di don Mazzi che, secondo lui, sarebbe sulla strada giusta, era il sacerdote. Il suo più grande sostenitore era proprio il sacerdote. Quando questi arrivò alla fine della sua conversazione - lo dico perché mi interessa farvelo sapere - il comunista gli domandò: “Mi scusi, reverendo: lei dice ancora la corona? Dai ragionamenti che ha fatto finora ho l'impressione che la corona non la dica più. Ora, noialtri siamo coerenti con quello che facciamo. Mi pare, secondo quanto ha sostenuto finora, che lei non sia coerente con la veste che porta. E uno dei segni che so esserci di solito tra voi è questo: quando uno molla, trascura la recita della corona. E allora io volevo domandarle, appunto, se dice ancora la corona, per sapere un po' se ha mollato tutto”. I comunisti ci rinfacciano di non essere coerenti.

MI307,2 [20-05-1970]

2 Continuiamo o, meglio, cominciamo. Però... è grave, eh! Dunque, state attenti! Il nostro don Matteo ci propone quest'oggi un po' di esame di coscienza su alcuni punti: una specie di sintesi di quello che abbiamo trattato quest'anno sull'egoismo.
«In sintesi mi propongo di rispondere con sincerità a queste domande che sono quasi l'“esame del sangue” della mia vita di consacrazione alla volontà di Dio come è incarnata nella nostra congregazione». Se prendo il nostro caro don Ruggero e lo porto a fare l'esame del sangue, gli analisti mi dicono: “Qui c'è il sangue di un industriale o di un letterato o di un malatino”. Insomma dall'esame del sangue si può capire se c'è qualche malattia, qualche infezione; cioè, esaminando il sangue, tu sai subito se è ammalato o no. Ora qui ci sono alcune domande che avevamo steso a suo tempo e dalla cui risposta, se ci fermiamo un pochino a pensare, possiamo capire un po' che sangue abbiamo: se siamo o no veramente consacrati. Sono tutte belle le cose che abbiamo detto, cioè come bisogna vivere, in che modo bisogna vivere, ma vediamo un po', adesso, se dopo alcuni mesi siamo arrivati alla meta o se siamo ancora in cammino o se abbiamo molta strada da compiere. Quando sono tornato dall'America e mi hanno fatto l'esame del sangue, mi hanno detto: “Tutto bene, ma c'è il VES che non va troppo bene; c'è un'infezione”. Io non sapevo neanche che esistesse e che cosa fosse. Quando mi hanno fatto tornare per un secondo esame mi hanno detto: “Adesso è andato tutto a posto”. Ora osserviamo questo VES, se c'è questo VES nel nostro sangue. Quando sono andato per l'esame del sangue, il medico ha detto: “Voglio che mi esaminiate questo, questo e questo”. Che ne dite voi, dottori? Ci sono tante specie di esami, ma il medico ha precisato: “A me interessano questi, questi e questi”. Ora quindi facciamo il primo esame, e scusate se ci vedo poco perché, tra l'altro, è stampato con poca chiarezza. «La totalitarietà della mia consacrazione al volere di Dio si dimostra prima di tutto attraverso il mio modo di pregare».

MI307,3 [20-05-1970]

3 Ed ecco la prima domanda.
«Nella mia preghiera domando unicamente aiuti, grazie per me, senza mai ringraziare prima di domandare?». La prima domanda che ci facciamo è questa. Ricordate bene come a Bosco o subito dopo abbiamo insistito che il primo atto della preghiera deve essere il ringraziamento: dobbiamo ringraziare per i doni ricevuti e, in modo particolare, per la grazia della grazia, per aver ricevuto la grazia di Dio. Dobbiamo, cioè, sentire che siamo figli di Dio, che non siamo più povere creature piene di peccati, che il peccato originale ci è stato perdonato, che siamo stati riabilitati e innalzati, per cui possiamo dire: “Abbà, Padre!”, “Padre nostro, che sei nei cieli...” . Dobbiamo sentire questa grandezza e, quando la sentiamo, allora comprendiamo quanto siamo cattivi se offendiamo questa grazia, se manchiamo di riconoscenza verso il Padre che ci ha dato il Figlio e ci ha dato la grazia. La nostra preghiera dev'essere anzitutto: “Signore, grazie! Signore, grazie! E ti domando perdono perché non ho corrisposto alla tua grazia”. Mi pare che ringraziare e chiedere perdono dovrebbero essere le prime cose da farsi, il primo respiro quando ci svegliamo, il primo respiro quando veniamo in chiesa. Vengo in chiesa: “Signore, grazie per la grazia e per tutto il resto!”. L'altra sera, per esempio - vero, don Giuseppe , tu che mi guardi - prima che tornaste da Torino, io ero un po' in pensiero per voi. Mi dicevo: “Speriamo... Torneranno stasera o domani?”. Avevate detto che sareste tornati il giorno dopo. “Speriamo che non sia capitato loro un incidente o qualcosa di brutto!”. Verso le undici della notte avevo un po' di preoccupazione. Ho pensato: “Non sarà successo che siano morti, che la stanchezza abbia fatto venir loro sonno?”. Ma quando li ho visti arrivare ho detto: “Grazie, Signore!”. Bisogna, però, che questo grazie sgorghi naturale, perché il Signore è presente e tutto quello che c'è di buono viene dalle sue mani. Doveva essere questo il primo passo che dovevamo fare. Vi ricordate? Abbiamo detto a suo tempo che siamo egoisti perché ringraziamo poco. Adesso, dopo alcuni mesi da quando abbiamo trattato questo argomento, chiediamoci se abbiamo fatto un passo avanti. Cioè, da Natale ad oggi abbiamo fatto un passo avanti nelle nostre preghiere, nel nostro ringraziamento? Sentiamo il bisogno di dire grazie? Splende una giornata di sole: “Grazie, Signore!”; c'è una giornata nuvolosa: “Signore, sia fatta la tua volontà!”. Tu, don Girolamo, vai in laboratorio e vedi che il lavoro fila bene: “Grazie, Signore!”; se vedi che non va tanto bene: “Signore, sia fatta la tua volontà!”, e si va avanti, riesci finalmente a far funzionare la macchina: “Grazie, Signore: adesso la macchina va bene”. Mi pare che se questo non lo facciamo noi religiosi, che cosa possiamo insegnare agli altri? Noi dobbiamo insegnare alla gente il senso della riconoscenza, e alle nostre brave donne che mettono venti uova a covare e nascono venti pulcini, dobbiamo insegnare a dire: “Grazie, Signore, perché sono nati tutti”. Se ne nascessero soltanto dieci: “Signore, ti ringrazio! Avrebbero potuto guastarsi tutte le uova e, invece, sono nati dieci pulcini. Signore, grazie! Anche troppo per quel che meritiamo con i nostri peccati... Sei stato fin troppo buono, Signore”. Nasce il frumento: “Signore, grazie! Com'è germogliato bene il frumento quest'anno!”. Dobbiamo esser noi a insegnare al nostro buon popolo questa riconoscenza, insegnare questo cantico di ringraziamento dinanzi ai doni di Dio. Arriva a casa lo stipendio: “Grazie, Signore! Con l'aiuto di Dio siamo in due in casa che lavoriamo. Insomma va benino. Grazie, Signore!”. La salute, una persona guarisce: “Grazie, Signore!”. Bisogna che ci abituiamo ad essere noi sensibili per ringraziare, sensibili a questo dovere di riconoscenza verso Dio. È una domanda, perciò, che ho fatto a me e a voi. E io direi: in un istante, prima di andare avanti con la nostra meditazione, cerchiamo di rispondere ad essa, non pubblicamente, ma intimamente. «Se il mio pregare è dettato unicamente dal bisogno di questo o di quello, sono un religioso molto mediocre e ordinario».

MI307,4 [20-05-1970]

4 Perciò, ecco la seconda domanda.
«Nella mia preghiera chiedo a Dio l'aiuto per compiere le azioni che mi sembrano buone? Se faccio i miei piani e poi chiedo a Dio l’aiuto di adempierli, mi rivelo religioso impegnato, indaffarato, con buone intenzioni, ma ancora con molto di mio nella mia vita consacrata». Io posso fare un bel piano e dire: “Mi pare che vada bene. Signore, aiutami, Signore, aiutami!”. Allora non siamo ancora arrivati. È chiaro o c'è bisogno di spiegazioni? Andiamo avanti. Terza domanda: «Nella mia preghiera chiedo a Dio la luce per conoscere ciò che egli vuole da me, e la forza per poterlo realizzare? Soltanto con questo spirito rivelo un cuore pienamente consacrato a Dio. Devo ricordarmi che fin dall'inizio della mia formazione religiosa sono stato chiamato ad essere così». Le nostre opere, tutte le nostre opere, dovrebbero incominciare mentre siamo inginocchiati; dovremmo venire in chiesa e domandare al Signore: “Adesso, questa mattina dobbiamo fare quel lavoro, dobbiamo innalzare un muro divisorio nella stanza dov'era prima il televisore, abbiamo da praticare un foro: dobbiamo farlo grande o piccolo? Vorremmo introdurvi uno strato isolante: che ne dici?”. Cioè, bisogna fermarsi un pochino e progettare insieme con il Signore. Potete voi pensare, per esempio, che in una casa si faccia quello che si vuole senza consultare nessuno? Fate conto che uno di voi abbia il papà in casa: supponiamo don Ruggero, il quale ha papà e mamma. Lui va a casa e comincia a costruire la stalla per il maialino: grande, arredata come vuole lui, con piastrelle da sette o ottomila lire il metro quadrato, un rivestimento come vuole lui, con lavabo, bagno a doccia, e tutto il resto. Come vuole lui! Suo padre gli dice: «Ma senti, don Ruggero! Sarai un bravo figliolo, hai studiato; io mi inchino davanti a te, ma di maiali me ne intendo io più di te, perché sono tanti anni che li allevo. Nella stalla non occorrevano le piastrelle perché il maiale scivola e si rompe le unghie. Il lavabo è troppo piccolo. Il bagno con la doccia? Sarebbe stato meglio la vasca per il maiale”. Insomma sono certe piccole cose che, in fin dei conti, suo padre conosce meglio di lui. Ora, potete voi pensare che a un certo momento Ruggero - scusate, “don” Ruggero, perché altrimenti si arrabbia! - abbia il coraggio di fare una cosa simile a casa sua, senza interpellare suo papà? È inconcepibile

MI307,5 [20-05-1970]

5 E allora come potrei io, religioso, che mi sono consacrato al Signore, iniziare qualche cosa senza parlarne con lui? Mi pare che non è possibile. Potrei io invitare amici in casa senza parlarne con i miei? Per esempio, Ruggero invita a casa sua tutti i compagni di scuola senza parlarne con suo papà e sua mamma: li invita a pranzo. Può fare questo? Non lo può fare perché metterebbe in subbuglio la casa, se non ne parla prima. Gli direbbero: “Figliolo, va bene, puoi invitare i tuoi amici, ma almeno parla, almeno fanne un accenno”. E perché questo atteggiamento non deve esserci in casa con Dio? Se io so di avere Dio, mio fratello e amico, nella mia stanza, insieme con me, dentro di me, come posso io decidere senza consultarlo? Capite che qui si tratta di fede? Se io ho la convinzione di essere tempio dello Spirito Santo, e perciò la persona più vicina a me è Dio perché è dentro di me, come posso io prendere una decisione senza parlarne insieme?
Io parto in macchina con don Giuseppe e a un dato momento mi fermo a prendere un caffè: fermo la macchina, entro nel bar, e lo lascio là in macchina. Ma è inconcepibile! Se desidero fermarmi, gli dico: “Senti, c'è un autogrill: ci fermiamo un attimo?”. È naturale scambiarsi una la parola: «Ci fermiamo? Prendiamo un caffè? Bisognerebbe che mi fermassi per far rifornimento. Prendiamo qualche cosa?”. Ci si scambia una parola. E come si fa a non scambiarla con Dio, figlioli miei? “E se - dice Mariano - non lo sentiamo?”. Non interessa niente! La nostra specializzazione è questa: essere uomini che credono in Dio, che parlano con Dio, che conversano con Dio, e che insegnano agli uomini a parlare e a conversare con Dio. Perciò, per riallacciarmi a quello che dicevamo ieri sera nell'impegno di vita, per me è inconcepibile che un uomo, sacerdote o diacono, non conversi con Dio, non tratti le cose con Dio, pur nell'aridità, pur nella freddezza spirituale, pur senza sentirlo. Se tu vai a casa e tuo papà è a letto che dorme, tu non lo senti e non lo vedi, però prima di cominciare a costruire la stalla per il maiale, vai da tuo papà: “Papà...”. Attenderai che si svegli, ma tu pensi: “Beh, bisogna pure che gli parli; non potrò certamente costruire la stalla in mezzo al cortile!”. Non c'è scusa che tenga, non posso dire: “Ma... è a letto che dorme... è uscito di casa... non è a casa... sta poco bene”. Aspetta che stia bene, aspetta che torni a casa, ma devi parlare con tuo papà prima di fare certe cose. La mia vita non è mia. Io ho dato tutto al Signore: intelligenza, volontà, cuore, mani, braccia, tutto è del Signore. Mi sono consacrato al Signore, e non posso fare una sola cosa per mio conto in virtù della mia consacrazione totale a lui. Perciò l'orario, lo studio che faccio, le azioni che intraprendo, devo mettere tutto alla luce di Dio. Adesso, per esempio, anche quel cinema che vogliamo fare - chiamiamolo cinema, e in futuro troveremo un nome da dargli - bisogna che anche voi lo pensiate in chiesa, possibilmente davanti al tabernacolo. Io ho ideato il tema e il canovaccio delle prime due pellicole in chiesa: l’idea della seconda maturò a mezzanotte e un quarto, quando stavo dicendo: “Signore, dammi le idee, altrimenti non nasce niente”. Le cose più importanti, almeno quelle di maggior peso, dobbiamo trattarle davanti al tabernacolo o, se questo non è possibile, in un altro posto, nella nostra stanza, mettendoci prima alla presenza di Dio: “Signore, dimmi: che cosa devo fare?”. Così dobbiamo comportarci.

MI307,6 [20-05-1970]

6 Secondo esame del sangue:
«Esame della mia disponibilità religiosa ad assumere un incarico affidatomi dall'obbedienza». La prima parte, dunque, è questa relazione tra me e Dio. Scusate se ho insistito “opportune et importune” , in dialetto e in italiano, in tutti i modi e forme. Ma, vi supplico in nome di Dio: prendete la bella abitudine di ringraziare Dio e di domandargli quello che dovete fare. Fermatevi, se avete fretta, fermatevi per non far pasticci. Andate in chiesa, prendete un foglietto di carta, un quaderno e scrivete le vostre idee, oppure ritiratevi nella vostra stanza, chiudetevi dentro, mettetevi alla presenza di Dio: “Signore, che cosa devo fare?”. Diceva mons. Rodolfi : “Quando vedo che uno ha fretta, vado piano”. Alla stessa maniera quando tu senti di avere troppa fretta, devi andare piano. Non decidete niente. Quando, nel passato, vi dicevo: “Prima di prendere certe decisioni, lasciate passare una notte, una Messa, una comunione”, volevo dire questo: incontrarsi con lui, con calma, per trattare le cose sue con semplicità. Questa è la prima parte. Adesso leggo qui: disponibilità. La disponibilità c'è se prima c'è quest'altra disponibilità. Se io sono preoccupato di fare quello che piace a lui, allora sono disponibile anche quando il Signore mi parla attraverso i superiori o attraverso un regolamento. Se non c'è la prima parte, è chiaro che non c'è nemmeno la seconda. Comunque esaminiamo la seconda. «Sarei pronto ad assumere con gioia, per amore di Dio, un ufficio non confacente alle mie inclinazioni, vedendone la reale necessità?». Primo caso: c’è una reale necessità. A Grumolo si ammala Antonio, si ammalano tutti, e bisognerebbe che vi andasse uno per prendere la “moretta”. Ruggero mi fa il sorriso e pensa tra sè: “Tocca a me!”. Dunque si capisce: la reale necessità c'è, lo specializzato c'è. Lo so che egli dovrebbe sospendere la sua carriera sacerdotale, la sua corsa agli onori e alle glorie. Va bene... Adesso, poi, sta incensando don Pietro dell'Isolotto sperando di diventare anche lui un isolottiano. Comunque, improvvisamente ti viene chiesto: “Ruggero, saresti disposto, per favore, andare a Grumolo finché non se ne trova un altro? Alla mattina puoi celebrare la Messa presto e dopo ci sarebbe da lavorare in stalla. Sai anche tu che cosa c'è da fare, vero: un po' di pulizia. Caso mai, nei primi tempi, verrà don Tarcisio a darti qualche lezione”. Io dico queste cose scherzando e ridendo, ma non c'è motivo di meravigliarci se, un domani, il Signore ci chiederà qualche cosa anche più pesante di questa. Questo potrebbe essere anche un atto che stuzzica un po' l'amor proprio, nel senso che uno potrebbe sentirsi dire: “Che santo figliolo! Che eroico quel figliolo!”. Ma ci sono delle situazioni in cui non c'è niente di santo e di eroico, almeno esteriormente, anzi qualcuno potrebbe dire: “Quanto sei stupido, caro! Se ci fossi io al tuo posto - direbbe don Pietro, non è vero, don Pietro? - se ci fossi io, non credere che mi lascerei menare per il naso in questa maniera. Uscirei dalla Congregazione, piuttosto!”. Eppure può darsi che il Signore ci chieda questo. Prendiamo l’esempio di un mio compagno di scuola, don Armido Spiandore, inviato in un paesetto di centocinquanta o duecento anime, dove ha consumato una vita. Diceva ieri sera: “Non avrei mai pensato, quando sono partito da casa per farmi prete, che sarei venuto a finire in un paesetto così”. Quante volte possono capitare cose di questo genere, con le quali il Signore mette alla prova! Sarei disposto ad accettare cose di questo genere? Vi dico subito che noi non dobbiamo farle, ma potrebbe succedere, perché il Signore permette sbagli ed errori. Ma questo lo si capisce solo se si capisce che noi siamo stati chiamati a soffrire e a salvare le anime con la sofferenza; in caso contrario non si capisce niente. Siete d'accordo anche voi?

MI307,7 [20-05-1970]

7 Seconda domanda, un po' più pesante della precedente.
«Sarei pronto ad assumere, per amore di Dio, un ufficio non confacente alle mie inclinazioni, sapendo di subire un’ingiustizia?». Ripeto: «... sapendo di subire un'ingiustizia», sapendo cioè che toccherebbe ad un altro andare in quel posto, ma quell'altro viene accontentato, e allora tocca a te. Ecco l'ingiustizia! È facile dirlo a parole, però, al momento opportuno, sarei io capace di subire questo? Vorrei vedere io adesso, e parlo di don Ottorino, se venisse fatto superiore generale don Zeno : fra quattro anni io scado, e viene eletto lui. Allora lui dice: “Beh, mandiamo don Ottorino a Grumolo, al posto di don Mario , e se ne starà là calmo!”. E magari mi manda in una località ancora più lontana, completamente escluso anche dal Consiglio, escluso completamente da tutto. Sarebbe diverso che io mi ritirassi volontariamente, ma che siate voi a buttarmi fuori e a mettermi in un angolo è duro. Sarei pronto ad accettarlo? Facciamo la votazione e dallo scrutinio esce un solo voto in mio favore, perché me lo sono dato io, e tutti gli altri sfavorevoli, tutti sfavorevoli. Supponiamo. che mi capiti questo; invece di mettere voi come esempio mi ci metto io per cui fra quattro anni dovrei dire: “Signore... Ragazzi, per carità...”. Supponiamo che siano riuniti trenta capitolari: “Veni Sancte Spiritus”, Messa dello Spirito Santo, votazione segreta: tam, don Zeno, don Guido, don Zeno, don Aldo, don Zeno, don Guido... tac, tac, tac, tac. Viene eletto un altro come superiore generale, e per don Ottorino un solo voto, uno solo! State calmi, state calmi, cominciate a pensarvi al mio posto o mettetevi anche voi perché può capitare a voi una cosa simile. Mi ci metto dentro io per non mettere voi. In quel momento riuscirei a dire: “Il Signore vuole così...”? Poiché tutti i presenti devono esprimere il loro giudizio secondo coscienza ed eleggere chi è più adatto ad essere superiore generale, accetterei che dicano: “No, don Ottorino non è adatto a fare il superiore generale”, e che quindi mi mettano da parte perché “Quell’uomo non è fatto... per conto nostro non è degno, non ha le qualità: scartiamolo”? Accetterei questo per amore di Dio? Dite quel che volete: tutti quanti a parole son disposti, ma non è facile accettare che i tuoi fratelli, i tuoi figlioli, quelli ai quali hai voluto bene come un papà, dicano tutti quanti: “No, costui per conto nostro è da mettere da una parte, perché non è fatto per questa responsabilità”, e tu metterti davanti a Dio e dirgli: “Te Deum laudamus! Grazie, Signore! Tu hai detto così ed è giusto così”. Dire al Signore che sei il peggiore di tutti quanti è facile se lo dici tu, ma sentirtelo dire dagli altri è ben diverso. Non solo, ma poi ti dicono: “Don Ottorino, ci scusi, ma capisce anche lei: adesso c'è un'amministrazione nuova, e il vecchio amministratore qui disturba... Bisogna cambiare un pochino, e noi ci sentiamo un po' a disagio se lei resta qui. Ora le daremmo la possibilità di scegliere fra Bosco e Grumolo. Veda lei, scelga lei. A Bosco c’è già don Ruggero, poverino, che sta sempre poco bene, e lei potrebbe fargli da dama di compagnia; oppure c'è la possibilità di Grumolo. Scelga!”. Amici miei, è eroico dire: “Questa è volontà di Dio, accetto dalle mani del Signore, sono contento... Bene per me, Signore, perché mi hai umiliato , perché questa è volontà di Dio”. Ah, caro don Guido, parlo male? Eppure, se non siamo pronti a questo non siamo a posto. “Allora ci prova gusto”, potrebbe pensare qualcuno. Non è vero! La natura è natura, la croce è croce, i dispiaceri sono dispiaceri, però io devo essere disposto a dire: “Se per il bene delle anime, se per la loro salvezza ci vuole questo sacrificio, Signore, eccomi qua: ecce adsum!”. Se dinanzi ad un sacrificio, supponiamo questo o un altro, voi dite: “Sì, accetto, ma non questo, non questo!”, non siete a posto.

MI307,8 [20-05-1970]

8 Quando voi avete firmato quel famoso foglio nel quale si leggeva: “Signore, accetto incondizionatamente tutto quello da te soprascritto”, sappiate che era incluso anche questo. Tu, Pietro, l'hai firmato quella volta? Non l’hai mai firmato? Beato te, caro mio! Tu, Giorgio, hai firmato? Purtroppo! Beh, penso che hai accettato anche questo, che un bel momento saresti stato disposto a lasciare la veste, a girare in pigiama per la piazza dei Signori, a diventare pazzo, ad essere legato e condotto in manicomio... oppure ad essere coinvolto in un incidente e messo in galera. Guardate che abbiamo sottoscritto questo: che accettiamo dalle mani di Dio tutto quello che lui nella sua bontà e provvidenza crede conveniente mandarci o permettere per la salvezza delle anime. Il Signore ci vuole così, disponibili così. Ma non possiamo dirlo a parole, e dopo lamentarci se dovesse realmente capitare. Che poi ci sia un momento di ribellione interna, un momento di difficoltà, questo è umano, ma appena possiamo dobbiamo rimetterci a posto; un po' di disorientamento è ammesso, ma dopo dobbiamo chiedere perdono di questo disorientamento e riprendere il cammino della donazione.
Il Signore ci ha congregati per questo. Nostro Signore vuole uomini disponibili nelle sue mani come è stato disponibile il Figlio suo, “factus oboediens usque ad mortem” . Umiliato, umiliato, “Jesus autem tacebat” , sputacchiato e incoronato di spine. Dobbiamo arrivare a quel punto, e se non proprio come lui, almeno una parte la dobbiamo accettare, e questa parte, caro Giuseppe , è riservata a noi: una piccola parte è riservata a tutti i cristiani, qualche volta qualche cristiano ha anche una parte grossa, ma per noi, state sicuri, una parte è riservata. «Esame del distacco dal proprio posto di lavoro e dalle proprie attività: sarei pronto a lasciare con gioia, per amore di Dio, il mio ufficio, vedendo giustificato il cambio?». Don Zeno dice: «Ah, se mi liberassero da tutta la parte amministrativa, accetterei subito, subito, subito”. «Sarei pronto a lasciare il mio ufficio, non vedendo giustificato il cambio?». Caro Vinicio , saresti pronto se ti sentissi dire: “Via di là; adesso vai in ufficio, in amministrazione. Le macchine funzionano male, là non c'è nessuno, là si tribola, là si rompono i vetri, e tu passi in amministrazione!”. Amici: noi dobbiamo vigilare perché non accadano simili cose, e guai ai superiori che volessero fare i bravi e creassero simili situazioni. No, noi dobbiamo assolutamente fare di tutto per non crearle, ma guardate che, anche senza che le creiamo noi apposta, capiteranno, capiteranno. La nostra Congregazione raggiungerà proprio il fine per cui Dio l'ha voluta soltanto se i vari membri saranno disponibili così nelle sue mani. Quando San Giovanni Bosco estrasse il fazzoletto e lo mise spiegazzato in mano a San Domenico Savio dicendogli: «Devi essere così, devi essere così”, voleva dire questo. Il santo è uno che si è messo nelle mani di Dio: in alto, in basso, con la testa all'insu, con la testa all'ingiu, di fianco, a letto ammalato, non ammalato... disponibile nelle mani di Dio. Tutto quello che abbiamo detto adesso si riduce, insomma, ad una disponibilità totale nelle mani di Dio, non da insulsi, ma da attivi, mettendo la nostra personalità a servizio della Comunità, dicendo o facendo presenti le difficoltà, in una forma attiva, non da sciocchi. Però: disponibilità, disponibilità.

MI307,9 [20-05-1970]

9 Ecco, io proprio vi pregherei, e con questo concludiamo: rivediamo spesso le nostre posizioni dinanzi a Dio. A suo tempo vi dicevo che bisognerebbe fare spesso un po' di esame di coscienza e chiedersi: sarei io disposto a lasciare la veste che ho, la maglia che ho, la camicia che ho, le scarpe che ho, il posto che ho? Sarei disponibile a lasciare gli amici e tutto per amore di Dio? Sarei pronto? In realtà il Signore non ci domanderà tutto questo, ma noi facciamoci spesso questa domanda, e cioè: sarei disposto a lasciare la Fiat 850, gli occhiali, le scarpe, i pantaloni, tutto, tutto, e cambiare i miei indumenti con altri, e andare in un altro posto e stare con altre persone, per amore di Dio? Sarei disposto a far questo? Cioè accetterei un distacco totale che mi costi? E chiaro che costerebbe!
Cerchiamo di esaminarci spesso dinanzi al Signore e di essere sempre così disponibili. Con questi uomini il Signore fa la moltiplicazione dei pani, con questi uomini il Signore compie i miracoli, come quel famoso miracolo di San Pietro il quale si mise a predicare e migliaia di persone si convertirono. La grazia di Dio passa soltanto attraverso questi fili; questi sono i fili che lasciano passare la corrente di Dio. Se i fili non sono così, come minimo fanno resistenza: essi si riscaldano e non passa molta corrente, e può darsi pure che la corrente non passi affatto. Sia lodato Gesù Cristo!