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IL PRETE E IL DIACONO DELLA CONGREGAZIONE

MI352 [22-05-1971]

22 maggio 1971

Don Ottorino ricorda in modo scherzoso le parole di Mt 2,8 invitando a cercare la signorina Matilde Lassati, che prestava la sua opera in cucina e in guardaroba e coordinava il lavoro delle altre donne, e per questo era chiamata la madre superiora. “ Andate ad adorare” significa dunque: “Fatele gli auguri anche a nome mio”.

Nella frase introduttiva don Ottorino aveva nominato don Girolamo Venco e ora nomina don Matteo Pinton, ambedue sacerdoti che facevano parte del gruppo dei responsabili della Casa dell’Immacolata.

MI352,1 [22-05-1971]

1 Sia lodato Gesù Cristo!
Erode disse: «Fate diligente ricerca del bambino». Mi è stato detto poco fa in cucina dalla Nella che la madre superiora oggi compie gli anni. È vero? Lo avete annunciato pubblicamente? Allora andate ad adorare anche a nome mio, preparando un piccolo segno. Chi è il delegato? Don Girolamo? E allora offrite un mazzo di fiori, un dolce, qualcosa... Penso sia bene farle sentire la nostra presenza. Io ero sceso giù, l'ho cercata dappertutto, ma non l'ho trovata. Forse era andata a nascondersi perché rifiuta gli applausi.Questa mattina vorrei dettare una meditazione un po' fuoriserie, non certo perché non abbia intenzione di continuare quelle precedenti, e tra l'altro don Matteo mi ha sottratto i foglietti delle prime e non ricordo più dove eravamo arrivati nella trattazione degli argomenti.

Cfr. Mt 9,37-38 e Lc 10,2.

Don Ottorino nomina don Giuseppe Biasio che sarebbe stato consacrato sacerdote il 10 giugno di quell’anno, e Adriano Conocarpo che frequentava il corso serale per ragionieri, proponendo che don Giuseppe sostituisse Adriano nel lavoro dell’amministrazione, celebrasse alle benefattrici ospiti di Casa San Giovanni e si dedicasse all’animazione vocazionale. L’espressione “pie donne” è un’allusione alle donne che seguivano Gesù e lo assistevano con i loro beni (Lc 8,2-3), e in questo caso sono le benefattrici ospiti di Casa San Giovanni.

MI352,2 [22-05-1971]

2 Si è parlato, nel passato, di preparare un foglietto per le vocazioni, e più di una volta si è presentato, per così dire, alla ribalta questo interrogativo: lavoriamo noi sufficientemente per le vocazioni? Il Signore ha detto: «Domandate... La messe è molta, gli operai sono pochi» ; perciò sta a noi chiedere, a noi domandare; abbiamo il dovere di domandare, ma anche il dovere di cercare. Penso che anche Gesù ha fatto qualche passo per cercare i suoi Apostoli; chissà che camminate avrà fatto per avvicinare qualcuno, finché non è arrivato il momento di dirgli: «Vieni e seguimi». Non credo che tutto si sia svolto improvvisamente; è stata un'operazione preparata dapprima con una certa amicizia perché è necessaria anche una azione umana. Il Signore ha affidato l'apostolato agli uomini, e penso che anche la ricerca degli apostoli sia affidata agli uomini, come è affidata la loro formazione. S'intende: bisogna distinguere la parte che Dio riserva a sé e quella che il Signore vuole svolgere attraverso noi uomini.
Perciò, per quanto concerne le vocazioni, se noi esaminiamo l'opera svolta da tutta la nostra Comunità, ci accorgiamo che, forse, non è stata proprio sufficiente. Tante cose avevamo da fare e tante se ne sono fatte, ma, se osserviamo le altre famiglie religiose, vediamo che, in proporzione, hanno più personale dedicato esclusivamente al problema delle vocazioni. Perciò, nel prossimo anno, si vedrà di dare più incremento anche a questa azione esterna. Ciò non toglie che ognuno di noi debba pregare e fare qualche cosa per le vocazioni; tuttavia bisognerà dare a qualcuno la possibilità di dedicarsi con maggiore disponibilità.Sta per essere ordinato sacerdote don Giuseppe, che ha sempre mostrato il desiderio di dedicarsi alle vocazioni, maschili, non femminili! Si penserebbe, allora, di assegnarlo alla Casa San Giovanni per le ore della notte, in modo che possa dir la Messa alle pie donne, alle nostre benefattrici che vivono colà - e benefattori anche, eh! - e, mentre per un anno cercherà di sostituire il nostro caro ragioniere Conocarpo che deve continuare il suo «curriculum», il sabato, la domenica e qualche sera potrà dedicarsi alle vocazioni.

APOSTOLO animazione vocazionale

PREGHIERA

PAROLA DI DIO Vangelo

GESÙ

APOSTOLO vocazione

CONVERSIONE esame di coscienza

Nel testo registrato don Ottorino nomina con l’abituale titolo di monsignor don Luigi De Franceschi, che sarebbe stato consacrato sacerdote in giugno e avrebbe assunto la responsabilità della legatoria.

Don Ottorino manifesta l’idea di preparare un foglietto utile per l’animazione vocazionale, che commenterà in seguito nella meditazione del 29 maggio.

Il riferimento è a Gianni Sarzo, che era entrato da poco nella Casa dell’Immacolata lasciando la sua professione di infermiere perché attratto dallo spirito della Congregazione.

Cfr. Mt 28,18-20.

Il riferimento è a don Giuseppe Rodighiero, che aveva abbandonato il clero diocesano di Padova per entrare in Congregazione e che già stava lavorando per formare la Comunità e la parrocchia di Laghetto a Vicenza.

MI352,3 [22-05-1971]

3 Ci sarà anche il nostro caro don Girolamo, che ha mostrato un interesse particolare per le vocazioni di adulti. Egli, avendo il confratello Luigi De Franceschi come suo sostituto in legatoria, potrà dedicare delle belle giornate proprio alle vocazioni.
Come si deve svolgere questa azione con le vocazioni? Che cosa si deve fare? È un'attività che dobbiamo conoscere un po' tutti. E allora si pensava, dopo averne ragionato con il gruppo degli studenti del quarto anno del corso teologico, di preparare un foglietto che servisse un po' da schema d'incontro, di dialogo da farsi con i giovani. Credo, infatti, che più che dir loro: «Vieni a farti religioso perché... andremo in America, saliremo sui cammelli, affronteremo i briganti e i leoni...», cioè più che le opere occorra presentare lo spirito. Io penso che non possa resistere una vocazione che viene solamente per le opere. Se, per esempio, un domani entrasse il caro Gianni, di felice memoria… se tu, Gianni, fossi venuto per le opere, cascherebbe il palco, tu lo capisci chiaramente.Il Signore Gesù ha creato un'Opera, ha dato un incarico: «Andate e predicate il Vangelo a tutte le creature; andate in giro per il mondo a predicare e battezzare».Tuttavia se, per esempio, un domani la missione di qualcuno fosse quella di lavorare in tipografia e di rimanere lì per tutta la vita a predicare con l'esempio, dove c'è un'anima c'è una missione da compiere. Se tu un domani, caro don Giuseppe, che hai abbandonato il seminario per farti missionario, dovessi svolgere invece la tua missione a Laghetto, ebbene ricorda che dove c'è un'anima che non ama Dio, che è lontana da Dio, dove c'è un'anima che può crescere nell'amore di Dio, lì c'è una missione da compiere, c'è un oceano di bene da fare. È sbagliato?

APOSTOLO animazione vocazionale

APOSTOLO salvezza delle anime

APOSTOLO missione

Nel testo registrato don Ottorino cita l’espressione di Lc 9,57 in latino: «Sequar te quocumque ieris».

Nel 1974 si sarebbe dovuto celebrare il 2° Capitolo generale e don Ottorino fa l’ipotesi di non essere più il responsabile della baracca, cioè il superiore generale della Congregazione, e di essere inviato nella colonia agricola di Grumolo delle Abbadesse (VI).

Il riferimento è a don Pietro De Marchi, don Gabriele Grolla e il diacono Giovanni Orfano, partiti il 2 aprile 1969 per la parrocchia dell’Isolotto di Firenze, dove si era avuto in quel periodo l’esempio più clamoroso di contestazione della Chiesa in Italia.

Cfr. Filippesi 2,8.

MI352,4 [22-05-1971]

4 Bisogna che ci fissiamo nella mente che noi seguiamo Cristo, che abbiamo abbandonato tutto per seguire Cristo, per donarci a Cristo: «Ti seguirò dovunque tu vada». I problemi del Cristo sono problemi miei, la missione del Cristo è diventata missione mia. Perciò qualunque posto io occupi, in qualunque parte io sia messo, in alto o in basso, al di sopra o al di sotto degli altri, la disponibilità è condizione indispensabile per un religioso.
Supponiamo che fra tre anni finisca la mia missione, il mio mandato di responsabile della baracca , e che io sia inviato, non come superiore, ma come semplice confratello, all'ultimo posto, nella più umile delle nostre case, supponiamo a Grumolo delle Abbadesse, e che lì mi mettano a mungere le mucche per tutta la vita. Va bene! Se il Signore vuole questo, che cosa interessa a me essere primo, secondo o ultimo purché sappia che non sono andato io a cercare quel posto, che non l'ho voluto io? Il mio terrore sarebbe quello di volere un posto, desiderare un posto: l'importante è che io sappia che non l'ho cercato io.Ricordo i nostri fratelli che partirono per Firenze e le parole dette qui da don Pietro: «Andiamo contenti perché non l'abbiamo cercato noi quel posto. Sarebbe stato da matti! Nessuno avrebbe potuto chiederlo: sarebbe stato da matti!». Questo è l'atteggiamento spirituale che dobbiamo avere perché, altrimenti, non scatta il soprannaturale, non scatta il divino: faremmo una cosa umana. Perciò, chi vuole farsi religioso della Pia Società, deve capire in pieno che cosa significa mettersi nelle mani di Dio come ha fatto Gesù, la seconda persona della SS. Trinità che si è fatta uomo, si è messa nelle mani del Padre, a disposizione del Padre. Il «factus oboediens usque ad mortem, mortem autem crucis» vuol dire mettersi nel torchio, lasciarsi torchiare per farne uscire il vino, quello che deve dissetare i fratelli.

GESÙ

sequela

APOSTOLO missione

CONSACRAZIONE religioso

CONGREGAZIONE fondatore

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

VOLONTÀ

di DIO

MISSIONI

CONSACRAZIONE religioso

DIO Trinità

GESÙ

servo

MI352,5 [22-05-1971]

5 Dobbiamo avere questo atteggiamento profondamente spirituale che davanti alla lampada del Santissimo ci faccia dire: «Signore, io voglio consumarmi come quella tua lampada, solo per te. Non mi interessa di trovarmi in alto o in basso, d'essere primo o secondo, con la veste o senza, prete, diacono o non diacono... a me interessa solo questo: potermi consumare per te, per la salvezza delle anime. Tu sai, o Signore, se io servo di più predicando o soffrendo, nell'esaltazione o nell'umiliazione, nel primo o nell'ultimo posto, in Italia o all'estero; a me non interessa niente! Mi interessa solo consumarmi per le anime». Gli Apostoli, dopo aver ricevuto lo Spirito Santo, si sono maturati proprio così: si sono messi in una disponibilità totale nelle braccia di Dio, dello Spirito Santo, pronti a soffrire, gioiosi di soffrire, pronti ad andare in qualsiasi parte del mondo.
Così dev'essere il piccolo gruppo, il piccolo manipolo di apostoli che usciranno dalla nostra Famiglia religiosa. E noi tanto piaceremo al Signore quanto il nostro spirito sarà proprio così, se suonerà con questo diapason, che vuol dire offerta totale di noi stessi a Dio nella Famiglia religiosa. E Dio può manifestare la sua volontà anche attraverso l'incapacità di un superiore, la cattiveria di un superiore, l'ingiustizia di un superiore. Quello che interessa è la sua volontà. Guardate che novantanove volte su cento essa, purtroppo, non corrisponde ai nostri gusti, alle nostre rivendicazioni, ai nostri piaceri, alle nostre soddisfazioni; guardate che la volontà di Dio, di solito, è una volontà che pesa all'io, che sradica l'io perché, cavando l'io, fuoriesce il sangue puro. Sapete che c'è il sangue venoso e il sangue arterioso. Quando si colpisce l'io vien fuori sangue arterioso che è quello puro, mentre noi vorremmo dare quello delle venette che è un sangue ancora sporco, non purificato. Il Signore di solito colpisce nell'io, perché esca il sangue buono. Lui, il Signore, sa dove colpire per salvare le anime.

ESEMPI Eucaristia

CONSACRAZIONE offerta totale

APOSTOLO salvezza delle anime

VOLONTÀ

di DIO

MISSIONI

CONSACRAZIONE disponibilità

CONGREGAZIONE spiritualità

CONGREGAZIONE appartenenza

CONSACRAZIONE offerta totale

COMUNITÀ

superiore

VOLONTÀ

di DIO

Don Ottorino si riferisce alla prefazione di S. E. mons. Giovanni Colombo al libro Discorsi dell’Arcivescovo di Milano: Al clero (1957-1963), Milano 1963, pagine I-IV

MI352,6 [22-05-1971]

6 Per presentare questo spirito, che dev'essere il vero spirito della nostra Famiglia religiosa, si sarebbe pensato di stilare uno scritto molto breve. Naturalmente dev'essere un foglietto che nasce dalla collaborazione di tutti: non una cosa improvvisata o buttata giù alla buona, ma una vita entrata nel sangue di tutti, in modo che quando uno di voi parla con un giovane che viene a visitare la nostra casa, questo giovane senta un po' la stessa voce, lo stesso tono di tutti gli altri. Vorremmo che lo scritto iniziasse press'a poco così: «La Pia Società San Gaetano vuole così i suoi sacerdoti e suoi diaconi…», e si fissassero alcuni punti come faceva il card. Montini, del quale mons. Colombo scrisse: «Il card. Montini a Milano i suoi sacerdoti li voleva così», e faceva una enumerazione di punti con le qualità necessarie. E allora si pensava di ricavare questi punti fondamentali addirittura dai discorsi del Papa, dicendo, per esempio: «La Pia Società i suoi sacerdoti e diaconi li vuole così...», e farvi seguire una frase, e poi citare due o tre righe degli scritti del Santo Padre, in modo che in un paio di foglietti, in tre o quattro facciate, si possa fissare un po' la foto, il ritratto del nostro sacerdote e del nostro diacono: non un ritratto ideato da noi, ma quello datoci dalla mano e dal cuore del Papa. In questo modo sappiamo che siamo con la Chiesa.
Perciò se si presentasse a noi un individuo e ci dicesse: «Mi piacerebbe venir con voi», allora gli potremmo rispondere: «Noi vorremmo essere così... ci sforziamo di essere così...». Chi volesse entrare nella nostra Famiglia dovrebbe cercare di conformarsi a questo spirito, di convincersi di queste idee. Se un altro individuo dicesse: «Ah, sì! Penso di venire qui, invece di fare l’avventuriero», gli si potrebbe rispondere: «Va bene! Può darsi che tu sia mandato a fare l’avventuriero anche se a questo proposito c'è un punto interrogativo. È certo invece che il novantanove per cento sarai inviato in missione, però può darsi che tu, che fai la professione del ragioniere e vieni per farti religioso, tu che cessi, in tal modo, di dedicarti alla ragioneria, caschi di nuovo in un ufficio come ragioniere. Che vuoi, può capitarti questo. Però c'è una cosa che certamente ti capiterà: di dover vivere così, con questo spirito».

CONGREGAZIONE spiritualità

CONGREGAZIONE appartenenza

APOSTOLO animazione vocazionale

Il riferimento scherzoso è a Giampietro Fabris, originario di Dueville (VI), che allora frequentava il 4° anno del corso teologico.

Don Ottorino si riferisce al messaggio consegnato da Paolo VI ai sacerdoti al termine della concelebrazione della domenica 30.6.1968 per la chiusura dell’anno della fede, in Insegnamenti di Paolo VI, vol. VI 1968, Tipografia Poliglotta Vaticana, 1969, pagine 311-316. Le citazioni vengono riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

A questo punto interviene don Girolamo Venco dicendo: « Chiese dunque il padre comboniano al giovanotto: «Che cosa pensi tu del prete? Ha ancora una sua funzione oggi?», rivolgendosi anche a tutti i presenti. Allora saltò fuori il giovane e disse: «Beh! Per me il prete non ha nessun valore oggi», e per un quarto d'ora si mise ad elencare i motivi. «La psicanalisi, - diceva - la psicologia, la pedagogia possono fare, anzi fanno meglio di quanto può fare un prete. Quindi io... Sì, era utile una volta, forse, perché queste scienze non erano ancora sviluppate e il prete poteva fare un po' da sostituto di esse, ma adesso è inutile. Ha finito di vivere il prete!». Il papà rimase un po' male a questa reazione del figlio, e allora incominciò a parlare don Ottorino».

MI352,7 [22-05-1971]

7 Premesso questo, prendo in mano un discorso del Santo Padre, che il venerabile Pietro da Dueville, di felice memoria, mi ha consegnato: è quello che il Santo Padre ha tenuto, mi pare, nel giugno del '68 ed è un messaggio rivolto ai sacerdoti nella chiusura dell'anno della fede.
Il primo pensiero che mi sembrerebbe opportuno riportare nel foglietto - cercate di non fermarvi a osservare se è stato messo il numero uno, il due, il tre, ma parlatene tra voi nei corridoi e, caso mai, avvicinate me o qualche altro e fate con tutta libertà le vostre osservazioni - lo prendo letteralmente dal discorso del Papa, anche se poi lo metteremo in una forma appropriata: «Il sacerdote - e il diacono è da mettere accanto al sacerdote perché, nel caso nostro, ha ricevuto l'ordine sacro - è l'uomo di Dio, è il ministro del Signore; egli può compiere atti trascendenti l'efficacia naturale, perché agisce «in persona Christi»; passa attraverso di lui una virtù superiore, della quale egli, umile e glorioso, in dati momenti è fatto valido strumento; è veicolo dello Spirito Santo. Un rapporto unico, una delega, una fiducia divina intercorre tra lui e il mondo divino. Tuttavia questo dono il sacerdote non lo riceve per sé, ma per gli altri…».Ieri un signore, che si dichiarava apertamente marxista, diceva: «In casa mia ho i figli. Fino ai diciotto anni voglio che vadano in chiesa; poi, passati i diciotto, faranno quello che vogliono, ma fino ai diciotto anni devono andare in chiesa. Ultimamente mi è capitato di essere in casa con un mio figlio universitario che contro il mio parere studia scienze: lui vede ogni cosa solo l'aspetto scientifico e nient'altro. Arrivò un padre comboniano - forse è stato padre Greggio - e, poiché abbiamo rapporti d'affari, si è fermato con noi. Infatti l'avevo invitato a restare a pranzo e lui ha finito per accettare. C'erano anche degli amici. A tavola, a un dato momento, è venuto fuori un certo discorso». E qui cedo la parola al nostro caro don Girolamo, che era presente e può ricordare meglio, essendo più giovane, le parole del discorso.

CHIESA Papa

SOCIETÀ

Interviene ancora don Girolamo Venco aggiungendo: «Perché - spiegò - se la società fosse bene organizzata, allora, capisco, se ne potrebbe anche discutere, ma finché essa è così, male organizzata, io vedo ancora la funzione del prete».

MI352,8 [22-05-1971]

8 «Secondo me - disse quel papà - per un po' di tempo il prete ha ancora da fare». Naturalmente, essendo materialista, non poteva che dire così.
Sottolineò, in pratica, che il prete ha spazio ancora per un po' di tempo, finché non è messo tutto a posto; dopo il prete può anche andarsene a spasso. E allora abbiamo cercato di insistere, di far capire l'errore. Abbiamo detto: «Se neghiamo Dio, il prete è già superato: non c'è niente da fare! Per conto mio se non lo è già, lo sarà fra pochi giorni, è chiaro... avrà terminata la sua missione perché ci sono oggi persone più specializzate di lui nella parte scientifica, nella parte umana. Però, se ammettiamo Dio, come dobbiamo ammetterlo, - e allora si è un po' parlato di Dio, si è approfittato per approfondire il problema di Dio - se ammettiamo Dio, allora il prete sarà necessario oggi, domani e posdomani... anche se domani tutti gli uomini dicessero: “Noi non abbiamo più bisogno del prete”. Verrà questo momento, concediamolo se vuole, però resta che la realtà è realtà. Gli uomini diranno: “Noi non abbiamo più bisogno di un intermediario, non abbiamo più bisogno di niente”, ma arriverà il momento, forse più tardi, in cui i figli di questi... in cui anche gli uomini dovranno ammettere la realtà del prete. Comunque, anche se tutti gli uomini lo negassero, resta una realtà che il prete ha una sua missione specifica e propria». E allora ho raccontato qualche fatto particolare, qualche incontro sacerdotale. Ma qui, adesso, non è il caso che lo ricordiamo.

SACERDOZIO prete

La promozione di Giuseppe ebreo come seconda autorità dell’Egitto è narrata in Gen 41,37-57.

A quel tempo c’era l’abitudine che i fanciulli delle organizzazioni cattoliche della diocesi offrissero ogni anno le ostie per i futuri sacerdoti novelli.

Il riferimento è a don Mariano Apostoli che sarebbe stato consacrato sacerdote il 6 giugno di quell’anno e dopo avrebbe celebrato la festa della prima Messa solenne nel suo paese di Zimella (VR).

MI352,9 [22-05-1971]

9 Sotto questa luce rileggo due o tre parole del discorso del Santo Padre: «Il sacerdote è l'uomo di Dio…». Questo lo abbiamo detto tante volte: è l'uomo di Dio. Che cosa vuol dire essere l'uomo di Dio? Noi possiamo pensare che un ministro ha il suo capogabinetto, colui che ha in mano un po' tutto. Anche in prefettura c'è un capogabinetto per le cui mani passa tutto il movimento interno; non è solamente il segretario, ma il responsabile di tutto il movimento interno. Ricordate le parole del faraone: «Andate da Giuseppe»: Giuseppe in Egitto era il secondo per importanza e aveva in mano l'amministrazione di tutto il paese.
Noi dovremmo rimanere confusi dinanzi alla nostra grandezza. Il Santo Curato d'Ars diceva: «Sacerdote, se tu comprendessi chi sei, moriresti di amore». I santi avevano capito questa eccelsa realtà. Il grande disastro di oggi è proprio quello che spesso don Calabria indicava: «Ieri c'erano sacerdoti d'oro che celebravano con calici di legno; oggi, purtroppo, ci son tanti sacerdoti di legno che celebrano la Messa con calici doro». Amici miei, amici miei, è una bellissima cosa comprare i calici, cercare le cose belle e tutto quello che volete, ma l’atteggiamento più giusto è quello di inginocchiarsi dinanzi a quel calice, prenderlo in mano e dire: “Qui entrerà il sangue di Cristo, qui entrerà proprio Dio, e io, io, io dovrò pronunciare le parole!”. Oh, poter prendere in mano quel calice nella nostra stanza e piangere dinanzi ad esso, pensando che abbiamo il potere di dire: «Questo è il sangue di Gesù», trasformando il vino in sangue di Gesù ad opera delle nostre parole! Quel pezzo di pane che prendiamo nelle nostre mani... diventa il corpo di Cristo.Ieri, per esempio, a voi ordinandi è stato dato il pane e lo avete portato a casa: vorrei domandarvi se avete pianto dinanzi a quel pane, se lo avete preso in mano e baciato, se avete pregato la Madonna e lo Spirito Santo: «Signore Dio, fra poco io avrò il potere di trasformare questo pane».La Messa non è una parata, una bella festa. Un giorno ho sentito don Mariano, scusami se dico una parolina nei tuoi riguardi, che in corridoio mi ha chiesto: «Don Ottorino, verrà alla mia festa?». State attenti, per carità, a non considerare la prima Messa come la vostra festa. La vostra Messa è la celebrazione del grande mistero. Nella chiesa, dove forse siete stati battezzati, dove forse avete ricevuto la prima comunione, dove vi siete incontrati la prima volta con Dio, dove avete cominciato a dire per la prima volta «Gesù», dove vi siete iniziati all'amicizia con Gesù, con l'Uomo-Dio, proprio in quella chiesa voi compirete il grande mistero, la grande missione d'intermediari tra Dio e l'umanità. Voi alzerete quel calice per dire: «Padre, perdona ai miei fratelli, perdona i miei peccati», i peccati che, forse, voi stessi avete commesso nel vostro paese. Sarà la prima volta che voi innalzerete il calice nel vostro paese, proprio dove avete commesso i primi peccati perché il primo peccato l'abbiamo commesso nel nostro paese, e poi chissà quanti altri! Sarà la prima volta che voi vi metterete come intermediari per i vostri peccati e per quelli dei vostri fratelli, la prima volta che vi appresterete a ricevere per distribuire ai fratelli.

APOSTOLO uomo di Dio

PAROLA DI DIO Sacra Scrittura

SACERDOZIO prete

EUCARISTIA S.Messa

PREGHIERE allo Spirito Santo

GESÙ

amico

GESÙ

uomo

PECCATO peccatore

Don Ottorino richiama due formule teologiche usate per esprimere l’efficacia di un sacramento o di un segno liturgico nella Chiesa : la prima indica l’efficacia dovuta all’azione di Cristo stesso a prescindere dalla santità del ministro, la seconda invece indica l’efficacia maggiore o minore legata alla santità del ministro.

MI352,10 [22-05-1971]

10 Amici miei, il sacerdote deve capire questa missione, la missione che fa di lui un personaggio grande e umile allo stesso tempo perché deve sentire la necessità dell'umiltà, di essere confuso, indegno. Quando diciamo umiltà non intendiamo dire umiliazione, ma coscienza della propria grandezza, sentimento dinanzi a Dio della propria pochezza e della propria incorrispondenza. Per cui lui sacerdote, che è grande, deve sentirsi grande quasi fino a toccare la punta del campanile del suo paese, quando avvicina un'anima deve sentire che è l'uomo di Dio: questo sentire non è superbia, ma verità.
Ed è quello che dice il Manzoni nella frase: «Il grande uomo, che è l'uomo di Dio, non deve sentirsi mai troppo piccolo e mai troppo grande». E quando entra nella casa del povero deve sentire di essere un fratello, quando si trova con il ricco deve sentire che gli è superiore. A me è servita moltissimo la frase del Manzoni. Quando mi incontravo a Roma con qualche ministro non mi sentivo mai più piccolo di lui, anche se mi presentavo con il cappello in mano, perché mi sentivo prete, ero entrato nel suo ufficio da prete, e dicevo tra me: «Caro ministro, mi inchino dinanzi a te come ministro, come rappresentante dell'autorità di Dio in mezzo agli uomini, però anch'io sono rappresentante di Dio tra gli uomini. Due poteri distinti: nel campo umano tu sei più grande, nel campo soprannaturale - mi dispiace - io sono più ministro di te».Dobbiamo sentire questa grandezza, non per farci superbi, ma per essere umili e coscienti, perché in proporzione anche della nostra consapevolezza c'è l'azione divina. E voi lo sapete e me lo insegnate: una parte di questa azione viene «ex opere operato», ma una buona parte «ex opere operantis». È vero che dico: «Ego te absolvo», e non si discute, ma noi leggiamo che i santi preti assolvevano e trasformavano; è vero che dico: «Questo è il mio corpo», ma i santi preti incendiavano la gente quando celebravano la Messa; è vero che dico: «Annuncio la parola di Dio», ma la parola di Dio può essere annunciata anche da un magnetofono. Fratelli miei, bisogna che noi prendiamo coscienza di questo; è questo che dobbiamo specialmente desiderare. Non importano tanto le cose esterne, quanto questa preparazione alla missione, all’investitura divina, alla trasformazione divina.

SACERDOZIO prete

VIRTÙ

umiltà

GRAZIA Confessione

EUCARISTIA S.Messa

Mons. Francesco Snichelotto fu per molti anni insegnante nel seminario diocesano, e poi vicario generale della diocesi fino al 1960, anno in cui morì, lasciando il ricordo di un sacerdote straordinario per cultura, santità e umiltà.

Don Ottorino con l’immagine del telefono indica l’unione con Dio, che per il prete deve funzionare bene. I tusi alludono ad un’altra immagine cara a don Ottorino: il prete è come un canale conduttore della grazia di Cristo.

Don Ottorino ricorda sinteticamente un episodio accadutogli nel 1936 quando era chierico assistente nel seminarietto della cattedrale, dove vivevano una decina di seminaristi per il servizio liturgico in cattedrale. Mons, Guido Franchetto era all’epoca il rettore del seminarietto.

MI352,11 [22-05-1971]

11 Ricordo quell'anima santa di mons. Snichelotto, poveretto, il quale, quando si ritornava in seminario subito dopo l'ordinazione - ed era ormai una tradizione che tutti sapevamo - si inginocchiava in portineria e voleva ricevere la benedizione da ciascuno dei preti novelli, a mano a mano che entravano. E lui, professore, vicario generale, si inginocchiava davanti a loro: «Perché lei - diceva - adesso è prete, lei è prete».
Le nostre mamme una volta nutrivano una speciale venerazione per il sacerdote. Mi pare che la mamma di San Pio X avesse cominciato a dare del lei al suo figliolo, non appena egli indossò la veste talare. Perché? «Perché tu sei prete adesso, tu sei prete!».Amici miei, non dimentichiamo proprio noi la nostra grandezza, la nostra divina grandezza, la nostra divina missione, perché tanto noi valiamo in quanto viviamo questa missione. E gli uomini vogliono sentire questa nostra divina missione, e se vengono da noi, vengono per questo, non per il resto. Per il resto, lo diceva prima benissimo don Girolamo, possono trovare della gente specializzata nel campo umano e scientifico più di noi, fin che volete più di noi. Ma in questo campo divino, in questo contatto con il soprannaturale, con Dio, in questo no.«… egli può compiere atti trascendenti l’efficacia naturale…».Può compiere, ma quante volte non li compie perché ha il telefono che non funziona o i tubi che non servono più! È necessario lo studio, è necessaria la pedagogia, però ricordate che l'uomo di Dio è fatto per compiere atti trascendenti l'efficacia naturale. Non c'è niente da obiettare!Io mi sono convinto di questa verità; ve l'ho detto tante volte che mi sono conficcato in testa questo chiodo e non sono capace di cavarmelo. Vi ho già parlato di quella volta famosa nel seminarietto quando, dopo aver preparato per mesi e mesi la meditazione per toccare il cuore di un ragazzo, perdetti il filo, e alle undici e mezzo della notte il ragazzo venne da me piangendo, e mi espose le sue difficoltà portandomi la fotografia e il fazzoletto di una bambina - piccole stupidaggini, piccole cose - e mi ha detto: «Prefetto, prefetto, lei questa mattina ha pronunciato quella frase...». E io rimasi a pensarci e a ripensarci. Era successo che mentre stavo dettando la meditazione, era entrato nella stanza vicina mons. Franchetto; la porta era aperta, io lo vidi e perdetti un momentino il filo navigando un po' tra Scilla e Cariddi, poi mi ripresi. Nel momento in cui perdetti il filo della meditazione pronunciai una frase che colpì quel ragazzo. Avevo preparato tante meditazioni sull'amore di Dio e su questo e su quello senza ottenere alcun effetto, ho perduto una volta il filo e ho raggiunto lo scopo desiderato.

AUTOBIOGRAFIA seminario

SACERDOZIO prete

DIO rapporto personale

AUTOBIOGRAFIA seminario

Cfr. Galati 2,20.

San Paolo in Filippesi 3,12 dice: «… anch’io sono stato conquistato da Gesù Cristo», ma qui don Ottorino vuole indicare la realtà ancora più profonda dell’identificazione del prete con Cristo nel momento sacramentale.

MI352,12 [22-05-1971]

12 «Allora non mi preparo più!», verrebbe da obiettare. No, devo prepararmi, devo mettercela tutta, ma convincermi che è il Signore ad agire. Io mi sono convinto, frequentavo allora nel '36 il primo corso di teologia, mi son convinto in un modo, vorrei dire, da cocciuto, che l'azione è tutta di Dio, che io devo mettercela tutta, ma che l'azione è di Dio, e che la mia parola vale in quanto sono unito a Dio, altrimenti è meglio tacere.
Se io non avverto lo Spirito che parla in me, non mi sento in grado di dettare la meditazione. Qualche volta la si detta per necessità, ma si sente che non c'è lui. Può essere stata preparata bene, finché volete, ma non c'è lui, non c'è lui! Perciò il nostro sforzo dev'essere quello di restare in contatto con lui, d'avere coscienza che lui è con noi.Perché questo? Perché questa efficacia?«… perché agisce "in persona Christi" …».Quante volte abbiamo ripetuto: «Vivo ego, jam non ego», cioè: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me». Amici, se questo è proprio vero, se io devo vedere Cristo nei miei fratelli, perché non devo sentire e vedere Cristo in me? Perché, vorrei dire - scusate l'espressione - non dovrei quasi adorare le mie mani che toccano Cristo e che sono Cristo? Togliete pure la parola «adorare», però io dovrei sentire la presenza di Dio in me, sentirmi immerso in Dio, per cui, guardandomi allo specchio, dovrei quasi dire: «Ciao, Gesù!», perché egli è dentro di me, io sono tempio dello Spirito Santo, Dio è in me. Non soltanto, ma mi ha preso al punto che al mattino io arrivo a dire: «Questo è il mio corpo... Io ti assolvo...». Però, bisogna che sentiamo questa nostra grandezza e questa nostra miseria!«… passa attraverso di lui una virtù superiore… ».

SACERDOZIO prete

DIO rapporto personale

DIO Spirito Santo

GESÙ

DIO passaggio di...

Don Zeno Daniele era stretto collaboratore di don Ottorino, specialmente per i problemi finanziari della Congregazione.

Cfr. lc 1,48-49.

MI352,13 [22-05-1971]

13 Quante volte, parlando con i giovani sacerdoti - e mi auguro che le loro impressioni siano anche quelle dei vecchi preti - dopo le loro prime confessioni ascoltate, mi son sentito ripetere: «Ho detto cose che non avrei mai pensato. Non so, ma le ho dette. Insomma è proprio vero, eh, che il Signore parla»! In realtà si sente, vorrei dire anche fisicamente, esteriormente, quasi un suggeritore, la presenza di uno che ti fa parlare. Quasi come gli Apostoli quando vedevano moltiplicarsi i pani tra le loro mani, tu senti moltiplicarsi lo Spirito dentro di te, senti la parola dentro di te, senti la parola di Dio, il Verbo.
Volete che il Verbo, che io ho ricevuto questa mattina, che è entrato dentro di me, che ha preso dimora in me, volete che taccia durante la giornata? Supponiamo che io mi trovassi insieme con don Zeno a trattare con una persona ed io sbagliassi un momento: pensate che don Zeno non interverrebbe e viceversa? Se siamo due fratelli e stiamo trattando insieme con un tizio, uno tace, ma ad un dato momento interviene. Se il Verbo è dentro di me ed è la parola di Dio, trovandomi con gli altri, perché lo devo far tacere? Perché non devo lasciarlo parlare? A un dato momento interviene lui, parla lui, purché non lo tenga chiuso nell'interno o non lo cacci via. Se, quando arriva una persona, dico a don Zeno: «Va’ fuori, va’ là», è logico che non può intervenire, ma se gli permetto di essere presente, per forza interviene nella discussione e, anzi, sarà quello che, magari, risolve i problemi.«… passa attraverso di lui una virtù superiore, dalla quale egli, umile e glorioso...».Umile: «Fecit mihi magna qui potens est... Respexit humilitatem ancillae suae...» Umile e glorioso: non si possono disgiungere le due qualità. Per conto mio non è umile chi non è glorioso, perché non avrebbe motivi per farsi umile, giacché la vera umiltà è riconoscere quello che Dio ci ha dato. Perciò, se uno non ha coscienza della propria grandezza in questo campo, del dono ricevuto, della missione ricevuta, non può essere umile. Per questo il Santo Curato d'Ars diceva: «Prete, se tu ti conoscessi, moriresti di amore».

SACERDOZIO prete

EUCARISTIA comunione

PAROLA DI DIO

DIO passaggio di...

DIO scoperta di...

VIRTÙ

umiltà

MI352,14 [22-05-1971]

14 Quando ti trovi nella tua stanza pensa: «Io posso dire: ti assolvo. Ad uno, a mille, a diecimila peccatori che venissero qui posso dire: “Ego te absolvo”. Che potere! Se avessi qui un pezzo di pane, potrei dire: “Questo è il mio corpo”». Come puoi non sentirti, a un dato momento, glorioso di questa potenza? E anche il diacono ha un suo potere e può dire: «Io parlo in nome di Cristo e la mia parola è il verbo di Dio».
Perciò il prete «umile e glorioso, in dati momenti è fatto valido strumento».Ci sono dei momenti in cui il prete non è più lui: è preso dallo Spirito, come Santa Bernardetta quando andava davanti alla grotta era presa e trasfigurata dallo Spirito. Dobbiamo metterci in questo atteggiamento, cioè lasciarci trasfigurare dallo Spirito. Capite, però, che alla base deve esserci una donazione perfetta, altrimenti, se siamo pieni di zavorra, che cosa volete che Dio trasfiguri? Se dentro di noi c'è un io che tira a destra e a sinistra, se non c'è questa disponibilità, non siamo uomini di Dio.«Un rapporto unico, una delega, una fiducia divina intercorre tra lui e il mondo divino».E ho finito. Questo è il primo punto. Vi sembra che sia importante metterlo come base del nostro foglietto? Se avete dei motivi contrari o qualcosa da suggerire, me lo dite fraternamente durante la giornata di oggi o in questi giorni.

SACERDOZIO prete

DIO Spirito Santo

CONSACRAZIONE offerta totale

APOSTOLO uomo di Dio