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IL LAVORO E LA POVERTÀ

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Conferenza serale ai Religiosi e ai Novizi della Casa dell’Immacolata durante le vacanze invernali ad Asiago (VI). È una parte abbastanza sviluppata di una conferenza conservata in stato piuttosto precario, nella quale don Ottorino dapprima sviluppa la necessità del lavoro nel periodo formativo e nella vita apostolica, e poi ricerca un criterio pratico per una vita sobria e povera. Il testo originale è registrato e la sua durata è di 16’. 1. L’impegno del lavoro nel periodo formativo e nell’attività apostolica

Don Ottorino cita un detto popolare veneto, molto frequente presso le famiglie contadine abituate al lavoro e alla fatica.

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1.Noi abbiamo affermato anzitutto che dobbiamo vivere con il nostro lavoro. È un principio fondamentale: “Casa lasagna, chi lavora magna” , e cioè se io non lavoro manco contro la povertà. Perciò non è sufficiente che in qualche modo io stiracchi il tempo, mi metta a leggere, faccia qualcosa, eccetera, eccetera; no, io devo fare qualche cosa. E non è sufficiente neppure fare qualche cosa che mi piace. Non basta dire: “Io sono stato occupato, non ho perduto tempo, ho letto, ho fatto...”, ma dobbiamo lavorare.
E lavorare vuol dire, per esempio, studiare quando sei nella sala da studio perché devi studiare. Qualcuno potrebbe dire: “Io ho già preparato la lezione, e ora leggo”. Leggi quello che vuoi tu? Se vuoi leggere quello che ti piace, va’ a casa tua. Qui sei in una Congregazione e devi rendere per la Congregazione, perciò dovrai leggere quello che servirà un domani per lo sviluppo della Congregazione, per la tua formazione spirituale, per la organizzazione apostolica. “A me piace leggere quel romanzo, quel libro...”. Ripeto che tutte le letture che si fanno per capriccio personale, senza la direzione di qualche responsabile, se fatte in tempo riservato allo studio, sono mancanze contro la povertà, perdite di tempo. È necessaria l’approvazione di qualcuno che aiuta i giovani, sia nel cammino spirituale per le letture spirituali, sia nella parte formativa. Se invece uno di propria iniziativa legge quello che vuole e fa quello che vuole, perde tempo. Anche se poi si consola dicendo: “Non ho perso tempo”, in realtà l’ha perso. In secondo luogo: è necessario lavorare anche manualmente quando è richiesto nella Congregazione, e può essere richiesto in casi straordinari ma anche in casi ordinari. Attualmente siamo impegnati nelle case prefabbricate ed in altri lavori, che però sono impegni contingenti, perché se in futuro vi trovaste in un altro posto potrebbe essere un lavoro diverso da quello delle case prefabbricate. Può darsi anche che un domani continui l’impegno delle case prefabbricate o che si tratti di un altro lavoro. Essenziale è che, dopo aver compiuto il proprio dovere di studio, si deve cercare di fare qualche cosa, durante il periodo formativo, per collaborare al proprio mantenimento.

CONGREGAZIONE missione

CONSACRAZIONE povertà

VOLONTÀ

di DIO

PECCATO

FORMAZIONE

Adone Maltauro era un industriale vicentino, molto legato a don Ottorino e al vescovo Luna per la provenienza delle rispettive famiglie da Recoaro (VI), e quindi molto impegnato per sostenere le opere di Estanzuela (Zacapa - Guatemala).

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2.Quando poi si è già in attività apostolica, il lavoro è lo stesso impegno apostolico. È lavoro lo studio per preparare le omelie e il catechismo, e sarebbe una mancanza contro la povertà se si sentisse il bisogno di perdere ore e ore. Per esempio, ora durante il periodo di vacanze in montagna ci si può dedicare al gioco delle carte, ma io non vorrei che un domani lo faceste regolarmente. Una volta all’anno è lecito fare un po’ di festa, ma non si deve sentire che nelle nostre case, alla sera dopo cena, ci si mette a giocare alle carte o a guardare la televisione o a leggere il giornale. È preferibile che si vada a dormire, o si conversi insieme di cosa serie, o si legga qualche libro utile per l’apostolato. Se volete potete fare un’oretta di ricreazione con il telegiornale, ma poi basta. Non è permesso nelle nostre comunità apostoliche trascorrere interminabili serate di ricreazione: sarebbe un peccato contro la povertà e anche contro la giustizia verso le anime. Il dovere è quello di riposare, di alzarsi prima al mattino, di dedicare tempo alle pratiche di pietà.
Ai mie tempi in seminario ci insegnavano che la ricreazione del sacerdote è il cambio di attività. Per cui dedicati allo studio per un paio d’ore e poi va’ a visitare un ammalato: quella è la tua ricreazione! Vi sembra corretto? Noi ci siamo donati al Signore, e tutto il nostro tempo è per Lui. Osservate gli uomini dell’industria, come Adone Maltauro , ad esempio: non hanno tempo nemmeno per la loro famiglia. Penso che un sacerdote o un assistente deve essre più impegnato di un industriale perché ha una missione da compiere superiore a qualsiasi fabbrica. Perciò nella casa di formazione è importante studiare, fare il proprio dovere bene e, quando è possibile, rendere qualcosa dando una mano, anche senza essere richiesti: quando si vedono cose da fare si fanno senza pretendere che poi accendano una candela di ringraziamento. Mi sembra che questo è lo spirito che deve regnare nella nostra casa. E allora scendiamo agli aspetti pratici: se vedi una maniglia rotta affrettati a ripararla, se vedi qualcosa che non sta bene mettila a posto... “Vado a prendere un cacciavite e provvedo a riparare!”. Questa è carità, è fraternità. Nel campo apostolico, invece, la carità si manifesta nella donazione completa alle anime. 2. Uno stile di vita povero e sobrio

APOSTOLO salvezza delle anime

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

DOTI UMANE televisione

COMUNITÀ

dialogo

COMUNITÀ

fraternità

SACERDOZIO prete

CONSACRAZIONE radicalità

FAMIGLIA

Il riferimento è al fascicolo sulla spiritualità della Congregazione, stampato all’inizio di quell’anno 1966 con una caratteristica copertina bianca.

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3.Dopo aver chiarito che dobbiamo vivere con il nostro lavoro, adesso ci domandiamo: il lavoro ci offre i mezzi per vivere, ma come dobbiamo vivere? Se in questo momento arrivasse un miliardo: anzitutto si pagano i debiti della casa; poi si provvede a Crotone dove hanno bisogno di un centro giovanile che costa cento milioni; a Monterotondo sarebbe necessario questo e quello; a Zacapa quest’altro... Quello che rimane lo mettiamo via? No! Dovremo fare un’ala nuova per la Casa dell’Immacolata il prossimo anno? Allora mettiamolo via, ma non preoccupiamoci di prevedere. Qualcuno potrebbe dire: “Investiamo in titoli per avere una entrata fissa”. No! Ci sono i poveri che domandano aiuto. Dico male? È fondamentale vivere con il proprio lavoro, e se un domani avessimo delle entrate abbondanti pensiamo alle missioni di una parte o di un’altra. Può darsi che accanto alla tua missione ce ne sia una affidata ai Padri Barnabiti, i quali, poverini, patiscono la fame: varrebbe la pena, invece di spendere qui cento milioni, di dividerli cinquanta a testa. Questo è sentire ecclesiale! A volte varrà la pena che non spenda nulla per te e consegni tutto al tuo vicino. Perché, fino a prova contraria, il Gesù tuo e il suo è lo stesso Gesù!
Restiamo d’accordo, quindi, che non dobbiamo vivere di rendita e neppure capitalizzare. E come dobbiamo vivere, sia che i soldi provengano dalla Provvidenza come dal nostro lavoro? Su questo punto abbiamo sorvolato, mentre invece sarebbe necessario fermarsi un’altra settimana ad Asiago. Ma alcuni non vogliono fermarsi perché vogliono andare a scuola in seminario. Le nostre Costituzioni e il nostro “Libretto bianco” dicono che dovremmo vivere come vive una famiglia di onesti operai. E qual’è la misura? Qualcuno ha fatto l’obiezione: “Chi ci educa a questa mentalità?”. Riguardo ai libri abbiamo già offerto alcune indicazioni che speriamo un po’ alla volta siano messe in pratica, in modo da creare una mentalità. Ma chi ci offre la misura, per esempio, per sapere se abbiamo troppi o pochi vestiti? Chi mi dice se stiamo seguendo un capriccio o una necessità?

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

PASTORALE poveri

MISSIONI

CARITÀ

amore al prossimo

CHIESA

GESÙ

CONSACRAZIONE povertà

Nel testo registrato si ascoltano a questo punto commenti e risate.

Don Ottorino nomina in modo scherzoso l’assistente Vinicio Picco, che all’epoca era consigliere generale, e Zeno Daniele, allievo del 1° anno del corso teologico. Aggiunge poi il nome di fra Teodosio, che don Luigi Furlato aveva assunto nella sua breve esperienza francescana prima di entrare in Congregazione.

Don Ottorino continua con il suo tono scherzoso, nominando ora Girolamo Venco e Giuliano Grazian, alto e slanciato il primo e piccolo il secondo.

Don Ottorino era solito riunire ogni domenica sera i Religiosi e i Novizi per un incontro di famiglia, nel quale venivano trattati i problemi della settimana.

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4.A questo proposito premetto subito che non mi sento in grado di trovare, in questo momento, una misura per dire: “Questa è la regola!”. Voi capite chiaramente che sarebbe facile se dicessimo: “Prendiamo il modello di certe Famiglie religiose, dove le camicie e le vesti sono di tutti, dove è stabilito il numero di camicie per ognuno, e poi usare una forma draconiana”. Fissiamo tre fazzoletti a testa; e se hai perdite di sangue al naso, che cosa fai con tre fazzoletti? Che cosa vi pare? Una povertà di questo genere sarebbe possibile, figlioli, in un convento di clausura, dove si stabilisce che una veste grande va bene per il grasso e per il magro, e aggiungendovi una corda alla vita può servire per il grande e per il piccolo. È evidente che con uno stile di questo genere tutto sarebbe facile, ma voi non sareste più uomini del mondo per cui a Vinicio mettiamo il nome di Mardocheo e a Zeno quello di Pacomio... e allora avremo fra Teodosio e fra Pacomio. Inoltre rinunciamo anche alle vesti abituali: questo è un saio, un sacco con un buco, tenuto fermo da una corda; il sacco lungo che è adatto per Venco deve servire per lui e anche per Grazian, sono sufficienti due buchi per le braccia, ed ecco l’uomo!
Se si trattasse di fare una scelta di questo genere, sarebbe sufficiente mettersi d’accordo sul colore del sacco e di che materiale deve essere fatto, del colore e della lunghezza della corda... perché possa servire per impiccarsi quando uno è disperato. Ma dovendo vivere in mezzo agli uomini, dovendo piacere a Dio e non dispiacere agli uomini, capite che a questo proposito si esige una formazione non comune. E io credo che questo problema lo risolveremo soltanto con una formazione non comune. Le nostre buone mamme, che sono state le nostre “maestre di noviziato” quando eravamo bambini, ci dicevano: “Acquistiamo questo indumento perché il piccolo ne ha bisogno. Non scegliamo questo perché ci sono tanti poveri che patiscono la fame e non è giusto sprecare il denaro”. Io direi che è necessario educarci attraverso una continua casistica, se siete d’accordo. E allora, perché non potremmo nei nostri incontri domenicali dire: “A me è capitato questo e questo... Secondo lei risponde allo spirito della Famiglia?”. Perché non potremmo comunicare casi personali, in un clima fraterno, analizzarli e discuterli insieme? Vi sembra sbagliata questa proposta? “Che cosa ne dici, tu?”. “A me è successo questo?”. “Ebbene, e allora si potrebbe fare così e così...”. “A me sembra di avere troppe cose...”.

COMUNITÀ

condivisione

CONGREGAZIONE missione

FORMAZIONE

FAMIGLIA mamma

CONGREGAZIONE carisma

COMUNITÀ

dialogo

ESEMPI apostolo

Il riferimento è alla signorina Matilde Lassati che, giunta all’età della pensione, si offrì come volontaria e divenne responsabile delle donne che accudivano ai servizi di cucina e di guardaroba nella Casa dell’Immacolata.

Il riferimento è a p. Graziano Meggiolaro, del convento francescano di Santa Lucia, che per alcuni anni svolse il compito di vicedirettore della Casa dell’Immacolata.

Cfr. Giuditta 10,3-4.

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5.Portiamo un esempio. Uno riceve in regalo dalla mamma una camicia, e dice: “La mamma mi ha regalato questa camicia, ma mi sembra, ringraziando il Signore, di non averne bisogno”. E allora ne dono una, purché non sia la più vecchia. Ecco lo spirito di povertà: offro l’ultima, quella nuova, e la metto a disposizione della Comunità.
Vi assicuro che si sta male quando, per esempio, si sente la Tilde che dice: “Questi Religiosi hanno i voti, ma non vogliono una camicia un po’ rammendata. Si vede cha a loro piacciono le cose belle”. Quante volte ho sentito affemazioni simili dalle donne, non soltanto dalla Tilde, ma anche dalle altre! Mi sembra che questo si dovrebbe evitare, almeno per un senso di astuzia o di orgoglio nei riguardi delle persone estranee: non è certamente edificante che un Religioso faccia capire alle persone estranee che non è contento, che preferirebbe gli indumenti più belli. Io chiuderei la bocca e non direi nulla, se non altro per testimoniare che sono Religioso, per offrire un esempio di vita sacerdotale. Che differenza con padre Graziano , il quale con astuzia sceglieva sempre la chicchera che era senza manico o che aveva qualche spigolo sbreccato, e se uno gli diceva: “Aspetti, padre; non usi quella”, rispondeva: “Bevo con tanto piacere con questa!”. Ricordate che cercava sempre il servizio più pesante, la cosa peggiore, il cibo meno attraente. Ora, ringraziando il Signore, c’è qualche anima che fa questo, ma c’è qualche altro che non lo fa. Dobbiamo godere quando c’è da fare un po’ di sacrificio! Se vai ai servizi e manca la carta igienica, devi essere contento e dire: “Adesso vado a prenderla senza che gli altri se ne accorgano...”. Dobbiamo veramente provar gioia quando possiamo dire: “Mi manca qualche cosa, Signore!”. Figlioli, dobbiamo raggiungere questo intimo desiderio di essere poveri, tanto da dover dire: “Accetto per necessità”. Ripeto quello che ho già detto anche in altre circostanze che noi dovremmo desiderare il famoso saio con un buco e una cordicella, e vivere separati dagli uomini come San Giovanni nel deserto, per amore di Dio e solo in unione con lui. Però noi dobbiamo apparire in mezzo agli uomini, e allora dobbiamo vestirci dignitosamente... quasi come Giuditta che indossò i vestiti da festa perché doveva sedurre Oloferne, ma che dopo ritornò alle vesti della vedovanza. Anche noi siamo rivestiti un po’ delle vesti della vedovanza perché abbiamo abbandonato il mondo, ma siamo pronti a lasciarle se ce lo richiedono la necessità, la convenienza o il decoro, anche se il nostro desiderio è quello di esserre poveri. Che cosa vi sembra? Importante è avere il retto equilibrio. Nelle nostre Case, un domani, non si può non avere quello che è necessario. Ma occorre sempre quell’equilibrio che fa capire dove sta la giusta misura. Io direi che dovremmo rifarci alle nostre buone mamme. Qualche volta io mi faccio la domanda: “Che cosa direbbe mia mamma?”. Perciò, mi sembra che l’equilibrio per vivere questi aspetti si ricavi, più che dalle disposizioni particolareggiate, dallo sforzo di vivere quello che abbiamo detto ieri sera, cioè l’amore delle cose di Dio, il distacco dalle cose del mondo come stupidaggini, regali e regaletti, oggetti e oggettini. Imparate a rinunciare; va bene quello che è necessario e utile per l’apostolato, mentre tutto il resto non serve. Alcune cose offrono comodità, come il rasoio elettrico: prendetelo, ma senza altre aggiunte, come questa pomata e quella e quell’altra ancora. Avete capito? Mi sembra che è fondamentale unire insieme l’amore di Dio, la castità e la povertà. È chiaro? Io metterei insieme questi tre valori: l’amore di Dio, la castità e la povertà. 31 dicembre 1966

CONSACRAZIONE religioso

APOSTOLO testimonianza

PENITENZA sacrificio

DIO unione con...

DOTI UMANE equilibrio

FAMIGLIA mamma

CONVERSIONE

CONSACRAZIONE castità