Anche per questa meditazione don Ottorino si serve delle Note di spiritualità religiosa preparate da don Matteo Pinton, che presenta con una introduzione scherzosa ed ampollosa. Le citazioni, prese dalle pagine 185-186 di Scritti ispirati da don Ottorino, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.
Il riferimento è a Franco Faggian, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso liceale.
Don Ottorino scherza sulle parole scelte da don Matteo, che insieme con Giorgio Girolimetto aveva frequentato la Pontificia Università Gregoriana di Roma licenziandosi in filosofia.
In questo inciso fatto in tono scherzoso don Ottorino accenna a due case di cura per infermi mentali, scherza poi con Luigi che potrebbe essere Luigi Tonello, e nomina Zeno Daniele e il diac. Vinicio Picco, e infine Marco Pinton che spesso rallegrava la Comunità con le sue barzellette e il suo buon umore.
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1. Dopo esserci fermati a meditare sulla prefazione dell'“Opera omnia beati Matthaei” , cominciamo adesso ad affrontarne il testo. Abbiamo visto, nella prefazione, che possiamo correre il pericolo di far famiglia con qualche creatura anziché con Dio, fuori di casa invece che in casa. E ci potrebbe essere anche un altro pericolo. Una mamma, anziché in casa, potrebbe far famiglia con qualche altro uomo mentre il marito è al lavoro, con il rischio e il pericolo del suo improvviso ritorno, magari imprevisto, e di qualche manganellata. Può anche darsi, però, che questa donna non coltivi questi amori esterni, ma abbia un grande specchio in camera e continui a guardarsi in esso invece di lavorare, e così per ore e ore. State attenti che potrebbe esserci anche per noi un pericolo simile, cioè che la nostra vita sia ripiegata su noi stessi anziché aperta all’altro, o che sia una vita a due solo perché c'è l'immagine riflessa nello specchio. Ora il nostro autore... - io faccio le sue veci perché lui parla con un linguaggio difficile mentre noi parliamo un po' alla buona, ed anche perché bisogna svegliarsi un pochino. Non è vero, Franco? - il nostro autore insiste specialmente sul fatto che «la vita interiore è vita a due con Dio, nella preghiera e nella penitenza», e aggiunge: “...vita di pienezza intima”. Che belle parole! Ma dove se n'è andata la filosofia? Che te ne pare, Giorgio? Le avete imparate all'università queste cose? «Senza una vita interiore seria e responsabile, il religioso corre il rischio di testimoniare una vita vissuta con se stesso, una vita umana non divina, piena di egoismi, e non divinamente generosa fino al sacrificio di sé per la sola gloria di Dio». Ci può essere il pericolo di ricercare, come già abbiamo detto, un po' di affetto fuori, dietro il confessionale o dietro l'altare, fra i piccoli gruppi. Ma anche se non si arriva a questo, si rischia di vivere una vita da soli, accontentandosi di libri, di musica, di qualche cos'altro; e una vita da soli non è concepibile. Nel testo registrato c’è a questo punto una lunga digressione, che don Ottorino fa di proposito per attirare l’attenzione dell’uditorio insonnolito, che riportiamo soltanto in nota perché non ha relazione con il tema della meditazione: “Ogni tanto si vede nel mondo qualcuno che tace sempre, e allora viene a San Gaetano con la speranza che lo accogliamo. Non è vero, don Guido? Ne è capitato uno anche ieri. Ho chiesto a don Guido: “Com’è quel ragazzo? Che impressione ti ha fatto?”. “Testa bassa e tace sempre”. Questi tipi di solito sono da Nordera, da San Felice, da qualcos’altro. Non è vero, Luigi? Sono degni di manicomio. Per quello hanno condotto qui lui: tace sempre... ha detto di essere venuto in manicomio. E io ho soggiunto che l’ultimo arrivato è quello che ha più bisogno di tutti. È necessario che trovi il modo, caro Zeno, di svegliarli. Vedo che Zeno ha sonno, che qualcuno ogni tanto dondola la testa, incominciando da papà Vinicio. Mi era venuta la tentazione di invitare Marco a raccontare l’ultima barzelletta, e se vedo proprio che dormite lo chiamo fuori. Qui si fa di necessità virtù. Bisogna tenersi un po’ desti. Se vedo che qualcuno dorme chiamo Marco, e la barzelletta viene anche registrata e inviata oltre oceano.FAMIGLIA mamma
VIZI egoismo
APOSTOLO vita interiore
FORMAZIONE
Il riferimento è a Daniele Galvan, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico.
Il riferimento è a Mariano Apostoli, che frequentava il 4° anno del corso teologico ed era assistente del gruppo del ginnasio.
Don Ottorino si preoccupò sempre perché la formazione non si limitasse all’ambito culturale, ma fosse aperta agli aspetti pratici della vita e del lavoro. In questa linea spingeva anche gli animatori, fra i quali nomina subito dopo don Guido Massignan e don Venanzio Gasparoni.
Il riferimento è ad Antonio Conte.
Don Ottorino, per richiamare la necessità della riconoscenza, si richiama all’episodio evangelico della guarigione dei dieci lebbrosi, narrato da Lc 17,11-19.
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2. «Il mio spirito di preghiera». E qui, caro Daniele , l'argomento incomincia a scomodare un poco. «Dimostro di superare il mio egoismo con Dio, se ho occhi e cuore sufficientemente pieni di amore per Lui, da saper sempre più e sempre meglio scoprire e riconoscere che tutto quello che sono e che c'è in me è suo dono: dalla vita alla grazia, dal perdono alla vocazione, dalle doti fisiche e intellettuali al mondo in cui vivo, alla natura, alle amicizie, eccetera». Ieri sono entrato nello studio dei ragazzi di quarta e quinta ginnasio. In questi giorni la befana ha portato loro qualcosina. Non è vero, Mariano? Ha portato una cinepresa e un proiettore, cioè l'attrezzatura per realizzare qualcosa nel campo cinematografico, perché i ragazzi aprano un po' gli occhi e non arrivino ad essere preti, magari da sette o otto anni, senza sapere se la macchina ha o non ha bisogno di olio. Sono fatti non ancora capitati, ma potrebbero capitare. Non è vero, don Guido? E allora, per abituare un pochino i ragazzi a certe cosette, ho pensato di fare questo. Naturalmente don Venanzio ha preparato un po' l'ambiente: ha portato a casa il materiale, l'ha mostrato ai ragazzi, ha fatto un po' di palco. Quando ieri sono entrato nello studio, mi sono messo a chiacchierare con i ragazzi. “E allora, avete visto?”. “Sì, ma... e che cos'è? Come si chiama: amoviola o moviola?”. “Moviola!”. “A che cosa serve questo? E quello...?”. E si sono messi tutti a chiacchierare. Io sono passato accanto ad ognuno per stringergli la mano e metterlo alla prova. Dopo essere rimasto a chiacchierare un bel po', ho stretto la mano per ultimo a Conte che si è alzato in piedi e mi ha detto: “Grazie, don Ottorino, grazie!”. E allora io ho soggiunto subito: “Ma... non erano dieci i lebbrosi che ho guarito? Dove sono andati gli altri nove?”. Il senso di riconoscenza anche umana! Lasciamo da parte qualsiasi allusione personale, perché a me non importa niente, lo capite con chiarezza, non importa niente la riconoscenza verso di me; ma bisogna che noi la suscitiamo dentro di noi e la esercitiamo anche nel campo umano. Infatti tante volte osservo che perfino i giovani più grandi non mostrano sufficientemente la riconoscenza umana verso i benefattori.SACERDOZIO prete
FORMAZIONE lavoro
APOSTOLO uomo
FORMAZIONE educazione
PAROLA DI DIO Vangelo
DOTI UMANE gratitudine
PROVVIDENZA benefattori
Le signorine Adelina e Pulcheria Meneghini erano insigni benefattrici della Congregazione e nei loro riguardi don Ottorino manifestava grande gratitudine e amicizia; Daniele Galvan era poi incaricato a tenere in ordine il loro appartamentino.
Il comm. Mario Volpi venne a contatto con don Ottorino durante l’esperienza di cappellano ad Araceli, e fu tra i primi e più importanti benefattori dell’Istituto San Gaetano per il quale acquistò tutto il terreno e pagò la costruzione della prima casetta.
L’esternato era la scuola Ferdinando Rodolfi, che accoglieva allievi esterni, mentre l’Istituto San Gaetano accoglieva a quel tempo allievi interni.
Don Ottorino allude a qualche aspetto caratteriale o comportamentale a volte un po’ duro o meno simpatico di qualche benefattore.
Il riferimento è ai giovani religiosi che si prestavano abitualmente per i vari servizi della casa.
Il riferimento è a Ruggero Pinton, che all’epoca frequentava l’ultimo anno del corso teologico e si prestava spesso per i lavori necessari nel giardino.
Don Ottorino si riferisce alle signore e signorine che attendevano con amore e sollecitudine alla cucina e al guardaroba della Casa dell’Immacolata.
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3. Per esempio, si sa che le signorine Meneghini ci hanno praticamente pagato la Casa dell'Immacolata. Supponiamo che esse arrivino qui. Non basta che al loro arrivo corra avanti solo Daniele e faccia la parte per tutti: “Eh, basta Daniele!”. Lo stesso discorso è valido se, per esempio, domani venisse qui da noi il comm. Volpi , il quale ha pagato la prima casetta che abbiamo costruito. Sapete inoltre che la riconoscenza è fonte e speranza di benefici maggiori. È vero che non dovrebbe essere così, però qualche volta lo è. Perciò don Matteo sta studiando la maniera per convincere il mio figlioccio - Francesco, figlio del comm. Volpi, l'ho tenuto a battesimo io! - di andare con lui a Bosco, quando don Girolamo vi andrà con i giovani del corso liceale, di portarlo magari lassù insieme per fare un'esperienza nuova, adesso che si parla di esperienze. Potrebbe essere utile, perché di solito si fa la carezza al cagnolino con l'intenzione di farla al padrone. Dimenticando le cose che vi ho detto adesso, in sostituzione della barzelletta di Marco che sarebbe stata troppo spinta, vi comunico che verrà qui il comm. Volpi. Voi non l'avete conosciuto da vicino, ma nei primi tempi dell'Istituto è stata la prima persona che si è fidata di noi, ci ha pagato la costruzione della prima casa, ci ha sempre aiutato, e ci ha dato i soldi per il terreno dell'esternato. Ora noi dobbiamo tirar via la corteccia e guardare alla sostanza: abbiamo tante persone che ci hanno voluto bene. “Sì, ma è stato lo scorso anno!”, può dire qualcuno. Quella persona ti ha voluto bene e ti ha aiutato lo scorso anno; se quest'anno non ha più la possibilità di aiutarti, merita la tua riconoscenza adesso come allora, e vorrei dire specialmente adesso. E se volete abituarvi ad essere riconoscenti verso queste persone, dovete esserlo prima di tutto anche in casa, e non solo verso i più vecchi, verso coloro che corrono di qua e di là per risolvere i problemi della casa, ma anche verso i vostri compagni e amici. Per la verità, vedo che qualche volta si ringrazia, che se si va a Bosco o altrove si viene a ringraziare, ma vorrei che foste riconoscenti anche verso i vostri amici, verso coloro che si sacrificano, si danno da fare, vanno da una parte e dall’altra, preparano la carne... Insomma, mostrate un po' di riconoscenza! Ricordatevi che è difficile mostrarla a Dio che non si vede se non la si mostra agli uomini che si vedono. Se non coltiviamo questo fiore nell'anima nostra, è difficile che possiamo, poi, raccoglierlo e metterlo sopra l'altare. Se non ci sono rose nel nostro giardino, è difficile che Ruggero possa raccoglierne qualcuna; tutt'al più troverà qualche radicchio da campo, ma rose no! Per questo bisogna coltivarlo questo fiore della riconoscenza e coltivarlo fin da piccoli. Vorrei insistere con gli assistenti del seminario minore ed anche con quelli del liceo, perché facciano opera educativa presso i ragazzi: “Ringrazia! Hai domandato “per piacere”? Hai ringraziato? Andiamo a ringraziare!”. Ringraziamo, per esempio, qualche volta le donne, queste povere creature che stanno in cucina dalla mattina alla sera, mentre noi vediamo solo quello che manca in tavola... se manca una forchetta! Basta salire a Bosco e farsi da mangiare un paio di volte per capire quanto è prezioso il loro servizio. E loro, in poche, sono sempre impegnate in questo sacrificio. Cerchiamo di vedere quello che riceviamo da loro, di avere con loro un cuore gentile e di scoprire quello che fanno: si mettono lì, e lavorano, lavorano, lavorano, preparano il cibo con un lungo lavoro e noi in fretta e furia consumiamo tutto. Con Dio a volte succede la stessa cosa: non ci accorgiamo dei doni che riceviamo da lui. Mi pare che il nostro autore voglia sottolineare in modo particolare questo: se noi ci abitueremo a ringraziare, scopriremo ogni giorno di più i doni che Dio ci ha dato. A un certo momento ci sentiremo confusi pensando ad essi, alle grazie ricevute, e forse scopriremo che le grazie più grandi sono quelle che abbiamo messo da parte.PROVVIDENZA
CONGREGAZIONE storia
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
CONGREGAZIONE Casetta
PROVVIDENZA benefattori
DOTI UMANE gratitudine
DOTI UMANE esperienza
COMUNITÀ
PENITENZA sacrificio
DIO riconoscenza a...
ESEMPI gratitudine
FORMAZIONE educazione
È noto come San Gabriele dell’Addolorata abbia resistito prima di consacrarsi al Signore. Le scoppole di cui parla don Ottorino sono state le malattie e le disavventure che dovette affrontare finché si decise ad entrare in convento.
Don Ottorino allude a un giovane che visitava spesso la Casa dell’Immacolata e mai decideva di entrarvi.
Don Ottorino allude alla signorina Caterina Pinton, zia di don Matteo, che per una serie di circostanze divenne la cuciniera della Casa dell’Immacolata e occasione per l’entrata dello stesso don Matteo. Don Antonio Costa era il parroco di Grossa di Gazzo (PD), dove abitava la famiglia Pinton, e fu per molti anni padre spirituale dei ragazzi della Casa dell’Immacolata. Don Marcello Rossetto, nominato nell’esempio, era all’epoca superiore della Comunità di Crotone.
Don Zeno Daniele conobbe la Congregazione attraverso don Giuseppe Rodighiero, che alla domenica offriva il suo servizio sacerdotale nella parrocchia di Villatora (PD) ove Zeno abitava. A sua volta don Giuseppe aveva conosciuto la Casa dell’Immacolata quando era vicerettore del collegio vescovile di Thiene, ove vennero accolti per gli esami i giovani di quinta ginnasio dopo una triste esperienza presso il ginnasio-liceo statale di Vicenza.
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4. A volte noi facciamo come i bambini: prendono il regalo più vistoso, come un piccolo fucile, un'automobilina, e non sanno capire che il regalo più prezioso è, magari, quel libro o quell'altro oggetto che in quel momento non sanno valutare. Così facciamo anche noi: “Sì, il Signore mi ha dato quella grazia, e quell’altra...”, ma lo diciamo valutando le cose più appariscenti. E magari quella disgrazia, umanamente parlando, che è stata per noi la grazia più grande che abbiamo ricevuto, forse non l'abbiamo vista, non abbiamo visto in essa la mano di Dio, la bontà di Dio. Pensiamo a San Gabriele dell'Addolorata, che ha trovato la strada della santità a forza di scoppole da parte del Signore: riceveva una disgrazia e si convertiva, una nuova disgrazia e si faceva religioso... Qui ci vorrebbe Ivo, perché il santo era press'a poco come lui: non voleva decidersi, e a forza di scoppole a un dato momento è entrato in convento; vedrete che anche a Ivo arriverà qualche ceffone e allora si deciderà. Il Signore ha fatto tante volte così anche con noi: ci ha perseguitati con il suo amore e, qualche volta, anche con avvenimenti che apparentemente non mostravano il suo amore. Bisogna che siamo attenti, che abbiamo un animo generoso, capace di vedere la bontà di Dio e la sua generosità. Anzi vi pregherei di fermarvi qualche volta, e non soltanto da soli, ma insieme. Noi, un po' più vecchi, abbiamo fatto talvolta questa esperienza: ci siamo fermati, magari, una sera in giardino e abbiamo chiacchierato un pochino insieme, abbiamo cominciato a pensare che cosa il Signore ha fatto per noi. In questo modo ad uno viene in mente una cosa, ad un altro un'altra. Come sarebbe bello vedere qualche volta tre o quattro religiosi riuniti alla sera in questo modo, anche se non tutte le sere! A un dato momento comincerebbero a cantare, anche se sono stonati, le lodi di Dio, i benefici da lui ricevuti. Don Matteo comincia... ed è tutta una catena. Tu, don Matteo, per esempio, non saresti entrato nella nostra Congregazione se non fosse venuta qui tua zia; tua zia non sarebbe venuta qui se una volta non si fosse ammalato don Antonio e don Marcello non fosse venuto al tuo paese a sostituirlo. E tutta una catena! Don Zeno non sarebbe con noi se non fosse venuto qui don Giuseppe, e don Giuseppe non sarebbe venuto da noi se non fossero stati bocciati i ragazzi di quinta ginnasiale. Bisogna saper vedere la mano di Dio, bisogna saper gioire quando si scopre la bontà di Dio che agisce indirettamente attraverso gli avvenimenti e le circostanze, o qualche volta anche direttamente. Bisogna saper vedere e ringraziare: penso che questo sia il fondamento della nostra santità, della nostra vita religiosa, perché crescendo nella gratitudine si cresce nell'amore. L'autore voleva dire questo o si deve interpretare diversamente? Rileggo le ultime righe: «... dalla vita alla grazia, dal perdono alla vocazione, dalle doti fisiche e intellettuali al mondo in cui vivo, alla natura, alle amicizie, eccetera».GRAZIA grazie attuali
VOLONTÀ
di DIO
DIO bontà
di...
ESEMPI di santi
CROCE
CONVERSIONE
CONSACRAZIONE
CROCE prove
CROCE sofferenza
DIO amore di...
DIO cuore di...
COMUNITÀ
condivisione
DIO lode a...
DIO riconoscenza a...
APOSTOLO vocazione
CONGREGAZIONE appartenenza
CONGREGAZIONE storia
CONSACRAZIONE santità
Don Ottorino si rivolge, in tono scherzoso, direttamente a don Matteo, presente alla meditazione.
Nella parrocchia di Settecà, alla periferia di Vicenza, dove era parroco un sacerdote molto legato a don Ottorino, prestavano aiuto pastorale alcuni giovani della Casa dell’Immacolata che avevano organizzato appunto quell’incontro a Bosco.
Don Girolamo Venco era all’epoca il responsabile dell’animazione dei giovani liceali.
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5. L'autore mi permette di fare un'altra osservazione sulle amicizie? Ringraziate il Signore per gli amici che avete. Tante volte vi ho detto che forse non ci accorgiamo di trovarci in una stanza riscaldata perché ci si abitua. Basta uscire di qui per capire il beneficio del riscaldamento che abbiamo in casa. Sabato scorso siamo saliti a Bosco con i ragazzi del liceo e insieme sono venuti anche alcuni giovani di Settecà. ra vorrei chiedere a don Girolamo di dirci per piacere, con santa semplicità, che cosa gli hanno riferito quei giovani. Con semplicità, dunque! Vieni, vieni, don Girolamo: è una buona occasione per svegliarsi, perché anche tu hai sonno. DON GIROLAMO: “È stato l'altra sera quando sono andato in parrocchia ed ho chiesto loro: “Potreste dire il vostro parere su questi giovani che avete conosciuto, dato che sono della vostra stessa età? È la prima volta, forse, che voi parlate con seminaristi, che entrate in un ambiente che voi conoscete solo dal di fuori”. “Volentieri”, rispose uno di loro. “Io sono stato impressionato dalla gioia che ho visto nei loro volti. Per me è stata veramente una rivelazione. Sono state tre o quattro ore che non dimenticherò”. Ed ha soggiunto: “Il giorno seguente, domenica, avrei voluto averli lì con me per poter prenderli a schiaffi, tanta era la rabbia che mi prendeva per la gioia che avevo notato in loro. Infatti avevo visto che la loro gioia non era una cosa artificiosa, ma naturale, che io non riesco ad avere e che non sono riuscito a vedere in altre parti”. Quel giovane, in sostanza, invidiava la nostra gioia. Mi pare, però, che non sia stato fatto nulla di straordinario da parte nostra. Infatti siamo rimasti insieme una mezz'oretta subito dopo il loro arrivo, mentre due di noi preparavano la cena; poi, finita la cena, abbiamo fatto quattro canti, giocato una partita a carte e quindi sono partiti. Ciò che li ha veramente colpiti è stata la nostra gioia. E allora il discorso è caduto su questo: si può essere contenti? o sono contenti solo coloro che hanno abbracciato un certo genere di vita? o può essere contento anche colui che resta fuori nel mondo? Allora abbiamo cercato di esaminare insieme per quale motivo sono contenti quelli che hanno scelto quel certo genere di vita. Ed ho detto: “Per conto mio sono contenti perché, come prima cosa, hanno trovato la loro strada, cioè hanno scelto bene, hanno risposto esattamente alla loro vocazione; in secondo luogo perché, fatta la loro scelta, la seguono fino in fondo”. E portavo anche degli esempi, nei quali dimostravo che la nostra vita non si fonda nello stare insieme solamente perché si è amici, ma anche nell'aiuto reciproco, nel mettersi al servizio l'uno dell'altro. Ed è questo che crea la nostra gioia, la nostra familiarità, quella che essi, purtroppo, nelle loro famiglie, per quanto buone, non trovano. Questa amicizia non c'è, vorrei dire, neanche tra fratelli o con i genitori. Qualcuno di loro ha tirato fuori anche certi problemi: si lavora in casa, si fa di tutto, però non è che si faccia comunione in famiglia. Siamo rimasti un paio d'ore a parlare sulla vocazione, come riuscire a scoprire la propria strada, perché per loro, come spiegava uno di essi, “è problema di vocazione, trovare il proprio posto nella vita e dedicarvisi con buona volontà”, vocazione intesa come orientamento di tutta la vita. E questo mi pare sia la cosa fondamentale. Penso che noi siamo abbastanza contenti perché abbiamo scoperto la nostra vocazione. Infatti, per conto mio, chi di noi qui della comunità è il più contento? Colui che vede con maggior chiarezza davanti a sé, pur sentendo e trovando anche delle difficoltà. Vediamo che sono contenti quelli che hanno scelto veramente il Signore, che si sono buttati completamente tra le sue braccia. Allora si è parlato del problema della loro vocazione. Anch'essi avvertono questo problema. Hanno detto: “Non ne abbiamo mai sentito parlare, ma bisogna che incominciamo, che vediamo di scoprire qual è la nostra vocazione”. Insomma si è andati avanti con il discorso e sono venute alla luce tante cose. Però, ecco, questo è il fatto che li ha impressionati. Ed hanno concluso: “Vogliamo vedere un'altra volta, con maggior tempo, con una giornata a nostra disposizione, per poter restare assieme e conoscerci veramente”. Chissà che stando insieme di più, non scoprano qualche cos'altro!DOTI UMANE amicizia
DIO riconoscenza a...
PASTORALE giovani
CONGREGAZIONE storia
VIRTÙ
semplicità
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6. DON GIROLAMO: “Mi ha fatto impressione mentre si faceva questa conversazione... Si diceva, infatti, che si può arrivare anche umanamente, in qualsiasi stato di vita, ad una certa gioia, ad una certa serenità fondamentale, la quale non è fatta di cose facili, non è data dalla mancanza di difficoltà o dalla riuscita nelle singole cose, ma da tutto un atteggiamento di base. Mi ha fatto impressione uno di loro, quando disse: “Ma io non ho mai provato la gioia nella vita, non mi pare di averla mai trovata”. Allora abbiamo cercato di esaminare insieme, di chiederci:”Hai fatto una buona azione? Se fai la carità, se ti metti al servizio degli altri nella parrocchia, se fai il bene, non senti la gioia?”. Rispondeva: “Ma...”. Allora ha fatto questa rivelazione: “Sono quattro anni che mi tormenta il problema della fede. Forse non ho mai provato una gioia completa perché non ho mai visto chiaro davanti a me. Io lavoro, faccio, mi sacrifico anche in attività parrocchiali, però non ho ancora risolto il problema della mia fede. È la prima volta che lo dico, non ne ho mai parlato con nessuno, non ho mai reso manifesto a nessuno questo problema, ma io devo risolverlo”. A queste parole mi veniva in mente quello che egli chiedeva al Signore durante la Messa nella preghiera dei fedeli: che aiutasse i giovani a trovare la fede, a vivere di fede. Lui, dunque, aveva un problema dentro di sé; perciò abbiamo detto: “Beh, preghiamo assieme; adesso vediamo... cerchiamo di risolverlo assieme”. Alla fine, dopo aver parlato per un po' su questo argomento, ha esclamato: “Ecco, adesso ho provato una gioia, perché ho confidato una cosa che tenevo da sempre dentro di me, senza riuscir mai a tirarla fuori”.Il riferimento è a Tarcisio Magrin e Gabriele Stella, ambedue allievi del corso liceale.
Cfr. Siracide 6,14.
Il prima anno del corso teologico di quell’anno, che si faceva in casa e non nel seminario diocesano, era particolarmente numeroso, essendo composto di otto giovani.
on Ottorino scherza sul significato che il termine zucca assume quando è riferito alle persone, cioè “testa dura, ignorante”.
Nel testo registrato don Ottorino scherzosamente aggiunge: “Valeva la pena mandarlo a Roma per studiare... Sentite come scrive bene!”.
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7. Così, con santa semplicità, insomma. Grazie! Questi giovani esterni, trovandosi in mezzo a un gruppo di nostri giovani, hanno scoperto qualcosa, hanno provato la gioia. Domando: e noi, ognuno di noi, vivendo insieme con questi giovani, non ha provato una gioia? Per esempio, sabato ero insieme con Tarcisio e Gabriele. Ebbene, restando insieme, parlando insieme, io ho sentito la gioia di stare insieme con loro e loro sentiranno la gioia di stare insieme con i loro compagni. Di questa gioia, di questo dono ringraziamo il Signore? Ringraziamo di aver avuto la grazia di vivere insieme con dei santi, santi con la “s” minuscola? Tarcisio, non fare un peccato di superbia perché ho detto santi. Non è forse una grazia questa? Penso che almeno siate in grazia di Dio, e allora siete santi. Vorrei che ringraziassimo Dio per il dono degli amici che abbiamo. Se trovare un amico è trovare un tesoro qui abbiamo trovato una miniera di tesori. Perciò io penso che siate amici tra voi, anche quelli del primo corso di teologia... questo gruppetto che si vuol bene, che desidera farsi santo... Lasciate da parte le miserie di ciascuno e guardate al meglio; penso che per questo meglio si debba ringraziare il Signore. Noi non abbiamo ricevuto soltanto il dono della grazia iniziale nel Battesimo, arricchita poi dalla grazia della vocazione, ma, per conto mio, è un cumulo di grazie che riceviamo continuamente durante il giorno attraverso il buon esempio dei nostri compagni. Abituatevi a leggere il libro della natura, ad ammirare la bellezza dei fiori, dei monti, dei mari, e a ringraziarne Dio, ma ricordatevi che la bellezza più grande Dio ve l'ha messa davanti attraverso i vostri compagni, i fratelli che avete vicino. Quell'atto di generosità fatto da un compagno, quel modo di pregare di un compagno, quella carità che egli usa con voi... Non guardate solo alla parte negativa, ma guardate alla sostanza. Se vi regalano un sacco di noci, non dovete dire: “Oh, quanta buccia hanno!”; ringraziate il Signore delle noci. Se vi portano una zucca, ringraziate il Signore per la polpa che essa nasconde sotto la buccia. E qui zucche... ne abbiamo tante. Non è vero, Ruggero? «Manifesto perciò un cuore riconoscente e pieno di Dio dal come so continuamente e incessantemente ringraziarlo di tutto». E l'autore ha sottolineato le parole «... ringraziarlo di tutto». «Certi doni speciali mi son fatti da Dio per incrementare la mia amicizia personale con Lui, con la sua persona viva quasi palpabile, e spesso non ottengono l'effetto solo perché la mia risposta è arida e impersonale Se il mio grazie è frettoloso, diplomatico, di semplice convenienza, non continuato nel tempo, non traboccante dal cuore, non dimostro di aver riposto in Lui tutta la mia fiducia, la mia confidenza, la mia amicizia. Dio è veramente tutto per me quando so vivere continuamente nella sua compagnia con confidenza e riconoscenza; quando il mio spirito continuamente lo invoca, lo ringrazia, lo adora, si fida di Lui; quando i miei momenti di solitudine sono pieni di Lui; quando l'unica mia tristezza è solo quella di non poterlo ancora vedere, toccare, amare senza pericolo di dimenticarlo, di offenderlo. Se osservo bene, ogni volta che mi dimentico di Dio, che lo offendo, che glorifico me stesso, lo faccio in nome di qualcosa di mio che preferisco a Lui».COMUNITÀ
fraternità
DIO riconoscenza a...
VIZI superbia
GRAZIA
DOTI UMANE amicizia
PECCATO difetti
GRAZIA Battesimo
CREATO
CREATO fiori
CARITÀ
amore al prossimo
COMUNITÀ
Il diacono Vinicio Picco era responsabile del laboratorio di meccanica della Casa dell’Immacolata.
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8. E ci fermiamo qui. Queste riflessioni dovrebbero essere masticate personalmente da ciascuno di noi. Perciò vedremo di ciclostilarle quanto prima. Direi che sarebbe bene, poi, che le riprendessimo in mano per conto nostro e ne facessimo qualche meditazione. Sarebbe bello che per un po' di tempo, magari una volta al mese, le ripassassimo tutte. Allora, ogni volta che avremo l'occasione di leggere uno di questi foglietti e di soffermarci un pochino a riflettere, potremo scoprire qualcosa di nuovo. Penso che queste riflessioni siano un dono che il Signore ci ha fatto durante le vacanze natalizie. E anche di questo dono, se vogliamo essere in tono giusto con il tema della meditazione, ringraziamo il Signore. Ma poi non prendiamo il dono per gettarlo sotto scala. Se io regalo a Zeno una macchina dattilografica nuova e poi vedo che la manda in officina da papà Vinicio perché la adoperi in laboratorio, non sono contento; ho tanta stima di papà Vinicio e gli voglio tanto bene, ma non penso che quello sia il posto adatto per tenere una macchina da scrivere nuova. Lui stesso direbbe: “Qui in officina c'è polvere; basta anche una macchina vecchia, non ne occorre una di nuova”. Se prendiamo un dono fattoci da Dio e lo buttiamo in un cantuccio, non è corretto. Il Signore ci ha fatto questo dono perché lo usiamo, lo meditiamo, lo facciamo divenire vita nostra.FORMAZIONE
GRAZIA grazie attuali
DIO riconoscenza a...
ESEMPI talenti