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IMITAZIONE DI GESÙ NELLA SEMPLICITÀ, UMILTÀ E PENITENZA

MO88[06-08-1966]

MO88,1[06-08-1966]

1."La nascita di Gesù è nel tempo stesso quella della nostra fede: noi crediamo in questo Bambino, Figlio di Dio e di Maria. Egli comincia a vivere, è qui, piccolo piccolo, nella debolezza e nella povertà che saranno anche la debolezza e la povertà della nostra fede".
Ripeto alcune righe che avevamo letto l'altra volta, tanto per rimetterci in tono. "La scienza e la fede si sono scontrate nel secolo scorso: fu la tentazione della ragione umana che rifiutava il mistero della Rivelazione". A noi insegnavano una volta che la filosofia ci portava alle soglie della teologia. Ci spiegavano, quando eravamo ragazzi, che la filosofia deve essere l'ancella della teologia. E riportavano un esempio, un paragone. Quando nei nostri paesi si fa un funerale - qualcuno che muore, ma abita lontano dalla chiesa - di solito è il cappellano che va a prendere il morto, e alle porte del paese, lì poco lontano, c'è il parroco con alcuni chierichetti che sta aspettando. Quando ci sono due o tre chilometri da fare, i parroci vecchiotti, di quarantacinque, cinquant'anni, no?.... e i cappellani giovanotti, invece, in bicicletta andavano, prendevano il morto, lo portavano lì, e, arrivati al punto di incontro tra cappellano e parroco, il cappellano si levava la stola, la consegnava al parroco, e andavano avanti insieme. E arrivati alla porta della chiesa entravano insieme, cantavano insieme, salivano l'altare insieme. Ma la stola la teneva il parroco. Ora, vedete, la filosofia, la scienza umana, è l'ancella, la serva della teologia e deve accompagnare fino alla soglia della teologia; ma poi la stola deve darla al parroco, cioè alla teologia. Però lei deve accompagnare la teologia; devono salire l'altare insieme. Ora, vedete, lo studio di Dio va fatto con fede. La ragione vi porta fino a un certo punto e dice: "Fino a qui arrivo io; adesso tocca alla fede, tocca alla Rivelazione". Adesso dobbiamo prendere in mano un libro, dove Dio mette quello che vuole da noi e dobbiamo credere a quello che ci dice Lui. Non può ad un dato momento il cappellano in chiesa, mentre il parroco sta cantando il prefazio, saltar fuori lui e cantare il 'miserere'. Il parroco canterà il prefazio e dirà 'per omnia saecula saeculorum' e il cappellano dirà 'amen'. Ma non salterà fuori a cantare qualcos'altro. Canterà casomai: 'Requiescant in pace' in fondo.... Perché ci vuole uno che domini, uno che diriga l'assemblea. Che dirige l'assemblea, ricordatevi, è la teologia, è la rivelazione, la fede, la fede....

MO88,2[06-08-1966]

2.I termini... Se invece al posto mio parlasse il nostro caro baccelliere, baccelliere là - cosa vuoi che sia? - don Matteo, forse parlerebbe molto meglio, con termini appropriati. Ma la sostanza xe questa, cari fioi. Xe vero, don Matteo? La sostanza xe questa: che dobbiamo usare della nostra ragione, della nostra scienza, della nostra filosofia per avvicinarci a Dio. Ma ricordatevi tutti voi che, ad un dato momento, devo dire: "Che cosa ha detto Dio? Che cosa ci ha rivelato il Signore? Che cosa domanda a noi?", e piegare la testa. Perché ricordatevi che c'è il 'mysterium'.
È inutile che discutiamo come che sono in tre ed è uno, chiaro? Le cose più grandi della nostra religione, cari, il Signore ce ne ha rivelata l'esistenza, ma non come è il mistero dell'Incarnazione, mistero che Lui Dio si è fatto uomo; resta vero Dio e vero uomo, una sola persona e due nature. Vogliamo discutere e dire fin che volete, però bisogna piegare le ginocchia e dire: "Tantum ergo sacramentum veneremur cernui". "Cernui". Il che vuol dire con la testa per terra'. Mistero della sofferenza, del valore della sofferenza. Cristo morto in croce. Ma pensate un momentino: la sofferenza che redime, la sofferenza che redime. Se fa presto dirlo, no? Dio Padre che vuole la felicità dei suoi figli... la sofferenza. Ci vuole la sofferenza per arrivare alla felicità. E poi il mistero dell'Eucarestia, la presenza di Lui. Gli occhi ti fanno vedere pane, gli occhi ti fanno vedere vino. Ma tu sai che veramente presente è Lui, Lui, corpo-sangue-anima-divinità: è presente Lui. Lo prendo in bocca: pane, "specie" di pane. Sostanza? Transustanziazione. In 'ste robe qua xe inutile la ragione, no? La ragione se cava el cappello, sta lì, non le capisce gnente, sta lì ferma.... Perciò: "La scienza e la fede si sono scontrate: fu la tentazione della ragione umana che rifiutava il mistero della Rivelazione. È di nuovo in nome della scienza che ci viene negato il diritto naturale di credere in Dio: la ragione, sicura di se stessa... La ghe dise al parroco: 'Ti non te capisci gnente, la stola la porto mi, canto mejo de ti' - si oppone alla sapienza del Signore...". Pressappoco la dixe così, no?: "Voialtri non capì gnente, veci preti, non capì gnente. Per esempio, mons. Ciffo, cosa vuto che el capisa quel vecio prete, là?; è nato ancora un secolo fa. Non capisce gnente, via la stola. Dàmela a mi, canto mi.".

MO88,3[06-08-1966]

3."Questa è la sapienza di un bambino, d'un piccolo bambino, o d'un uomo ferito a morte su di uno strumento di supplizio. La natività e la morte: i misteri che sono ai due estremi della nostra vita e di quella di ogni uomo. L'uomo di domani, quello che oggi è il tecnico di una nuova civiltà, sarebbe forse incapace di inginocchiarsi davanti a questo piccolo bambino, nato per noi, per adorarlo come un Dio?".
Eppure vennero i pastori, si inginocchiarono, lo adorarono. Vennero i Magi, si inginocchiarono, lo adorarono. La Madonna adora il suo figlio. "In fondo la grande resistenza dell'uomo viene dall'orgoglio dello spirito, da quella specie di fierezza dell'adulto che non ammette di essere capace di debolezza". Miei cari, San Giovanni Bosco dixeva che la rovina della gente xe tre dii qua in sima. Troppa superbia, figlioli, troppa superbia. Testa bassa davanti a Dio. Crediamo troppo di 'essere'. Avete visto ieri, quello che si chiamava Bepi, no?, che uscite che el gaveva. "Bo... bo... bà...". A ghe ridivimo drìo, noialtri, no? El vigneva fora con certi strambotti e lu credeva che i fusse sicuri, no? Certi nomi sbagliati, certi nessi e connessi che non i ghe stava gnaca dentro qua in mezzo alle montagne; certe stupidaggini messe insieme. Cosa credìo di spiegare, anche i più grandi dottori, i più grandi professori? Dinanzi a Dio semo manco de Bepi, cari. Anche la scienza stessa... quante volte che... ogni tanto: "Oh, varda ciò. i ga scoperto... i ga trovà.". "Semo, diceva quel tale, dei granelli di sabbia in riva al mare che litigano tra loro per dimostrare che sono più grandi l'uno dell'altro". Siamo dei granellini di sabbia. Guardate in cima, dall'aereo, e provate a guardare in giù, guardate se ce n'è uno più grande o uno più piccolo: neanche se ghe xe 'na piera alta mezzo metro no te vedi se la xe più grande di un granello di sabbia. Eppure noi siamo sulla terra come dei granellini di sabbia che ci vantiamo di essere qualcosa più di un altro. Quanto piccini che siamo. Come non siamo capaci di guardare la grandezza di Dio. Come facciamo questo, diciamo questo, ci mettiamo sul..., ci pavoneggiamo. A me fa compassione qualche volta qualcuno che spiffera sentenze: Paf.... "Jesus autem tacebat.... Interrogava e ascoltava". Questo buttar sentenze, buttar parole: "Ma bisognerebbe... ma, è così... ma, è colà...". Ma taciamo, taciamo. Siamo povere creature dinanzi a Dio.

MO88,4[06-08-1966]

4.Quando cominciamo a spifferare sentenze è perché non capiamo Chi ci è presente. Se pensassimo Chi è presente... Per esempio, uno che si trovasse dinanzi al suo professore di francese, penso che non avrebbe mica il coraggio di parlare tanto di francese, di spifferare, perché sa che l'altro gli può fare osservazione, no? Bepi, sì, parlerà di "Rosa, rosarum" con so mamma e so papà, e "rosibus", e sua mamma e suo papà i gera commossi...
Ora tante volte noi buttiamo frasi, sputiamo sentenze. Perché? Perché vogliamo farci grandi, pensando che gli altri siano tutti ignoranti. Ebbene, voltiamoci indietro un pochino, che c'è Lui, Dio, che forse non l'è mia ignorante come noialtri.... Non stiamo a guardare solo da una parte. Supponiamo pure che tutti quelli ai quali noi parliamo siano della povera gente. Noi possiamo farci bravi perché sappiamo qualche cosa. Ma pensiamo a Lui, che è lì vicino. Pensiamo a quello che ga messo 'el manego alle siarese', no? E allora vedremo che sarà facile per noi abbassare il nostro orgoglio, la nostra aria. Sentirsi al nostro posto, cioè piccoli, piccoli. Grandi per la grazia, per la vocazione, per i doni che Lui ci dà, ma piccoli, piccoli per il resto. Specialmente conosciamo i nostri limiti, le nostre miserie, le nostre mancanze, le nostre mancanze di volontà... eh lì, figlioli, specialmente la mancanza di spirito di sacrificio, di amore. State attenti, figlioli, perché guardate, ve l'ho detto in altre circostanze: se uno commette peccati impuri, sente di far male; se uno è ubriaco di orgoglio, non sente di far male. Cioè noi ci accorgiamo se manchiamo contro la purezza, per lo meno a un dato momento ci svegliamo e diciamo: qua siamo fuori dalla strada. Guardate che chi è superbo - non qualcuno che ha un colpo di superbia o un colpo di nervi -, quella superbia che è la più tremenda, vorrei dire la sopraffina, quella entra, o meglio c'è già in noi, si sviluppa in noi e noi siamo convinti di essere a posto. Ed è una malattia tremendamente peggiore di quella del peccato impuro. Perché, uno dal peccato impuro si può rialzare, uno da qui è difficile che si rialzi. E stiamo attenti, perché tutti siamo pieni di orgoglio. "Siamo deboli, molto deboli, e piccoli davanti a Dio e davanti al nostro destino eterno".

MO88,5[06-08-1966]

5.Figlioli state attenti che "L'imitazione di Cristo" è ancora valida, specialmente per quel che riguarda la lotta contro noi stessi. Noi dobbiamo domani camminare un mondo moderno, del duemila, presentarci in aereo, presentarci come volete. Però resta valido che dobbiamo essere dei 'carmeli ambulanti', cioè prima dobbiamo realizzare la nostra unione con Dio e la morte di noi stessi.
Non dimentichiamoci che la Madonna a Lourdes ha chiesto a Bernardetta di andare a bere e a mangiare là, e ha fatto compiere a Bernardetta quell'atto di umiltà di mangiare quell'erba, di bere quell'acqua sporca e di lavarsi. È vero che bisognerebbe dire alla Madonna che bisogna aggiornarsi: là in Paradiso non capiscono niente..... Figlioli, state attenti che a Fatima, e siamo nel secolo attuale, la Madonna ha chiesto qualcosa di simile ai tre pastorelli: penitenza, penitenza. Ora, guardate che la parola 'penitenza' non si può dorare. Non si può mettere una crocetta d'oro al petto e dire: "Ecco, io faccio la mia penitenza, porto una croce d'oro al petto". Penitenza è parola dura, penitenza è abbassare la propria fronte dinanzi a Dio e riconoscere che Lui è Dio e noi siamo peccatori. Ecco la sostanza della prima penitenza. L'essenza della penitenza è questa: "Io riconosco, Signore, che Tu sei il mio Dio, io riconosco che Ti ho offeso e mi prostro dinanzi a Te e domando perdono con la fronte a terra". Baciare la terra varrebbe niente se non ci fosse questo atteggiamento intimo e spirituale dinanzi a Dio. Questo atteggiamento interiore di penitenza, di accettazione da parte del Signore di qualunque cosa pur di poter pagare i nostri peccati. Questo deve essere un 'habitus', signori. Altrimenti non siamo capaci, non potremo essere capaci di capire le cose di Dio. Le cose di Dio le capiremo soltanto quando saremo vestiti con un abito viola penitenziale. Ricordatevi, nella vita apostolica dovrete sempre essere vestiti con un abito penitenziale.

MO88,6[06-08-1966]

6.Il santo di cui oggi noi celebriamo la festa, il santo curato d'Ars, ci parla chiaramente: aveva pochi talenti lui, però li ha messi a disposizione di Dio, totalmente. Ma per salvare le anime gli è occorso qualcosa d'altro: la penitenza. E lui l'ha fatta e ha salvato.
Ora, ognuno di noi deve mettere a disposizione di Dio quello che ha ricevuto da Dio: due, tre, dieci, venti talenti, tutto, completamente. Però, ricordatevi, deve portare l'abito penitenziale; un apostolo deve portare sempre l'abito penitenziale. Un sacerdote, un religioso, è impossibile che possa fare del bene in mezzo alle anime se non è vestito di abito penitenziale. Ma non soltanto in Quaresima e Avvento, sempre. "Quotidie, quotidie". Gesù ha cominciato la sua predicazione, e penso che non sia sorpassato questo modo di agire, dopo quaranta giorni di digiuno, quaranta giorni di penitenza. E se noi guardiamo nel Vangelo le penitenze di Gesù, noi troveremo, troveremo spesso segnato questo. E ne faceva fare penitenza, anche ai suoi apostoli, sapete. Li faceva camminare i dodici Apostoli, là, qualche grano di frumento preso là per mangiare... non aveva la carne in scatola, e neanche le frutte sciroppate, e neanche il dolce, il vino... acqua e quello che trovava per strada... e camminare a piedi.... Non per andare in cima al Lozze, o che so io, ma per andare a "evangelizare pauperibus". Questa era la vita. Quando ha chiamato i suoi: "Vieni e seguimi". Dove? Al campeggio? No, a evangelizzare i poveri. Il noviziato non l'ha fatto in una villa prefabbricata; l'ha fatto fare ai suoi camminando, là nella Palestina, con quel caldo che c'è. Figlioli miei, guardate che se oggi il Signore ci chiama qui, in un posto bello e sereno (anche se c'è un po' d'acqua notturna, vero?), se ci chiama qui per prepararci all'apostolato, guardate però che ci chiama ad essere come Lui. Lui è venuto, e non aveva fatto peccati, ed è venuto per salvarci e ha accettato la sofferenza come veste e ha fatto penitenze volontarie anche, per noi. E quando quei benedetti apostoli ai piedi del Tabor hanno fatto fiasco con quel miracolo famoso, no?, e poi si sono un po' lamentati con Lui per il fiasco fatto, Lui ha detto chiaro: "Questo genere di demoni si scaccia solo con il digiuno e la preghiera, con la penitenza e la preghiera". Guardate che il demonio ha più paura di un'anima penitente che di un'anima... chiaccherante.... Continuiamo.

MO88,7[06-08-1966]

7."Ci rivestiamo di un'apparenza di forza e di potenza solo se limitiamo l'orizzonte della vita ai confini terreni".
Guardate che è facile, sapete, ve lo dico, è facile che a un dato momento noi, anche nell'apostolato, se non siamo pieni di spirito di mortificazione, di unione con Gesù... Per conto mio è impossibile essere uniti a Gesù e imitare Gesù se non amiamo il sacrificio per amore di Gesù. E le nostre mamme ci hanno insegnato ad amare Gesù facendo 'fioretti'. È chiaro? Soltanto così. Altrimenti è facile che noi ci limitiamo un po' a una Chiesa così... organizzata, fatta, a un qualche cosa di esterno. Guardate che è facile, sapete, fare in modo che divenga qualche cosa di esterno. Mi pare che il Papa ha parlato chiaro. Avete sentito cosa diceva mons. Ciffo: "Siamo chiamati ad insegnare alla gente a far penitenza, a pregare, figlioli.". E così a inserirsi nella grande comunità che deve continuare per tutta l'eternità poi in Paradiso. "Abbiamo coscienza di poter possedere il dominio della terra. Gesù Bambino è re nella sua debolezza umana, ma la sua potenza non s'accorda con questo modo terreno di possedere. La nostra tentazione non è forse vicina a quella che sfiorò il desiderio generoso del Cristo nel momento in cui lo Spirito del mondo, durante il suo ritiro nel deserto, gli mostrò la possibilità di fondare il suo regno spirituale col mezzo efficace di un regno terreno sui popoli dell'universo?". "Guarda, se tu ti inginocchi dinanzi a me, io ti darò tutto, no?...": ecco la tentazione... in altri modi, non attraverso la penitenza, non attraverso la morte. Poi: "Anche tu fonderai questo regno facendo miracoli, cose portentose; buttati giù. Comincia a far qualcosa di straordinario.".

MO88,8[06-08-1966]

8.No, no, no. Ci sono due modi per salvare il mondo: uno per salvarlo, l'altro per rovinarlo. Uno cominciando nella tua parrocchia a far quello che fanno i Piccoli Fratelli: inginocchiarsi davanti al Tabernacolo e far penitenza, e dopo predicare. L'altro mettendoti là, impiantando una tipografia nella tua parrocchia, incominciando foglietti e circolari e discorsi, eccetera. E tutta la notte a scrivere, studiare, studiare, scrivere, copiare pezzi di giornale qua e là, riempire la parrocchia di carta... per i gabinetti. Non escludiamo quel lavoro, ma soltanto se quelle cose sono scritte col tuo sangue. Allora quelle cose non vanno a finire nel gabinetto. Punto e a capo.
"Io ti darò questa potenza, perché a me è stata data e io la do a chi voglio...". E la dà il Signore, questa potenza, a chi segue Lui, completamente, sulla sua strada. Ma completamente, non una parte solo di Lui. "Ma v'è una condizione, e questa condizione Gesù non la può accettare. Neppure noi. La nascita di Gesù, piccolo essere tra le braccia della madre, avvenuta nella misera banalità d'un viaggio in mezzo a una folla in spostamento per ragioni amministrative: questo avvenimento significa che ormai nessun uomo potrà credere in Dio senza che la sua mente e il suo cuore trovino, sulla strada della fede, un bimbo chiamato Gesù. 'Chi mi ha veduto, ha veduto il Padre'. L'intelligenza dell'uomo, troppo razionale, cercherà di evitare questo bambino, e il suo cuore troppo fiero tenderà a ritirarsi da Lui. È ben difficile amare un bambino piccolo, e d'altronde, a che servirebbe ciò ad un mondo in cammino? Spesso si è rimproverato ai cristiani ferventi e ai religiosi una specie di infantilismo della mente e della sensibilità. La nostra generazione ha in orrore questo atteggiamento, ed ha ragione: ma invece di sforzarsi di trovare la strada giusta, ardua, stretta, impegnativa verso l'intero mistero cristiano, nella lealtà dell'umiltà davanti a Dio, si vuol razionalizzare l'atteggiamento religioso. La vera perfezione di un cristiano non è cosa facile da definire: essa è un mistero sempre incompiuto, di cui solo il cuore di Cristo ha posseduto la pienezza. Certamente, dobbiamo essere uomini adulti, dal cuore forte, dall'intelligenza lucida largamente aperta sui problemi del mondo; ma dobbiamo anche avere l'intelligenza aperta sul mistero di Dio e conservare un cuore dilatato dalla croce e preparato da essa a rispondere ad un amore incomprensibile. Come conciliare tutto ciò? 'O Gesù, voi eravate veramente un operaio, ma eravate un operaio come gli altri?'...".

MO88,9[06-08-1966]

9.Ecco, scusate se ho ripetuto quello che abbiamo detto l'atra mattina, ma l'ho ripetuto per me, non per voi. Credo che sia necessario che queste cose le meditiamo dinanzi al Signore, ma più di una volta. Che ci mettiamo lì e che diciamo prima di tutto: "Signore, quello che io ho è tuo, intelligenza, volontà, cuore, tutto è tuo, Signore. Di mio c'è una cosa sola: quel peccato che ho fatto quella volta". Anche fosse un peccato veniale solo, piangiamolo dinanzi al Signore.
E concludo. Finché, finché non vi renderete conto di che cosa... o meglio, scusate, ripeto, finché non ci renderemo conto di che cosa abbiamo fatto quel giorno che abbiamo commesso anche un peccato veniale solo e non ci sentiamo straziare il cuore e non piangiamo, ma proprio quasi, proprio disperatamente - ma di una disperazione sana, buona - per questo nostro sbaglio commesso, ricordatevi che non possiamo cominciare la santità. Quel giorno che noi capiremo chi è Dio e che cosa abbiamo fatto noi, anche con un solo peccato veniale, allora ci prostreremo dinanzi a Lui e quel giorno saremo a disposizione di Lui e consumeremo tutta la nostra vita per riparare quel peccato. E qualunque cosa ci venga di dolore, ringrazieremo il Signore, perché ci dà la possibilità di pagare il nostro peccato. Vedete, fratelli miei, quello che noi forse non conosciamo abbastanza o non valutiamo abbastanza è questo: chi è Dio e che cosa è il peccato. E allora, facciamo un peccato..., andiamo a confessarci: "Ho sbagliato". E Lui dice: "Beh, ego te absolvo". Troppo facile abbiamo trovato il perdono, e avendo trovato facile il perdono, perché la bontà del Signore ce lo ha dato, non consideriamo chi siamo noi e quanto disgraziati siamo noi quando abbiamo offeso Lui. Ecco perché siamo orgogliosi. Chi ha le mani macchiate di sangue perché ha ammazzato un figlio in una casa, non entra spavaldo in quella casa, capite?, non entra spavaldo nella casa. Per esempio, in casa, prendiamo, di Ferrari... io ho ammazzato un suo fratello; poi vado là, come...., mi metto là... No. Io vado là con il cappello in mano, con la testa bassa quando vado in casa sua. Perché, anche se mi hanno perdonato, riconosco che sono stato cattivo verso di loro. Questo è l'atteggiamento di umiltà, penitenziale, che noi dobbiamo avere al cospetto del Signore. Perché? Perché abbiamo attentato a uno di casa. E forse ucciso col peccato mortale uno di casa. E questo uno di casa è la seconda Persona, è Dio stesso. Figlioli, ho finito. 9 agosto 1966