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IL DONO DELLA FEDE

MI196 [11-08-1967]

11 Agosto 1967

La costruzione del villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI) non era ancora terminata, anzi quell’estate si lavorò più che ‘fare ferie’: si dovettero affrontare parecchi disagi e alcuni dovettero dormire sotto le tende o nelle piccole casettine prefabbricate che venivano usate nei campeggi estivi. I servizi igienici erano dislocati un po’ in giro per il bosco adiacente; non erano ancora completati gli allacciamenti di acqua ed elettricità. Si viveva, insomma, come in un cantiere aperto.

Per le macchine del cantiere l’impresa che aveva l’appalto per le opere di fondazione e murarie aveva un regolare contratto con l’ENEL per l’allacciamento alla corrente industriale. A questo allacciamento regolare si era fatto un allacciamento volante provvisorio, e quindi fuorilegge, anche per le necessità del villaggio.

MI196,1 [11-08-1967]

1 Ave Maria! Sia lodato Gesù Cristo!
È agosto! Quando siamo saliti quassù, i primi giorni, abbiamo provato varie vicissitudini, ma una delle difficoltà più dure è stata quella della mancanza della luce. Quando alcuni dormivano nel bosco, altri in altra parte, e non erano ancora tracciate le strade e bisognava ‘andare a campi’, quando per andare ai servizi bisognava cercare in mezzo al bosco qualche prefabbricato e di notte con pile che facevano compassione o con candele... Accadeva che uno chiedeva: “Hai una pila?”. “Perché?”. “Perché devo andare ai servizi”. “Ehi, chi ha una pila?”. La mancanza della luce ha portato un grave disagio in principio, per cui la vita era un po’ difficilina nei primi tempi. Quando poi è arrivata la luce - la prima volta l’abbiamo fatta giungere attaccando una filo di ferro a quella industriale - l’abbiamo salutata con gioia. Ricordate la prima sera, ricordate quando è arrivata la luce? “Finalmente ci vediamo!”, è stato il grido di tutti, e ci sembrava impossibile avere un po’ di luce in mezzo ai monti. Quando poi sono arrivati gli operai dell’ENEL, non quelli che portano abusivamente il camiciotto dell’ENEL, ma quelli veramente assunti dall’ENEL, hanno messo i pali e i fili e ci hanno dato la luce in forma ufficiale, quella regolare, non quella di contrabbando. Era venuto un uomo infatti e aveva detto: “Scusi, qui avete la luce. Io sono l’ispettore dell’ENEL; come mai avete la luce?”. E io ho risposto: “Ci siamo attaccati all’industriale”. Quando è arrivata la luce ufficiale e abbiamo potuto avere la luce in stanza, sembrava un sogno poter premere un pulsante invece di andare in cerca di un fiammifero, che estratto da una scatola umida a volte non si accendeva, e di una candela bagnata. Sembrava un sogno poter accendere la luce. Io la guardavo e dicevo: “È proprio vero, è proprio vero! Ho la luce, ho la luce!”. Per capire la grazia di avere la luce in stanza bisogna provare a non averla, bisogna provare il disagio, la difficoltà di non avere la luce.

CONGREGAZIONE storia

ESEMPI fede

MI196,2 [11-08-1967]

2 Fratelli, nel campo spirituale è la stessa cosa. Noi siamo nati in un paese dove c’è la luce elettrica; voi non siete nati in un paese dove non c’era la luce, mentre quando io ero piccolo non c’era la luce al mio paese e allora abbiamo salutato con gioia l’arrivo della luce elettrica, l’abbiamo salutata veramente con gioia. Ma voi siete nati in un paese dove c’era la luce, e quando eravate ancora piccoli l’avevate premendo un bottone, e vostra mamma vi diceva: “Basta!”. Mentre imparavate a poppare, voi imparavate anche a premere il pulsante e ad accendere la luce.
Spiritualmente parlando è stata la stesa cosa: mentre succhiavate il latte materno, voi vedevate la luce della fede attorno a voi. Voi vedevate vostra mamma che si inginocchiava in chiesa dinanzi al Signore e la tormentavate come a volte succede nella chiesa della Casa dell’Immacolata quando vengono queste buone mamme con i bambini e i bambini, prima della Messa o a mezza Messa, si mettono a correre in giro per la chiesa e loro, confuse, devono rincorrere questi angioletti che vanno cantando e gridando, e cercano di farli stare buoni, e mentre tentano di far chiudere loro la bocca i piccoli cantano e gridano di più. Però questi angioletti svegliandosi alla vita hanno visto la mamma che pregava, la mamma che in chiesa adorava il Signore. Noi ci siamo svegliati alla vita e abbiamo visto intorno a noi la luce, la luce dei nostri sacerdoti, la luce dei nostri fratelli, la luce delle nostre mamme in modo particolare. E, forse, forse, non apprezziamo sufficientemente la luce, perché siamo nati in una paese di luce. Ricordatevi di quel vecchio che si è rivolto al missionario dicendogli: “Non te la perdono: sei venuto troppo tardi! Perché avete tardato così tanto a venire a portarci la luce? Non te la perdono: sei venuto troppo tardi!”. Fratelli miei, la prima cosa che noi dobbiamo fare è quella di renderci conto del dono della luce che abbiamo avuto. La fede che Dio ci ha dato con il latte materno, la fede che abbiamo trovato nella nostra famiglia e nel nostro paese, è un dono di Dio. Quando si parte dalle nostre case e si va in certi luoghi dove non c’è la fede, ci si domanda: “Perché il Signore ha avuto questa predilezione per me?”.

ESEMPI fede

VIRTÙ

fede

FAMIGLIA mamma

MISSIONI

Orfeo Casonato fu uno dei primi collaboratori di don Ottorino nell’assistenza agli orfani dell’Istituto San Gaetano.

Le mamme dei vitelli sono le mucche, e ‘vacca’, cioè mucca era popolarmente definita una donna poco seria.

Il riferimento è, forse, a Giorgio De Antoni che all’epoca aveva completato il 1° anno del corso liceale.

Don Ottorino a volte dice parole italiane, ma pensa alla veneta. In questo caso “disgraziato” sta per “handicappato”.

Durante i lavori per la costruzione del villaggio San Gaetano a Bosco di Tretto (VI), ai quali avevano partecipato anche i novizi e i postulanti, tra i quali Renzo Meneguzzo, si era tenuto una specie di diario dei fatti che erano accaduti.

MI196,3 [11-08-1967]

3 Quando, per esempio, ai primi tempi dell’Istituto, io vedevo certe mamme, certe mamme... Feo Casonato non andava tanto per le lunghe e diceva: “Quella è la mamma di un vitello”; diceva: “Sono mamme di vitelli”. Sono titoli che non si devono dire. Non è vero? Giorgio , scandalizzo? Che cosa volete farci! Quando vedevo certe mamme, che sarebbe stato un’offesa anche per i vitelli chiamarle mamma, mi domandavo negli anni quarantuno e quarantadue: “Perché il Signore mi ha messo vicino una mamma così santa? Che merito ho avuto io? Se avessi avuto quella donna per mamma, se fossi nato nella casa di quella donna e quella donna fosse stata mia mamma, o se fossi nato nelle lontane Americhe?”.
Fratelli, qualche volta bisogna fermarsi a considerare queste cose! Per esempio, fermarsi a considerare: “Se fossi nato disgraziato ”? Basterebbe andare al Cottolengo e vedere qualcuna di quelle povere creature deformi e dire: “Potevo nascere anch’io così deforme, potevo venire al mondo con una testa così grossa, una testa deforme! Se fossi venuto al mondo senza braccia, nell’impossibilità di muovermi, in un luogo dove non c’era la fede?”. Fratelli miei, bisogna ringraziare, ringraziare Dio. Quante volte, avvicinando qualche ammalato, mi sono sentito dire: “Ah, non si capisce il dono della salute finché si sta bene! Quando si perde la salute, allora si capisce!”. Per esempio, avete mai ringraziato il Signore di non avere mal di denti? Leggevo nei nostri diari che alle due di notte Renzo era con mal di denti: forse allora avrà capito quale grazia sia non avere male ai denti. Fratelli: lui, il nostro Dio, ci ha dato la salute, ci ha fatti normali perché non c’è nessuno scemo qui dentro, ci ha creati normali e ci ha messi in un luogo dove c’è la luce. Ringraziamo Dio del dono della luce; siamo degli ingrati, dei cattivi, se non ringraziamo il Signore. Guardate che è una colpa non essere coscienti del dono ricevuto da Dio: aver imparato subito ad odiare il male e amare il bene, aver imparato subito a conoscere la Madonna come nostra mamma, aver imparato subito che nel tabernacolo c’è lui, il nostro Gesù, che è morto in croce per noi. Che grazia grande, figlioli miei, che grazia grande! E allora vorrei che proprio ci fermassimo, magari due o tre minuti solo, per ringraziare il Signore, per ringraziarlo con tutto il cuore, e per considerare questo dono di cui, forse, nel passato tante volte abbiamo goduto senza riflettere, come uno che nasce ricco e non sa che ci sono i poveri al mondo. Ringraziamo il Signore e la Madonna.

CONGREGAZIONE storia

FAMIGLIA mamma

DIO riconoscenza a...

DOTI UMANE

MARIA la nostra buona mamma

EUCARISTIA tabernacolo

Il villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI) era composto da case di diversa grandezza: la casa Santa Marta ospitava le donne che preparavano i pasti e seguivano il guardaroba; la casa San Giuseppe ospitava i religiosi più anziani, don Ottorino ed eventuali ospiti di passaggio; la casa San Pio X ospitava i più giovani.

La stanza di don Ottorino aveva anche i servizi igienici.

Cfr. A. MANZONI, I promessi sposi, cap. XXXVI.

Per tutta la meditazione don Ottorino continua a sviluppare l’esempio della luce per le casette prefabbricate del villaggio San Gaetano, usando lo stesso termine anche per la luce della fede e della grazia, ed ora ritorna a giocare con lo stesso esempio.

Il riferimento è, forse, a Mario Bianco che stava facendo l’anno di noviziato, ma che non si sentiva chiamato al sacerdozio.

MI196,4 [11-08-1967]

4 La nostra casa ha la luce, mentre nella casa San Pio X non hanno ancora la luce; pensando che gli altri non hanno la luce è entrato in me un senso di tristezza. Una cosa si gusta meno quando sai che gli altri non l’hanno, se è vero che tu vuoi bene ai tuoi fratelli. Io gustavo meno la mia stanza attrezzata di luce e di servizi per la mia pulizia pensando che gli altri non avevano questa luce e questa possibilità di fare le proprie pulizie in camera.
Fratelli miei, siamo qui riuniti dinanzi all’altare, abbiamo la grazia di gustare il dono dell’Eucaristia che Dio gratuitamente ci ha concesso. Meditiamo, come diceva padre Felice: “Voi uscite dal lazzaretto, ma pensate a quanti rimangono ancora dentro!”. Pensiamo a quante creature nel mondo potrebbero essere migliori di noi, potrebbero essere dinanzi all’altare e non conoscono l’altare, potrebbero adorare meglio di noi, potrebbero amare più di noi, eppure non lo fanno perché non conoscono Gesù Cristo. Ora viene da domandarci: a chi tocca mettere la luce nella casa San Pio X? Non possiamo dire: “Che si arrangino; noi ce l’abbiamo la luce!”. Questo sarebbe egoismo tremendo! Sarebbe imperdonabile che potessimo dire: “Io la luce ce l’ho; se la vogliono anche loro, se la installino!”. Fratelli, sarebbe come dire: “Noi abbiamo la grazia della fede; se in America vogliono la fede che vadano a trovarsela da chi ce l’ha!”. Tocca a noi, proprio a noi, portare la fede dove non c’è: noi gratuitamente l’abbiamo ricevuta e gratuitamente la dobbiamo portare, anche a costo della vita. Il nostro caro Marietto che è qui davanti dirà: “Io non sono andato davanti al Signore per farmi frate e neppure prete, e allora a me non tocca questo compito!”. Nossignore, tu sei cristiano e tocca anche a te. “Ma come faccio io se non sono stato creato per farmi prete?”. Ogni cristiano deve collaborare per salvare i suoi fratelli; non te la cavi, caro Mario, e in Paradiso non ci vai se non fai qualcosa per i fratelli che non conosci, se non divieni un missionario.

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

DOTI UMANE

CARITÀ

amore al prossimo

EUCARISTIA S.Messa

ESEMPI egoismo

VIRTÙ

fede

APOSTOLO missione

APOSTOLO salvezza delle anime

NOVISSIMI paradiso

Don Ottorino si rivolge, forse, ai giovani presenti che stavano facendo un cammino di discernimento vocazionale e non avevano ancora deciso di entrare nella Casa dell’Immacolata.

Il riferimento è a fratel John Berchmans Kayondo, giovane religioso ugandese ospite alla Casa dell’Immacolata.

MI196,5 [11-08-1967]

5 Cari fratelli miei, voi che siete venuti in questa casa e che non avete ancora offerto la vostra vita, perché può darsi che qualcuno, prima di finire quassù la sua villeggiatura, muoia e che si faccia addirittura il suo funerale, anche se lasciamo queste cose nelle mani di Dio, ricordatevi: tocca a ciascuno di noi, frate o non frate, prete o non prete, diacono o non diacono, portare la fede a chi non ce l’ha. Siamo cristiani e partecipiamo del sacerdozio di Cristo e perciò della missione salvifica del Cristo: ognuno di noi deve portare la sua collaborazione, naturalmente come può.
Guardate il nostro caro John : non collaboravi anche tu per portare la luce? Avevi il tuo bel cappello quadrato in testa, ed è stato un peccato non aver avuto la cinepresa per filmarti con un cappello così mentre tiravi i fili per portare la luce. Tu tiravi i fili, altri li spellavano e altri li attaccavano: uno tira, l’altro molla... in un modo o nell’altro c’era collaborazione. Ognuno secondo le sue possibilità deve collaborare, figlioli, con la preghiera e con il sacrificio. Anche tu, caro Mario, anche tu devi inginocchiarti dinanzi all’altare, magari con la fidanzata accanto, ma devi inginocchiarti dinanzi all’altare e dire: “Signore, io ho ricevuto la luce, ma ci sono tanti uomini che non l’hanno ancora ricevuta. Abbi pietà di loro, Signore; abbi compassione di loro: manda, Signore, qualche apostolo!”.

FORMAZIONE

NOVISSIMI morte

VIRTÙ

fede

SACERDOZIO sacerdozio dei laici

ESEMPI collaborazione

PREGHIERA

PENITENZA

PREGHIERE chiedere la fede

Da appena un mese era partito per la prima missione in Argentina il gruppetto composto dai sacerdoti don Graziano Celadon e don Pietro Martinello, e dagli assistenti Antonio Ferrari, Mirco Pasin e Antonio Zordan.

L’assistente Vinicio Picco era all’epoca consigliere generale e, in famiglia a Valdagno (VI), aveva ancora l’anziana madre che pregava ogni giorno per don Ottorino e per la Congregazione.

Don Pietro Martinello era il superiore della Comunità.

Don Guido Massignan era il segretario generale della Congregazione e il direttore della Casa dell’Immacolata.

La signora Maria Barban, insieme con il marito Danilo, era molto legata alla Congregazione e faceva parte degli Amici, particolarmente impegnati ogni venerdì per offrire preghiere e sacrifici per la Famiglia.

Durante le ferie estive venivano ospitati giovani che mostravano segni di volersi donare al Signore o che erano alla ricerca della propria strada nella vita, e il termine usato da Don Ottorino per significare che uno era caduto nella ‘rete del Signore’ e pensava seriamente di entrare nella Congregazione era “morte”.

Il riferimento è, forse, a Graziano Frison, studente di ingegneria, che stava maturando la decisione per entrare nella Casa dell’Immacolata.

Cfr. Luca 10,2.

MI196,6 [11-08-1967]

6 I confratelli che sono andati in Argentina sono andati a portare la luce, ma, forse, ad ottenere la grazia della perseveranza nella vocazione a quei cinque è stata una piccola suora dell’ospedale, forse è stata qualche vecchietta del ricovero, qualche vostra buona mamma che a casa offriva il sacrificio intercedendo: “Signore, per i missionari! Signore, per le vocazioni! Signore, per le anime! Signore, per la salvezza dei fratelli!”.
Forse, Vinicio , tua mamma, che ogni giorno innalza un’Ave Maria per don Ottorino, un’Ave Maria per la Congregazione, ha ottenuto ad Antonio Zordan di salvarsi e di non perdere la testa, a Pietro Martinello di conservare gli uomini ; o forse, caro don Guido , è stata quell’Ave Maria che tua mamma ha rivolto alla Madonna e a Nostro Signore quel giorno in cui non ne poteva più perché si vedeva in casa da sola: “Offro tutto per le vocazioni, tutto per le missioni, per la Casa dell’Immacolata!”; o forse è stata quella sofferenza offerta dalla signora Barban quel venerdì che si trovava al mare e si è fatta male a un dito: “Proprio di venerdì - ha detto - dovevo farmi male, quando non si può neppure lamentarsi?”. Era seduta sullo sdraio, lo sdraio si è rotto e un dito le è rimasto incastrato in mezzo e ora ha tutto il dito ferito: “Era di venerdì e non potevo neppure lamentarmi perché dovevo offrire la sofferenza per la Congregazione!”. Fratelli, non sappiamo che cosa è servito dinanzi al Signore quel dito ferito, non sappiamo che cosa ha ottenuto dinanzi al Signore quel sangue versato sulla spiaggia; forse, un domani la morte di uno di voi sarà legata a quel dito e a quel sangue. Un domani, arrivando in Paradiso, supponiamo per ipotesi che uno che si chiama Graziano debba morire, dovrà dire: “Sono morto perché una donna che io non conoscevo s’è lasciata schiacciare il dito e ha sparso il sangue per le vocazioni”. Questa è una cosa meravigliosa! Ho portato questo caso perché eravate presenti quando la signora lo ha raccontato. Ricordatevi che il sangue, che il sudore, che le preghiere dei cristiani possono moltiplicare gli apostoli. Del resto lo ha detto il Signore: “La messe è molta e gli operai sono pochi. Pregate, pregate che il Padre mandi un aiuto; pregate il Signore affinché mandi operai nella sua vigna!” . Perciò anche noi che siamo chiamati, anche noi che ci siamo offerti, dobbiamo pregare.

VIRTÙ

fede

APOSTOLO missione

PENITENZA sacrificio

MARIA

CONGREGAZIONE storia

PREGHIERA

PENITENZA

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CONGREGAZIONE amici

NOVISSIMI paradiso

Il riferimento è a Umberto Manzardo che, dopo un periodo trascorso alla Casa dell’Immacolata, era uscito per verificare meglio la sua vocazione e aveva fatto il militare nel corpo degli Alpini; era poi rientrato in Congregazione.

Il testo registrato si interrompe bruscamente a questo punto, per cui la meditazione resta incompleta.

MI196,7 [11-08-1967]

7 Prima di tutto dobbiamo pregare tanto il Signore perché conservi la nostra vocazione, perché ci tenga una mano sulla testa, caro don Ugo, perché il Signore ci conservi lo spirito, perché è facile partire generosamente e poi fermarsi, e poi diventare dei borghesi, poi diventare della gente che va avanti per abitudine. Dobbiamo pregare Dio perché non entriamo in questa fase, perché conserviamo la generosità dell’offerta, figlioli.
Ricordo uno che una volta era militare e scriveva... Caro Berto , non ti offendi se parliamo da buoni fratelli? Quando scrivevi le lettere da militare e dicevi che facevi lunghe camminate per andare a ricevere il Signore, facendo fatica, fatica; camminavi e camminavi per andare a ricevere il Signore; quando dicevi che facevi la meditazione... noi eravamo ammirati e commossi pensando che un nostro fratello era pronto a fare dieci anni di noviziato pur di rientrare, pronto a fare qualunque sacrificio. Se tu avessi continuato con quella marcia - per carità, tu sarai mille volte più santo di noi! - saresti già con la testa sopra il soffitto. Perché? Perché se allora facevi chilometri per andare a fare la comunione, adesso io dovrei cacciarti fuori di chiesa perché dovrei vederti sempre in chiesa avendola qui vicino! Se allora facevi così, adesso dovresti essere felicissimo di ricevere una umiliazione, e se ti capitasse qualcosa dovresti dire: “Tutto per le anime; tutto per Gesù, tutto per le anime; tutto per Gesù!”. E invece - non che tu non sia così - tutti, cominciando da me, abbiamo delle giornate da santi, ma non continuiamo a vivere da santi. E, allora, fratelli, ecco la necessità di pregare il Signore affinché ci conservi il fervore.

CONSACRAZIONE

CONSACRAZIONE offerta totale

CONSACRAZIONE generosità

PREGHIERA

PENITENZA sacrificio

EUCARISTIA comunione