1. Questa mattina la nostra meditazione sarà tratta da questo romanzo giallo, cenere quanto meno, brossurato a San Gaetano, mi pare, no? Mi è stato donato, questo libretto, da monsignor... Botek dice là il nostro caro don Zeno.È un libretto che raccoglie alcune testimonianze della “Chiesa del silenzio” in Cecoslovacchia. Ha detto lui che potrebbe essere "acta martirum", ma è appena un pochino di quel che si può dire. "Siamo troppo vicini e le persone sono ancora vive e non si può parlare. Ma un pochino abbiamo raccolto, ma proprio un pochino, pochino", ha detto. Ne hanno stampato tremila copie un po' sottobanco, un pochino, no, e ne hanno dato una copia al Santo Padre. Quando il Santo Padre l'ha letta, ha fatto le lacrime e poi l'ha consegnata al Segretario di Stato; dopo un pochino l'ha ricercata e non è stato più capace di trovarla, perché se la sono passata l'un l'altro così. E allora ha telefonato lì pregando: "Datemene un'altra copia, che ho piacere di averla".
MO318,2 [26-08-1970]
2. Ora, qui sono raccontate alcune cose che, certamente, se le leggiamo come un romanzo sono un romanzo, ma se ci mettiamo al posto dei nostri fratelli che sono là e cominciamo a capire cosa vuol dire stare in prigione per due anni... Perché sa, in poche parole, quel monsignore che è venuto qui ha detto: "Sono stato in prigione per due anni". Va ben! Si fa presto a dire: "Sono stato in prigione due anni". Provate andare in prigione due anni, provate aspettare che vengano a prendervi in casa, eccetera... vi trattino, facciano processo, eccetera. Siamo troppo abituati a leggere le cose e a non viverle le cose. Bisogna mettersi al posto di chi le ha sofferte.E in questo momento che noi ci troviamo qui con tanta libertà, insomma, per la parte religiosa, noi sappiamo che ci sono dei fratelli che non possono fare quello che facciamo noi.E allora sarebbe proprio il caso di ripetere a noi quello che è stato detto in quel bel libro "Fabiola" quando, una notte, si è incontrato San Pancrazio e San Sebastiano, e si sentiva là un certo rumoretto dei leoni. E insomma, a un dato momento Pancrazio, stanco, ha detto: "Senti, Sebastiano, ma quanto durerà questa cosa... questa persecuzione?", eccetera, così. E allora Sebastiano ha detto: "Sì, verrà tempo che ci sarà la libertà. Ma quelli che ci saranno dopo saranno degni, sapranno usarla quella libertà? Saranno degni di questa libertà?".Ecco, io vorrei proprio, leggendo adesso qui alcune righe soltanto, facessimo un po' il confronto tra i nostri fratelli e noi, e vedere un po' se loro stanno facendo la loro parte e noi se stiamo facendo la nostra parte.Qui parla di un caso."Anche se il sentiero di quelli che si erano totalmente consacrati a Dio seguendo i consigli evangelici diventava sempre più arduo e pieno di spine, tuttavia non doveva venir meno il coraggio nei giovani che lo affrontavano".Ora, uno si fa religioso qui da noi, non ha da affrontare pericoli di essere messo in carcere o di essere bastonato. Però, c'è un altro pericolo da noi. Lo vedremo..."Così Vera M.... - è un nome, vero, tanto per... - ancor prima di finire gli studi di medicina, aveva deciso di consacrare la vita a Dio nel servizio sanitario. Non solo il padre, ma anche la madre, cattolica praticante, volevano dissuaderla da questa decisione. 'Se fossero altri tempi - ammoniva la madre - volentieri ti darei il mio consenso; ma adesso, mentre vogliono chiudere i monasteri, l'avvenire sarà duro per una ragazza'. Vera, però, era persuasa che quello che sentiva nell'anima non poteva essere che la chiamata divina. Non si trattava della fuga dalla vita, né di una delusione, né di spirito di avventura, né di qualsiasi vantaggio che avrebbe potuto influire sulla sua decisione. Vi era soltanto il desiderio di donarsi al suo Ideale. Proprio quando non offriva nessun vantaggio, nessuna garanzia; appunto quando i meno coraggiosi avrebbero potuto titubare o addirittura disertare".Guardate che è forte questo. È qui dove vogliamo fermare un po' la nostra meditazione. Questa creatura, questa laureata in medicina, eccetera, si offre in un momento in cui l'offrirsi voleva dire pericolo anche della vita. Ma si offre al suo ideale. Ha un ideale davanti: il divino maestro, la consacrazione totale al divino maestro, servire i fratelli, cioè servire Gesù nei fratelli.Ora, vedete, mi pare, che qualche cosa di simile ci sia anche in noi: non so se sia più difficile per i nostri fratelli oltre cortina offrirsi al Signore o sia più difficile per noi. In quanto che questa creatura, prendiamo questa, per offrirsi al Signore sa che deve offrirsi a un ideale e resistere a qualsiasi cosa: "Parata ad omnia". È chiaro?
MO318,3 [26-08-1970]
3. Ora, vedete, quando Zeno - prendiamo uno dei più anziani qui dentro, no più veci, vero! - ha abbandonato il mondo per venire qui tra noi, ha dovuto fare qualche cosa del genere. Ha dovuto dire: "Io lascio una certa posizione, una certa strada nel mondo, che insomma mi offre certe possibilità, una certa garanzia. Non è che io sia un fallito, abbandono il mondo perché “fodere non valeo, mendicare erubesco, scio quid faciam”, me fasso frate”. Giusto, no? No! “Ho una posizione, la lascio per un ideale, per un ideale".Però, ecco, guardate che quel giorno che questa benedetta creatura lascia il mondo per un ideale, si mette nettamente in una posizione di contrasto con tutto quello che è il mondo comunista, ed è oggetto, chiaramente oggetto di persecuzione. Non c'è niente da fare! Lo sa già a cosa che va incontro.Ora, vedete, oggi noi quando che abbandoniamo il mondo, che può essere il seminario di Padova... no, il mondo di Padova, o il paese, può essere quello che vuoi... per darsi a Cristo, per darsi a Cristo, noi entriamo in una Famiglia religiosa dove che ci deve essere lo stesso taglio netto, proprio deciso, per una donazione totale ad un ideale. Il pericolo è che qui, qui nel mondo dove siamo noi, si finisca per essere, là, mettiamo, comunisti e religiosi. Là sarebbe inconcepibile essere comunista e religioso, no, comunista e religioso; qui invece si può essere... fare ancora, vero, il ponte fra quello che si era e quello che si è. E cioè alleggerire un po' la nostra offerta, diminuire il fuoco del nostro ideale, diminuirlo un pochino, stando con un piede di qua e un piede di là.Un taglio netto con il mondo, con tutto quello che sa di mondo, con tutto quello che è attrattiva di mondo, noi lo dobbiamo avere, per forza, altrimenti non siamo religiosi. Se non c'è un ideale al quale ci siamo donati interamente, pure vivendo poi in mezzo un pochino a quello che sono le cose del mondo, cioè usando le cose del mondo...Vedete, noi ci troviamo adesso qui, abbiamo... in un Istituto dove non c'è la miseria, dove non c'è... abbiamo la possibilità di usare la macchina, la possibilità di usare i mezzi moderni, eccetera. Però, la nostra donazione deve essere in forma totalitaria all'ideale; quelle cose devono soltanto essere un mezzo, ma proprio un mezzo. E qui c'è il pericolo enorme, il pericolo enorme che si voglia star seduti su due sedie. Mettere sa... una mano di qua e una mano di là, un piede di qua e un piede di là. E io proprio vi dico: state attenti, che per noi c'è un pericolo enorme, un pericolo enorme. Noi possiamo a un dato momento credere di essere religiosi, credere di aver offerto noi stessi al Signore, credere di aver dato tutto al Signore, e invece ci siamo dati proprio molto e molto poco al Signore.Ora questo ideale che spinge oggi queste creature che sono in luogo di persecuzione, guardate che deve essere, e deve essere un ideale molto forte, perché altrimenti non è capace, non è sufficiente per portare avanti queste creature, per dar loro la forza di sostenere la persecuzione. Guardate che è necessario, vorrei dire ancora più forte per noi, perché non siamo stimolati dai persecutori. Guardate che a un dato momento noi possiamo diventare degli uomini peggio degli altri, perché almeno uno si è formato una famiglia, ha un ideale familiare, ha un ideale almeno di un benessere familiare e... mentre noi finiamo per essere degli eterni scapoli non consacrati a nessuno.Ecco, io adesso dopo aver aperto il tema cederei la parola al nostro carissimo padre Ugo che adesso ha detto che parla in italiano da sta mattina, o in dialetto, no, e continua un pochino la conversazione su questo tema e dice le sue impressioni.A te, padre Ugo.
MO318,4 [26-08-1970]
4.Don UGO CALDINI: “No, no “ex cathedra”! Mi piace solo essere un buon compagno, per carità... Così possono parlare anche gli altri, no, se per caso qualcuno ha da aggiungere qualcosa... Però, per parlare in italiano... tentiamo, perché bisogna allenarsi.Quello che dice don Ottorino io l'ho visto con i miei occhi in più di uno, lì, in Guatemala. Non parlo dei miei confratelli, ma di religiosi che, magari, si sono stancati. Perché in quell'ambiente dove siamo noi, siamo messi a prova da un mondo pagano, che non apprezza per niente né il voto di castità, né tanto meno quello di obbedienza. Forse perché continuamente tentate di fare l'altalena tra Dio e il diavolo, ma si vedono persone sempre indecise, mai contente, insicure, anche umanamente parlando. Si vede in loro che risultato dà non essere totalmente decisi di darsi al Signore. È gente che sembra non aver capito che le difficoltà della vita ci sono dappertutto. Anche nella nostra Comunità, dove qualche volta nascono dei piccoli problemi, vedo che, grazie a Dio, sia perché siamo giovani e ci mettiamo tutti alla pari, sia perché nessuno di noi fa l'uomo delle risoluzioni, le difficoltà si possono superare. Però qualche volta queste difficoltà sorgono proprio perché uno non è pronto e preparato a portare il peso della sua consacrazione, e vorrebbe avere dei conti aperti con gli altri. E allora cominciano i guai che finiscono in fretta, però resta vero che cominciano.Se invece ci siamo dati al Signore io penso che dobbiamo, almeno... Non dico che qui c'è un santo che vi parla e quindi aprite occhi e orecchi, però, sì, con la coscienza di ciò che significa, pur nei limiti delle nostre debolezze... il nostro ideale non credo sia impossibile. Il che significa avere coscienza chiara che Dio ci ha chiamati, nel posto dove siamo, a portare i pesi, se ci sono pesi da portare, e anche a godere quando c'è da godere, della fraternità. E quindi non bisogna mai tirarsi indietro con il Signore, dicendo: "Sì, Signore, vorrei, però...". O come diceva un padre venuto lì da noi dagli Stati Uniti: "Questo vescovo mi ha dato una parrocchia che non mi piace, e io vado a cercare un altro vescovo". Il che è cercare la sedia comoda. Poi succede che anche la sedia comoda ammacca, perché è una sedia e ha i suoi difetti. Quindi, sapere che uno, quando si è dato al Signore, non deve fare un passo indietro, in qualunque situazione si trovi.E poi, se uno ha una statura di uomo, come dicevo ieri sera ai diaconandi, certe piccole difficoltà si risolvono a tu per tu, non alle spalle. E allora si minimizzano, perché il problema di cui si è parlato, è un problema anche risolto. Ma anche se non si risolvesse, il dire a un altro: "Ci sono certe braci tra me e te, coperte dalla cenere, e il vento ogni tanto le scopre..." sarebbe scaricare sugli altri dei disagi che, in fondo, sono solo personali. Non devo affrontare il problema della vita religiosa, che è un problema da risolvere tra me e Dio, incolpando gli altri, siano superiori o situazioni che non piacciono o che so io. Non c'è nessuna scusa per dire: "Sono un fallito per colpa di fattori esterni a me". Non possiamo dire: "Io non ho potuto realizzare la mia vita di religioso perché ho trovato ostacoli dappertutto e a un certo momento non ce l'ho più fatta". Gesù Cristo ha trovato l'ostacolo maggiore in una croce ed ha avuto paura anche lui, ha tremato ed è andato avanti.Quindi direi: non abbiate paura delle difficoltà, quanto piuttosto di questo traballare, di questo mettere sempre di nuovo in discussione se si è fatto bene o no a consacrarsi a Dio nei momenti in cui si trovano nella vita religiosa problemi, difficoltà, ostacoli. Consacrarsi a Dio significa anche superare gli ostacoli da consacrati, senza rimpianti e senza dirsi di continuo: "Ma guarda che guai mi capitano! Chissà cosa avrei potuto fare da qualche altra parte...". Perché con questo si è già fatto una discussione con il Signore, come dire: "Signore, mi sono consacrato a te, però speravo che anche tu comprendessi il mio sacrificio e mi ricompensassi un poco. Invece anche tu mi metti pali tra le ruote, e se continui così, guarda che mi stanco". E mi pare che dire questo al Signore sia piuttosto ingrato.Non so, ma... ho espresso il pensiero...”.Molto bene!Chi è che vuol dire una parola? Zeno?
MO318,5 [26-08-1970]
5.Don ZENO DANIELE: “Pensavo... ne parlavo ieri anche a don Ugo, a quel monsignor Botek che abbiamo avvicinato l'altro giorno, e al fratel Vito che era con lui. Mi son domandato anche l'altra sera, dopo una conversazione piuttosto lunga con loro in refettorio: se noi avessimo passato la prova che hanno passato loro, saremmo ancora così pieni di entusiasmo per questa attività che loro stanno svolgendo, per esempio, di introdurre con tanta pazienza libri religiosi nella loro terra, dopo vent’anni e più, anche quel monsignore lì, che sono fuori?Io penso che, senz'altro, lì c'è alla base il sacrificio: si vede ancora l'impronta dell'uomo, di un uomo che ha affrontato il sacrificio... credo da sempre... che è impastato di sacrificio, di spirito di sacrificio, e anche di una vera preparazione...”.Umanamente parlando... un fallito quasi, perché era a capo dell'Azione Cattolica regionale. Era un uomo così... Scapà via a nuoto attraverso il fiume, vero, dozento metri de... e via, là... Umanamente parlando sembrerebbe un fallito, ma pure lui continua. Può dare cinque? Dà cinque...Don ZENO DANIELE: “Anche quel fratello lì, un fratello laico della congregazione del Verbo Divino... Le loro Comunità sono state sciolte... Non possono trovarsi più di due... Lui ha dovuto imparare un mestiere: poteva fermarsi lì a esercitare una professione, invece ha preferito aggregarsi alla Comunità di Vienna, dell'Austria... e da Vienna l'hanno chiamato qui perché può essere di aiuto... Continua ad essere religioso - lo diceva anche monsignore - con lo spirito della sua Congregazione... L'abbiamo visto anche qui, in questi giorni, con la sua corona in mano, che pregava... Gente che ha sofferto veramente. Perché, così tra le parole, veniva fuori che sono stati scovati di notte nei loro Istituti, sono stati incarcerati, sono stai processati... hanno passato dei momenti... E continuano una attività apostolica così intensa, così impegnativa... dove c'è bisogno anche di entusiasmo...Mi pare che c'è da domandarsi come han potuto sostenere una prova così... Penso perché è gente - e si vede anche a vista d'occhio - che è formata nel sacrificio... gente semplice, ma soda...”.C’è qualcuno che ha lo Spirito Santo? Matteo, me pare... Dai, don Matteo. Bepi, ti che te vien dall’ospedale... Don Girolamo?Don GIROLAMO VENCO: “Io penso che in certi momenti della nostra vita noi avremmo, forse, energia e volontà di fare queste azioni, per così dire, eroiche, ma credo che il pericolo più grave sia quello che ci ha insegnato don Ugo: là c'è gente che non apprezza, per esempio, la castità, e non l'apprezza perché... Qui noi abbiamo altre cose, mi pare, che continuamente ci sollecitano, direi che ci mantengono continuamente... Non so, ma penso sia quel certo benessere che c'è dappertutto, e quindi anche per noi ci sia la tentazione di adeguarsi al benessere degli altri, quindi di avere tutto quanto, e di arrivare proprio al contrario della consacrazione. Il pericolo nostro è di essere continuamente, in ogni momento, martellati da questa tentazione. Forse meno dalla tentazione dell'obbedienza, ma più da questa tentazione di essere come gli altri, sia nel vestito, sia nel modo di ragionare, sia nel modo di usare le cose che ci fanno poi diventare insensibili alle cose di Dio”.Direi quasi, don Girolamo, che qualche volta, c'è questo pericolo: di crederci non preparati all'apostolato perché non si è provato tutto quello che è del mondo. Cosa ti pare?Don GIROLAMO VENCO: “A me ha fatto impressione un benzinaio di Milano, tornando dall'aeroporto, che mi diceva: “Ma io incomincerò ad andare in chiesa quando voi sarete sposati, perché allora mi capirete veramente...”. "Dovrei, allora, andare in prigione, come sei andato tu, per capire i carcerati, capire quella situazione?". Cioè, c'è il pericolo, alle volte, che noi crediamo giustamente che dobbiamo provare tutto quanto quello che provano gli altri”.Invece dovremmo noi far provare agli altri quello che proviamo noi. È chiaro? Noi dobbiamo provare la gioia di una vita consacrata, di una vita offerta interamente al Cristo, vissuta proprio per i fratelli; e far provare agli altri la gioia di vivere da buoni cristiani, di vivere da buoni papà, da buoni figli, da buoni sposi, da buone spose, eccetera. Chiaro? Non occorre mica... Cioè dobbiamo avere la causa della nostra gioia, e dobbiamo passarla a loro.Cosa volevi dire, Ugo? Mi pare che Ugo voleva dire una parola. Dilla forte perché don Zeno è sordo.UGO GANDELLI: “... sforzarci nella preghiera... trovare momenti... di contatto col Signore... unirsi a lui e chiedere questa grazia... La preghiera è sempre mezzo necessario...”.Daniele, cos'è che avevi? C'è qualcuno che... non ha il coraggio di parlare? Giorgio, dai, no, se avete anche da protestare...
MO318,6 [26-08-1970]
6 Ieri sera, lezendo il famoso libro, se vegnù fora che el Signore... Un certo romanzo giallo, vero! Il Signore andava verso el mare, el ga deciso de andar verso el mare; gli altri ga dito: "Ah! Giovanni sarà contento perché el so mare...". Lu se la godeva attraverso el mare... ammirare el mare, e dal mare el vegneva fora con dei pensieri un po' spirituali, no? El dixe: "Adesso Giovanni el sarà tutto felice - el ga dito - de andare verso el so mare. Perché là, vardando lu el mare el pensava alle anime, el pensava...". E San Piero... E tutti i ga dito così. E allora San Pietro el ga ciapà a brassetto Giovanni e el ghe ga dito: "Senti, Giovanni, dime un pochettin. - el ga dito - Come feto ti - el ga dito - davanti al mare a vegner fora quei bei pensieri là? - el ga dito - Mi - el ga dito - in acqua son andà tante volte, - el ga dito - ma più che pesci no non go miga trovà - el ga dito - Mi vedeva acqua, pesci, quando che andava in acqua, e varda che son vissù tutta la me vita in xima alla barca e in mexo all'acqua. - el ga dito - Ma mi vedeva solo che pesci, acqua, pesci, schei che ciapava, eccetera, el magnare, eccetera... Mi più in là non ghe vedeva. - el ga dito – Mi, - el ga dito - non so gnanca mi... non so gnanca mi". E allora se ga avvicinà el Signore: "De cossa xe ca parlè”, el ga dito. "Eh, xe sta roba qua". "Eh, caro Piero! - el ga dito - A ghe vole lo Spirito de Dio dentro, e allora xe quelo che fa vedere oltre el mare, el fa vedere qualcossa altro".Ecco mi riallaccio a quel che dixeva Ugo. Penso che proprio noialtri dovemo coltivare questa unione con Dio, questo Spirito con Dio, questa offerta a Dio di noi stessi... Allora, davanti al mare, vedemo qualcossa altro oltre che la barca e i pessi. Cioè, nelle cose, negli avvenimenti della vita, nelle persone, vedemo anime oltre che el corpo; negli avvenimenti vedemo un passaggio di Dio oltre che la cattiveria degli uomini che qualche volta ga provocà quegli avvenimenti. Savemo dare una interpretazione spirituale, soprannaturale, un po' a tutto quanto quel che trovemo sul nostro cammino.Te par giusto, caro don Ugo?Ma per far questo ghe vole tanto Spirito di Dio. Cioè ghe vole, tornemo al punto de partenza, una consacrazione totale al nostro ideale per amore di Cristo. L'amore, l'amore de Dio ne farà accettare generosamente il sacrificio, la croce, il martirio; ma senza questo amore di Dio, che xe donazione, che xe un desiderio ardente de far contento el Signore... Proprio ... adesso se ghemo incontrà nella comunione: "Signore, guarda, mi voio essere tutto tuo. La mia giornata che sia tua, i mieri respiri tuoi, i battiti del mio cuore, le mie parole, i miei pensieri, le mie azioni...". Cioè senza questo fuoco, anche nell’ aridità, che ne deve spingere ad essere tutti del Signore.... Cioè questo ideale, insomma, questo grande ideale, guardè che questa xe un'esperienza che bisogna fare.
MO318,7 [26-08-1970]
7. Mi sento tante volte qualcuno che si sente un po' avvilito perché non ha fatto esperienze. Ecco, mi ve diria, un linotipista desidera fare l'esperienza di linotipista; un autista di macchina perché domani deve guidare la macchina; un pilota de saver guidar l'apparecchio, perché un pilota che deve preparsi a guidare un apparecchio e magari un apparecchio di linea, che el andasse a fare, per prepararse, canottaggio... sì, bellissima cosa, ma però guarda che doman te ghe da montare su un apparecchio e te ghe la leva de comando, no, giusto? E viceversa...Ora, guardè che il nostro pilotaggio xe guidare le anime a Dio. Se presenterà un'anima, e noialtri dovremo metterla in rotta verso Dio. Sarà un bambino, sarà un vecchio che ha da raggiungere Dio, sarà una mamma, sarà un papà... La nostra missione speciale, la nostra specializzazione, è prendere le anime e metterle in rotta con Dio. Ora, se noialtri non semo degli specializzati per essere noi in rotta con Dio, figlioli miei, cambiemo mestiere, cambiemo mestiere!Perché se ghe domandemo a don Ugo: "Cossa sito andà a fare in America?", lu me dixe: "Son andà a mettere le anime in contatto con Dio". Non ghe xe gnente da fare. Xe giusto o no? "Son andà a metterle in rotta con Dio". Questa xe la nostra specializzazione, de questo gavì da essere preoccupati. Non dire: "Ma mi voria fare esperienza: andar all'estero, se no, se no rivo impreparato. Dovaria fare un'esperienza de...". Questa è l'esperienza, figlioli, che dobbiamo fare, questa, è di questo...Guardate che el demonio l’è furbo, l’è furbo, l’è tremendo, e cercherà de metterve in testa robe speciose, robe naturalmente che il mondo ve dixe... perché è logico che l'uomo che non è di Dio vi dirà: "Tu, per essere preparato prete, dovresti saper questo, dovresti saper quello". Certe riviste che sono scritte da uomini che sono colti, ma non sono di Dio, è certo che non le diranno mai queste cose qua. Perché? Perché non le hanno provate e non le conoscono e non le capiscono. È inutile che sia maestro di chirurgia un macellaio. È chiaro? Un macellaio non potrà mai essere maestro di chirurgia; deve essere un chirurgo. E allora voi, se volete diventare veramente maestri di anime, andate ad attingere al Vangelo, alla Sacra Scrittura, alle vite dei santi, a certi trattati di ascetica, e soprattutto con i ginocchi piegati dinanzi al tabernacolo e chiedete a Gesù, con l'intercessione della Madonna, che vi mandi lo Spirito Santo. E sarà lo Spirito di sapienza, lo Spirito di Dio, che a un dato momento, entrando dentro de noialtri, ci farà cambiar testa. Guardate Gesù, il divino maestro, a un dato momento el ga buttà i brassi anca lu, coi so Apostoli: "Beh, sentì, vegnarà lo Spirito Santo, el mettarà a posto lu le robe, no? Vegnarà lo Spirito Santo". È quello che sto constatando anche nella nostra Famiglia religiosa: che io ho fatto una piccola, una mala copia di Gesù e ho detto tante robe e a un dato momento te vedi... Come falo Fernando a capire certe robe improvvisamente? Fin l'altro giorno ghe le go dite cinquantamila volte. Finalmente xe rivà lo Spirito Santo, ecco... È l'augurio che io vi faccio, che a un dato momento la Madonna ci ottenga lo Spirito Santo; e questo Spirito di Dio ci faccia capire un giorno qualunque, no, cosa vuol dire consacrarci al nostro ideale, interamente al nostro ideale. Allora avremo gli uomini che prima erano pieni di paura, che salteranno sopra i tetti e avranno una intenzione sola, un programma solo, un desiderio solo: amare il Signore, farlo conoscere, farlo amare “in saecula saeculorum. Amen”.