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LA CARITÀ NELLA VITA COMUNITARIA E APOSTOLICA

MI324 [14-10-1970]

14 ottobre 1970

MI324,1 [14-10-1970]

1. La meditazione che faremo questa mattina è una meditazione su un tema vecchio e nuovo: la carità. Si potrebbe dire che della carità non si è mai parlato abbastanza , ma si potrebbe anche pensare: “Che cosa si può dire di nuovo riguardo alla carità?”. Ho trovato due o tre frasi che mi hanno fatto pensare: le ho lette e rilette, e sono del parere che forse faranno pensare anche voi.
«“La mancanza di amore reciproco è sempre causa di ritardo e disturbo, anche si tratta di uno scopo per sé buono”». Quando c'è mancanza di carità, la mancanza di carità è sempre causa di ritardo e di disturbo nelle opere apostoliche, anche se è compiuta per scopo buono. Tante volte noi non riusciamo a capire questa verità, che mi ha fatto pensare a quanto può accadere nella nostra vita comunitaria. Prendiamo come esempio il nostro caro Antonio della Comunità di Grumolo. Potrebbe essere mancanza di carità, anche se fatta per scopo buono, se lui prende la Catina, non certo per buttarla dentro il secchio, e comincia a dirle: “Guarda, hanno fatto quella cosa ma sarebbe stato meglio fare quell'altra. Battista ha munto le bestie, ma sarebbe stato meglio non mungerle. Inoltre forse sarebbe stato meglio prendere quell’altra decisione”. Anche se agisce per scopo buono, questa è una mancanza di carità. Diverso sarebbe dire: “Senta, Catina, che cosa ne dice: ho visto che Battista ha fatto questo... Vorrei dirglielo, ma lei che cosa ne pensa?”. Questo modo di parlare non è mancanza di carità, questo non è disturbo, questo è chiedere consiglio a una persona amica prima di fare un'osservazione, prima di fare una correzione fraterna, in modo da non mancare di carità poi facendo star male una persona, magari per niente. È corretto chiedere: “Che cosa dice Battista: la Catina sta comportandosi in cucina in questo modo... Mi sembrerebbe che non valga la pena dirglielo. Lei che ne dice: che sia il caso di parlarle o no?”. Questo modo di agire non è mancanza di carità, questo è un comportamento prudente, questo non è seguire un sentimento emotivo. E poiché quando si fa un'osservazione o una correzione fraterna si fa sempre star male la persona, e si ha il dovere di farla quando corrisponde a verità, allora è giusto che prima di fare un taglio si faccia una diagnosi. Non è così, dottore? A volte si dice: “Eh, quello ha l'appendicite”, e allora si taglia, e poi ci si accorge che non c'era niente. Quante volte i medici tagliano e dicono: “Che sciocchi siamo stati!”, ma purtroppo l’hanno già tolta! Succede anche che tolgono un dente, magari ne tolgono quattro o cinque prima di trovare quello ammalato.

MI324,2 [14-10-1970]

2. Mi pare che sia un dovere nostro come cristiani fare prima una certa diagnosi, e perciò consigliarsi con qualcuno che è vicino; penso che sia un dovere. Per esempio, se vi accorgete che io ho un difetto, che faccio qualcosa che forse non dovrei fare, Alberto deve avvicinare don Mariano e dirgli: “Don Mariano, che cosa ne dici? Ho osservato che don Ottorino ha messo gli occhiali, ma forse questo non sta bene”. Avete il dovere di fare questo, ma dopo dovete fare un passo più avanti: se c'è il difetto, dovete prendermi per lo stomaco con bontà e carità e dirmi: “Don Ottorino, mi pare così... ci sembra che lei stia commettendo questo errore”.
Invece c'è un punto, e su questo volevo proprio fermarmi nella nostra meditazione, dove si manca chiaramente contro la carità: sono le frasi dette sotto forma di giudizio, quasi espresse con noncuranza, anche a scopo di bene. Si può dire, ad esempio: “Eh, sì, guarda che cosa mi hanno fatto fare! Eh, qui è sempre così!”. Parlando così si va contro la carità. Porto un esempio. C’è una catasta di legna che bisognerebbe togliere, e di questo siamo tutti d'accordo. Il dirlo in una forma è carità, e dirlo in un'altra forma è contro la carità. È secondo carità dire: “Ragazzi, state attenti: non vi sembra che sarebbe conveniente togliere quella catasta di legna? Che cosa ne dite?”. Invece è contrario alla carità dire: “Eh, guarda là la legna! È sempre così! Don Girolamo non si interessa”. Guardate che su questo punto manchiamo tutti, manchiamo tutti perché le cose tante volte si vedono. E poiché tutti siamo animati da un fine buono, vediamo le deficienze del prossimo nelle azioni che compie per raggiungere il fine. Abitualmente non vediamo le nostre deficienze, ma vediamo quelle del prossimo: uno che cammina zoppicando, uno che cammina adagio, uno che corre troppo e fa star male gli altri, uno che ha odore ai piedi, uno che tossisce con la bocca aperta verso gli altri, e tanti altri difetti. Vedere le deficienze non è male, ma lo è sottolinearlo in forma dispregiativa. Qualcuno potrebbe dire: “La deficienza è reale”, ma è contro la carità sottolinearla in quella forma. Scusate se insisto su questo, perché tante volte le mancanze di carità, le mancanze di fraternità nelle Comunità, con le conseguenze che in seguito verranno indicate, partono proprio da queste frasi.

MI324,3 [14-10-1970]

3. Io non penso neanche lontanamente, per esempio, che il nostro caro don Giuseppe Giacobbo che vedo là in fondo pensi male di qualche confratello; ma neanche per sogno, neanche per sogno! Sono certo che non pensa male. Avete capito? Però, tanto lui come io siamo portati, quando vediamo qualcosa che non va, a commentarla con una terza persona, ma non si può fare così. Non so se sbaglio... Su questo punto siamo d'accordo o sbaglio? Don Matteo ?
Commentare le deficienze con sufficienza è pettegolezzo, è proprio contro l'essenza del cristianesimo. Bisogna che ce lo mettiamo in testa, perché se qualche volta facciamo un peccato impuro o qualcos’altro andiamo a confessarci, mentre, per conto mio, l'essenza del cristianesimo è la carità, è l'amore. Non possiamo fra cristiani, in nessun modo, buttar fuori frasi con sufficienza e noncuranza perché noi siamo gli specialisti della carità, dobbiamo essere gli specialisti della carità. E quindi dobbiamo anche testimoniarla. Vivere la carità costa ed è faticoso. È più facile buttare là una frase che costruire, sopportare e costruire, offrire al Signore e costruire. E questo è possibile solamente quando prima accetto l’umiliazione per amore di Dio, accetto il peso, e solamente dopo posso costruire. La natura umana direbbe: “Mi ha picchiato? Che vada in malora!”. Questa è la natura umana, e così era anche per i santi. “Mi ha fatto quel dispiacere? Che s'arrangi! Ha i calzoni rotti? Gli sta bene, mi fa piacere che ridano su di lui! Mostra le mutande? Ne ho piacere! Perché io avevo una macchiolina qui dietro egli continuava a ridere su di me. Mi fa piacere che lo deridano!”. La mia natura umana è così, e forse anche la vostra... Può darsi che non si arrivi a quel limite, ma a volte si può provare una certa gioia per i problemi degli altri; forse non proprio gioia, ma certamente meno dolore se capitano a loro e non a noi. Guardate che la carità costa, ma bisogna pagare fino in fondo la moneta della carità se vogliamo restare nel posto che il Signore ci ha tracciato. C'è qualcuno che ha qualcosa da dire in proposito? Tu, don Guido? È abbastanza chiaro? Don Giuseppe, che cosa ti pare? Mario, che cosa dici su questo punto?

MI324,4 [14-10-1970]

4. State attenti perché dopo sbagliamo, sbagliamo tutti. Non si può esigere la perfezione, per cui dobbiamo mettere in preventivo che si cadrà: cado io e cadete anche voi, ma questo non interessa. Interessa che siamo d'accordo che questi atteggiamenti sono sbagliati e non si devono fare, e che ci sia l'impegno fraterno di dire: “No, questo non si deve fare. Se c'è qualche cosa che non va, non devo sottolinearlo in maniera poco corretta”. Se constatiamo qualcosa, ne discutiamo fra noi, ma è doveroso tirar fuori le cose che non vanno. Se invece vengono sottolineate con frasi taglienti, è come dare uno schiaffo agli altri.
È atto di carità dire cortesemente alla mamma: “Mamma, scusami l’osservazione: quando ti soffi il naso fai gesti poco corretti”. Invece è mancanza di carità commentare alle sue spalle: “Mia mamma sembra una bifolca quando si soffia il naso”. Chi farebbe una cosa del genere con sua mamma? È carità dirle: “Mamma, guarda che hai i piedi che hanno cattivo odore. Scusami, mamma”. Non è carità commentare alle sue spalle: “Mia mamma puzza come una mucca”. Con la mamma non si agisce così, perché c'è un amore naturale che dice che i panni sporchi si lavano in casa; e noi tra fratelli lo facciamo, e questo non è meno grave. Non saremmo capaci di dire una cosa simile della mamma, neanche per sogno, neppure il più disgraziato dei figli. Ricordo che anche i ragazzi orfani dell’Istituto erano gelosi della loro mamma: loro dicevano parolacce, ma se sentivano qualcosa contro la mamma diventavano vipere. Ricordi, Mario, che non si doveva parlare male della loro mamma, perché è sempre la mamma. Noi dobbiamo partire dall'idea che siamo figli di Dio, e c'è una parentela che è ben più grande di quella che corre fra mamma e figlio. E io non posso, anzi non devo, se c'è qualche cosa di meno perfetto nel mio fratello, sottolinearla in modo scorretto. Sto parlando ancora di cose piccole, e non parlo di cose grandi, non parlo di calunnie, perché allora si tratterebbe di una mormorazione, cioè di una mancanza grave. Non penso neppure che uno inforchi gli occhiali e veda nero dove è bianco. Resto ancora nel livello dell’esempio della mamma che ha i piedi che puzzano veramente.

MI324,5 [14-10-1970]

5. Scusate se insisto su questo punto specifico, ma mi pare che è un difetto nel quale caschiamo facilmente tutti, cominciando da me. Per cui torno a dire: non meravigliamoci se caschiamo, perché ci cascheremo ancora. Ma cerchiamo di avere le idee chiare che quando caschiamo abbiamo il dovere di confessarci e di dire con coraggio: “Ho mancato di carità”. Se ho fatto un sorrisetto, se ho buttato là una parola, devo dire: “Ho mancato di carità”. E quando mi presento davanti all'altare e dico: “Fratelli, prima di celebrare... confessiamo i nostri peccati”, io devo sentire il peso di quel peccato, di quella mancanza di carità; non ho le mani pure per l'altare se non domando perdono a Dio. Altrimenti facciamo commedie. È inutile che facciamo dei bei canti, che celebriamo delle belle Messe. Bellissimo, ma prima “lacerate il vostro cuore” . Io devo rispettare e amare mio fratello. E lo devo amare anche se non è mio fratello di sangue, perché è mio fratello in Dio, e se c'è qualcosa, gliela devo dire. Ma non è permesso fargli un sorriso sarcastico o buttar là una frase malevola, perché non è amore. E Dio non vuole. Facendo così io offendo il mio fratello Gesù che lo ama e che desidera che io lo aiuti, non che lo disprezzi. Mia mamma vuole che io rispetti mio fratello; mio papà vuole che io rispetti mio fratello. Questo lo vuole Dio, mio padre. Guardate che alla base della carità c'è la fede in Dio, c'è la fede nelle realtà spirituali. L’amore scaturisce da quella base. Premesso questo, cominciamo la meditazione.

MI324,6 [14-10-1970]

6. «La mancanza di amore reciproco è sempre causa di ritardo e disturbo, anche se si ratta di uno scopo per sé buono».
Per capire bene bisognerebbe aver letto tutta la parte precedente. Ad ogni modo vuol dire che a volte noi possiamo credere che sia quasi un atto di amore, e invece è una mancanza di carità. «io non è dove non è carità». A volte andiamo cercando le cause di qualche malattia: uo ha la febbre, la febbre, la febbre, ma da che cosa può dipendere? Forse c’è qualche cosa nascosto nel suo corpo... Chi pensava dove fosse il male? Andiamo a cercare il male nella testa e invece è nel profondo del nostro essere. Ad esempio un parroco potrebbe dire: “Perché la mia parrocchia non va bene? Ho fatto di tutto, ho provato in ogni modo...”. “Non hai carità! Hai carità?”. “Mi pare di sì; non ho mai ucciso nessuno...”. “Hai carità verso tutti i confratelli?”. “Eh, ma è vero, quello ha quei difetti. Sì, sì, li ha veramente”. Se intanto tu continui a parlarne, non cercare negli altri la causa della mancanza di frutti nel tuo apostolato. Qui infatti parla chiaro: “Dio non è dove non è carità”. Tante volte è proprio questo modo di fare, una frase detta con un tono particolare, un sorrisetto sarcastico, che possono essere vere mancanze di carità, e forse più gravi di tante altre. Non pretendete di raccogliere come sacerdoti o religiosi comportandovi così perché fate tempestare sul vostro raccolto. Quando noi manchiamo di carità in quel modo mettiamo noi stessi al centro, e allora Dio si ritira. «Dio non è dove non è carità. Inutile cercare Dio se prima non ci si pone nella condizione di poterlo trovare». La condizione per poter trovare Dio è questa: lo sforzo per vivere la carità, la ricerca di specchiarsi in Dio, una vita alla presenza di Dio con profonda finezza spirituale. È come vivere alla presenza della mamma e rispettarla nell'amore che ha verso il figlio. Qualche volta si nota che le mamme hanno una preferenza per un figlio un po' deficiente, affetto da qualche difetto, e allora in casa si dice: “Fa’ un piacere, non toccare Antonio, perché la mamma non vuole; lo sai anche tu come vuol bene a quel ragazzo”. “Sì, ma intanto si spendono soldi per quel ragazzo...”. “Fa' un piacere, non diamole un dolore, non tocchiamole il ragazzo”. Se in mezzo a noi c'è uno che ha qualche deficienza, il Signore ha una preferenza per lui perché lo vuole salvare, e dice: “Non toccatemelo, non toccatemelo! Quello è il mio Antonio”. Guardate che dobbiamo arrivare a questa finezza di cuore, perché noi dobbiamo essere specializzati nella carità fraterna. E quanto più saremo graditi a Dio tanto più saremo apostoli, e saremo veramente gli strumenti della grazia quanto più noi avremo questa finezza spirituale per saper capire Dio e capire il prossimo. Battista , mi guardi? «Dio non è dove non è carità. Inutile cercare Dio se prima non ci si pone nella condizione di poterlo trovare».

MI324,7 [14-10-1970]

7. È inutile che andiate da fratel Carretto o dal Voillaume o da una parte o dall'altra per cercare Dio se non c'è la condizione di base. Se manca la condizione della carità, nessuna esperienza serve. Voi, a un dato momento, cercate Dio in bei libri, ma se non avete questa condizione, la condizione dell'amore, non lo troverete. Insisto: la condizione deve essere volontà e desiderio, che non vengono cancellati da qualche possibile mancanza o da qualche disturbo, perché le mancanze non volute, o anche volute ma piante, non sono quelle che arrestano l'amore. Quando io desidero, voglio e capisco che sbaglio a far così e domando perdono al Signore, questo non arresta l'amore.
«Dio si trova nella carità. Colui o coloro che si stabiliscono nella carità trovano Dio anche senza doverne fare penosa ricerca». È bella e consolante questa affermazione. Qualche volta ci si potrebbe domandare: “Come faccio io a trovare Dio? Come faccio a rivolgermi a Dio?”. Abbi carità verso il prossimo, abbi questa carità; ma non l'amicizia umana, che è sentimentalismo, ma la vera carità verso il prossimo. Raggiungi questa carità per amore di Dio, e tu troverai Dio. Allora “dove c'è carità e amore qui c'è Dio”. Dio si trova sempre dove c’è carità, dove c’è finezza di amore. Per questa strada è possibile raggiungere Dio quasi senza accorgersene. Se io mi sforzo di dominare me stesso, di non dire certe parole, di vincermi, di mandar giù e di offrire al Signore, è chiaro che io mi incontro con Dio. Chi me lo fa fare? L'amore verso Dio. E allora è un circolo chiuso: io amo il prossimo e mi incontro con Dio, amo Dio e mi incontro con il prossimo. Mentre faccio crescere in me la finezza dell'amore verso il prossimo, mi incontro sempre più con Dio e cresco nell'amore con Dio.

MI324,8 [14-10-1970]

8. «E chi ha seco Dio, seco ha la riuscita di ogni sua impresa».
È un circolo chiuso: io mi sforzo di amare i miei fratelli; sforzandomi di amare i fratelli cresco nell'amore verso Dio e ho il segreto per riuscire nelle mie imprese apostoliche, cioè praticamente ho assicurato l'efficacia alla mia azione apostolica. Allora è chiaro quello che abbiamo detto tante altre volte, in altre circostanze, che quando abbiamo una Comunità di fratelli che si amano veramente, hanno già le credenziali per la loro azione apostolica. È come che compissero una risurrezione di Lazzaro. Gesù è andato a risuscitare Lazzaro: alcuni hanno creduto e altri non hanno creduto. Voi andrete, farete il miracolo della carità: alcuni crederanno e altri non crederanno. Ma avete già le stesse credenziali del Cristo. Perché? Perché voi, vivendo la carità, la finezza spirituale, acquisterete anche una tonalità esterna che colpisce e conquista. Molti diranno: “Che cosa hanno quei ragazzi? Che cos'ha quell'uomo? Che cosa’ha?”. Non si sa che cosa abbia, ma ha Cristo. Gli uomini vedranno Dio in voi senza che voi ve ne accorgiate. Come Mosè che è disceso dal monte con il viso luminoso , voi uscirete dalla casa della vostra parrocchia o dall'ambiente dove sarete con un raggio di luce, che voi non vedete, ma che il mondo vedrà, e sarà il raggio che manifesterà Dio al prossimo. La caratteristica degli apostoli è questa, quello che Dio vuole dalla nostra Congregazione è questo, la vocazione della nostra Famiglia religiosa è questo, e gli altri aspetti sono corollari, sono mezzi, sono cisterne per portare questo vino meraviglioso che Dio ci ha dato: la carità. Carità fra noi, proprio la finezza della carità, che deve trasparire nel sorriso, nella gioia, nel domandare per piacere, nell'aiutare; deve trasparire nelle azioni esterne, nel saper chiudere un buco che è stato fatto da un altro, nel supplire quando un altro si dimentica nel dare una mano invece di rimproverare, nel fare in modo che nessuno s’accorga se c’è una imperfezione. Questa deve essere la nostra caratteristica. E quando noi prenderemo due o tre apostoli e li porteremo in qualsiasi parte del mondo, in qualsiasi parte, e li metteremo là con questo spirito, io vi assicuro che questi faranno furori. Se hanno due o cinque o dieci talenti, hanno il dovere di trafficarli. Ma questa è l'essenza. Proprio l'altro giorno è venuta da me una signora, e mi ha detto: “Ho dovuto recarmi a Firenze, e mi sono trovata con il cancelliere della curia che mi ha detto: “Ah, lei è di Vicenza! Noi dobbiamo ringraziare tanto la Pia Società San Gaetano di Vicenza perché ci ha salvato da una situazione tragica, difficile. Se ha occasione, a Vicenza vada a nome mio all'Istituto per ringraziare ancora una volta don Ottorino e tutti i suoi confratelli”. Ed è venuta qui l'altro giorno per dirmi: “Sono venuta a nome del cancelliere della curia di Firenze, che ho avuto occasione di incontrare, per ringraziare a nome suo, ancora una volta, per i sacerdoti e il diacono che avete mandato”. E mi ha proprio sottolineato questo: “Il cancelliere ha detto: “Hanno vinto la battaglia con la carità”.