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IL SENSO DELLE PRATICHE DI PIETÀ

MI253 [20-12-1968]

20 dicembre 1968

È l’inizio della sesta delibera del 1° Capitolo generale sulla vita di pietà. Il testo viene sempre riportato in corsivo, sia per questa come per le successive delibere, senza ulteriori richiami.

Il riferimento è a Graziano Frison, che era entrato nella Casa dell’Immacolata come vocazione adulta interrompendo gli studi universitari.

Molti trascrivevano pensieri e frasi di don Ottorino durante le sue meditazioni per poi rimeditarle personalmente con più calma. Nel caso don Ottorino nomina il novizio Renzo Meneguzzo, che era entrato nella Casa dell’Immacolata come vocazione adulta dopo il diploma di perito agrario.

Don Ottorino nomina dapprima Giampietro Fabris, che frequentava all’epoca il 1° anno del corso teologico e si applicava allo studio con spiccate qualità intellettuali, e poi don Pietro De Marchi, che amava approfondire lo studio delle sacre discipline.

MI253,1 [20-12-1968]

1. Sia lodato Gesù Cristo!
Questa mattina non dirò nulla di straordinario; farò una piccola corsa su queste due pagine - mi pare che siano anche due e mezza - che ci descrivono le pratiche di pietà. In precedenza ci siamo soffermati un pochino sulla Via Crucis e sulla Santa Messa; ora vediamo almeno le delibere che ci prescrivono altre pratiche di pietà. Se poi la Madonna vorrà che ci fermiamo un momentino su qualcuna di queste, obbediremo alla Madonna e lo faremo. «Tutte le pratiche di pietà stabilite dalle Costituzioni saranno per il religioso fonte di vita, solo se egli saprà stabilire con il Signore continui e personali colloqui». Altrimenti saranno pratiche che si fanno così, per abitudine, e ciò che si fa per abitudine, caro Graziano , vale molto poco. Infatti supponiamo che Renzo - vedo che egli sta scrivendo molto bene - le faccia un po’ per abitudine. Un bel giorno viene da me e mi dice: “Don Ottorino, non mi sento più di rimanere nella Casa dell’Immacolata, qui in noviziato; ho deciso di tornare al mio paese perché mi pare che lì potrei fare molto più bene, salvare molte più anime”. Va a casa e dopo un mese ritorna. “Come stai Renzo? Come va? Come ti trovi?”. “Oh, molto bene!”. “Vai alla Messa la mattina?”. “No, a Messa ogni giorno, ogni mattina, non ci vado”. “Fai la meditazione?”. “Beh, la meditazione, no!”. “La lettura spirituale?”. “No!”. “La corona?”. “No!”. “Scusami se ti faccio questa domanda: le preghiere del mattino e della sera, le reciti?”. “Alla sera prego un pochino, alla mattina quasi mai!”. Eh, voi potreste dire che questo non è possibile. Sarebbe per voi impossibile, inconcepibile, eppure può capitare: a Renzo, a Fabris nonostante il suo San Tommaso, a don Pietro nonostante le sue specializzazioni. Non c’è niente da fare! Perché, caro don Pietro, si tratta di questo: colui che qui dentro recita per abitudine tante belle preghiere, se un bel giorno dice di non volere più restare con noi e se ne va a casa, dopo un mese recita appena le preghiere della sera, forse fa un segno di croce e basta.

PREGHIERA pratiche di pietà

CONGREGAZIONE Capitolo

MARIA maestra, guida

CONGREGAZIONE Costituzioni

ESEMPI preghiera

EUCARISTIA S.Messa

“Quando il buono si corrompe diventa il peggiore degli uomini”: è un’affermazione di San Gregorio Magno in Moralia in Job.

MI253,2 [20-12-1968]

2. Sono fatti accaduti! Mi guardi, caro Graziano? Fatti accaduti, cose che capitano spesso!
Ed ecco allora la realtà: “Corruptio optimi pessima». Può avvenire che uno di noi il quale ha mangiato per anni il pane della provvidenza, per anni ha ascoltato la parola di Dio, per anni ha avuto grazie straordinarie, ha assistito al passaggio del Signore in una casa come questa, dove, per esempio, ha visto passare la provvidenza, a un dato momento non gli importi più niente. È tremendo, eh! Per esempio, lo sottolineiamo anche se andiamo un pochino fuori di argomento. Quando i primi tempi arrivava la provvidenza, arrivava qualcosa, che so io, cinquecento lire, mille lire, la prima cosa che si faceva era andare in chiesa per ringraziare il Signore. Se arrivavano cinque milioni... ricordo che don Venanzio me li ha strappati di mano e li ha portati davanti al tabernacolo. Bene! Giorni fa io sono tornato a casa con un assegno di dieci milioni, l’ho mostrato a parecchi di voi, poi sono venuto qui in chiesa a recitare il "Te Deum"; mi pare che qui, a ringraziare il Signore, ci fosse solo don Guido. Mi domando: coloro ai quali l’ho mostrato hanno innalzato, per un momento, un po’ di ringraziamento al Signore dicendo: “Signore, ti ringrazio di essere in una casa come questa dove è sempre presente la tua provvidenza”. Supponiamo che l’avessi mostrato al mio caro figliolo che ho qui dinanzi, avrebbe egli sentito il bisogno di dire: “Signore, non sono degno di restare in una casa dove tu sei così presente”? In altre parole: voi avete visto un pezzo di carta o avete sentito il passaggio di Dio? È facile abituarsi... abituarsi a questi passaggi della provvidenza, a vivere nella casa di Dio, ad avere con Dio solo rapporti, per così dire, ufficiali, fatti un po’ alla buona. E allora è possibile qualsiasi caduta. Le preghiere sono una bellissima cosa, ma non ditele per abitudine. Lo so che dicendole sempre è facile poi che se ne faccia un’abitudine, che qualche volta non ci si pensi, eccetera, ma voi dovete sforzarvi di fare in modo che non divengano una cosa fatta per abitudine. E non diventeranno un’abitudine se il religioso «saprà stabilire con il Signore continui e personali colloqui».

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CONGREGAZIONE storia

PROVVIDENZA episodi di...

EUCARISTIA tabernacolo

DIO presenza di...

PREGHIERA pratiche di pietà

CONSACRAZIONE religioso

Il riferimento è a don Pietro De Marchi, che all’epoca faceva parte della Comunità della Casa dell’Immacolata.

MI253,3 [20-12-1968]

3.A questo riguardo, come vedremo più avanti, abbiamo stabilito in casa nostra i ‘cinque minuti’ della sera. Ma quelli sono il minimo, quelli sono un po’ come un aperitivo. Se ad uno a cui piace il vino tu dici: “Andiamo all’osteria solo per bere un bicchiere”, tu capisci che dopo - non è vero, don Pietro? - costui se ne esce con una sbornia e non con un solo bicchiere. Quei ‘cinque minuti’, che ho messo lì fra le nostre pratiche di pietà, dovrebbero essere una tentazione. Il religioso che è del Signore, è indotto ogni sera nella tentazione di fermarsi con il Signore. In chiesa si fermerà cinque o sei minuti, ma dopo, mentre si incammina verso la stanza, mentre è nella sua stanza, quando si sveglia di notte o si alza al mattino, deve continuare quei ‘cinque minuti’, deve ripeterli: deve essere una accensione a catena.

PREGHIERA i cinque minuti della sera

ESEMPI Eucarestia

PREGHIERA pratiche di pietà

Il riferimento è a San Tommaso d’Aquino, dottore della Chiesa e teologo sommo.

MI253,4 [20-12-1968]

4. Se non riuscite a stabilire un contatto personale con Dio cadete nel pericolo del nostro Renzo: un mese dopo che avete abbandonato la casa non pregherete più. E quando dico abbandonata la casa, non intendo dire che siete passati a miglior vita, ma anche, forse, Dio non voglia, siete andati in missione. E capite che contrasto ci sarebbe se un domani una lampada non facesse più luce, se uno di noi andasse in missione per portare la luce, per insegnare agli uomini a unirsi con Dio, e lui facesse appena appena il minimo necessario delle preghiere, dette anche così, alla buona, tanto per non fare peccati gravi.
«Così il nostro religioso, introdotto nell’intimità divina, sarà in grado di gustare e narrare agli uomini le ineffabili meraviglie di una quotidiana e mistica esperienza». C’è qui un punto importantissimo. Quando il religioso si mette in contatto personale con il Signore riesce fare bene anche le pratiche di pietà. Non solo, ma fa una esperienza di contatto con Dio, per cui, quando si incontra con le anime, anche senza accorgersi, manifesta loro l’esperienza che ha avuto con Dio. Eh, qui ci vorrebbero le nostre buone vecchiette, le nostre buone mamme! Eh, le mamme! Se si presenta a una delle nostre buone mamme, che non sanno tanto di San Tommaso e compagni, non accendono candele a San Tommaso, non sanno nemmeno chi sia San Tommaso, poverette, però, però, però, se si presenta loro un centinaio di preti e si fa che esse parlino con ciascuno di loro soltanto due o tre minuti, ti diranno: “Questo è un prete! Questo così, così!”. A un dato momento ti diranno con sicurezza: “Questo è un prete, questo è un prete!”, e il perché non saprebbero spiegarlo nemmeno loro. Quante volte ho domandato a mia mamma: “Perché tu dici così? Perché mi dici che quello è un prete?”. “Che cosa vuoi! C’è qualcosa, figliolo, che non si è capaci di spiegare; si vede, si sente. C’è qualcosa che si sente!”. E che cos’è questo qualcosa che si sente? È il passaggio di Dio! È la conduttività! Se io metto a contatto con la corrente un pezzo di legno asciutto, secco, passerà poca corrente; se questo legno è bagnato, ne passa di più; se è bagnato con acidi... eh, è chiaro! E se invece di essere un pezzo di legno è un pezzo di ferro, e se è un pezzo d’argento o d’oro, la cosa è subito diversa. Qui abbiamo dei tecnici e devo stare attento perché il tecnico dice sì o dice no. Se è una fetta di polenta, la cosa è diversa. Chiaro! Noi dobbiamo far passare la corrente da Dio alle anime. Noi non ci accorgiamo della corrente che trasmettiamo, ma le anime se ne accorgono. E perché? Non per il colore della nostra pelle o per la grossezza del nostro corpo, ma perché la corrente passa o non passa. Una fetta di polenta può essere molto più grossa di un sottile filo d’argento, ma per il filo d’argento passa molta più corrente che per la fetta di polenta. Nemmeno il colore della pelle vale, perché un pezzo di rame può essere un po’ verdastro, e tu puoi avere un metallo più bello, ma la corrente vi passa di meno.

DIO rapporto personale

CONGREGAZIONE missione

CONSACRAZIONE religioso

PREGHIERA unione personale con Dio

PREGHIERA pratiche di pietà

FAMIGLIA mamma

PASTORALE parroco

AUTOBIOGRAFIA famiglia

DIO presenza di...

ESEMPI apostolo

Nell’esempio don Ottorino nomina Alberto Baron Toaldo, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico, e le due vocazioni adulte Gianni Gini e Roberto Tirelli, il primo novizio e il secondo postulante.

MI253,5 [20-12-1968]

5. Ora, in voi passa la corrente? Se voi qui, in questo momento, prendeste una buona mamma e le chiedeste:
“In Alberto passa la corrente?”. Vi risponderebbe: “Tanto per cento”. “In Gianni?”. “Tanto per cento”. “In Roberto?”. “Tanto per cento”. E non soltanto una buona mamma, ma anche un papà cattivo che ha cinquantatrè anni potrebbe rispondervi: “Tanto per cento”. E potrebbero dirvelo anche i vostri compagni. . Ecco perché io, per il passato, ho insistito sulla correzione fraterna. I vostri compagni, che vi sono vicini, possono dirvi: “Sì, mi pare che in te passi la corrente”, ma potrebbero anche dirvi: “Guarda che, secondo me, attraverso te passa poca corrente”. Qui non si tratta di un capriccio, come, per esempio, di un caffè che si può prendere o non prendere. L’essere come ci vogliono le delibere delle nostre Costituzioni, del nostro Capitolo, per noi è un dovere di giustizia. Se in un paese ci presentiamo per vendere sale, dobbiamo vendere sale e non vendere cenere. Quando si vende una merce, bisogna che la merce sia quella, altrimenti andiamo a finire in galera. Non si può truffare la gente! Un sacerdote, un diacono che non è un uomo di Dio, è un truffatore. Non verrà messo in prigione dagli uomini, perché forse gli uomini preferiscono avere chi non disturba i loro piani, perché l’uomo di Dio disturba i piani degli uomini. Un apostolo, che non è spiritualizzato, può anche essere portato sulla cresta dell’onda nel paese dove si trova, ma guardate che a un dato momento bisogna rendere conto a Dio. Il padrone di casa, a un dato momento, ci domanderà conto e ci dirà: “Io ti avevo creato per essere sacerdote, per essere diacono, e tutto un stabilimento è rimasto fermo perché non è passata la corrente!”. Pensate se si tagliasse soltanto un filo dell’alta tensione, uno di quei fili che abbiamo qui fuori, che cosa succederebbe in città? Voi capite che parecchi stabilimenti si fermerebbero e che succederebbero cose spiacevoli. Chissà quante telefonate arriverebbero alla centrale per la mancanza di corrente, e solo per un filo! Voi direte: “Beh, insomma, non ce ne sono altri due?”. No! Manca un filo e tutto si blocca, anzi è facile, se non ci sono i teleruttori che scattano, che si brucino anche i motori. Amici, ognuno di noi è un filo attraverso il quale deve passare la corrente di Dio agli uomini, ma guardate che è un filo necessario, voluto da Dio. Quel filo che un tempo si chiamava Giovanni Bosco o Francesco Saverio o Francesco di Sales o il Santo Curato d’Ars era necessario, voluto da Dio, e quindi necessario. E ognuno di voi, ognuno di voi è voluto da Dio ed è necessario, perché se non ci fossero don Marcello e amici a Crotone non ci sarebbe quel fuoco che è cominciato ad accendersi, se don Pietro Martinello e amici non si trovassero nel Chaco non si sarebbe acceso laggiù un fuoco.

FAMIGLIA mamma

APOSTOLO vita interiore

COMUNITÀ

correzione fraterna

CONGREGAZIONE Capitolo

CONGREGAZIONE Costituzioni

PREGHIERA

DIO rapporto personale

DIACONATO diacono

SACERDOZIO prete

APOSTOLO uomo di Dio

APOSTOLO chiamata

APOSTOLO vocazione

DIO creatore

ESEMPI vocazione

APOSTOLO ambasciatore di Dio

APOSTOLO F.A.

Nell’esempio don Ottorino scherza con Francesco Lunardon, che all’epoca era novizio.

Il riferimento potrebbe essere a Piergiorgio Santagiuliana, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso liceale, o a Piergiorgio Paoletto, del 1° anno del corso teologico.

L’espressione latina significa: “Poche parole sono sufficienti per la persona intelligente”.

Il riferimento è a Zeno Daniele, che pur essendo ancora studente del corso teologico, aveva collaborato con don Ottorino nella stesura della sua relazione programmatica.

Il paese di Caldogno, sito a ridosso della periferia della città di Vicenza, era citato in parecchi detti popolari per la nomea di essere un paese di ladri, i quali sono bravi a ‘raspare’= sgraffignare, rubare. Oltre quello umoristico narrato da don Ottorino, c’era anche quello più generalizzato che dice: “A Caldogno seminano fagioli e nascono ladri”.

Il riferimento è a Raffaele Testolin, allievo del 3° anno del corso liceale.

MI253,6 [20-12-1968]

6. Insisto su questo perché, se non prendete sul serio questo impegno, cioè quello di una unione personale con Dio, è meglio che buttiate tutti quei libri che avete in studio, e voi compresi, nel fuoco.
Mi guarda e ride. Sì, è meglio bruciare Francesco con tutti i suoi libri, piuttosto che Francesco prenda il posto di un filo che non lascia passare la corrente; è meglio gettare Francesco tra i ferri vecchi, almeno così tutti i tecnici sanno che manca un filo e che bisognerà metterne un altro. È necessario prendere le cose sul serio. Se vedete che insisto su questo punto è perché, purtroppo, ho i miei motivi. La carità fraterna non mi permette di andare oltre, cioè di tirar fuori casi, di sottolineare fatti, ma vi assicuro che ho i miei buoni motivi. Figlioli, fate attenzione: prendete sul serio questo! Fermatevi qualche volta a parlare con Dio, non solo in chiesa, ma anche fuori di chiesa; cercate di diventare uomini di meditazione, cioè uomini che sanno parlare con Dio. E questo ve lo dico anche se doveste uscire di qui; anzi vorrei dire che insisterei ancora di più, perché ogni cristiano ha una missione nella vita: la missione di trasformare e spiritualizzare il mondo, e Dio ha affidato questa missione a ciascuno di noi. Rileggo, dopo quanto ho detto, la delibera n. 6. «Tutte le pratiche di pietà - non sottolineo la parola ‘tutte’, perché adesso dobbiamo procedere - stabilite dalle Costituzioni saranno per il religioso fonte di vita solo se egli saprà stabilire con il Signore continui e personali - continui e personali! - colloqui». Altrimenti, caro Piergiorgio , esse non sono fonte di vita; e siccome per noi non essere fonte di vita vuol dire morte, “intelligenti pauca!” . «Così, introdotto nella intimità divina, sarà in grado di gustare e narrare agli uomini le ineffabili meraviglie di una quotidiana e mistica esperienza». Ad un certo punto - facciamo ancora un’altra distrazione - della mia relazione al Capitolo traspariva questo: se un novizio non si mette in contatto con Dio, e ci si accorge se non lo è, non deve essere ammesso ai voti; se si tratta di un religioso, non deve essere impiegato in nessuna mansione di una certa importanza. In altre parole: quel religioso sia messo in un cantuccio, dove faccia il minor danno possibile alla Congregazione e alle anime. Zeno , mi pare che sia stato messo così, non è vero? Cioè, tanto per parlarci chiaro, se un novizio oppure un religioso con i voti temporanei di cui facciamo ancora in tempo a liberarcene... per carità, liberiamocene “in nomine Domini!”. Se proprio non facciamo più in tempo perché il religioso ha i voti perpetui, preghiamo il Signore perché se ne vada spontaneamente. Se non si decide lui stesso ad andarsene, collochiamolo dove possa fare il minimo danno possibile; per carità, mettiamolo in qualche cantuccio dove non danneggi alcuno. A Caldogno , quando nasce un bambino, lo mettono sull’acquaio: se ‘raspa’ lo tengono, altrimenti lo uccidono; se con le mani cerca di afferrare qualcosa lo tengono, altrimenti lo uccidono. La nostra Famiglia religiosa dovrebbe fare altrettanto. Mi rivolgo specialmente a voi più vecchi che prenderete in mano l’eredità della Congregazione: guardate che bisogna fare altrettanto! Se un religioso è introdotto nell’intimità divina è in grado di “gustare e narrare agli uomini le meraviglie di Dio”; se non è introdotto in essa, è come uno di Caldogno che non ‘raspa’. Ridi, Raffaele ? Proprio come uno di Caldogno che non “raspa”: là lo uccidono; qui non dico di ucciderlo, ma sostengo che si può mandarlo via. È meglio, cari fratelli miei, essere in dieci anziché in cento, essere in due anziché in dieci, ma che si ‘raspi’, cioè si sia in contatto con Dio. È meglio un Curato d’Ars che cento curati che non siano come lui. Capito? È meglio un San Tommaso piuttosto che cento filosofi che non siano santi. Sei contento? Procediamo!

DIO unione con...

DOTI UMANE studio

COMUNITÀ

fraternità

PREGHIERA meditazione, contemplazione

PREGHIERA unione personale con Dio

CHIESA cristianesimo

CONGREGAZIONE Capitolo

PREGHIERA pratiche di pietà

CONGREGAZIONE Costituzioni

MONDO

CONSACRAZIONE religioso

FORMAZIONE noviziato

CONSACRAZIONE voti

CONGREGAZIONE appartenenza

APOSTOLO salvezza delle anime

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

MI253,7 [20-12-1968]

GRAZIA Confessione;APOSTOLO testimonianza 7«Al mattino il religioso, dopo essersi messo in contatto intimo e personale con Dio, faccia con diligenza la sua meditazione, possibilmente in chiesa». Per quanto riguarda se fare la meditazione in chiesa o meno, io consiglierei, specialmente nella vita parrocchiale, di farla in chiesa. È bello vedere il sacerdote in chiesa, i nostri religiosi in chiesa davanti al Santissimo. Qui, lo capisco, forse è meglio che la facciate nella sala da studio o dove è più opportuno, anche perché saremmo in tanti qui in chiesa: c’è una massa di giovani e si finirebbe per farla male dovendo rimanere tutti ammassati. Perciò lasciamo la libertà, anche perché la Casa dell’Immacolata deve essere tutta una chiesa. Ma nella vita apostolica vedo che i nostri fratelli la fanno volentieri in chiesa; anche a Monterotondo fanno così. È bello vedere il sacerdote, il religioso in chiesa. A Monterotondo, per esempio, appena alzati recitano Lodi e poi fanno la loro meditazione; intanto qualche buona vecchietta incomincia ad entrare in chiesa, sente che stanno pregando insieme, li vede là seduti. Un sacerdote si alza perché qualcuna di esse ha chiesto di confessarsi; vorrà dire che se le persone che si confessano sono tante e disturbano, allora la meditazione si farà o prima o dopo. Ma è bello vedere questo gruppo di religiosi, davanti al Signore: è una predica che si fa. Non so se sbaglio. E poi siamo dinanzi a Gesù! Invece qui, per esempio, piuttosto di fare la meditazione con un gruppo così numeroso, ammassati così in chiesa, è preferibilmente in una sala, anche perché vedo che scrivete. Adesso siete nel momento in cui state lanciandovi, ma un domani nella vita apostolica sarebbe bene farla in chiesa.

PREGHIERA meditazione, contemplazione

PASTORALE parrocchia

CONSACRAZIONE religioso

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

SACERDOZIO prete

Cfr. Marco 14, 51-52. Molti esegeti ritengono che quel fanciullo scappato via nudo dalla scena della cattura di Gesù fosse San Marco, l’autore stesso del Vangelo che porta il suo nome.

Il riferimento è al novizio Dario Crestani, che era passato alla Casa dell’Immacolata dal seminario diocesano, dove aveva completato il corso liceale.

Il riferimento è, forse, ad Antonio Donà, allievo del 1° anno del corso teologico, che si interessava molto di sport.

MI253,8 [20-12-1968]

8. Ciò che questa delibera sottolinea è questo: al mattino, subito, dobbiamo metterci in contatto con il Signore... In altra circostanza io vi avevo detto di non scendere dal letto senza esservi messi in contatto con Dio.
Scusate: che motivo c’è da ridere? Vorresti dire: “Stiamo a letto un’ora di più”? Se a un dato momento, alzandovi al mattino, vi accorgeste che durante la notte sono passati i ladri nella vostra stanza e vi hanno portato via i calzoni, la veste, tutto... supponiamo anche le calze e il pigiama, non uscireste dalla stanza. Non è vero? Comincereste a battere a destra e a sinistra e gridereste: “Abbiate pietà di me! Portatemi il lenzuolo di San Marco - il giovane Marco al quale strapparono tutto quello che aveva addosso -, almeno quel lenzuolo che gli tolsero, in modo che possa mettermi addosso qualcosa!”, perché non si può uscire dalla stanza quasi nudi. Un religioso che al mattino esce dalla stanza senza essersi messo in contatto con Dio, è in una situazione peggiore di quella del povero Marco. Don Pietro mi guarda: è la realtà, caro! Che cosa andiamo a fare, figlioli miei? Siete voi capaci di pensare che un muratore vada a lavorare senza cazzuola, senza martello, senza scalpello, senza la borsa dei ferri? Siete capaci di concepire questo? Gli chiedereste: “È la prima volta che fai il muratore? Si viene al lavoro con la borsa: il muratore fa così. E la cazzuola, dov’è? Che muratore sei?”. Gli diresti così, tu, Dario , che te ne intendi. Tante volte chiamano i muratori di questa specie “mezza-cazzuola”, ma almeno mezza cazzuola ce l’hanno! Se, per esempio, un dentista aprisse un gabinetto dentistico senza avere nessun ferro, ma soltanto una forchetta e un cucchiaio... sarebbe una cosa inconcepibile. Ebbene, un uomo di Dio che esce dalla porta della sua stanza senza essersi messo in contatto con Dio è una cosa inconcepibile. Se io fermassi un religioso fuori della porta, ad esempio Antonio quando esce, e gli chiedessi: “Che mestiere fai?”. Mi dovrebbe rispondere: “Il santo!”, perché fa professione di vita perfetta. Uno che si fa religioso, fa professione di vita perfetta. E che cosa vuol dire essere santo? È l’uomo che vuole vivere solo per Iddio, solo di Dio, pieno di Dio e che vuole che la sua vita sia completamente consumata per il Signore. “E finora hai pensato al Signore?”. “No!”. “A che cosa hai pensato?”. “Alla partita!”. “Che cosa hai pensato?”. “Un po’ così...”. “E non ti sei messo in contatto con Dio? Cambia mestiere che è meglio! Tua nonna, tua zia, tua mamma, forse, durante la notte si sono svegliate dieci volte e hanno già recitato due o tre corone a quest’ora, e tu esci dalla stanza così!”. Eh, Antonio, è inutile ridere, questa è la realtà. Se il mondo va male è perché pochi preti sono santi, e se pochi preti sono santi è perché credono poco a queste cose; non capiscono che noi dobbiamo essere uomini in contatto continuo con il Signore, e questo contatto lo si fa agli inizi con una certa fatica.

CONGREGAZIONE Capitolo

DIO rapporto personale

ESEMPI Dio unione con...

PECCATO mediocrità

CONSACRAZIONE religioso

APOSTOLO uomo di Dio

APOSTOLO vita interiore

CONSACRAZIONE vita religiosa

DOTI UMANE sport

PREGHIERA rosario

MI253,9 [20-12-1968]

9. Naturalmente noi prendiamo in mano un bicchiere di vino se lo abbiamo davanti, ma se non l’abbiamo davanti non andiamo a versarci il vino per berne un bicchiere.
Lo spirito non si tocca con le mani, Dio non lo tocchiamo con le mani, e allora bisogna fermarsi un pochino e mettersi in contatto con il Signore e dire: “Adesso voglio pensare un pochino al Signore”. Non pretendete di fare questo senza fatica. Perciò, ecco qui: il mezzo per questo contatto personale è la meditazione, ma preparata! Non perdete un quarto d’ora chiedendovi: “Che meditazione faccio?”. E intanto passate il tempo andando in cerca dell’argomento che vi piace di più e così credete di avere fatto meditazione. Guardate che il Signore non lo inganniamo, non lo inganniamo! Quando andate in refettorio, non chiedete continuamente: “Beh, mangerò pane o polenta? Prenderò questo o quello?”, per uscire poi dal refettorio senza aver mangiato. Questo non lo fate mai; non rimanete lì pieni di fame a guardare una cosa o l’altra e poi, passato il tempo, ve ne uscite senza avere mangiato... a meno che non siate ammalati. Questo, forse, lo si fa durante la meditazione; questo richiede fatica, quello non mi piace... e intanto passa la mezz’ora: “Beh, pazienza! La meditazione l’ho fatta”. So che ci sono giornate in cui è faticoso meditare, giornate nelle quali non se ne ha voglia e la natura recalcitra... E allora ci vuole un po’ di arte. Per quel giorno - ve l’ho detto altre volte - abbiate pronte due o tre meditazioni, e allora tirerete fuori quella di scorta. Tua mamma, quando non avevi voglia di mangiare, ti presentava qualcos’altro che ti stuzzicasse un po’ l’appetito. Perciò preparati qualche meditazione di riserva sul Padre nostro, per esempio: recitarlo bene e meditarci sopra; o sull’Ave Maria: una meditazione sulla Madonna; o sulle tue miserie, sui tuoi peccati, sulle grazie che il Signore ti ha dato. Perciò abbine di riserva due o tre, in modo che se una mattina non sei capace di ingranare con il libro, perché hai dormito poco o perché sei un po’ stanco, possa scegliere una di quelle. Però non tralasciare il contatto con Dio, non uscire da quella mezz’oretta senza avere mangiato il pane di Dio. Perché? Perché, altrimenti, diventerai tisico, morirai di inedia. La sostanza è questa: mettersi in contatto con il Signore e parlare con lui.

DIO rapporto personale

PREGHIERA meditazione, contemplazione

PECCATO mediocrità

PECCATO omissioni

Don Ottorino vuol dire che era sua abitudine dettare la meditazione anche più volte alla settimana. A questa espressione si ascolta, nel testo registrato, una risposta di don Guido Massignan che sottolinea la peculiarità della Casa dell’Immacolata... e allora don Ottorino riprende.

Tutto l’esempio è portato in stile scherzoso: la scelta di Marco Pinton, allievo all’epoca del 3° anno del corso liceale; l’invio in Cina; la modalità di richiesta; l’allusione al libro di Fric e Froc, scritto popolare e umoristico in dialetto veneto.

Don Pietro De Marchi raccontava spesso di quella circostanza in cui, attraversando in auto un incrocio, aveva investito un netturbino che con il suo triciclo passava in quel momento, scaraventando a terra il malcapitato e distruggendo completamente il suo mezzo di trasporto della spazzatura.

MI253,10 [20-12-1968]

10.«Una volta la settimana la meditazione sarà dettata dal Superiore stesso».
Aaaah! In questo allora io ho disubbidito fino ad oggi, perché è scritto “una volta alla settimana”. E allora si potrebbe fare un turno: una volta tu, don Guido, una volta io, e poi il padre spirituale, il maestro dei novizi... «Per la scelta dei testi di meditazione ogni religioso cerchi di consigliarsi con il proprio Superiore». Anche qui, riguardo al testo di meditazione, nessuno è libero di scegliersi quello che vuole e come vuole. Questa norma è fissata per tutte le nostre Comunità. Supponiamo che un domani, nella Comunità dove andrete, ci sia Marco come superiore. Mi sembra che tu, Marco, abbia detto che andrai in Cina a fondare una casa religiosa. Va bene! Quando sarai superiore e avrai con te don Pietro, Zeno, eccetera, loro dovranno dire: “Senta, signor superiore, mi scusi, mi compatisca, mi perdoni... Io avrei pensato di fare la meditazione su Fric e Froc. E allora tu dirai loro: “Beh, sì, per carità!”. Il testo di meditazione non sia scelto arbitrariamente. Non mi riferisco alla Casa dell’Immacolata, ma ve ne parlo un pochino anche a voi perché può esserci il pericolo che qualche volta si vada in cerca di un testo che non faccia far fatica, in modo che la meditazione si riduca quasi a una mezz’oretta di lettura spirituale. Meditazione è meditazione e non lettura spirituale, non lettura di un testo! Tu puoi prendere un testo semplice fin che vuoi, ma deve essere meditazione. Può capitare che una mattina tu debba leggere un po’ di più per ricavare il materiale da meditare, ma deve essere meditazione. Non trasformiamo la meditazione in lettura spirituale o studio. Si potrebbe anche cadere nel pericolo di dire: “Mi servo di quel testo perché così me lo studio una mezz’oretta ogni mattina, mi faccio una mezz’oretta di studio”. So che qualcuno - l’ho conosciuto anch’io - ha continuato per qualche anno così, facendo mezz’ora di studio ogni mattina, senza accorgersene. Io ho dovuto dirgli: “Dal giorno in cui hai cominciato a fare così - non era un religioso della Casa dell’Immacolata - non hai mai fatto meditazione. Se non sei progredito nella vita spirituale è perché da due anni non fai meditazione. Finora hai fatto uno studio in cose che ti piacevano: cose buone e sante, ma da non farsi dentro il tempo della meditazione, ma fuori di esso”. Perché, altrimenti, sarebbe come se nel serbatoio della macchina si mettesse una doppia quantità di benzina e non si mettesse l’olio; è inutile mettere doppia quantità di benzina se non metti l’olio: ci vuole benzina e olio, e allora la macchina va avanti. Non è vero, don Pietro? Eh, se no, va a finire sulle ruote del carrettino di quell’altro!

CONGREGAZIONE Capitolo

CONGREGAZIONE Costituzioni

CONGREGAZIONE superiore generale

CONSACRAZIONE religioso

PREGHIERA meditazione, contemplazione

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

DOTI UMANE studio

ESEMPI meditazione

Don Ottorino accenna alla sua breve esperienza come cappellano nella parrocchia cittadina di Araceli, ricordando i parroci mons. Giuseppe Zaffonato e mons. Mario Milan, e i sacerdoti che all’epoca collaboravano nella parrocchia: mons. Carlo Fanton, prof. Mario Bolfe e mons. Federico Miotti.

MI253,11 [20-12-1968]

11.«Si recitino in comune le Lodi come preghiera del mattino. L’ora di adorazione settimanale sia fatta comunitariamente e possibilmente assieme al popolo».
Riguardo alle Lodi siamo già d’accordo e mi pare che si recitino e bene. Vi raccomando sempre di andare adagio nel dirle, e sforzatevi di seguirle più che è possibile con il pensiero e con il cuore. L’ora di adorazione, fatta «possibilmente» con il popolo, è una pratica che potrebbe fare tanto bene quando la farete nelle parrocchie. Dicendo queste cose non intendo fissare delle leggi, ma dare un consiglio - a prescindere un pochino da quello che è lo spirito della Congregazione - che può essere cambiato quanto si vuole. In famiglia queste cose si possono dire; non è vero? Mi pare che sarebbe utilissimo, un domani, fare l’ora di adorazione con il popolo e far capire al popolo che quell’ora di adorazione la facciamo proprio per il popolo, per pregare per esso, per le anime, per gli ammalati, per i loro bisogni; cioè dobbiamo far capire alla gente: “Nella nostra parrocchia c’è tanta gente che soffre, tanta gente che patisce, poveri che non hanno lavoro, tanti che hanno delle difficoltà, e voi pure durante la settimana avete tante difficoltà. Ecco, noi ogni settimana facciamo un’ora di adorazione proprio per voi: adoriamo il Signore e preghiamo proprio per voi. Se qualcuno di voi vuole unirsi in questa preghiera, la facciamo insieme”. Così hanno cominciato a dire a Crotone, quando i nostri confratelli si sono stabiliti colà, e mi pare che ogni giovedì, quando fanno l’ora di adorazione, abbiano la chiesetta piena di gente. In questo modo portiamo le anime ad adorare il Signore. È un suggerimento che vi do, ma potrebbe essere utile - non è vero, don Pietro? - che facciate l’ora di adorazione così anche dove andrete un domani. La gente capisce che non c’è niente di straordinario, che è una cerimonia intima. Vi dico questo perché, quando sono andato ad Araceli come cappellano, monsignor Zaffonato aveva lasciato questa bella tradizione: l’ora di adorazione settimanale per il popolo, per la gente, per la parrocchia. Vi partecipavano sempre cento, centocinquanta persone, e lui vi faceva sempre la sua predichetta. A lui è succeduto don Mario Milan, che ha continuato la tradizione. Quando non c’era don Mario Milan, c’era don Carlo Fanton - non so se lo avete mai sentito nominare - e anche lui faceva la predichetta, oppure il professor Bolfe o Miotti o il sottoscritto. Insomma, ci arrangiavamo, ma settimanalmente si teneva l’ora di adorazione e la gente veniva: erano uomini, impiegati, povera gente del popolo, che venivano ad adorare il Signore. Ora io penso che, quanto più facciamo le nostre pratiche comunitariamente, tanto più possiamo sviluppare il calore di Dio nella parrocchia. Andiamo!

EUCARISTIA adorazione

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