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LA PIA SOCIETÀ SAN GAETANO I SUOI PRETI E DIACONI LI DESIDERA COSÌ

MI354 [29-05-1971]

29 maggio 1971

MI354,1 [29-05-1971]

1
Uomini: con le loro virtù e difetti, ma umili, coscienti dei loro limiti, ed equilibrati.Uomini familiari di Dio.Uomini coscienti della propria missione.Uomini a disposizione incondizionata del Cristo.Uomini non solitari: lavorare con la Chiesa.Uomini «industriali del buon Dio»: evangelizzare.Uomini testimoni della gioia.Uomini che amano (non critica).

APOSTOLO chi è

l’

apostolo

CONGREGAZIONE appartenenza

I sei confratelli ordinati sacerdoti nel mese di giugno del 1971 sono: don Mariano Apostoli, don Alberto Baron Toaldo, don Giuseppe Biasio, don Antonio Bottegal, don Luigi De Franceschi e don Giorgio Girolimetto.

MI354,2 [29-05-1971]

2 Sia lodato Gesù Cristo!
Mia mamma mi diceva: «Prego il Signore che ti chiami in Paradiso piuttosto che tu diventi un cattivo prete». Io, durante tutti gli anni trascorsi in seminario, dicevo: «Signore, fammi morire piuttosto che diventi un buon prete». Qualcuno mi guarda meravigliato.Ora stiamo per dare il commiato a sei confratelli che tra poco più di una settimana saranno consacrati preti, sempre se saranno promossi all'esame di oggi. Sembra che abbiano superato discretamente gli altri esami, un diciotto lo hanno preso... speriamo che anche oggi riescano a saltare il fosso. Mentre facciamo loro l'augurio che non portino al sacerdozio quello che hanno imparato di male da noi, parlo di me in plurale maiestatico, e che in questi giorni di ritiro si dispongano nel miglior modo possibile, assicuriamo che faremo per loro una preghiera. Pregheremo il Signore perché il vostro sacerdozio sia pieno di grazie - non vi dico senza croci, sapete, perché direi una bugia - e il Signore vi faccia santi, affinché possiate, poi, diffondere la santità nel mondo.Credo che, specialmente in questo momento, abbiamo tanto bisogno di santi, di preti e diaconi santi; anzi, uno dei pensieri che non mi tormenta è proprio questo: come occuparli se ci saranno preti santi, perché ciò non è difficile. Ci sono tante preoccupazioni: come pagare i debiti, come risolvere un problema e l’altro, ma, se avremo preti e diaconi santi, occuparli è forse l'unico pensiero che non mi fa perdere i sonni: un posto, per loro, lo troviamo sempre. Invece sorgono difficoltà quando i preti o i diaconi non sono santi o sono troppo uomini. Allora è un vero pasticcio occuparli. Perciò, se è rimasta in voi un po' di umanità cattiva, durante i vostri esercizi spirituali pregate voi e pregheremo anche noi, e il resto lo farà lo Spirito Santo. La Madonna vi accompagni “in saecula saeculorum. Amen”.Cercate, almeno in questi giorni di preparazione, di perdonarci tutti gli scandali - sai, Giorgio? - che vi abbiamo dato in refettorio e altrove: dimenticateli e conservate quello che può esserci stato di buono.

AUTOBIOGRAFIA famiglia

SACERDOZIO prete

PREGHIERA

CONGREGAZIONE appartenenza

APOSTOLO uomo di Dio

Don Ottorino aveva accennato alla necessità di preparare un foglietto utile per l’animazione vocazionale nella meditazione del 22 maggio.

Don Matteo Pinton, insegnante di filosofia all’epoca, già aveva preparato qualche fascicolo di spiritualità e sempre era accanto a don Ottorino per questi lavori.

Il libretto bianco, così chiamato per la sua caratteristica copertina bianca, che presenta la Congregazione nei suoi aspetti spirituale, comunitario e apostolico, venne preparato durante le vacanze natalizie del 1965 e stampato nel gennaio 1966.

In corsivo vengono riportate le parole della scheda autografa di don Ottorino, pubblicata all’inizio della meditazione, e così sarà anche in seguito senza ulteriori richiami.

Don Ottorino fa una affermazione, che di fatto subito smentisce perché dedica tutta la prima parte della meditazione a sviluppare le qualità dell’“uomo”, che per lui erano molto importanti.

Si trattava di classificazioni disciplinari, in cui il giudizio nel comportamento esteriore era espresso con un voto.

MI354,3 [29-05-1971]

3 E adesso continuiamo le nostre meditazioni. Vorrei fermarmi ancora un poco su quel famoso foglietto di cui abbiamo parlato precedentemente, perché credo necessario che ci muoviamo per le vocazioni e, per farlo, bisogna avere le idee chiare.
Con don Matteo , lassù a Bosco di Tretto, ho buttato giù un po' di schema, la linea di quello che dovrebbe essere il testo del foglietto. L'ultima volta che ci siamo trovati qui insieme abbiamo fatto il commento di un breve tratto del discorso del Santo Padre. Il foglietto porterà dei titoli, che dovrebbero servire un po' da schema di una proposta da farsi a chi vuole donarsi al Signore e che dobbiamo fare, prima di tutto, a noi stessi; la linea, press'a poco, è quella che abbiamo tracciato nel “libretto bianco” , e cioè: «Uomini, uomini familiari con Dio, uomini coscienti della propria missione, uomini a disposizione incondizionata del Cristo, uomini non solitari », e via dicendo. Adesso cerchiamo di metterci sulla linea d'arrivo dell'ultima volta.Non commenterò questa mattina, e nemmeno nei prossimi giorni, il primo punto: «uomini». Abbiamo detto tante volte che, prima di tutto, bisogna essere uomini. Il mondo rinfaccia spesso a noi preti quest'accusa: siamo poco uomini, cioè insinceri, troppo autoritari e nel nostro comportamento umano ci mostriamo, qualche volta, un po' villani. E qui, proprio, vi direi che tutti manchiamo sotto l'aspetto umano e nessuno può essere giudice della propria causa.Quante volte nel passato si è parlato della correzione fraterna! Credo che potreste aiutarvi ad essere uomini proprio con essa. I tempi sono cambiati, perciò ci vogliono metodi nuovi. Siamo pienamente d'accordo! Ai vecchi tempi c'erano metodi vecchi, che adesso non vanno. Ma se non va più il pane biscottato, ci vorrà pure qualcosa al suo posto, per cui bisognerà trovar qualcosa che lo sostituisca.Ai miei vecchi tempi, in seminario, c'era questa norma: ogni mese - e ad essa dovetti obbedire dal giorno in cui vi entrai fino al termine del mio terzo anno di liceo, cioè fino a quando non fui fatto prefetto, mentre per i miei compagni che non erano prefetti fu valida fino al quarto anno di teologia e non c'erano eccezioni per nessuno; erano dodici anni interi! - si davano a ciascuno otto classificazioni.

APOSTOLO uomo

DOTI UMANE maturità

COMUNITÀ

correzione fraterna

Don Ottorino cita in latino una conosciuta massima giuridica: “De internis non iudicat praetor”, che significa che il magistrato non giudica le intenzioni o i sentimenti, ma i fatti verificabili esternamente.

Era una specie di cassapanca o baule che i seminaristi portavano da casa e tenevano in stanza come deposito degli indumenti personali.

Il prefetto in seminario era il chierico che aveva la responsabilità della disciplina e dell’animazione di un gruppo di seminaristi più giovani.

MI354,4 [29-05-1971]

4 La prima riguardava la pietà, e si applicava alla pietà esterna. Se veniva dato un dieci, significava che tutto era andato bene, ma si poteva prendere anche un sei o un sette. Essa riguardava un po' tutto il tuo comportamento esterno della pietà, cioè come si faceva la genuflessione, il segno della croce, come si rispondeva alla Messa e se in essa ci si comportava male, come si facevano le genuflessioni in presbiterio, come si faceva lo scambio del segno della pace e se si rideva perché, per esempio, se nello scambio della pace sfuggiva un bel sorrisetto davano un sette in pietà... per educare che un domani come preti queste cose non si dovevano fare. Veniva valutato tutto quello che riguardava la parte esterna della pietà; infatti il responsabile non poteva giudicare le disposizioni interne, mentre assegnava una classificazione all’atteggiamento esteriore.
Dunque le classificazioni riguardavano: pietà, buona creanza, colloquio, passeggio, pulizia, buona lingua, e per buona lingua si intendeva un dialetto italianizzato che bisognava usare. Ma quello che soprattutto infastidiva era il controllo della pulizia, perché venivano a ficcare il naso dentro la tua cassa personale: il prefetto faceva il suo giretto nella camerata, dove sollevava le coperte del letto per esaminare se era stato fatto bene, vi passava ogni tanto d’improvviso, ispezionava il comodino, dava un'occhiata un po' dappertutto, anche nella sala da studio, e poi prendeva nota: alla fine del mese segnava la classificazione. C’era poi il controllo della pulizia delle tovaglie: il sabato il prefetto passava nel refettorio, dava un'occhiatina per veder come era tenuta la tovaglia, se vi era stato versato del vino o dell'altro.

AUTOBIOGRAFIA seminario

DOTI UMANE

Forse don Ottorino si rivolge a don Giuseppe Biasio, che sarebbe stato consacrato sacerdote il mese seguente.

MI354,5 [29-05-1971]

5 La buona creanza consisteva nel curare il modo di trattare, specialmente nel domandare «per piacere» e nel dire «grazie», insomma nell'avere un po' di educazione. Se c’erano due che stavano conversando insieme, non si doveva intromettersi nella loro conversazione, e se uno si intrometteva riceveva otto in buona creanza. «Eh, scusa, - poteva dire uno dei due - sei venuto mentre stavo parlando, senza chiedere il permesso». Supponiamo che un prefetto stesse parlando con un giovane e un altro si unisse improvvisamente a loro, il prefetto avrebbe detto: «Scusa: domanda il permesso prima di avvicinarti; può darsi che stiamo parlando di cose riservate». Cose piccole, se volete.
Quello era un metodo dei secoli passati, e su questo non discuto. In famiglia c'è la mamma che educa il figlio e opportunamente lo avverte: «Sta’ attento a questo! Hai domandato permesso, hai fatto, hai detto?». In un ambiente, però, come il nostro, state attenti al pericolo che, data la familiarità esistente, ci si trascini avanti con dei difetti che, poi, ad una certa età nessuno ha più il coraggio di dirci che li abbiamo: difetti nel carattere, nel modo di fare e di dire, che possono danneggiare il messaggio che portiamo. La gente osserva queste cose, direi anzi che esige da noi un contegno irreprensibile.Insomma è quella parte umana che comprende sia il modo di mangiare, di chiedere, di comportarci, di presentarci, sia la nostra pulizia personale: tutte piccole cose che, io direi, non bisogna trascurare. Io non avrei mai il coraggio di dire ad uno più anziano di me: «Senti, a tavola tu ti comporti in quel modo»; non avrei il coraggio; sarebbe difficile dirglielo. Se lui me lo domandasse, allora lo correggerei. È più facile correggersi tra amici; certi difetti umani sono così piccoli, è vero, che, vi assicuro io, si diventa noiosi a dirli.Supponete, adesso, che io abbia con me il nostro caro amico don Giuseppe e che gli dica: «Suvvia, attento qui... attento lì... attento...». «Ma, insomma, don Ottorino» mi potrebbe rispondere «a cinquantasei anni lei dà importanza a queste stupidaggini?». Ed avrebbe ragione. Sono stupidaggini se prese in considerazione ad una ad una, ma non nel loro insieme. È giusto? Avere, per esempio, una crostina di pane attaccata di qua o di là della bocca è una stupidaggine. Una crostina di pane... non è poi gran cosa. Eppure una mamma direbbe: «Giuseppe, togliti quella crostina di pane». È una stupidaggine, ma se la toglie.

AUTOBIOGRAFIA seminario

FORMAZIONE educazione

ESEMPI formazione

Nell’esempio don Ottorino nomina don Matteo Pinton e Giovanni Battista Battilana, che all’epoca era novizio.

MI354,6 [29-05-1971]

6 E perché dalla persona, dal modo di fare, dalla parte umana non si deve toglier via qualcosa del genere?
Cercate di non sottovalutare queste osservazioni, perché nel campo apostolico hanno un'influenza tremenda. E, purtroppo, si sente spesso che la gente si rammarica per certe cose, tra le quali direi che c'è proprio la lealtà, la sincerità. Tante volte certi cappellani giovani, poveretti, hanno anch'essi i loro torti, ma se sono nati in questo tempo che torto ne hanno? È la natura che è fatta così. Però, se tante volte non ingranano con i parroci anziani, non hanno sempre torto perché, effettivamente, trovano che in loro manca la parte umana. E magari il parroco decide all'improvviso di recarsi dal vescovo per parlare di loro senza aver mai rivolto loro una parola. Eppure mangiano assieme, sono insieme tutto il giorno, ma lui non dice neanche una parola. Questa è una manchevolezza umana, non è lealtà, perché se tu, parroco, hai un po' di ruggine con il tuo cappellano, devi dirglielo in faccia.Alcuni giorni or sono ho messo alle strette un parroco e gliene ho dette quattro di quelle buone. Forse avrò un po' esagerato, ma gliene ho dette quattro proprio sul serio.«Ma sta’ attento: ti lamenti del tuo cappellano?».«Che cosa vuole... Io resisto, resisto, ma quando cedo, allora... brumm! Allora ogni tanto vien giù la tempesta, si aprono le cateratte».«Che cosa vuoi pretendere dal tuo povero disgraziato cappellano! Prendilo da parte e parlagli!».«Sa, trangugio tutto, faccio un fioretto».«E, invece, fa’ a meno di questi fioretti che non piacciono al Signore e alla Madonna. Tu fai i fioretti e poi, quando marciscono, li sputi in faccia al cappellano».Scusate, questo parroco fa un mazzetto di fioretti in onore della Madonna e, quando sanno di marciume, li sputa addosso al suo cappellano. Ma... buttaglieli addosso al momento giusto, piuttosto, altrimenti trangugiali e non estrarli più Non è possibile trattarlo duramente ogni due o tre mesi, e dopo per un pezzo non vi rivolgete più la parola. Questa è una mancanza umana. Hai qualcosa da rimproverargli? Devi farlo. Non è conveniente farlo? Se gli hai già perdonato, allora non tirar fuori il rimprovero: è già tutto appianato. È sbagliato questo comportamento?Ci sono tanti difetti che ci trasciniamo avanti nel tempo e, a questo proposito non volevo proprio dir niente, ma una parola sull'argomento l'ho detta, qui bisogna che ci aiutiamo a vicenda, con vera carità. Qui ci vuole tanta umiltà da poter dire: «Forse ho sbagliato anch'io; avete da farmi qualche correzione?». Su questo aspetto dovete spingere i vostri amici a farvi la correzione fraterna, ben sapendo che costa fatica. Infatti è più facile per don Matteo dire a Gianni: «Gianni, sei un bravo ragazzo; Gianni sei un fenomeno», anziché: «Gianni, hai i mocci al naso: pulisciteli».

APOSTOLO uomo

PASTORALE parrocchia

COMUNITÀ

correzione fraterna

Forse il riferimento è a Gianni Sarzo, entrato da poco nella Casa dell’Immacolata.

Il riferimento è a Mario Corato, che all’epoca stava frequentando il corso teologico.

Don Guido Massignan era all’epoca accanto a don Ottorino nella responsabilità della Casa dell’Immacolata e nella formazione dei novizi.

MI354,7 [29-05-1971]

7 Ricordatevi che è faticoso fare la correzione perché è sempre un urtare la suscettibilità del fratello. È più facile portare a casa di un amico l'assegno di una vincita alla lotteria che la cartella delle tasse da pagare. Perché se gli porti una multa da pagare gli fai un dispiacere. Domandate a Gianni che cosa si prova dare una multa ad uno: è facile offrirgli un grappolo d'uva, ma una multa da pagare è sempre fastidioso.
Il sindaco di Quinto Vicentino ha detto al vigile urbano del paese: «Dia anche a me la multa, se me la merito». Bene, vorrei vedere come si sentirebbe il vigile quando gli toccasse davvero di dare la multa al sindaco... II giorno seguente il sindaco direbbe: «Briccone! Era giusto che mi dessi la multa, però, però...». Resta sempre quel «però» nel sottofondo che certamente non fa piacere al vigile.Supponiamo che uno che vive insieme con Mario continui, sia oggi che domani, a correggerlo: a un certo momento può succedere che Mario si stanchi. Anche una mamma si rende qualche volta odiosa al proprio figlio che potrebbe rinfacciarle: «Ma finiscila! Insomma, per una cosa da nulla...». Però, se c'è un difetto, bisogna toglierlo.E qui vorrei dire, specialmente a coloro che hanno responsabilità di assistenza, di rassegnarsi a divenire impopolari per amore dei fratelli di oggi e di quelli che avvicineranno domani. Che cosa ne dici, don Guido? Anche da noi, nel nostro campo apostolico e nelle stesse missioni, si sente dire a volte: «Ah, con quel tale è un piacere lavorare, ma quell'altro... ha un carattere, un modo di fare! È buono, però, però...». È brutto sentir dire così o magari: «È un pezzo di pollo buonissimo, però... me lo serve in un vaso da notte!». No, non si fa così. Vi pare?Dopo la prima considerazione su «uomini», ecco la seconda su «uomini familiari di Dio».

COMUNITÀ

correzione fraterna

ESEMPI correzione fraterna

APOSTOLO uomo

DOTI UMANE

Don Ottorino ama ripetere con frequenza l’espressione paolina di 2ª Timoteo 4,2 e sempre in latino, anche se tende ad italianizzarlo, infatti il testo corretto è: «… insta opportune, importune…».

È un paragone caro al vecchio prete, cioè don Ottorino stesso: come sarebbe un delitto vendere al posto del latte un miscuglio di acqua e olio emulsionabile (preparato che nell’acqua diventa bianco e denso come il latte), così sarebbe un delitto presentarsi alla gente come apostoli se non si è uomini familiari di Dio.

Altro esempio caro a don Ottorino, che la attribuisce a “quel tizio”: per insegnare matematica è indispensabile anzitutto conoscere la matematica e poi anche la lingua per comunicare quello che si sa. Allo stesso modo per l’apostolo è indispensabile prima essere familiare di Dio, e poi possedere un linguaggio adatto per presentarlo agli altri.

MI354,8 [29-05-1971]

8 E a questo proposito abbiamo già rilevato molte cose. Perciò penso di scrivere sul foglietto quattro frasi per precisare il significato di «uomini», però è necessario insistere «opportune» e «importune» su questo aspetto. Per esempio, tante volte capita anche qui di vedere qualcuno che viene a domandare qualcosa: «Ha quella cosa o no?», senza chiedere per piacere e senza ringraziare. State attenti, ecco! Vedete, è un po' di tempo che io non faccio il pedante, ma se sapeste quante volte sarei tentato di parlare! Perché, se ne sente la necessità di farlo. Qualcuno, anche di una certa età, qualche chierico anche, si presenta in maniera poco educata. E questo non lo si può fare. Vorrei proprio pregarvi di vigilare perché sul lato umano ci sono tante cosette da mettere a posto.
Per quanto riguarda «uomini familiari di Dio» questo è indispensabile: vorrei dire che è la nostra specializzazione. Altrimenti, chi non è familiare di Dio che cosa va a fare in mezzo agli altri? Noi dobbiamo condurre gli uomini a un Cristo che conosciamo. Dobbiamo insegnare la matematica? Bisogna dunque conoscerla. La nostra scienza qual è? Incorporare i fratelli nel Cristo, ma se non siamo noi incorporati in lui, allora non la potremo fare.È la solita storia famosa che raccontava quel vecchio prete quando parlava del latte e dell'acqua con olio emulsionabile. Eh, non si può vendere acqua con olio emulsionabile al posto del latte! Se non siamo familiari di Dio, se non siamo amici di Dio, se non siamo di casa con Dio, che cosa andremo a raccontare agli altri?Chi insegna matematica deve conoscere la lingua e tutto ciò che occorre per completarne lo studio, ma l'essenziale è che sappia la matematica. Vi ricordate di quel tizio che, parlando di un professore di matematica della Sorbona, diceva: «Gli perdonano qualche sbaglio di lingua, ma non l'errore di matematica», perché la sua specializzazione è quella di insegnante di matematica.

APOSTOLO uomo

DIO rapporto personale

APOSTOLO uomo di Dio

GESÙ

GRAZIA Corpo Mistico

MI354,9 [29-05-1971]

9 Io devo essere l'uomo di Dio e, se devo esserlo, devo vivere in contatto con Dio, essere uno che si sente di casa con Dio, familiare di Dio. E su questo, vi assicuro, metteremo per iscritto alcune cose, ma è necessario che lo viviate questo spirito per poterlo poi trasmettere agli altri. Quando parlerete con i giovani di vocazione, il primo aspetto relativo alla parte umana lo direte, se volete, in forma un po' tecnica, ma bisogna che poi escano da voi fiamme di fuoco quando parlate di questo «uomini familiari di Dio»; bisogna che i fratelli s’accorgano che è una realtà da voi vissuta.
Una vocazione si svilupperà se c'è calore, soltanto se c’è calore. È proprio il calore della chioccia che fa nascere i pulcini. Se un fratello del mondo di fuori, che ha la vocazione, che si sente chiamato da Dio, troverà un fratello qui, da noi, pieno di Dio, non di sentimentalismo, ma di Dio, capace di far sentire questa sua pienezza di Dio con semplicità, senza voli pindarici, questo atteggiamento sarà il calore che svilupperà il germe della vocazione deposta da Dio nell'anima dell'altro fratello. Perciò qui non si possono fare i commedianti: questo calore c'è o non c'è. Se l’apostolo se la intende con Dio fin dal mattino quando apre le finestre o gli occhi alla luce, per cominciare una nuova giornata, e resta, poi, per tutta la giornata in contatto personale con Dio, allora agli altri saprà dare Dio, manifestare Dio, far gustare Dio. Qui si tratta che il giovane chiamato possa proprio dire, come quando si entra in cucina: «Sniff... sniff... Che profumo! Che odorino! Mi vien subito una fame...». Se uno di noi si avvicina a lui, questi dovrebbe dire: «Senti che profumo! È proprio quello che io desideravo!». E quest'anima, assetata di Dio, avverte la fonte da cui proviene il profumo, la vede.

APOSTOLO uomo di Dio

APOSTOLO animazione vocazionale

APOSTOLO F.A.

ESEMPI F.A.

APOSTOLO chiamata

DIO rapporto personale

Don Ottorino con parole proprie riecheggia la vocazione del profeta Isaia in Is 6,8, e l’espressione paolina di Ebr 10,7.

Le parole sono prese dal discorso che Paolo VI pronunciò in occasione dell’ordinazione di settanta sacerdoti destinati all’America Latina il 3 luglio 1966. Cfr. Insegnamenti di Paolo VI, vol. IV 1966, Editrice Poliglotta Vaticana, 1967, pag. 354.

MI354,10 [29-05-1971]

10 Come terzo punto consideriamo l'uomo che è conscio di una missione ricevuta da Dio.
Il religioso dunque è:- «Uomo», e perciò, come tale, ha messo a disposizione di Dio la natura che Dio gli ha dato, anima e corpo, con polpa e ossi: «Tu, Dio, mi hai creato ed eccomi qua», a disposizione di Dio.- «Familiare di Dio», perciò è di casa con Dio.- «Uomo a cui Dio ha affidato una missione, ed è conscio di questa missione», di questo grande mandato ricevuto ed anche di questa trasformazione intima, ontologica, che è avvenuta in lui con la consacrazione sacerdotale o diaconale.Perciò io sono conscio di essere uomo ed ho messo la mia umanità al servizio di Dio; sono amico di Dio e Dio mi ha rivestito di una missione; e sono - ecco il terzo punto - convinto della mia missione. Adesso, convinto della mia missione e familiare di Dio, devo uscire alla conquista dei fratelli, perché questo è il mandato affidatomi da Dio.Ed ecco un altro punto di meditazione: prima di uscire per questa conquista, ci deve essere una convinzione che è, per così dire, come un motore che viene messo in moto, dopo di che, si parte. E allora, ecco qui: “Uomini a disposizione incondizionata del Cristo”. Perciò uomo convinto della sua essenza, del mandato ricevuto. Ma io posso essere convinto di questo e, come si dice, andarmene a letto a dormire. In altre parole: posso essere un soldato, ma disertore; uno chiamato e andare a giocare alle bocce. Se io sono convinto di essere stato chiamato e scelto, se sento di essere investito di una missione, mi metto a disposizione di Dio. Perché è inutile che io abbia la macchina se poi non la metto in moto, se io non sono pronto a partire.«Eccomi qui, Signore!».«Sei pronto adesso?».«Ma... adesso verrò, però ho dimenticato la patente».E invece devo dire: «Sono pronto; eccomi qui, Signore! So di avere con me la patente e la macchina; vi salgo, accendo il motore... Dimmi dove devo andare».Cristo, infatti, si è messo a disposizione del Padre in questo modo: con la macchina, al volante, con la patente in regola e poi ha detto: «Eccomi qua, Padre; mandami dove vuoi» .E a questo punto vorrei proprio leggere due righe di un discorso del Santo Padre, che poi metteremo al suo giusto posto nel foglietto perché è nostra intenzione collocare a commento di ognuna di queste frasi una espressione del Santo Padre.«E finalmente Gesù, Gesù conosciuto. Chi può mai dire di averlo conosciuto abbastanza?».

CONSACRAZIONE religioso

APOSTOLO missione

ESEMPI coerenza

VOLONTÀ

di DIO

GESÙ

servo

CHIESA Papa

Evidentemente è solo un esempio per dire che l’apostolo ha la stessa missione di Cristo.

Il riferimento è a Dario Crestani, che all’epoca stava frequentando il corso teologico.

Il prof. don Antonio Tisato era all’epoca insegnante di filosofia nel seminario diocesano.

MI354,11 [29-05-1971]

11 Eh, qui si tratta proprio dell'amicizia di Gesù! Siamo familiari di Dio. Consci della nostra missione noi diremo: «Che missione straordinaria mi ha affidato il Signore!». Gesù, che è uomo e Dio, come Dio me l'ha affidata e come uomo mi dice: «La mia missione è stata uguale alla tua; non spaventarti; sono stato anch'io come te. Il Padre ha dato a te lo stesso incarico che ha affidato a me: è la stessa cosa. Ha mandato me a prendere le ciliegie e ha mandato anche te, proprio dallo stesso ciliegio: si tratta proprio della stessa missione!».
È logico, ad esempio, che se una figlia sta per divenire mamma vada a chiedere informazioni alla propria mamma: «Mamma, dimmi: cos'è che si prova, cos'è che si vede?». Va a domandare consiglio a lei, prima e dopo, per il suo bambino, per una cosa e l'altra... è logico che sia così. «Tu, che sei stata mamma, dimmi un po' questo... quello...». Eh, scusate! Da chi deve andare la figlia? Non andrà certamente da suo padre; andrà dalla mamma e si informerà dettagliatamente. Ti meravigli, Dario ? È proprio così.Ora è chiarissimo che anch'io mi sento investito e rivestito di una missione, io che sono familiare di Dio; perciò adesso questa missione di Dio la devo attuare. Se, per esempio, un tale dovesse recarsi in una certa località e sapesse che vi è già stato un altro, egli si rivolgerebbe a quest'altro per averne informazioni. Il prof. Tisato è venuto da me e mi ha chiesto: «Lei che è stato in America, che cosa ha visto, come ha fatto, dove si è recato?», cioè si è rivolto ad uno che è già stato in America. Ed uno che è già stato in questa missione e che si è comportato abbastanza bene, anche se al termine la sua missione si è conclusa male, è stato Gesù Cristo; e si è conclusa male perché è salito sul Calvario. Beh, pazienza! Noi cercheremo di evitare questo monte, ma resta che uno che ha vissuto questa missione è stato il Cristo. E allora è chiaro che io devo seguire il mio Gesù non solo per un sentimento di amicizia, ma anche perché è colui che può insegnarmi qualcosa ed è il mio modello.

GESÙ

amico

GESÙ

uomo

APOSTOLO missione

ESEMPI apostolo

APOSTOLO uomo di Dio

GESÙ

sequela

Il detto è di Benito Mussolini, duce d’Italia, che incitava gli altri a partire per la guerra, ma era incapace di mettersi alla testa del suo esercito.

Don Ottorino continua a leggere qualche frase del discorso di Paolo VI.

Il riferimento è a Gianni Sarzo, vocazione adulta da poco tempo nella Casa dell’Immacolata.

MI354,12 [29-05-1971]

12 Perciò, quando dico «familiare di Dio» intendo dire uno che appartiene a quella famiglia di Dio dove c'è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, c'è la Madonna, e Gesù Cristo che mi è di esempio e di aiuto e mi fa proprio da ponte, il quale non mi abbandona dicendo, secondo il noto detto: «Armiamoci e partite!» , ma: «Armiamoci e partiamo!», perché lui viene insieme con me.
E allora ecco: Gesù conosciuto come Dio e come uomo. «Chi può mai dire di averlo conosciuto abbastanza?». Ah! Fratelli miei, chi può dire di aver conosciuto abbastanza Gesù, di averlo meditato abbastanza, di avere abbastanza imparato la bontà del Signore? In altre parole: di aver imparato come si deve trattare con i peccatori, con i lontani e i vicini, e come trasformare un giovane? Chi può dire d'avere abbastanza imparato e conosciuto Gesù?«Gesù imitato! Non è questa la norma più alta e più comprensiva di tutti i nostri doveri?». Questo non è un capriccio, è un dovere. Imitare Gesù è un dovere per tutti i cristiani, ma per noi apostoli in modo particolarissimo. Noi dobbiamo imitarlo, perché se lui ha usato un certo metodo, anche noi faremo altrettanto. Lui, è vero, ha parlato una lingua e noi ne parleremo un'altra, ma resta sempre vero che il pollo è sempre pollo, anche in America, anche se là si parla un'altra lingua. L'essenza del cristianesimo è sempre quella. Perciò io devo non soltanto conoscere e amare Gesù, ma sforzarmi di imitarlo, fare come ha fatto lui, perché le anime sono sempre quelle.«Gesù seguito nell'obbedienza che fa grande l'umile. Dove lui vuole, come lui vuole, fino al Getsemani».Ieri sera Gianni, a proposito della volontà di Dio, mi diceva: «Io lo dico al Signore: "Sia fatta la tua volontà!", ma costa fatica farla. A volte ho paura, ho paura!». Noi religiosi non dobbiamo avere paura. Stamattina mi domandavo: «Dico proprio con sincerità e con semplicità: "Sia fatta la tua volontà" oppure dico: "Sia fatta la tua volontà, però..."? Vi aggiungo un "però"?». Penso che noi non potremmo fare la comunione se vi mettessimo anche un solo «però». E questo non perché siamo più santi di Gianni, perché la santità va considerata in base ai doni che abbiamo ricevuto. Per noi, dopo tanti anni che viviamo la vita religiosa, dopo tanti anni di grazie ricevute, la donazione al Signore dovrebbe essere incondizionata. Perciò credo che non faremmo nessun peccato di superbia, ma faremmo solo il nostro dovere, se dicessimo, ma con il cuore: «Signore, fa’ di me quello che vuoi, veramente quello che vuoi», come lo ha detto Gesù al Padre suo. Credo che questa disponibilità totale nelle mani di Dio sia essenziale per uno che è consacrato.

APOSTOLO uomo di Dio

DIO Trinità

MARIA

GESÙ

uomo

GESÙ

conoscenza

APOSTOLO salvezza delle anime

GESÙ

imitazione

CHIESA cristianesimo

VOLONTÀ

di DIO

EUCARISTIA comunione

CONSACRAZIONE santità

CONSACRAZIONE vita religiosa

CONSACRAZIONE offerta totale

CONSACRAZIONE obbedienza

La fuga in Egitto è narrata da Mt 2,13-20.

Il racconto di Gesù davanti al governatore Pilato è narrato da Mt 27,11-26; Mc 15,2-15; Lc 23,1-5.13-25 e Gv 18,28-19,16.

Cfr. Filippesi 2,8.

«Senza spargimento di sangue non c’è remissione» (Ebr 9,22).

MI354,13 [29-05-1971]

13 Ecco, scusate se insisto su questo, se noi dovessimo porre dei limiti nella nostra donazione dicendo: «Sì, Signore, questo sì... però...», cioè se cominciassimo con i «però» sbaglieremmo.
Supponiamo addirittura che da parte dei superiori ci sia solo cattiveria nel dare un ordine, supponiamo che da parte del vescovo ci sia tutta la cattiveria, che egli agisca proprio con cattiveria: il mio «però» è sempre sbagliato. Infatti in Erode ci fu tutta la cattiveria quando Gesù fu costretto a fuggire in Egitto , e in Pilato e negli altri ci fu tutta la cattiveria quando Gesù fu crocifisso , e tuttavia la Sacra Scrittura dice di Gesù: «Factus oboediens usque ad mortem». Gesù come Dio avrebbe potuto ribellarsi essendoci un'ingiustizia, e invece no: «Factus oboediens usque ad mortem». Se non comprendiamo questo, non abbiamo compreso il sacrificio della croce, non abbiamo compreso il sacrificio della Messa, perché è questa l'essenza della nostra vita, come leggevamo questa mattina nella colletta della Messa, nella quale si chiedeva al Signore la grazia di conservare la gioia pasquale, cioè lo spirito pasquale. Ma lo spirito pasquale è immolazione e risurrezione, è donazione gloriosa: io mi dono e risorgo, ma prima mi dono. Perciò senza un'immolazione non c’è risurrezione, «sine effusione sanguinis non fit remissio». Voi, che state avanzando verso il sacerdozio, fermatevi anche all'ultima ora piuttosto di diventare preti senza aver capito che cosa vuol dire esserlo. Noi siamo preti in quanto siamo imitatori del Cristo, pronti a pagare con il nostro sangue e disponibili che siano altri a raccoglierne i frutti, pronti a pagare con l'umiliazione: non importa niente, purché Cristo trionfi. Noi non stiamo cercando la nostra soddisfazione, il nostro angolino, un posticino dove si vive bene, dove si può combinare la vita religiosa con la vita un po' comoda: una vita che piace, la vita che soddisfa.

CONSACRAZIONE offerta totale

COMUNITÀ

superiore

PAROLA DI DIO Vangelo

GESÙ

servo

GESÙ

imitazione

CROCE

EUCARISTIA S.Messa

CONSACRAZIONE immolazione

SACERDOZIO prete

CROCE sangue

CONSACRAZIONE vita religiosa

In una espressione algebrica, se si sbaglia il segno positivo o negativo di un numero, tutto ciò che segue risulta errato.

MI354,14 [29-05-1971]

14 Oggi si sta falsificando nella Chiesa di Dio la vita religiosa, la vita dei consacrati. Oggi si sente spesso dire da più parti: «Non si può più comandar loro; non si può più trasferirli in altre Comunità; non si può più dire una parola perché hanno sempre ragione, perché accampano sempre dei pretesti». Questo è un fallimento degli individui, non della Chiesa! Guardate che anche per la nostra Famiglia religiosa una delle caratteristiche essenziali dev'essere proprio la donazione incondizionata.
Una volta, per esempio, ma sono modalità che non si possono più seguire, e noi ci ridevamo sopra, le suore, dopo gli esercizi spirituali, trovavano il bigliettino recante l'ordine della nuova destinazione. Ricordate bene: nuova destinazione! Ed esse, prima di recarvisi, non potevano nemmeno tornare a prendersi la valigia e le proprie cose: dovevano farsele mandare. Così esse abbandonavano completamente il posto di prima e non dovevano avere più nessun contatto con esso. Voi direte che era una cosa disumana. Ora non si fa più così, tuttavia l'essenza è quella di una volta: verrà cambiato il modo, la forma, ma noi dobbiamo essere spiritualmente così. Se non siamo così, cioè disponibili nelle mani di Dio, pronti a ricevere - attenti a queste parole - ingiustizie e umiliazioni, non abbiamo capito che cosa vuol dire immolazione per la salvezza delle anime. E se non abbiamo capito questo, non abbiamo neanche capito l'essenza della vita di consacrazione. Il consacrato è uno che si lascia macinare, che si lascia strozzare per dare il proprio sangue e lavare con esso le anime dei fratelli.Le parole, tutte le parole, per conto mio, suonano male, molto male, se non partono da questa convinzione. Perciò il canto e il suono delle chitarre con cui accompagnate la Messa sono senz'altro una cosa bellissima, bellissima, però se non partono di qui, sono senza anima. Il nostro caro Giuseppe - c'è Giuseppe? non c'è stamattina? - diceva ieri sera d'aver fatto il saggio d'esame: «Ci sono tre compiti da fare; ne ho già fatti due e, se mi andrà bene il terzo, eviterò un esame. Però questo secondo compito non mi è riuscito troppo bene: tutto il procedimento era esatto, ma sbagliata la parte iniziale che è come la chiave di tutto il compito». In altre parole: tutto il procedimento è stato esatto, ma sbagliato un segno all'inizio. Anche noi corriamo il rischio di consumare una vita intera con un segno sbagliato. L'anima può giungere alla salvezza, ma è troppo poco per un prete salvarsi l'anima. Chiaro?

CONSACRAZIONE vita religiosa

ESEMPI offerta totale

CONSACRAZIONE obbedienza

CONSACRAZIONE offerta totale

CROCE sofferenze morali

APOSTOLO salvezza delle anime

CROCE sangue

EUCARISTIA S.Messa

ESEMPI vari

SACERDOZIO prete

L’immagine è impropria perché di solito è la spia verde che permette di continuare tranquilli, mentre la spia rossa normalmente segna pericolo. Ad ogni modo don Ottorino vuol dire che se c’è il sacrificio offerto per amore si è sulla strada di Gesù.

I paracarri sono, nel linguaggio di don Ottorino, le croci e le difficoltà. Spesso infatti diceva: «Le croci sono come i paracarri che ci indicano che la strada è quella voluta da Dio».

Cfr. Mt 12,43-45 e Lc 11,24-26.

In montagna i sentieri sono indicati costantemente da segni rossi o da numeri.

MI354,15 [29-05-1971]

15 Un segno sbagliato è una vita consumata nel proprio io, nel proprio egoismo, consumata lì perché piace, perché offre soddisfazioni. Non va bene così. Non siamo noi che abbiamo scelto. Noi ci siamo offerti, ci siamo buttati nelle mani del Cristo, perciò dovremmo essere contenti quando la spia rossa segna sacrificio.
Quante volte vi ho detto quando eravate ancora ragazzi: «Se ci fosse una giornata senza paracarri mi fermerei». Ricordate? Almeno su questo spererei di essere stato abbastanza coerente. Allora vi dicevo che una strada senza paracarri non è più la strada provinciale; infatti una volta le strade provinciali avevano tutte i paracarri. Se percorressi una strada senza paracarri dovrei pensare che forse sono fuori strada. Se la strada di un apostolo non è segnata da croci c'è da aver paura, perché il demonio, se non altro, statene sicuri, disseminerà croci finché gli sarà possibile. Infatti, se un apostolo lavora veramente per il Signore, è impossibile che non trovi ogni giorno qualche sasso gettatogli contro dal demonio, è impossibile che il demonio non sparga il male, non approfitti di tutte le occasioni per intralciare il lavoro di un apostolo santo. Un apostolo, che lavora veramente per il Signore, incontrerà assolutamente il demonio; anzi, quanto più lavorerà per Dio, tanto più troverà le forze di Satana dispiegate contro di lui. E allora troverà insulti, incomprensioni, stupidaggini, ombre, terremoti, tutto quel che volete. Ricordatevi: più vi farete santi e più incontrerete queste cose, vi sembrerà che qualcuno ce l'abbia con voi, vedrete nero dappertutto e vi chiederete: «Ma che cos'è questo?». Svegliatevi! Il demonio non si lascia vincere tanto facilmente, non si dà pace. Del resto lo dice anche Gesù: cacciato via da una parte, egli verrà poi con altri sette diavoli dall'altra, e la situazione sarà peggiore di prima. Se voi vorrete intraprendere una vita apostolica, avrete inevitabilmente contro le forze di Satana che metteranno il malumore in casa, perché la prima cosa che Satana compirà sarà quella di farvi vedere nero l'operato dei vostri fratelli, e in questo modo cercherà innanzitutto di rompere l'unità, di rompere la carità della nostra Famiglia. Perciò: svegliarsi, svegliarsi, svegliarsi e stare attenti!Se noi, nella nostra vita apostolica, non troviamo i segni delle difficoltà, degli scogli o qualche cosa del genere, c'è da aver paura: vuol dire che il demonio, anzi, ci incoraggia a proseguire e ci dice: «Avanti, avanti pure!», perché sa che non siamo sulla strada giusta; se invece lo siamo, ci tira sassi. Perciò uno dei segni rossi che ci indica la strada giusta è la croce, sono le difficoltà che troviamo.

VIZI egoismo

CONSACRAZIONE offerta totale

CROCE difficoltà

ESEMPI croce

CROCE Demonio

APOSTOLO missione

CROCE

GESÙ

COMUNITÀ

Il riferimento è all’episodio della reazione di Pietro al primo annuncio della passione, in Mt 16,21-23 e Mc 8,31-33.

Don Ottorino si riferisce evidentemente a qualche lavoro che si stava facendo in casa.

Il tema verrà ripreso e sviluppato nella meditazione del 9 giugno.

MI354,16 [29-05-1971]

16 È inutile: io avrei paura di uno che, se gli chiedessi come si trova, mi rispondesse: «Ah, bene qui, ma nel posto di prima no! Qui mi trovo veramente bene, proprio bene. Difficoltà con la Comunità: nessuna». Io avrei tanta, tanta paura di uno che si trovasse troppo bene. È mai possibile che lui non abbia neanche un diavolo attorno, mentre io ne ho addosso cinquecento ogni ora? È possibile che lui non faccia nessuna indigestione delle cose di Dio?
Guardate che Gesù aveva tanti diavoli schierati contro di lui, nascosti tante volte sotto le vesti di Giuda, spesso anche sotto quelle di Pietro. Ricordate che in una occasione ha detto: «Fa’ silenzio, Satana; ritirati!». Guardate che il demonio può parlare anche attraverso don Ottorino, in certe circostanze, in certi momenti, magari quando fa un’osservazione ad uno. Il demonio, allora, si può vestire da frate e suggerire: «Guarda: don Zeno ha una bricioletta di pane addosso; avvertilo, poveretto!». E tu lo avverti e intanto lo inasprisci, perché è imprudente fargli l'osservazione in quel momento. E così il demonio si è vestito da frate per suggerirti un'opera di carità che, in sostanza, non è servita che ad irritare don Zeno e a spingerlo a prendersela con te.Guardate che questo capita spesso. Io, tante volte, pensando a certe parole che rivolgo a voi, mi accorgo in seguito che non partono da Dio, ma dal demonio vestito da frate, il quale mi spinge a fare il mio dovere di responsabile verso di voi, ma con l'intenzione di riuscire a mettervi contro di me, in modo che non possiate accettare la vera parola di Dio.Non bisogna scherzare, sapete; con il demonio non si scherza. È peggiore di certi acidi. L'altro giorno usavano degli acidi e bisognava che stessero attenti, altrimenti erano velenosi. Occorre lavarsi subito le mani quando esse ne vengono a contatto: un secchiello d'acqua con un po' di aceto, altrimenti la pelle si corrode tremendamente. E con il demonio capitano cose anche peggiori.Mi dispiace, ma il tempo è passato. Continueremo la prossima volta.

CROCE

CROCE Demonio

COMUNITÀ

GESÙ