Meditazioni italiano > 1968 > IL CORAGGIO APOSTOLICO RENDE TUTTO POSSIBILE

IL CORAGGIO APOSTOLICO RENDE TUTTO POSSIBILE

MI229[05-03-1968]

5 marzo 1968

Il riferimento è a Severino Bettega, che all’epoca aveva solamente tredici anni. Evidentemente erano presenti alla meditazione alcuni gruppi dei ragazzi più giovani, come si intuisce da tutta l’introduzione di don Ottorino.

Era questa una espressione caratteristica di don Ottorino quando voleva indicare che il buon criterio non era è sufficiente e la maturità era ancora lontana.

Tarcisio Magrin frequentava all’epoca il 1° anno del corso liceale, e l’allusione è al fatto che in quegli anni i giovani stessi facevano il servizio di barbiere.

A questo punto don Ottorino concede qualche istante di silenzio per favorire l’incontro personale con il Signore.

MI229,1[05-03-1968]

1.Questa mattina dovete portare pazienza: dobbiamo parlare in modo molto più semplice perché abbiamo dinanzi a noi la ‘santa infanzia’. Non è così, Bettega? Non sono nemmeno degno di avere, qui davanti, questi santi figlioli. Vediamo se saremo capaci stamattina di parlare meglio o peggio.
Ad Asiago, cioè no, a Bosco - beh, è lo stesso, una montagna vale l’altra! - abbiamo un telefono che aveva cominciato a fare un po’ il matto. Pare che adesso abbia fatto giudizio, ma allora funzionava a senso unico: si poteva telefonare di là a qui, ma non di qui a là. Ricordate quella famosa sera del ritiro spirituale? Abbiamo provato a telefonare di qui a là, ma inutilmente perché non si comunicava, mentre invece funzionava di là a qui. Mi pare che il nostro telefono con Dio abbia talvolta questo difetto: riusciamo a telefonare verso l’alto, specialmente quando abbiamo bisogno di qualcosa. Non è vero, Giuseppe? “Signore, mio papà sta poco bene... Signore, ho l’acqua che non arriva neanche in cima... arriva solo fino al naso. Signore, mi hanno tagliato un orecchio; riattaccalo. La colpa è del ‘brigante’ Magrin ; sono andato a tagliarmi i capelli da lui e lui mi ha tagliato un orecchio. Signore, aggiustamelo”. Beh, il telefono funziona dal basso verso l’alto; invece non funziona dall’alto verso il basso. “Pronto, Bettega!”. Puoi chiamare Bettega, ma il telefono non funziona. Giù qualche volta la suoneria non funziona, e allora succede che se tu domandi: “Prima di fare quella determinata azione hai chiesto il permesso al Signore?”, qualcuno risponde: “Sì, ho domandato!”. “E che cosa ti ha risposto?”. Sono cose capitate ieri. Ho chiesto: “Senti: prima di fare quella determinata azione, hai chiesto il permesso al Signore?”. “Sì, gliel’ho chiesto”. “E che cosa ti ha risposto?”. “Il male è che ho cominciato a fare quell’azione prima ancora di aspettare la risposta!”. Allora, sentite: mettiamoci in contatto con il Signore e chiediamogli che interessi l’ufficio “guasti e riparazioni” del Paradiso perché riattivi la suoneria, in modo che ci sia concessa la grazia di poter telefonare a Dio in tutti gli istanti della nostra vita, e di aspettare la risposta dall’alto prima di compiere le nostre azioni. Diciamogli: “Signore, fa’ che io compia ogni mia azione soltanto dopo averti interrogato e dopo avere aspettato la risposta”. Hai capito, Aldo?

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

PREGHIERA telefonate a Dio

ESEMPI preghiera

DIO contatto con

Nell’esempio don Ottorino nomina Girolamo Venco, che all’epoca frequentava l’ultimo anno del corso teologico ed era alto e slanciato di statura, e Francesco Ragno, che era un ragazzino proveniente da Crotone.

Monte alto circa 1800 metri a nord di Bosco di Tretto: era una delle passeggiate più impegnative nei dintorni di Bosco.

Don Ottorino, nel testo registrato, aggiunge:“Cioè che l’impossibile si può suddividere?”.

Anche per questa meditazione don Ottorino usa il libro di L. G. SUENENS, Teologia dell’apostolato della Legione di Maria, Coletti Editore Roma 1953. Le citazioni, prese dalle pagine 121-123, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

Il riferimento è a don Vittorio Venturin, che all’epoca era già sacerdote.

Don Aldo stava visitando in quel periodo le Comunità dell’America Latina, insieme con l’assistente Vinicio Picco.

Don Vittorio Venturin era un giovanottone di alta e robusta corporatura.

Non avendo capito alcune parole precedenti, non possiamo dire a che cosa don Ottorino si riferisca, ma si intende dal contesto che indica un atto di rinuncia o di scoraggiamento.

MI229,2[05-03-1968]

2.Per mettere al corrente del tema della meditazione i nostri giovani figlioli ricordo che stiamo parlando del coraggio. È una meditazione che abbiamo collocato in mezzo alle altre... che continua già da qualche settimana, e siamo arrivati al punto in cui si afferma che tante volte nella vita quotidiana, e specialmente nella vita apostolica, ci troviamo dinanzi a difficoltà che sembrano insormontabili: sono i cosiddetti impossibili. Ci troviamo cioè davanti a situazioni che ci portano a dire: “Non è possibile! È impossibile!”. Allora il nostro caro cardinale Suenens dice: “L’impossibile si può dividere in tanti possibili”.
Portiamo un esempio pratico. Abbiate pazienza perché quando si ha una chiesa piena - non è vero, Vittorio? - con tanti fanciullini davanti, bisogna parlare ai fanciulli sperando che capiscano anche gli altri. C’è, per esempio, uno di voi che vuole raggiungere Venco per dargli un bacetto sulla punta del naso; immaginiamo che sia Francesco Ragno. Non ci arriva perché Venco è un campanile, e allora che cosa fa? Prende una sedia, vi sale sopra e monta sul tavolo accanto; poi afferra un’altra volta al sedia, la mette sul tavolo e sale su di essa; allora, con un po’ di fatica, può forse arrivare a baciare la punta del naso di Venco. Che vi pare? Prima si sale su una sedia, si pone la sedia sul tavolo, poi si sale in cima alla sedia e, forse, si arriva. Non è vero, Venco? Amici miei, anche nella vita apostolica bisogna fare così. “È impossibile!”, si dice. “Cominciamo! Un passetto alla volta”. “Non si può arrivarci; è una montagna troppo alta”. “Beh, intanto andiamo fino a questo punto qui”. “Come è possibile? Arrivare fino a Bosco?”. “Intanto andiamo fino a Santorso!”. “Ma, come si fa...?”. “Per ora arriviamo fino a mezza strada, fino a Piane. Piano piano poi arriveremo fino a Sant’Ulderico”. “Ma è troppo lontano!”. “Berremo un quartino o anche mezzo litro di vino, e dopo, piano piano, si arriverà”. Arrivati a Bosco forse si dirà: “Non si potrebbe salire ancora, un po’ più in alto e raggiungere il Novegno ?”. Ecco, nella vita spirituale, nella vita apostolica è la stessa cosa. Procedamus! “Volete un’applicazione immediata di questo principio? Esaminiamo il nostro atteggiamento di fronte al problema delle masse da ricondurre a Dio e alla Chiesa”. Supponiamo che un domani, caro don Vittorio , ti mandino in una parrocchia del Chaco, da dove don Aldo ha scritto in questi giorni agli assistenti dell’Istituto. Vai in una parrocchia di dieci, quindici o ventimila anime, che si estende per trenta chilometri da una parte e per quaranta dall’altra. È vero che hai le gambe lunghe , ma a un certo momento ti viene la voglia di fare così. Quando, per esempio, cade un libro dalla libreria, lo si raccoglie, ma se cade l’intera libreria, quasi quasi ci si perde di coraggio. Se cade una tegola dal tetto, viene voglia di raccoglierla, ma se cade tutto il tetto... piano piano, una tegola alla volta, lo si rimette tutto a posto. È facile dinanzi a una massa di gente miscredente, di gente contraria, di gente che non ama il Signore e che è nell’ignoranza più completa, è facile scoraggiarsi e dire: “Che possiamo fare? Cosa vuoi che possa fare?”. Se c’è una montagna da spostare: “Che cosa vuoi che faccia?”. Se in mezzo al cortile c’è un mucchietto di spazzatura, puoi anche portarla via, ma se ce n’è una montagna? Eh, non c’è nient’altro da fare che prendere la carriola e cominciare a portare via un carico; verranno in seguito i figli, e poi i figli dei figli, e dopo la quarta e quinta generazione la montagna sarà scomparsa dal tutto. Perciò nella parrocchia tu intanto comincia: riuscirai a fare qualcosa. Dopo di te verrà un altro, poi un altro ancora, finché a un dato momento sarà scomparsa quella montagna.

DOTI UMANE coraggio

CROCE

VIRTÙ

fede

ESEMPI vari

APOSTOLO missione

MISSIONI vita missionaria

PASTORALE parrocchia

Nell’esempio don Ottorino nomina Zeno Daniele, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico e forse era il responsabile del gruppo dei religiosi senza incarichi particolari, e don Gaetano Scotegagna dell’ultimo anno del corso teologico e l’assistente Pietro Simonetto che aveva già completato il corso del magistero.

MI229,3[05-03-1968]

3.“V’è una specie di pessimismo, in materia di apostolato, che è impastato d’incredulità e di sfiducia in Dio”.
Figlioli, una delle nostre caratteristiche deve essere il sorriso, e poi la gioia e un senso di ottimismo. Ma ottimismo non vuol dire andare avanti con leggerezza, andare a comprare il pane senza soldi, fare un muro senza malta e senza mattoni; ottimismo vuol dire mettercela tutta per impiegare quelle energie che il Signore ci ha dato e non mettersi a guardare i mattoni a un chilometro di distanza e dire: “Pesano troppo!”. Prova, e vedrai che dopo un’ora ne porti tre alla volta anziché uno per non fare tre giri invece di uno. Di solito non è cosi? Tante volte ci comportiamo in questo modo e diciamo: “Oh, com’è possibile che io porti questi mattoni sul tetto della casa? Pesano troppo!”. Ebbene, comincia a prenderne uno. Io ho osservato tante volte che ci sono giovani, i quali dapprima si sentono incapaci di portare un mattone, ma poi per finire più presto ne portano tre alla volta. Non bisogna che ci arrendiamo a questo senso di pessimismo; occorre un po’ di ottimismo, benedetti dal Signore! Supponiamo che un assistente, prendiamo Zeno, si trovi nel suo gruppo e dica: “Come posso convertire Gaetano, Pietro Simonetto... Come si fa?”. Amici miei, non scoraggiamoci! Se Zeno non riuscirà a convertire Simonetto, sarà Simonetto che convertirà Zeno: questo non importa niente! “Vi sono delle sapienze comode molto diffuse, ma che contraddicono in pieno gli ordini di Gesù”. Ho parlato prima scherzando di Zeno e del suo gruppo, adesso immaginiamo un assistente con il suo gruppo di questi ragazzi che stanno qui nelle prime file. Egli, arrivato a quel dato punto critico, non deve dire: “Che vuoi fare? Io raccomando loro di fare silenzio, di fare questo, di fare quello...”. Egli deve domandarsi: “Come vuole Gesù questi giovani?”. Quando sa come Gesù li vuole non deve darsi pace finché non li porta ad essere come li vuole Gesù . Non deve rassegnarsi e dire: “Che devo farci! Ho tentato, ma non ce la faccio, non riesco...”. Se tu sai che Gesù li vuole qui, un po’ alla volta li porto senz’altro qui. Se io so che Gesù vi vuole stanotte in soffitta, vengo da voi e o venite da soli o vi porto io. “Ma io peso troppo!”, dice Aldo. Magari un pezzo alla volta, ma ti porto là. E se so che a mezzanotte Gesù vi vuole in soffitta, state certi che, anche se fuggite a Monte Berico, vi rincorro in macchina e, interi o a pezzi, vi porto in soffitta, con il rischio di chiamare l’accalappiacani perché mi aiuti a prendervi. Bisogna sapere che cosa vuole Gesù. Vuole questo? E allora, mi dispiace tanto, ma tu ti butti qui e io ti faccio a pezzi... “Ma io ti lancio contro le mie scarpe!”. Fallo pure, ma io intanto ti faccio a pezzi e dopo discuteremo. Figlioli, tante volte è facile rassegnarsi!

DOTI UMANE sorriso

DOTI UMANE ottimismo

ESEMPI ottimismo

PASTORALE giovani

VOLONTÀ

di DIO

FORMAZIONE

All’epoca alcuni religiosi della Casa dell’Immacolata prestavano servizio di animazione fra i giovani allievi della Scuola F. Rodolfi, che era un semiconvitto e che don Ottorino chiama “esternato”.

Nel testo registrato si ascolta che don Ottorino ripete con forza l’ultima parte della citazione e batte il pugno sul tavolo.

Don Ottorino, invece di “la Legione” dice: “La Pia Società San Gaetano”.

Il riferimento è a don Gaetano Scortegagna, che all’epoca stava completando il corso teologico.

Don Ottorino si riferisce ai due religiosi africani ospiti da parecchi mesi nella Casa dell’Immacolata: Max e John.

MI229,4[05-03-1968]

4.Andate all’esternato: “Che volete fare con i ragazzi? Non si combina niente. Ho insistito cento volte, ho provato tante volte...”.
Domani in una parrocchia: “Che volete fare? Sì.... eh...”. Poi si va dal parroco A, dal parroco B, e siccome i discorsi di tutti sono gli stessi si dice: “Se la situazione è così, non c’è niente da fare! Rassegnamoci!”. Sarebbe come dire: “È venuta l’influenza? Rassegniamoci! Facciamo a meno di prendere le medicine... Rassegniamoci!”. “Vi sono delle stanchezze o codardie spirituali peggiori delle apostasie, perché acclimatano il disfattismo invece di buttarlo fuori con una scossa. Guai a colui che toglie al proprio fratello il coraggio di credere anche oggi al Vangelo e di entrarvi francamente”. Voi dovete avere il coraggio di credere al Vangelo e di entrarvi francamente. Voi dovete essere uomini che credono al Vangelo e non si lasciano influenzare dalle correnti esterne, né calde né fredde. Dovete credere al magistero della Chiesa che lo interpreta: Vangelo e magistero della Chiesa. Dovete avere il coraggio di vivere il Vangelo e di predicarlo, “opportune et importune”, ma francamente: bisogna entrare francamente nel Vangelo con la vita! Mi riallaccio a quello che ho detto all’inizio: bisogna telefonare al Signore, mettere ogni azione sotto la luce del Vangelo. “Signore, che cosa devo fare adesso? Posso parlare in tempo di studio?”. “No!”. E allora non parlo! “Devo rimanere in ricreazione o andare di sopra?”. “In ricreazione!”. E allora resto in ricreazione! “Devo mangiare?”. “Sì!”. E allora mangio! “Devo mangiare pane duro o la torta?”. “La torta!”. E allora mangio la torta! “E adesso che cosa devo fare?”. “Adesso devi andare a scuola!”. “Non ne ho voglia, Signore!”. “Non importa niente!”. E allora ci vado lo stesso, anche se non ne ho voglia! “La Legione vorrebbe immunizzare i suoi membri contro questa viltà incosciente”. Siamo tutti vigliacchi, inconsciamente, a cominciare da me che sono il vigliacco più grande. Però ci siete anche voi: io il vigliacco, voi i vigliacchetti. Sai, Gaetano ! Inconsciamente, ma tutti siamo vigliacchi, tolti i due neri , poverini, altrimenti si arrabbiano: siamo tutti un po’ vigliacchi.

PASTORALE parroco

DOTI UMANE coraggio

VIRTÙ

fede

PAROLA DI DIO Vangelo

PREGHIERA telefonate a Dio

VIZI

Nel testo registrato a questo punto don Ottorino aggiunge: “E noi dobbiamo rendere i cattolici come tali in apostolato”.

Don Vittorio Venturin all’epoca era già sacerdote e si trovava ancora alla Casa dell’Immacolata.

Natalino Peserico frequentava all’epoca il 2° anno del corso di teologico.

MI229,5[05-03-1968]

5.“Essa mostra loro la massa neopagana che popola le nostre città, e dice che se ci volesse mettere sul serio - se ciascun cattolico avesse un’anima di apostolo! - sarebbe “possibile”, dopo il primo sforzo lealmente compiuto, ricondurre almeno il cinque per cento di questa massa a riscoprire il cristianesimo”.
Don Vittorio obietta: “Ma...”. Almeno il 5% in dieci anni me lo concederai, non è vero? Pensa che cosa farà quel 5% quando sarà lanciato nell’apostolato. “E perché questa prima scossa non aprirebbe l’adito ad un’altra, e così di seguito? Indietreggiare davanti all’impresa, sotto pretesto della sua ampiezza, non è forse misconoscere questa “divisibilità dell’impossibile” di cui si è parlato?”. E adesso Natalino mi dice: “Eppure, alle volte, non si vede come sferrare il primo attacco. Che fare allora?”. Qui si è detta una cosa veramente bella, ma bisogna arrivare al 5%, bisogna riuscire in qualche modo portare al Signore il 5%. A volte ci sono situazioni veramente difficili. Osservate come gli iscritti alla Legione di Maria risolvono il caso nel loro manuale: è una regola che, credo, può servire anche a noi. Quando c’è una situazione che sembra quasi impossibile, una situazione in cui non si sa che cosa fare, bisogna fare “qualunque cosa, eccetto che restar con le mani in mano”. Quando le situazioni sembrano proprio impossibili: “Non c’è niente più da fare!”, oppure quando si ha un gruppo di ragazzi: “Non c’è niente da fare... Eccoli qui: proprio non c’è niente da fare!”, bisogna fare “qualunque cosa, eccetto che restare con le mani in mano... Se non trovate altro, piuttosto che incrociare le braccia, fate un gesto, sia pur minimo, nella direzione indicata”.

DOTI UMANE coraggio

PASTORALE giovani

APOSTOLO missione

Don Ottorino mima uno che si toglie con un semplice gesto della mano qualcosa che gli è caduto addosso.

MI229,6[05-03-1968]

6.È sufficiente anche una piccola cosa; per prima cosa lo prenderò da parte e gli dirò una buona parola... “Ah, si ribellano!”. Ma basta una piccola cosa. Non c’è la possibilità di un’azione? Si faccia almeno un piccolo gesto, magari un passo, ma verso quella direzione.
“È ciò che la Legione di Maria chiama “l’azione simbolica””. Non si può fare altro? Si faccia, almeno, un’azione simbolica verso quella direzione. E questo lo dico altrettanto a riguardo di ciascuno, quando c’è da vincere se stessi. Vorrei dire che anche nella penitenza si dovrebbe fare almeno un’azione simbolica, una piccola cosa che sappia di penitenza; anzi in tutte le azioni che compiamo. “Ma, non sono capace, non sono capace!”. Quando, per esempio, Sant’Ignazio chiedeva: “Hai voglia di farti santo? Hai il desiderio di farti santo?”. “Ma...”. “Hai almeno il desiderio del desiderio?”. “Beh, questo sì!”. Ecco, io penso che chiedesse proprio un’azione simbolica, e cioè era come se dicesse: “Almeno dà al Signore una piccola cosa”. “Sì, bene, questo sì!”. Cominciate con il domandare qualche piccolo atto di bontà. Del resto, anche nel male, si comincia con il cedere un filetto, un filetto. Il demonio è furbo; non domanda mai le grandi cose all’inizio, ma sempre un’azione simbolica. Anche il demonio stesso, nella sua tattica, non domanda mai cose grandi, non dice mai: “Francesco, esci fuori nel mondo, abbandona la Congregazione”, ma ti porta in casa un pochino di mondo, ti lascia un fiorellino del mondo. E tu allora: “Boh, che c’è di male?”. E lui: “Ecco, prendi, Francesco”. E piano piano tu ti accorgi che male ti fa quel niente che il demonio ti dà. Se io metto questo oggetto in bilico così e poi carico da questa parte un granellino alla volta, a un dato momento l’oggetto cade da questa parte. Non è vero che è cosi? E il demonio fa così: mette un granellino alla volta, cioè una cosetta simbolica sulla bilancia... tan, tan, tan... Se buttasse sopra tutti i granellini insieme, sarebbe facile accorgersene, ma butta un granello alla volta finché, a un dato momento, fa perdere l’equilibrio dall’altra parte. Vedete come il demonio agisce nel male! La maggior parte delle vocazioni e delle anime cadono per le piccole azione simboliche del demonio, tanto che i piccoli fili diventano poi corde. Se io dicessi a te, Giuseppe: “Lascia che ti leghi”. Tu diresti: “Eh, no!”. “Lasciami legarti almeno con un filo sottile...”, e te lo butto addosso. “Ah, per questa sciocchezza!”. E ti metti a ridere. “Basta che faccia così !”. E io ti getto addosso un filo, e poi un altro e un altro ancora. Tu ridi, ridi, ma a un dato momento ti accorgi che pur tirando non scappi più, anche se sono fili di seta... piano, piano, si è fatta la corda. Tu vedevi che veniva un filo alla volta, non pensavi più che ne avevi qualche altro di dietro... vedevi un filetto, dicevi di sì al demonio e gli facevi un sorriso ad ogni filo che ti buttava, e a un dato momento sei diventato suo prigioniero. Figlioli, tutte le cadute sulla purezza, sull’amor proprio, eccetera, eccetera, sono dovute ai fili buttati là dal demonio attorno alle anime buone. Noi dobbiamo imparare a fare questo nel bene. Anche noi non possiamo fare cose grandi nel bene, però non ci dobbiamo scoraggiare: cominciamo almeno con un’azione simbolica, cominciamo anche noi con un filo.

APOSTOLO missione

PENITENZA

CROCE Demonio

ESEMPI demonio

PECCATO passioni

DOTI UMANE coraggio

Il riferimento è forse a don Pietro De Marchi che all’epoca stava facendo l’anno di noviziato.

Il riferimento è a don Giuseppe Rodighiero.

MI229,7[05-03-1968]

7.“Tale fu la offerta del giovane del Vangelo che portò al Maestro cinque pani d’orzo e due pesci. Come nutrire una moltitudine con sì magra provvista? Azione simbolica, gesto non proporzionato allo scopo da raggiungere, ma un gesto che Dio attende per far agire la sua Onnipotenza. Magnifico atto di fede, che ci fa dare a Dio il poco che abbiamo, e lo invita, proprio con questa sproporzione, a supplire alla nostra impotenza”.
Immaginiamo di salire quest’estate a Bosco: siamo un centinaio e arriva l’economo. Gli domandiamo: “Che cosa hai portato?”. “Un etto di pasta!”. “Un etto di pasta?”. “Sì, e un quarto di litro di vino”. “E dopo?”. “Una sardina. Devono bastare per tutti!”. Supponiamo di trovarci in alta montagna, sul Pasubio, e che arrivi un etto di pasta, una sardina e un quarto di vino, e che si debba tutti mangiare e bere. Si mangerebbe con la lente di ingrandimento, cari amici! Molte volte il Signore ci mette in queste condizioni nel nostro lavoro, vorrei dire quasi sempre. Ci mette con un etto di pasta, un quarto di vino e una sardina, e dobbiamo dare da mangiare alla gente. Io ho tanta stima dei nostri missionari che sono in Guatemala, ma che cosa sono in confronto della fame che ha quella gente? Io ho tanta stima di don Pietro , per esempio, ma se io lo mandassi in Brasile, in qualunque parte, che cosa sarebbe? Avrà, invece di un etto di pasta, un etto e mezzo; invece di una sardina, una aringa e una sardina; ma gira e rigira... Don Giuseppe è un laureato: va bene, diamogli tre sardine - tanto, una più una meno! -, ma se dovesse sfamare il Brasile, figlioli, non ci sarebbe proporzione. È chiaro! Non c’è proporzione fra la fame di quella gente e due o tre sardine che abbiamo in mano. E allora che cosa dobbiamo fare? Almeno il gesto simbolico di dare tutto. “Azione simbolica, gesto non proporzionato allo scopo da raggiungere, ma un gesto che Dio attende per far agire la sua Onnipotenza”. Questo è il bello! Quella piccola cosa che tu, Giuseppe, dai al Signore per la salvezza delle anime è piccola. Che cosa vuoi che sia quel piccolo sacrificio, quel piccolo fioretto, quella piccola cosa? Però è quel gesto simbolico che forse il Signore attende da te per concedere il diaconato, è quella piccola offerta che il Signore attende da te per dare una vocazione. Ci rendiamo conto che, forse, il diaconato non è ancora arrivato perché qualcuno di noi non ha ancora fatto il gesto simbolico di offrire quei due o tre pesciolini che possiede? Che, forse, molte vocazioni non sono arrivate perché non abbiamo ancora compiuto il gesto simbolico di essere disposti, per esempio, a trovarci dove il Signore ci chiede di essere istante per istante? Queste cose sembrano piccole, come sembravano pochi i pesci e i pani del miracolo, ma erano necessari perché agisse l’onnipotenza di Dio. Non so se sbaglio. Guardate che è necessario quel piccolo atto di virtù, quel piccolo atto di mortificazione, quel piccolo atto quotidiano fatto da ciascuno di voi, perché agisca l’onnipotenza di Dio. Se il ragazzo del Vangelo avesse detto: “Mi dispiace, ma non do i miei pesci e i miei pani; me li mangio io. Gli altri si arrangino!”, forse non avremmo avuto il miracolo della moltiplicazione.

PAROLA DI DIO Vangelo

ESEMPI Dio stile di...

DIO stile di...

APOSTOLO missione

CONSACRAZIONE offerta totale

APOSTOLO salvezza delle anime

APOSTOLO animazione vocazionale

DIACONATO

PENITENZA

Raffaele Testolin frequentava all’epoca il 2° anno del corso liceale.

Raffaele Testolin frequentava all’epoca il 2° anno del corso liceale.

MI229,8[05-03-1968]

8.Avete mai pensato che noi, per non essere stati generosi nella nostra donazione, abbiamo forse arrestato i miracoli del Signore qui dentro? Siamo contenti perché siamo già cento religiosi, ma chi vi dice che non potremmo essere forse già duecento o trecento? Siamo contenti perché le persone esterne che vengono qui dicono: “Che spirito!”, perché il cardinale Rossi... perché l’uno e l’altro, poeti o artisti, che non so chi sia questa gente, dicono: “Oh, che spirito!”, siamo contenti perché gli estranei trovano che il termometro segna qui dentro dodici o tredici gradi di calore, ma, ma... forse qualcuno di noi per non aver accettato quel piccolo sacrificio, quella piccola donazione di se, ha arrestato il calore per cui, invece di una temperatura di dodici o tredici gradi, dovremmo avere molto più calore. Insomma, il Signore potrebbe volere che qui dentro ci fossero settanta o ottanta gradi di calore... non dobbiamo insuperbirci per il calore che c’è, dobbiamo invece domandarci: “Quale sarebbe il calore, se io...”.
Non guardate chi sta alla testa. Io esamino me stesso e confesso a Dio onnipotente, alla beata Vergine Maria e a voi fratelli che, se la Casa dell’Immacolata non è arrivata a cento gradi, è perché io ho tirato giù. Ma anche voi dovete essere altrettanto leali e dire: “Anch’io ho contribuito a tirare giù!”. Figlioli, finché non vi buttate generosamente, ma proprio generosamente nelle mani di Dio, non pioveranno le grazie qui dentro. Proprio ieri... Raffaele , possiamo dire questo? Non ti offendi se tiro fuori una frase che mi hai detto ieri nei riguardi di don Guido? In fondo si tratta di una cosa buona; non c’è niente di male a riferirla. Parlando ieri con Raffaele, come tra amici, gli ho chiesto: “Secondo te, se io dicessi a don Guido in questo momento: ‘Senti don Guido: fai un piacere, vai Grumolo, cavati la veste e resta a Grumolo!’, pensi che don Guido lo farebbe?”. E tu che cosa mi hai risposto? Ha detto: “Ci andrebbe!”. E se gli dicessi: “Guarda che tu devi diventare vescovo. Il Papa ha stabilito che tu diventi vescovo! Che cosa farebbe don Guido?”. Ha detto: “Ci andrebbe!”. Ne sono convinto anch’io: accetterebbe con semplicità. Io dovrei poter dire, o meglio Dio dovrebbe poter dire di ciascuno di noi questo, altrimenti non siamo come ci vuole il Signore. Non sarà mai che don Ottorino dica a don Guido: “Va’ a Grumolo!”, ma se io gli dicessi di andarci don Guido non direbbe: “Sono venuto qui per fare il bovaro?”. Se io dicessi in questo momento: “Zeno, vai a Grumolo!”, io sono convinto che Zeno ci andrebbe con tutta semplicità. Non sarà mai che io dica questo, però se Zeno non è in questo atteggiamento spirituale, in modo da poter dire con tutta semplicità: “Ci vado, sapendo che così salvo le anime”, guardate che non sarebbe in cordata giusta. Esaminatevi un pochino se siete interiormente in questo atteggiamento spirituale, fatto proprio di semplicità e di prontezza per dire : “Sì, Signore!”.

CONSACRAZIONE offerta totale

CONSACRAZIONE fedeltà

CONGREGAZIONE spiritualità

CONVERSIONE esame di coscienza

VOLONTÀ

di DIO

VIRTÙ

MI229,9[05-03-1968]

9.Se i superiori dicessero: “Don Giuseppe, tu vai a Grumolo”, ed egli non fosse pienamente disponibile nelle mani di Dio, nel modo che ho detto, deve cambiare. Se noi tutti non fossimo disponibili, saremmo responsabili di non avere dato quei tre pesci che sono necessari perché Dio compia il miracolo.
Non andiamo cercando altrove le responsabilità, per esempio, nel vescovo di Vicenza dicendo che non capisce niente, che non vuole darci il diaconato, o nei preti che non vogliono mandarci vocazioni, o in altre persone. Cerchiamo qui la causa, cerchiamo la causa in casa nostra, perché se tu oggi non sei disposto, con questo atteggiamento, ad accettare con la stessa indifferenza di essere vescovo o di trasferirti a Grumolo, non sarai capace un domani di essere strumento nelle mani di Dio per salvare le anime. Neanche per sogno! Perché, naturalmente, finirai per alzarti il mattino quando vorrai, finirai per fare quello che vorrai; in pratica tu non sei a disposizione di Dio, non sei un uomo nelle mani di Dio, non sei preoccupato istante per istante di fare la volontà di Dio. Tu sei un uomo che si è donato, ma hai fatto qui la tua piccola città, il tuo piccolo mondo: “Quanto è bello stare qui; si sta così bene! Non abbiamo preoccupazione eccessive; stiamo bene, siamo un gruppo di amici...”. Non hai fatto la città di Dio, ma hai fatto la tua piccola città. Figlioli, non siamo venuti qui per fare la nostra città, ma per metterci nelle mani di Dio, per lasciarci ammazzare, se necessario. E se un desiderio dovessimo esprimere a Dio, dovremmo dire: “Signore, patire e non morire. Se con la sofferenza si possono salvare anime, io scelgo la croce. Fra la corona di spine e la corona di rose, Signore, tu porti quella di spine: anch’io scelgo quella di spine”. Fra la gioia e il dolore... “Signore, come si salvano più anime?”. “Con il dolore!”. “Allora, Signore, scelgo il dolore”. State attenti, figlioli, perché è facile scegliere ciò che non costa. Il mondo di oggi porta tante novità, tante belle cose, ed è facile che ci lasciamo lusingare di fare un apostolato un po’ glorioso, un apostolato umano. E allora non combiniamo niente. Infatti non c’è proporzione: se andassimo domani in montagna con cento persone e portassimo con noi un chilo o due di pane, che volete che siano uno o due chili di pane con cento persone da sfamare? L’essenziale è portare quello che si può portare, ma portare con noi Dio, il quale sa trasformare quel pezzetto di pane in tante pagnottelle che bastano per tutti. Figlioli, pensiamoci sopra un pochino. La domanda che rivolgo a me stesso durante la giornata e che anche voi dovreste fare a voi stessi è questa: “Forse nella Casa dell’Immacolata non siamo arrivati dove Dio ci attendeva. Siamo forse in ritardo con il treno per causa mia?”. Se, per esempio, qualcuno mi chiedesse: “Don Ottorino, che cosa ne pensa? È forse per causa mia?”, dovrei purtroppo rispondergli: “Sì, un pochino anche per causa tua!”. Io vi dico che se mi domandaste: “Anche per causa sua, don Ottorino?”, vi risponderei dinanzi al Signore: “Sì, anche per causa mia!”. Ma, attenti, nessuno può dire: “Io non c’entro!”.

CONSACRAZIONE offerta totale

CONSACRAZIONE obbedienza

DIACONATO

APOSTOLO salvezza delle anime

VOLONTÀ

di DIO

CROCE

DIO unione con...

CONVERSIONE esame di coscienza