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IL LAVORO E LA POVERTÀ

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1.Noi abbiamo detto questo: prima cosa – abbiamo detto – teniamo presente che dobbiamo vivere col nostro lavoro, no? Principio fondamentale: “Casa lasagna, chi lavora magna!”, e cioè, io, se non lavoro, se non lavoro, manco di povertà; e perciò non basta che io in qualche modo stiracchi, là, mi metto là, leggo, faccio, eccetera, eccetera; no, io devo fare qualche cosa. E non quel qualche cosa che mi piace. Non basta dire: “Io sono stato occupato, sono occupato. Ma, mi no go mia perso tempo, go letto, son stà lì, go fatto...”. No signore! Non basta questo: dobbiamo lavorare!
E lavorare vuol dire, per esempio, in studio, in studio studiare, perché hai da studiare. “Mah, mi son preparà e adesso mi lezo!”. Lezi? Scusa, piano: leggi? No, leggi quel che vuoi tu; se vuoi leggere quel che vuoi tu, vai a casa tua! Qua sei in una Congregazione e devi rendere per la Congregazione, perciò leggi quello che va bene domani per lo sviluppo della Congregazione, per la tua formazione spirituale, per la organizzazione del domani. “Mah, mi me piase leggere quel romanzetto, leggere quel...”. E perciò io direi: tutte quelle letture che si fanno capricciosamente così, senza una direzione da parte di qualcuno, per conto mio, se fatte in tempo di... sono mancanze nella povertà, perdite di tempo! Domani c’è, ci deve essere, ci sarà l’approvazione di qualcuno che aiuta i giovani, sia nella parte spirituale per le letture spirituali, sia nella parte formativa, in modo che, sì... Ma uno che di sua iniziativa legge quel che el vol, fa quel che el vol, perde tempo, e si consola dixendo: “No go perso tempo...”. No, quello, tempo, un po’ l’ha perso! Secondo: lavorare, lavorare anche manualmente, quando è richiesto nella Congregazione; può essere richiesto in casi straordinari, può essere richiesto ordinariamente. Adesso, case prefabbricate o altre cose. Queste sono, sì, mi pare, sono particolarità, molto contingenti, perché, se domani invece di esser qui è da un’altra parte, invece delle case prefabbricate può essere qualcosa d’altro. O può darsi che domani si continui con le case prefabbricate o si tratti di qualche altro lavoro. Essenziale è che qualche cosa, dopo aver compiuto il proprio dovere di studio, si deve cercare di fare per collaborare nel periodo di formazione, per il proprio mantenimento.

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2.Quando poi si è già in campo di lavoro apostolico, il lavoro è il lavoro apostolico che si compie, no? Il lavoro che si compie sia nello studio che si fa per prepararsi le prediche, per prepararsi a fare il catechismo, ed è lavoro anche quello; e mi pare che lì si manca di povertà quando si cominciasse a trovare il bisogno continuamente di perdere ore e ore. Per esempio, scusa, qui in periodo di montagna si può mettersi anche a zugar le carte, ma guardate che non vorrei certamente un domani che regolarmente, eccetera. Una volta all’anno un pochettin de baldoria podì farla, ma che si sentisse dire che nelle nostre case, alla sera dopo cena, e se mette là a zugar le carte o vardar la television o a lezere el giornale: no, va’ in letto a dormire, o se no mettetevi a parlare tra voi di cose serie, o se no un pochino legete qualche cosa, libri un pochino che possano essere utili per l’apostolato; ma io non ammetto che... Fate un’oretta di ricreazione se volete, col telegiornale, eccetera, ma dopo, dopo basta! Che non si facciano le serate, in giro per le nostre Case, di ricreazione ‘sine fine dicentes’! No, perché allora si manca anche di povertà e di giustizia anche verso le anime! Perché... dormi, alzati prima alla mattina, fai le tue pratiche di pietà, eccetera.
Scusa: ci insegnavano ai nostri tempi in seminario, che la ricreazione il sacerdote la fa cambiando mestiere, cambiando attività. Studia un paio d’ore e va a trovare un ammalato: e quella è la ricreazione. È giusto? Cambiando attività! E perciò, mettetela via... Ci siamo donati al Signore, e quando ci siamo donati al Signore... Guardate gli industriali, guardate Adone Maltauro e quella gente là: gnanca alla fameja no i ghe attende, gli industriali; e penso che un sacerdote o un assistente, dev’essere qualcosa di più di un industriale, perché ha una campagna da svolgere che è più grande di quella di un’industria. Perciò direi: nella Casa di formazione studiare, fare il proprio dovere bene, e quando è possibile rendere qualcosa anche dando una mano, no? senza anche essere richiesti, anche senza essere richiesti, vedendo cosse da fare, si fanno, senza pretendere che vengano là a impissarte ‘na candeleta parché te la ghe fata! Questo mi pare che è lo spirito che deve regnare nella nostra Casa. E allora qui entriamo... vedi una maniglia rotta la justi, vedi una robetta che non va te la metti a posto: “Spetta che vò a tore un cacciavide e metto...”. Questa è carità, è fraternità: è giusto? Nel campo apostolico: donandosi completamente per le anime!

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3.Allora, sempre trattando questo... che, vivendo del proprio lavoro, come vivere, adesso... questo... Il lavoro ne dà i mezzi per vivere, no? Adesso: come vivere? Intanto, arrivasse in questo momento un miliardo, in casa, se paga i debiti, se cerca di vedere a Crotone, cosa gai dito: il centro giovanile cosa costelo? Cento milioni. Se spende cento e diese, cento e venti. A Monterotondo saria necessario e utile questo... Zacapa: questo... Il resto lo metemo via per... No! Ghemo da far un’ala per la Casa dell’Immacolata st’anno che vien? Mettemolo via! Ma non prevediamo... sa, mettemo dei titoli che me dà un’entrata fissa, eccetera. No! Ghe xe dei poveri che domanda aiuto. Digo male? Ecco, questo me pararìa. Cioè, vivere col proprio lavoro; se domani viene delle entrate tali, vedemo de sistemare le missioni, una parte, l’altra, st’altra, e può darsi che vicino alla tua missione ghin sia ‘naltra dei Padri Barnabiti, che poareti i xe là che i patisse la fame, e che valga la pena, invesse che spendere sento milioni qua, dividere sinquanta per parte! Questa xe Chiesa! Digo male? Questa xe Chiesa! O che valga la pena de non spenderghene gnanca uno par ti e dargheli invesse a quel’altro che xe vissin a ti. Parché, fino a prova contraria, il Gesù tuo e il Gesù suo l’è lo stesso Gesù!
Ora, attenti: messo a posto che non dovemo vivere de rendita e non dovemo ‘metter via per...’, come vivere? Adesso che i vegna dalla Provvidenza i soldi o che i vegna dal frutto del nostro lavoro perché noialtri dovemo lavorare... E qua xe un punto dove noialtri gavemo tirà drito, ma bisognaria che se fermassimo su almanco n’altra settimana ad Asiago. Ma, no i vol saverghene, parché i vol andar scola in seminario. Le nostre Costituzioni e il nostro ‘Libretto bianco’ dise che dovarissimo vivere come se vive in una famiglia di onesti operai. Ma, quala xela la misura? Qualcuno ha fatto l’obiezione: “E va ben! E chi xe che forma questa mentalità?”. Riguardo i libri, ghemo fatto già un qualche cosa che adesso pian pianelo speremo che el vada, no? In modo da creare una mentalità: ma chi xe che me dise, per esempio, se no go massa vestiti o sa go pochi vestiti? Chi xe che me dise se mi stò adesso avendo un capriccio o se xe una necessità?

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4.E qua mi ve digo subito, vardè che me sento incapace anche mi de trovare, oggi come oggi, “hic et nunc”, una via per dire: “Questa xe la regola!”. Parché vedì chiaro che se trattasse de dire: “Femo come che fa certe Famiglie religiose, dove che le camise xe de tutti, le vesti xe de tutti, ovvero, dove che xe stabilio: tante camise par parte e far ‘na forma draconiana...”. Ben, tre fazzoletti, e se te vien fora sangue dal naso, cosa feto con tre fazzoletti? Cosa ve pare? Ora, no, stè boni. Una povertà di questo genere qua, messa così, te podarissi farla, fioi, sa fussimo in un convento de clausura, dove che te stabilisci: una cotola grande che va ben par el grasso e par el magro, e con ‘na corda qua torno, te tiri su e la va ben par el grande e par el piccolo... Xe chiaro che se se tratta de una cosa de sto genere qua, allora sarìa anca abbastanza facile, se da ora innanzi voialtri non sì più omini del mondo, cambiemo nome a Vinicio e ghe mettemo nome Mardocheo, a Zeno ghe mettemo nome Pacomio, eccetera, e allora: fra Teodosio e fra Pacomio. D’ora innanzi anche le vesti del mondo basta: questo è un saio, un sacco con un buso, ‘na corda attorno, e el sacco lungo che va ben par Venco e allora el va ben par Venco e anca per Grazian. Du busi che vien fora i brassi: ecco fatto l’omo, fatto l’omo!
Digo, se se trattasse de fare una roba de sto genere qua, se trattaria soltanto de mettarse d’accordo che colore che ga da avere el sacco, e de cosa che el ga da essere fatto, el colore della corda e la lunghezza della corda, parché la possa servire par picarse quando che no ghe la fa più. Eh, dico! Ma, dovendo vivere in mezzo agli uomini, dovendo essere... piacere a Dio e non dispiacere agli uomini, capì che qua, vero, se esige una formazione, una formazione che no la xe comune. E mi credo che sta roba qua la risolvemo soltanto con una formazione non comune. Le nostre buone mamme, me appello ancora a quelle ‘maestre dei novizi’ che gavemo avudo da piccoli, le te dixea: “Dai, tolemo sta roba qua, parché el piccolo ghe n’ha bisogno. No questa roba qua, parché ghe xe tanti poareti che patisce la fame, e no xe giusto che sprechemo con sta roba qua”. Mi dirìa: più che tutto bisogna ca rivemo, vero, attraverso a una casistica, sa volì... E allora, perché non arrivare, per esempio, nei nostri incontri domenicali, a dire: “Senta, mi lo digo qua: me xe capità così e così... Secondo lu, lo spirito della Casa...”. Parché non tirar fora anche i casi personali, così, da boni fradei, e vedere un po’ e discutere in compagnia? Sarìa sbaglià questo? “Cosa ghin dito, ti? Eh?”. Attraverso una casistica: “Varda, me xe capità così...”. “Va ben, e alora là... così, così”. “Però, mi me pare, non so, de aver massa, eccetera”. Supponiamo un particolare: te vien regalà una camicia: “Me mama me ga portà una camisa; mi, vardando, no me pararìa... – le mame poarete le porta sempre, no? – mi me pararìa, però, ringraziando il Signore che gh’in ho al bisogno, camise; no me pararìa aver bisogno de camise...”. Allora mi gh’in dao via una, non dao via la più vecia... Ecco lo spirito di povertà: do via l’ultima, quella nuova, e la do alla Comunità.

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5.Per esempio, quanto si sta male a sentire, per esempio, la Tilde che la dixe: “Sa, sti Religiosi... i ga i voti, ma guai se la camisa la xe un pochetin... se no la xe come, come... se la xe taconà, sa ghe dao ‘na roba così... Se vede che ghe piase la roba bela!”. Quante volte vardè che go sentio parecchie volte mi le donne, non la Tilde solo, ma anche le altre, che ga sottolineà questo particolare! Mi me pararia, non so, anche per un senso de furberìa dinnanzi alle persone estranee, se non per un senso de superbia... se non altro per un senso di superbia: un Religioso dinnanzi alle persone estranee farse vedere che non l’è contento, che ghe piasarìa la roba più bella, eccetera eccetera. Mi mandarìa zo saòn dentro in bocca e tasarìa sempre, parché, parché se non altro per far vedere che son Religioso, per dare un esempio di vita religiosa.
Quanta diversità da padre Graziano, che con furberia el se prendeva sempre la chicchera che ghe mancava el manego o che gaveva un spigolo sbeccà un pochetin! “Padre, no quela, el spetta...!”. “Sa, a bevo così de gusto con questa qua!”. Ve ricordèo? Che cercava sempre la cosa più pesante, la cosa pezo, el cibo pezo. Ora, ringraziando il Signore, c’è qualche anima, qualche anima che fa questo, che fa questo; ma ghe xe qualche altro che non fa questo. Godere che te devi fare un po’ di sacrificio... Te ve ai seervizi e te manca la carta: ben, godere che la te manca. “Adesso vò tormela senza che i sé accorza, parché se i se accorze i dise...”. Godere, proprio gioia, nel dover dire: “Me manca qualche cosa; Signore, me manca qualche cosa!”. Fioi, me par mi, o rivemo a questo desiderio proprio di esser poveri... “Per necessità io devo...”. Vorria dire, lo go dito anche in altre circostanze, che noialtri dovarissimo desiderare quel famoso saio con un buso e ‘na corda, ed essere via dagli uomini come San Giovanni nel deserto, là, per amore di Dio, solo in unione con Dio. Però devo apparire in mezzo agli uomini, e allora me vesto parché go da apparire... quasi come Giuditta, che prende le vesti e se ne riveste, parché deve andar contro Oloferne. Però, dopo la ritorna ancora con le sue vesti della vedovanza, no? Perciò noialtri semo vestii con le nostre ‘vesti della vedovanza’ un pochino, ghemo abbandonà il mondo, ma però, se per necessità, per convenienza, per decoro, però il nostro desiderio è di essere poveri, di essere. Cosa ve pararìa? Adesso, mettere un equilibrio... Scusa, nelle Case nostre, non te poli un domani non avere quel po’ di necessario, per esempio un pochino... quel che xe... Non te poli non averlo, oggi. Ma ghe xe quell’equilibrio, sa, quell’equilibrio che te dà un quid. Mi dirìa proprio, vardè, ciapè le vostre mamme: “Fiolo!...”. Ecco, mi qualche volta me fasso l’esame: “Me mamma, cosa dirissela me mamma?”. Perciò dirìa, me pararìa forse, che per trovare un equilibrio su questa roba qua, più che dare delle disposizioni particolareggiate, mi ve pregarìa: cerché de vivere quel che ghemo dito ieri sera, cerché de amare di più le cose di Dio, distaccarve dalle cose del mondo, non attacarve a bagoli e bagoletti, regali e regaletti, oggetti e oggettini. Lassè stare, lassè stare, lassè stare! Quello che è necessario per l’apostolato, quello che è utile per l’apostolato, ma el resto: lassè stare! Lo so anca mi, adesso te ghe la macchinetta elettrica, adesso la xe più comoda: tolì quella, basta, senza tante storie... tuli una o tuli l’altra, non stemo a perdarse... Ma, ghe vole la pomata, prima quella numero uno, dopo la pomata numero due, dopo la pomata numero tre, e dopo ghe xe to nonna in cariola, allora! Capìo? Sì, me pare che mi collegaria insomma: amore di Dio, castità e povertà, li metteria insieme. È chiaro? Amore di Dio, castità e povertà li legaria lì, li legaria lì! 31 dicembre 1966