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IL SENSO DEL PECCATO E LA SALVEZZA DELLE ANIME

MI323 [09-10-1970]

9 ottobre 1970

MI323,1 [09-10-1970]

1 Leggevo giorni fa in quel libro, che è stato oggetto di meditazione qualche volta da parte nostra, alcuni pensieri che Gesù avrebbe fatto dinanzi alla tomba di Lazzaro. Gesù, dinanzi a Lazzaro morto, piange. Dice Gesù: “Io ho pianto per tre motivi”. E questi tre motivi potrebbero essere oggetto della nostra meditazione.
Prima di tutto, pensando alla morte, guardando che cosa essa compie si capisce che è una conseguenza del peccato. In secondo luogo Gesù avrebbe pianto pensando che tanti uomini sarebbero andati incontro alla morte, alla corruzione del sepolcro, senza conoscere la vita, senza accettare la vita. In terzo luogo Gesù avrebbe pianto pensando alla sua morte: un giorno, anche lui sarebbe andato verso il sepolcro e avrebbe subito la pena della morte... Ed era vero uomo, e naturalmente come uomo sentiva tutto il peso della morte.

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2. Ieri sera, andando al funerale del papà dei nostri cari fratelli Centomo , ho ripensato a questo.
Prima di tutto: “Stipendium peccati mors”, la morte è lo stipendio, cioè la moneta del peccato. Abbiamo peccato, bisogna pagare. Di solito dalle conseguenze si capisce un po' la causa; non so se la filosofia sia d'accordo. Quando tu vedi uno con la testa rotta gli domandi: “Che cosa è successo?”. “Ho preso un sasso”. Deve essere stato grosso quel sasso se ha rotto la testa, a meno che non sia la testa di don Matteo, perché allora basta un granello di sabbia per romperla. Amici, state attenti. Se il peccato ha portato queste conseguenze, e nonostante la bontà di Dio e la sua misericordia ha spinto la giustizia a un castigo di questo genere, dobbiamo renderci conto della sua gravità. Dobbiamo veramente pensare che cos'è il peccato. Noi siamo uomini e andiamo avanti, specialmente in questi anni, in mezzo a tanto frastuono, tanto rumore, tanto divertimento, per cui le molte distrazioni e la vita un po' più movimentata non ci aiutano forse a pensare: pensiamo solo a noi e non pensiamo a Dio. Qualche volta conversando insieme con qualcuno, pensando per esempio a quello che si dà e non a quello che si riceve, si conclude: “Forse è vero perché non si pensa, non si pensa”. Tante volte non si pensa sufficientemente. Ora, nei nostri rapporti con Dio, pensiamo che cosa vuol dire un peccato. Immaginate che uno di voi adesso esca dal posto dove si trova, venga davanti a don Ottorino e cominci a prenderlo a schiaffi e a sputarli in faccia... Incomincereste a dire: “Quello è matto! Quello è matto!”. Supponiamo che Fabris mi si avvicini e mi dia uno schiaffo. È possibile che Fabris, che ha un'anima bella, candida, buona, tranquilla, faccia un’azione di questo genere? Direte: “È matto! È matto!”. Ebbene, pensate che il peccato è una ribellione volontaria contro Dio. Sottolineo “volontaria”, perché possono esserci peccati materiali e non formali, ma lasciamo perdere queste divisioni e consideriamo il peccato vero e proprio: è una ribellione volontaria alla legge di Dio, è un scegliere Satana al posto di Dio: fra i due scelgo Satana e rinuncio a Dio; fra i due proteggo Satana e non proteggo Dio. Scelgo me stesso.

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3. Io penso che se qualche volta meditassimo un po' sul peccato, ci capiterebbe quello che capita a qualcuno che ha perduto la mamma. Io ho visto più di una volta qualcuno piangere di rimorso per aver trattato male il papà o la mamma finché erano vivi, ma ormai erano morti. Vi assicuro che ho visto più di una persona, anche anziana, piangere e non essere capace di trovare consolazione. Perché? “Perché ho trattato male mia mamma... Non ho fatto il mio dovere, non ho fatto il mio dovere con mia mamma”. È proprio un rimorso; alcune persone sono accompagnate da un rimorso continuo.
Ebbene, verrà il giorno della morte, e forse allora sarà troppo tardi, sarà troppo tardi. Comprenderemo nel giorno della morte che cosa vuol dire peccare, che cosa vuol dire offendere il Signore. Credo che la partenza per la santità consista proprio in questo: scoprire chi è Dio, chi sono io, che cosa ha fatto lui per me, che cosa ho fatto io contro di lui. La luce del peccato si rivela, cioè il peccato viene messo a fuoco giusto soltanto se io medito chi è Dio, che cosa ha fatto per me, e come io ho risposto a Dio. Dobbiamo meditare la bontà del Signore, che mi ha creato dal niente, che mi ha dato l'intelligenza, che mi ha fatto simile a lui, che mi ha elevato con la grazia, che mi ha circondato di amore, che continua a circondarmi di doni come si trova affermato nella Sacra Scrittura: “E se non basta ne do ancora”. Mi pare che abbia detto così a Davide: “E se non basta te ne do ancora”. Mi sembra che sia stato quando Natan ha parlato al re Davide: “E se non basta te ne aggiungo ancora”. Perché? Perché “ti ho amato, ti ho prediletto in mezzo a tante creature. E tu che cosa hai fatto?”. E guardate che il peccato lo commettiamo sempre. Credo che non passi giornata che non commettiamo peccato, perché non c'è solo il peccato grave, ma c'è anche il peccato leggero. E, per conto mio, io non devo soltanto sentir rimorso se ho ammazzato mia mamma, ma anche se solo l’ho schiaffeggiata. Ricordatevi bene che anche un peccato leggero, una mezza bugia, una incorrispondenza alla grazia, una mancanza contro la carità, è una offesa al Signore. Dobbiamo ricordare che noi siamo stati molto amati da Dio perché ci ha messo vicino dei buoni e santi genitori, ci ha messo vicino dei buoni sacerdoti, ci ha ricolmati di doni, per cui più siamo stati amati da Dio, più grande diventa anche il nostro piccolo peccato.

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4. Un peccato veniale non diventerà mai un peccato mortale, ma anche una piccola imperfezione, una piccola mancanza acquista una certa gravità. Del resto, anche sul piano umano, io preferisco essere chiamato disgraziato, lazzarone, delinquente da una persona sconosciuta piuttosto di ricevere da uno di voi una piccola mancanza di affetto: quest’ultima mi peserebbe molto di più. E penso che anche tu, don Matteo, sentiresti molto di più il peso di una piccola mancanza di affetto da parte di tuo fratello Marco che di uno sputo in faccia da parte di una persona della strada. È vero o no? Perché nei riguardi di tuo fratello c'è tutta una carica di affetto, un legame di amore. Anche noi siamo oggetto di amore e di predilezione da parte di Dio, per cui anche una piccola mancanza, una piccola ingenerosità, che noi - sto parlando di me stesso - commettiamo continuamente durante il giorno, è più pesante forse di un peccato grave commesso da gente del mondo che non ha ricevuto quello che abbiamo ricevuto noi.
Se San Luigi Gonzaga è svenuto confessando i suoi primi peccati, se i santi piangevano pensando ai loro peccati, significa che avevano il motivo di piangere. E se noi non piangiamo qualche volta i nostri peccati siamo ancora all'inizio della salita verso la santità. Noi che abbiamo paura di essere umiliati, noi che abbiamo paura di non essere considerati, noi che abbiamo paura di dover fare da caporali quello che dovrebbero fare i soldati, noi che abbiamo paura che il nostro io venga represso, pensiamo che cosa abbiamo fatto contro Dio. E quando Dio ci ha visti così, che cosa ha fatto? Non ci ha umiliati, ma è venuto sulla terra per sollevarci. Fratelli miei, se io dovessi fare ripetizione di matematica a uno di voi, anche se siete voi che potreste farla a me, e dovessi fare ripetizione di trigonometria al nostro caro Franco Forlin, ad esempio, che è matematico per eccellenza, e cominciando mi accorgessi che non sa neanche moltiplicare due per tre o due per cinque, direi: “Caro figlio, torniamo indietro, cominciamo dai primi elementi. È inutile che facciamo la trigonometria, che parliamo di logaritmi finché non partiamo dalla base; è inutile che studiamo i seni e i coseni, se non conosciamo i primi elementi della matematica”. È giusto? Partiamo dalla base e dopo arriveremo anche ai seni e ai coseni. Amici miei, a volte nella vita spirituale noi crediamo di essere giunti molto in alto e non comprendiamo le verità più semplici. Invece si incontrano anime che vengono a confessarsi e piangono i propri peccati, e spesso hanno commesso solamente piccole imperfezioni, anime che sentono di essere state cattive con il Signore perché non hanno corrisposto generosamente alle grazie, mentre noi forse non abbiamo compreso la gravità del peccato. Quante volte meriteremmo di sentirci le parole dette da Gesù: “Tu magister in Israel et haec ignoras” , tu sei maestro, tu dovresti essere maestro, e non capisci queste cose! Ricordate quello che vi ho detto altre volte. Il notaio Zampieri , leggendomi il testamento di un prete, mi ha detto: “I peggiori testamenti sono quelli fatti dai preti. Un testamento come questo non lo farebbe un cristiano. I cristiani hanno una finezza spirituale, per lo meno alcuni, che i preti non hanno perché questi conoscono la morale e allora giocano troppo con il compromesso”.

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5. State attenti affinché lo studio che noi facciamo delle cose sante non ci faccia prendere troppa confidenza con le cose di Dio e, a un dato momento, ci abituiamo anche alle cose più sante. Per esempio, possiamo partire da casa capaci di fare la genuflessione con il fervore del sacrestano nella prima settimana, e dopo un po' di tempo arriviamo alla freddezza della quinta o sesta settimana del sacrestano. Partiti da casa con la finezza spirituale appresa dalla cattedra teologica delle nostre mamme, a un dato momento, andando avanti con lo studio, abbiamo cominciato a rubare la gallina, a mangiarla e a mettere questo come un merito acquistato dinanzi a Dio, mentre nelle nostre case le mamme ci insegnavano a non rubare neanche il manico della ciliegia.
Fratelli miei, all'inizio della vita spirituale e di ogni salita ci vuole una convinzione, ma una convinzione sentita, viva. Per questo sono necessarie delle meditazioni su questi temi. Ricorderete che in altre circostanze dicevo che almeno una volta al mese dovreste mettervi dinanzi a Dio per meditare sui vostri peccati, sulla vostra ingratitudine, sulla nostra ingratitudine verso Dio, sulla nostra miseria. Mi accontento di poco dicendo che dovremmo farlo almeno una volta al mese, perché in realtà dovremmo farla ogni mattina prima di cominciare la giornata. Ma almeno una volta al mese, dinanzi a Dio, cerchiamo di pregare e di piangere, piangere e pregare. Pensiamo chi è Dio e chi siamo noi: da questo comincia la vera umiltà, da questo comincia la vera grandezza, da questo comincia la nostra giusta posizione nei riguardi di Dio, e perciò ci sentiremo nelle mani di Dio come uno strumento. Aggiungo anche che da questo comincia lo sviluppo della nostra personalità, di quella reale, non di quella fittizia. Amici miei, se non ci mettiamo dinanzi a Dio, come facevamo un tempo, prostrati per terra almeno spiritualmente, se non fisicamente, e non consideriamo che cosa è il peccato, siamo privi della base di partenza. E per fare questo possiamo contemplare i sepolcri. Pensiamo al nostro caro Giorgio corrotto dal sepolcro, al nostro caro Lino morto qualche anno fa e corrotto dal sepolcro... Bisogna che guardiamo tutto alla luce dell'eternità, e allora ci accorgeremo che siamo cattivi, cattivi, cattivi. Alla luce dell'eternità ci accorgeremo che stimiamo troppo il nostro io e poco il nostro Dio, troppo i nostri interessi e poco quelli di Dio. Scusate se mi sono fermato un po' troppo su questo tema, ma è necessaria questa base. Se questa base non c'è, datemi anche un laureato in tutte le teologie di questo mondo, datemi anche uno che faccia miracoli, ma io non gli credo, non gli credo. Alla base ci vuole la coscienza che siamo povere creature, ci vuole l'umiltà, ci vuole la coscienza che io sono l'ultimo degli uomini, il più miserabile degli uomini, anche se sapessi fare dei miracoli... perché Dio mi ha dato tante grazie e io ho corrisposto male. Anche se avessimo commesso un solo peccato veniale volontario nella nostra vita, avremmo motivo per piangere un'eternità intera, se non avessimo la certezza che Dio con la sua misericordia ci asciugherà le lacrime per tutta l'eternità. L'offesa a Dio, la ribellione contro il nostro creatore, ci macchia di sangue, e dovremmo sentire tutto il peso di questa macchia di sangue. Non dimentichiamo che il deicidio ha colpito un popolo, e questo popolo va ramingo per la terra da duemila anni sotto il peso di un peccato. Ricordatevi che tutti siamo un po' deicidi, e se non siamo raminghi, siamo lo stesso persone peccatrici. Ci sarebbero tante cose da aggiungere, ma il tempo passa.

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6. Secondo pensiero: noi dovremmo contemplare il mondo sotto questa luce.
Quando noi parliamo di salvezza di anime, salvare anime, portare anime a Dio, è inutile farlo se concludiamo pensando che significhi portare le anime in una bella chiesa o fare una bella funzione... Si può veramente capire che cosa vuol dire salvare un'anima se si comprende la grandezza dell’amore a Dio e la gravità dell’offesa contro Dio. Allora quando l’apostolo vede un'anima che non ama Dio e lo offende, sente il bisogno di rendere felice Dio e di salvare quell'anima. Salvare quell'anima vuol dire metterla in rapporto d'amore con il suo Dio, vuol dire consolare Dio che vuole salva quella creatura e mettere quella creatura nel binario giusto perché non vada alla perdizione. Due aspetti sono da considerare: un cuore da amare e una creatura da redimere. E allora si è pronti a qualunque sacrificio: “Signore, se tu vuoi che io paghi per quella creatura sono disposto”, perché voglio rendere felice il Signore. L’apostolo vede un Padre che vuole salvo il figliol prodigo e il figliol prodigo che non sa di essere in mezzo ai porci e sta andando verso la rovina. E allora scatta l’amore verso il Padre per cui io vorrei fare qualsiasi cosa perché il Padre sia contento: ci vuole un'umiliazione da parte mia? ci vuole un qualche cosa per pagare? E va bene, non importa: “Padre, io voglio pagare, purché quel mio fratello esca dai porci”. Ah, fratelli miei, l'apostolato si capisce se si capisce Dio, se si capisce l'anima, se si capisce il peccato! Altrimenti, che cos'è l'apostolato? È un andare in giro, un osservare e un essere osservato , una preoccupazione per fare, fare, e fare. Invece no! Apostolato è andare per salvare, salvare, salvare; salvare senza chiasso e senza rumori. Gesù passava “benefaciendo... omnes” , facendo il bene a tutti, salvando, salvando, dicendo: “Va’ in pace... Va’ in pace...” . L'apostolato è un andare per il mondo per portare il sangue di Gesù e il sangue nostro, e non per preparare dei capitelli dove mettere le nostre statue. Al tempo del duce noi vedevamo le sue immagini e le sue frasi in tutte le parti. Non è questo il nostro apostolato, non consiste nel collocare il nostro ritratto in tutte le parti dove possiamo, caro Fabris , che vorresti il tuo con la scritta: “Benedetto dalle genti, benedetto dalle donne, benedetto fra le donne”. L’apostolato è un passare e scomparire. “È necessario che lui cresca e io diminuisca”, diceva il Battista : ecco l'apostolato! L'apostolo è l'uomo di Dio che chiama l'anima a Dio, la porta a Dio e scompare, ed è contento che il suo Dio sia contento. Che poi il Signore sia tanto buono da concedergli la gioia dell'amicizia, la gioia dell’esito, sta bene, ma noi abbiamo rinunciato anche a questo in partenza. Il Signore è buono e ce la concede; i superiori hanno il dovere di fare il possibile perché ci sia, però ricordatevi bene che noi vi abbiamo rinunciato, altrimenti facciamo un apostolato umano, altrimenti cerchiamo una società di amici che invece di trovare una sposa trovano qualcos'altro. Noi abbiamo scelto Dio, abbiamo scelto Cristo, abbiamo scelto le anime, abbiamo offerto la nostra vita per salvare le anime, per consolare Dio. Siamo qui per costruire il regno di Dio, e non ci importa se dobbiamo spargere il sangue in un manicomio o su una strada, non importa se dobbiamo consumarlo camminando per salvare un'anima. Ricordate la famosa frase di monsignor Comboni: “Salpare il mare, salvare un'anima e poi morire”. Questa è la sete apostolica! Io devo sognare di sacrificarmi per salvare un'anima, assolverla, portarla a Cristo, e poi morire. Ricordatevi, però, che si capisce questo solamente se si capisce la prima parte, si vive questo se si vive la prima parte. E allora succederà che si può piangere contemplando un atlante, allora si può piangere dinanzi a un crocifisso, allora si sentiranno le gioie di Dio come gioie proprie, le bellezze della natura come cose proprie, i trionfi del Cristo come trionfi propri, i dolori del Cristo - “tristis est anima mea” - dinanzi a un'umanità che va lontano da Dio come una cosa propria, veramente una cosa propria. San Paolo diceva: “C'è uno che piange che io non pianga?” , pensando specialmente alle cose intime dello spirito.

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7. Ci sarebbe ora l'ultimo punto: la realtà della morte. Ricordatevi bene che la croce faceva paura anche a Gesù. Ho detto delle cose belle, spiritualmente parlando, ma per la natura, ricordatevi bene, resteranno sempre dure. Chi, dinanzi a un bicchiere di olio di ricino e a un bicchiere di Frascati, non sceglie il bicchiere di Frascati? Non è vero, Gianni? Tutti gli ammalati negli ospedali, dinanzi a un'operazione o una carezza preferiscono la carezza. Siamo uomini!
Ricordatevi bene che anche il Figlio di Dio, che si è fatto uomo, aveva una natura umana, e dinanzi alla croce ha detto: “Padre, se è possibile, passi questo calice” , perché la croce resta sempre croce. Pensate che la nostra offerta a Dio in forma totalitaria non toglie il peso della croce, non toglie l'agonia della morte che tutti dovremo subire come stipendio del nostro peccato, non toglie l'umiliazione, il peso, fratelli miei. Pensiamoci bene: l'essere mamma, per una donna, non toglie le doglie del parto o tutta la fatica della cura e dell’educazione dei figli. L'altro giorno Floriano mi diceva: “Ho sonno, ho sonno”. “Perché?”. “Ah, stanotte, il bambino chiamava ogni mezz'ora”. “Ogni mezz'ora? Non puoi abituarlo un po'?”. “Eh, se lo potessi! Ogni mezz'ora... Non si dorme più...”. Ricordatevi bene che la vita comporta sacrificio. Se si vuole comperare un chilogrammo di castagne secche, si deve separarsi da qualche cosa o da una moneta che si ha in tasca. Noi non possiamo pretendere di andare in Paradiso in carrozza; perciò la croce ci sarà. Se andiamo a salvare un'anima, dobbiamo “salpare il mare, salvare un'anima e poi morire”. Due sono le cose necessarie: anzitutto salpare il mare e non andare in aereo, perciò affrontare le difficoltà di un viaggio lungo, che costa fatica, e poi morire, dare la vita o per una scatola di sardine o perché si viene uccisi: c'è una sofferenza. Perciò mettiamo già in preventivo che non si può salvare un'anima senza sofferenza, perché noi restiamo uomini.

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8. La sete sarà sete, il caldo resterà caldo, la stanchezza resterà stanchezza, la morte resterà morte, e dinanzi a queste cose anche i più grandi santi dicevano: “È tanta la gioia del patire...” , ma resta sempre il patire, e il patire si chiama patire e non si chiama gioia. Si chiama gioia l’accettazione per amore di Dio, ma quando i martiri venivano portati al patibolo sentivano il dolore anche loro. Anche Sant’Ignazio d'Antiochia diceva: “Desidero essere triturato dai denti delle belve per diventare pane di Cristo”; belle parole finché i leoni erano dall'altra parte, rinchiusi dentro la gabbia, ma penso che quando li ha visti vicini abbia avuto timore anche lui. Questo non è scritto nelle sue lettere perché non ha avuto il tempo per scriverlo, ma in Paradiso potremo domandarglielo.
Non ditemi che, dinanzi alla sofferenza, uno possa esclamare: “Oh, che bello!”, perché uno sarebbe matto se dicesse così. Potrà dire: “Accetto questo bicchiere di olio di ricino per amore del Signore”, e perciò non farà le smorfie, ma senza dubbio si noterà lo sforzo per non fare le smorfie quando ha l’olio in bocca. Le croci sono sempre croci, la sofferenza è sempre sofferenza. Anche una mamma che soffre per la sua famiglia lo farà con il sorriso, si dirà che è eroica, ma se tu l'avvicini nel confessionale, dirà: “Padre, se sapesse che fatica! Quante volte vorrei buttarmi nel Bacchiglione , lasciare i ragazzi e scappare! Ma lo faccio, giorno per giorno, per amore di Dio”. Impariamo anche noi a portare la nostra croce, giorno per giorno, per amore di Dio, croce che può essere una piccola umiliazione, può essere un mal di testa, può essere il peso di un po' di obbedienza. Ma ricordatevi bene che se non faremo questo oggi, non saremo capaci di fare un domani quello che ci riserverà il Signore. Sia lodato Gesù Cristo!