Meditazioni italiano > 1970 > LA CONSACRAZIONE RELIGIOSA È AVERE DIO NEL CUORE

LA CONSACRAZIONE RELIGIOSA È AVERE DIO NEL CUORE

MI288 [14-01-1970]

14 gennaio 1970

Il riferimento è a don Ruggero Pinton, che all’epoca stava completando il corso teologico e il cui modo di fare esprimeva semplicità e candore.

Anche per questa meditazione don Ottorino si serve delle “Note di spiritualità religiosa” preparate da don Matteo Pinton. Le citazioni, prese dalle pagine 181-183 di Scritti ispirati da don Ottorino, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

Il riferimento è forse a Luigi Tonello, compagno di corso di Ruggero Pinton.

Don Ottorino usa spesso questo termine per indicare una persona irresponsabile e infeconda.

Il riferimento è a Papa Giovanni XXIII, morto nel 1963 dopo un pontificato abbastanza breve, ma eccezionalmente fecondo.

Don Ottorino vuole sottolineare che l’efficacia nell’apostolato non è frutto del numero degli apostoli, ma della loro santità.

Don Ottorino scherza, supponendo che don Matteo sia morto e accentuando così il valore delle note da lui lasciate.

MI288,1 [14-01-1970]

1 Sia lodato Gesù Cristo!
Se qualcuno di voi è un'animetta semplice, come Ruggero , lo consiglierei questa mattina di uscire, perché certe cose, come quelle che ci vengono presentate da don Matteo e che stiamo per esporre, potrebbero forse scandalizzare Luigi e anche qualche altro. Abbiamo concluso l’ultima meditazione affermando che «la vita da scapoli gretti è vita di insoddisfazione e compromette il Regno di Dio nel tiepido arrangiarsi giornaliero a caccia di sensazioni e del minimo sforzo», e abbiamo considerato o, meglio, iniziato a considerare come «le conseguenze di questo modo falso di vivere la propria vita religiosa sono tristissime». Oggi cerchiamo di inoltrarci un pochino in questo tema e vedere quali sono le conseguenze di una vita non vissuta da religiosi. Potremmo trovarle in forma analoga in una famiglia dove il marito non vive la vita familiare: pianti e lacrime da parte della moglie, disorientamento dei figli e ricerca continua di altre soddisfazioni da parte di questo uomo disgraziato, che non mantiene l'impegno assunto dinanzi all'altare e va cercando sensazioni a destra e a sinistra. La vita del religioso scapolo è più o meno così: è uno che si è presentato un giorno dinanzi all'altare, ha giurato fedeltà a Dio come lo sposato ha giurato fedeltà alla moglie e alla famiglia, e dopo aver giurato fedeltà a Dio va alla ricerca di qualcos'altro che non è Dio. La vita religiosa è una cosa meravigliosa, sublime, ma può diventare amarissima per chi la vive, se uno non la vive realmente, e disastrosa per le conseguenze esterne che produce. Perciò, mentre facciamo insieme questa meditazione, riportiamoci continuamente con la mente dinanzi all'altare, ripensiamo al giorno della nostra consacrazione, senza rattristarci se per caso scopriamo d'aver fatto qualcosa che non piace al Signore, qualche deviazione nel nostro amore, e cerchiamo di riprendere quota e di ritornare sul nostro cammino, ma con una donazione totale, veramente totale. Noi diciamo continuamente che bisogna pregare per le vocazioni, pregare perché il Signore mandi apostoli. E io vi dico che bisogna pregare soprattutto perché il Signore maturi gli apostoli, in modo che diventino veramente apostoli di fuoco nel mondo. Il Santo Curato d'Ars ha fatto, da solo, più di cento curati francesi; Papa Giovanni più di cento cardinali, senza voler offendere il collegio cardinalizio. Quando uno è veramente uomo di Dio, sostituisce il numero; è il numero che non può sostituire un uomo di Dio. E allora io penso che una delle cose che il Signore domanda alla nostra Famiglia religiosa sia proprio la qualità: non la qualità per una ostentazione esteriore, che sarebbe un peccato di superbia non gradito al Signore, ma per una risposta alla chiamata di Dio. In altre parole: la qualità per noi vuol dire fedeltà a un amore, consacrazione totalitaria al Signore. Quando questa manca, allora purtroppo ci sono delle conseguenze tristissime, quelle che il nostro caro padre Matteo, di felice memoria, ci farà toccare sfiorandole appena, questa mattina.

CONSACRAZIONE vita religiosa

CONSACRAZIONE religioso

FAMIGLIA marito

FAMIGLIA moglie

CONSACRAZIONE voti

PECCATO passioni

CONSACRAZIONE offerta totale

APOSTOLO vocazione

APOSTOLO F.A.

APOSTOLO uomo di Dio

CONGREGAZIONE missione

VIZI superbia

CONSACRAZIONE fedeltà

Nel testo registrato don Ottorino sottoscrive con soddisfazione quello che ha appena letto con una espressione francese: “Très bien comme ça!”, giocando sulle parole che in dialetto veneto suonano come: siamo conditi, siamo a posto!

Don Ottorino si riferisce in tono scherzoso ai vari movimenti parrocchiali. Nel movimento scout la branca parallela ai lupetti è costituita dalle coccinelle.

Il riferimento è a don Zeno Daniele, che all’epoca stava completando il corso teologico.

A Grumolo delle Abbadesse (VI) la Congregazione possedeva una colonia agricola con campi e animali.

MI288,2 [14-01-1970]

2. «Senza Dio nel cuore ci si balocca egoisticamente con i propri piani, che nessuno deve turbare, col perder tempo con le solite quattro persone che dicono sempre di sì e ci dicono santi; ci si attacca smodatamente al proprio ufficio, oppure si ricerca continuamente di evadere la compagnia dei confratelli, o si sta in mezzo a loro come uno che sa tutto, che non sa ascoltare, apprezzare, rivedere, accettare, che impone le sue idee magari umanitarie ed evangeliche, ma bacate da individualismo, superbia, manifestati nell'atteggiamento di continua critica e di sottolineamento dei difetti altrui».
Benissimo così! Che cosa vi pare? Penso che abbiate capito queste verità, ma, se volete, le rimastichiamo insieme. Dunque chi è «senza Dio... si balocca egoisticamente con i propri piani»: piani evangelici, piani santi! Perché... bisogna far questo... quello, bisogna organizzare la scuola, le donne cattoliche, le figlie di Maria, le piccolissime, i lupetti o le lupette e via dicendo. Propri piani! Si prepara un piano, naturalmente per amore del Signore; magari si va con una ventina di ragazze a sciare e ci si veste in borghese e si va in macchina in compagnia di una biondina... ma sono piani apostolici, naturalmente apostolici! Amici miei, non si parte con l'intenzione di far del male, no, no! Però, si vuole a tutti i costi il proprio piano: “Lasciatemi stare: quello va bene! Il mio orologio è quello che va bene!”. Guardate che è facile far così. Ieri sera, mentre leggevo queste parole, pensavo che è facile dire, quando si legge o si medita su questi argomenti: “Questo va bene per Antonio! Questo va bene per don Zeno , quello va bene per te...”, e che mai si dica: “Questo è per me!”. Perché, forse, non siamo capaci di vedere che anche qui, in casa nostra, cominciamo a fare così. È facile che noi vediamo questo difetto proiettato negli altri, ma non sappiamo vedere che tante volte proprio noi facciamo i nostri piccoli piani «che nessuno deve turbare». Così, oggi sarà il piano di studio: oggi io devo fare questa cosa, e guai...! “Vieni?”. “No, oggi devo fare questo”. Il proprio piano! Ma è veramente necessario? Non potresti dare una mano al tuo fratello? È proprio volontà di Dio che tu faccia adesso quella cosa? “Sì, perché... se non la faccio adesso, non la farò più. È mio dovere farla”. Ora io non voglio fare un'analisi di ciò, ma questa malattia si può trovare anche nella nostra casa di formazione. Qui si tratta di piani buoni, piani santi, non si tratta di dire: “Oggi devo andare a rubare le galline a Grumolo e portarle a vendere al mercato”. No, si tratta di cose buone. Però sono piani tuoi, santi e apostolici quanto vuoi, che tu vuoi realizzare a qualunque costo. A te non interessano gli altri. Questa malattia noi la troviamo qui. E se ciascuno di noi si esamina, cominciando da me, scopre che ce l'ha, in forma embrionale, piccola, se volete, ma capace di portarci a questo tipo di egoismo.

PASTORALE

SACERDOZIO veste

VIZI superbia

PECCATO difetti

VOLONTÀ

di DIO

FORMAZIONE case di formazione

Don Ottorino è molto espressivo con l’esempio che porta in forma scherzosa. Da notare che “colomba” è il simbolo dello Spirito Santo, ma nel linguaggio comune vuol dire anche “ragazza innamorata”.

Don Ottorino nomina ancora Zeno Daniele che già collaborava nell’amministrazione della Congregazione, e forse Adriano Conocarpo che stava frequentando il corso per ragionieri. Nel testo registrato aggiunge: “No, no, non intendevo dire lui, per carità!”.

MI288,3 [14-01-1970]

3. C'è da sottolineare un'altra precisazione di don Matteo: «... con le proprie quattro persone». È un fatto che purtroppo si constata molto spesso nella vita apostolica, anzi è più facile rilevarlo nella vita apostolica che qui dentro. Però è facile notarlo. Uno si impegna, lavora, si dà da fare, ma con un gruppetto di persone che, come si esprime il nostro caro padre Matteo, «ci dicono sempre di sì e ci dicono santi». Perché il bello sta in questo: quando una delle quattro persone non dice più a quel tale che è un santo, basta... con quella tutto finisce, si volta pagina. E allora si trovano altre quattro persone. Guardate che è tremendo, è tremendo!
Notate che, neanche a farlo apposta, queste quattro persone sono sempre di sesso femminile, così... per caso! E di solito c'è in mezzo qualche brava maestra, qualche brava professoressa che gentilmente dice: “Sì, signor! Sì, signor!”. E lui: “Eh...”. “Sì, sì, sì... Va bene... Ah, quello è un angelo, è un angelo, è un angelo!”. E dopo, qualche volta, per sbaglio, scocca anche qualche bacetto. Ma pazienza... è proprio lo Spirito Santo che vuole così. State attenti, state attenti! È la santità che passa qualche volta sotto forma di colomba. Amici miei, amici miei! Se osserviamo attentamente possiamo trovare anche nella nostra casa di formazione qualche egoista che lavora per il suo piccolo piano e che ha quelle tre o quattro persone amiche e basta. Lo vedi subito, perché non allarga il raggio dei suoi collaboratori. “Eh, ma è difficile insegnare; preferisco farmelo io questo lavoro. Sì, beh, c'è il tale: quello sì, quello... ho fatto fatica insegnargli, ma intanto adesso lavora con me”. “Adriano lavora, sa fare bene. - dice don Zeno - Ma gli altri... Cosa vuole che possano capire gli altri di amministrazione?”. State attenti, però, perché è una malattia. E se voi andate in qualche paese, trovate che tanti parroci, poveretti, ce l'hanno questa malattia... È anche naturale, perché in un mondo dove c'è tanto freddo, tanta indifferenza dinanzi ai problemi religiosi, tu trovi quel gruppetto di buone persone che vengono in parrocchia e di solito sono quelle che si prestano un po' per tutto, con le quali crei quell'amicizia umana che non è peccaminosa. Ed è facile crearla, perché sono anime sante, buone. Ormai, in tanti anni di sacerdozio ho visto che sono quelle che poi fanno soffrire perché più o meno finiscono per legare. Di solito le mormorazioni, le critiche, le calunnie nascono di lì, perché la gente vede e non sa tacere. E poi, a un dato momento, il sacerdote non è più libero di volare. Sì, lo so anch'io... c'è bisogno, c'è bisogno di loro anche per il lavoro apostolico, c'è bisogno... però state attenti, perché tante volte c'è bisogno anche per un cuore vuoto. Se il cuore non è pieno di Dio, c'è bisogno di un certo riempimento umano. E questo, per noi, diventa tante volte un bisogno quando, oltre ad esserci il vuoto di Dio, c'è anche il vuoto della Comunità, della sua amicizia e della sua fraternità. E allora: tanti sono i religiosi e altrettante sono le piccole comunità che essi hanno fuori, nel mondo, dove si trovano bene. Eh, sì! Dico male, padre Matteo?

PASTORALE

CONSACRAZIONE santità

FORMAZIONE case di formazione

VIZI egoismo

VIRTÙ

prudenza

PASTORALE parroco

PASTORALE parrocchia

DOTI UMANE amicizia

SACERDOZIO prete

PECCATO calunnia

APOSTOLO vita interiore

COMUNITÀ

fraternità

Il riferimento è a Marco Pinton, che all’epoca aveva iniziato il corso teologico ed era amante della musica.

Il riferimento è alla casa di via Quadri in Vicenza donata alla Congregazione dalla signorina Clementina Valeri per l’accoglienza di benefattori anziani, e che in seguito prese il nome di Casa San Giovanni.

MI288,4 [14-01-1970]

4. «Ci si attacca smodatamente al proprio ufficio».
Anche questo attaccarsi smodatamente al proprio ufficio è pericoloso. Supponiamo, per esempio, che a un dato momento in una parrocchia... anzi, invece che in una parrocchia fermiamoci in casa nostra. Immaginate che... non vorrei fare il nome di qualcuno per non offendere le persone. Beh, prendiamo Zeno che non se ne offende. Zeno è incaricato dell'economato e per lui non esiste altro che l'economato; lo dico perché non è così; oppure, Marco è addetto alla musica: per lui non c'è che la musica e basta, solo il tamburo e nient'altro che il tamburo. Supponiamo che, un domani, nella parrocchia di un paese uno di noi abbia in mano la “schola cantorum”. Bene, nel paese per lui c'è solo la “schola cantorum”, è quello il centro dei suoi interessi; gli altri sono santi in quanto appoggiano la “schola cantorum”, o con il canto o con i soldi, sennò non sono santi. Zeno, tu sorridi sotto i baffi: dico cose errate o giuste? Guardate che è facilissimo trovare, un domani, tre o quattro religiosi in una parrocchia, ciascuno dei quali ha una specializzazione o un gruppo di lavoro o che so io... e ciascuno si butta nella sua attività, e la parrocchia per lui è quella attività. Siamo d'accordo: lui è specializzato in quel settore particolare, magari nel condurre le vecchie al cimitero. Ma benissimo: condurrà le vecchie al cimitero, però si ricordi che in parrocchia ci sono anche i bambini della prima comunione, le piccolissime, le figlie di Maria, e non soltanto le vecchie. Insomma, bisogna che a un dato momento non ci sia solo il lavoro che noi svolgiamo. Per cui se è necessario operare un cambiamento e assegnare Ruggero alle vecchie e Zeno ai bambini, ebbene: Zeno si dedichi ai bambini e Ruggero alle vecchie. Con tanta semplicità. E Ruggero va volentieri a villa Valeri, perché si presta e si offre con facilità.

PASTORALE parrocchia

PECCATO passioni

CONSACRAZIONE religioso

APOSTOLO attivismo

PASTORALE

La Paganella è una delle montagne più famose delle Alpi nei dintorni di Trento.

Il riferimento è alla lettera del 13 gennaio 1970 a don Pietro Martinello, superiore della Comunità del Chaco in Argentina, pubblicata in Lettere/4, pagine 531-535.

Il riferimento è a Teresina Todescato, donna che prestava servizio come cuoca alla Casa dell’Immacolata, a tutti nota per la sua generosità e semplicità.

MI288,5 [14-01-1970]

5. «... oppure si cerca continuamente di evadere la compagnia dei fratelli».
È facile, un domani, se si è in una parrocchia, dire: “Devo uscire con quel gruppetto di ragazzi, perché... devo formarli, devo fare una predica, dire una paroletta. È necessario che esca”. Eh, lo so anch'io! Zeno esce con il suo piccolo gruppo di novizi e allora lui diventa il piccolo re. Ma è logico! È più facile per lui fare così, che uscire con don Ottorino e con quattro vecchi sui quali non domina. Con i novizi, invece, è lui il signore e può parlare della Paganella o di altri argomenti. Nessuno lo contesta, nessuno. Eh, scusate! E una realtà, è una realtà! Se si è in parrocchia può darsi che a qualcuno costi anche un po' di sacrificio uscire con quattro o cinque confratelli; se, invece, si fa una gitarella con un gruppetto di parrocchiani, lui è il piccolo re in quel gruppo. Ora io non escludo che si possa fare anche la gita, ma non si può fuggire la compagnia dei confratelli dicendo che è necessario fare quell’altra. Potrebbe capitare spesso questo pericolo! Non si può dire: “Io devo fare... Non posso, non posso!”, cioè non posso dare alla Comunità perché devo dare agli altri. E invece è un errore. Scrivevo ieri in Argentina al nostro caro padre Pedro che la prima parrocchia è la Comunità, che il primo lavoro pastorale dev'essere la Comunità, aiutando i confratelli a salire nella santità, nella cultura, nella preparazione. Questo è il primo lavoro, non c'è niente da fare, e non deve essere fatto solo dal superiore, ma da tutti. Continuiamo la lettura. «... o si sta in mezzo a loro come uno che sa tutto, che non sa ascoltare, apprezzare, rivedere, accettare...». Ci si mette in mezzo ai confratelli quando si torna in Comunità e allora: “Oh, voi non sapete niente! La verità è questa. Io ho parlato con la Marietta, che mi ha raccontato... Ho parlato con una persona della parrocchia che sa...”, e poi si viene a sapere che, magari, è la Teresina che ha parlato in cucina. E così si fa la figura del “so tutto io, so tutto io!”, non si accetta, anzi si comanda, si domina. Oppure si tace, e quando ci si allontana dai confratelli non si fa che giudicare, che stroncare, che tagliare e dire: “I vostri orologi non sono esatti: è esatto il mio”. Va bene, don Matteo? Non è così? Don Matteo mi guarda dal di sotto. Brutta cosa, sapete, commentare le parole di uno che è presente! Quando sarà morto, si potrà fare quello che si vorrà. «... come uno... che impone le sue idee magari umanitarie ed evangeliche...». Che brutta cosa quando uno impone le sue idee! Quanto è disgraziato quel superiore che abusa del suo incarico per imporre ad una Comunità le sue idee: umanitarie, evangeliche, sante, ma imposte! Per cui se un confratello fa i suoi progetti con i giovani o un altro altri progetti, lui taglia corto: “No, no, no! Domani faremo così! La festa della Santa Famiglia la celebreremo così!”. Che brutta cosa! Voi direte: “È vero!”. Attenti perché un domani sarete superiori anche voi!

PASTORALE parrocchia

PASTORALE giovani

COMUNITÀ

confratelli

COMUNITÀ

fraternità

CONSACRAZIONE santità

DOTI UMANE cultura

COMUNITÀ

superiore

VIZI superbia

Il riferimento è a Giampietro Fabris, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso teologico e aveva una lingua alquanto rapida e tagliente.

Nell’esempio don Ottorino nomina Antonio Bottegal, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, e Adriano Conocarpo, già nominato precedentemente come subito dopo.

Nel testo registrato si ascolta a questo punto il saluto di don Ottorino ad uno studente che esce prima degli altri.

Don Ottorino, nel testo registrato, usa l’espressione latina “Et ita porro, et ita porro” per sostituire il caratteristico nome veneto di alcune bacche rosse, frutti di rose selvatiche, con speciali proprietà astringenti.

Il riferimento è forse a Giuseppe Biasio, allievo del corso teologico.

MI288,6 [14-01-1970]

6. «... idee umanitarie ed evangeliche, ma bacate da individualismo, superbia, manifestati nell'atteggiamento di continua critica e di sottolineamento dei difetti altrui».
Se potessi fare un miracolo e far diventare muti tutti coloro che criticano... se il Signore mi concedesse questa grazia, la domanderei per tutti i membri della Congregazione: per ogni critica un mese di mutezza. Che ne dici, Fabris ? Se il Signore me la concedesse, gliela chiederei subito. Per ogni critica fatta contro la carità si dovrebbe restare muti un mese. Sì, la chiederei subito per me e per gli altri. Penso che comincerei a mettere giudizio io stesso per primo, e poi anche tutti gli altri. Quando si vedesse in una parrocchia cinque apostoli, tre preti e due diaconi, muti per un mese, la gente direbbe: “Certamente hanno criticato il vescovo!”. Si comincerebbe, allora, a vedere don Antonio Bottegal muto. “Don Antonio...”. “Mm...”. “Ha certamente criticato!”. “Diacono Adriano...”. “Ta... ta... ta...”. “Ecco un altro che ha criticato!”. Eppure l'essenza del cristianesimo è la carità, e l'inquinamento della carità è la critica, dentro e fuori casa. Noi che abbiamo scritto la parola “Charitas” sul frontone della nostra Casa dell'Immacolata, noi che l'abbiamo stampata sulla nostra carta intestata, noi che la sbandieriamo... Che brutta cosa che proprio noi la sbandieriamo e contemporaneamente buttiamo dello sterco dentro la minestra! No, bisogna proprio che facciamo una campagna intima e interna, che buttiamo fuori di casa le critiche perché non sono del Signore, veramente non lo sono! “Mah, faccio per dire!”. No, non sono cose del Signore: sono del diavolo queste cose, sono del demonio le critiche. Vedete, sono cose dolorose, eppure, più o meno, le commettiamo tutti queste stupidaggini. Bisogna toglierle! La nostra Famiglia religiosa deve portare questa impronta, quella della bontà. Ricordiamo le famose parole che furono dette a proposito del papà di don Aldo: “Non ha mai parlato male di nessuno; non l'abbiamo mai sentito dir male di nessuno”. Bisogna che alla morte di ciascuno di noi la gente, i confratelli che sono vissuti con noi, i parrocchiani, possano dire: “Non ha mai detto male di nessuno; si è sforzato di far del bene a tutti”. Capisci, caro Adriano? «Senza Dio nel cuore, la nostra carità fraterna può degenerare in una sdolcinata affettività solamente epidermica che cerca il minimo sforzo comunitario e l'evasione insieme, ma che non offre il proprio aiuto per fare il dovere comune nel sacrificio e nella generosa disponibilità. La carità divina crea cuori disponibili, non cuori chiusi, disobbedienti, criticoni, ribelli. E dove il frutto della nostra carità è la divisione degli animi, non può essere carità divina». Se si vede da un muro spuntare una pianta con poche foglie ma con alcuni fichi, si dice: “Quella è una pianta di fico”. E chiaro! Se, invece dei fichi, si vedono spuntare sulla sommità della mura certe bacche rosse, si dice: “Quelli sono quei frutti che si chiamano...”. E via di seguito. Ora se si notano in una Comunità delle facce malcontente, per cui uno sembra che taccia, l'altro parla solo di se stesso, un altro interviene di tanto in tanto per dire che non è d’accordo, quella è una Comunità nella quale si vede un muro e spuntare dal di sotto le bande rosse. Che brutta una Comunità fatta di quei frutti rossi! Non vi è carità divina! Invece, quando i confratelli si vogliono bene, sanno comprendersi... lo si nota subito, si avverte lo stampo, l'impronta della carità divina. Giuseppe caro, è così!

COMUNITÀ

critica

CONGREGAZIONE appartenenza

ESEMPI critica

CHIESA cristianesimo

CARITÀ

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CONGREGAZIONE carisma

CROCE Demonio

VIRTÙ

bontà

APOSTOLO testimonianza

ESEMPI carità

La bambola viva è una chiara allusione ad affetti umani per colmare il vuoto del cuore privo di Dio.

L’allusione è a don Matteo Pinton, che all’epoca già insegnava filosofia.

MI288,7 [14-01-1970]

7 «Chi è senza Dio nel cuore crea continui fuochi umani attorno a sé...».
Per forza! Se uno non ha Dio nel cuore, bisogna pure che metta qualche cosa al suo posto, perché il nostro cuore ha bisogno di qualche cosa: magari di... una zucca, di un fantoccio, di una bambola fatta di stracci o viva , ma di qualche cosa. Ed allora ecco i fuochi. Fratelli miei, non spaventatevi! Qualcuno potrebbe dire: “Ma allora...”. No! È bellissimo essere consacrati, è una cosa meravigliosa! Non è difficile vivere la vita di consacrazione, ma può essere disastroso per chi la vive in forma mediocre. Quando sarete più avanti negli anni prenderete coscienza di questa realtà: non si può vivere senza amare, è impossibile vivere senza amare. Magari si amerà un cavallo o un cane, come si vedono certe signore solitarie che danno i biscotti, l'ovetto, il frullatino al loro cagnolino, si finirà per amare una capra o un capro. Insomma bisogna amare, siamo creati per questo. E allora, se tu non ami Dio e, per amore di Dio, il prossimo, i fratelli... Il cuore del sacerdote è quello che ama più di tutti, che si dilata più di tutti, che ha la possibilità di amare più di tutti e che, perciò, anche sul piano umano, è il più soddisfatto dei cuori. Dico eresie, professore di filosofia? Sì, anche sul piano umano è il più soddisfatto di tutti perché è in grado di abbracciare tutta la parrocchia, il mondo intero. Se non iniziamo così, se non ci sforziamo di essere così, si scende a certi compromessi che fanno compassione. È proprio quello che si vede certe volte al cinema: mariti che si perdono dietro la donnetta di servizio, che ingannano la moglie, che aspettano il momento opportuno e vanno di qua, di là... Che roba schifosa! E questo schifo lo vediamo qualche volta nei consacrati: sono offerti a Dio e, fuori dalla porta, hanno il resto, il surrogato. Come se Dio non vedesse! Pensate a certi film, dove c'è la moglie che dall'alto della finestra vede il marito uscire di casa e fuori c'è l'amante che l'attende! Ecco: Dio vede l'uomo consacrato che ha un'amante. L'avesse almeno bella! Gli tocca prendersi quel che resta dagli altri!

APOSTOLO vita interiore

PECCATO passioni

CONSACRAZIONE religioso

CONSACRAZIONE vita religiosa

CONSACRAZIONE mediocrità

DIO amore di...

DIO cuore di...

DIO bontà

di...

DIO amore a Dio

CARITÀ

amore al prossimo

SACERDOZIO prete

APOSTOLO uomo

PASTORALE parrocchia

FAMIGLIA marito

Forse l’allusione è a Giorgio Girolimetto, licenziato in filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, che aveva fatto una ricerca sul filosofo Sören Kierkegaard.

MI288,8 [14-01-1970]

8. Attenti, fratelli: «Chi è senza Dio nel cuore crea continui fuochi umani attorno a sé». Quando dico fuochi umani non intendo alludere soltanto ai peccati impuri, affinché non pensiate solo a quelli, ma anche all'attaccamento a compagnie, ad una vita che non è, insomma, sacerdotale. So di qualche sacerdote che fa soffrire la Chiesa di Dio anche a Vicenza perché di sera si reca nelle case private, gioca a carte, resta fuori a bere, a mangiare... fino a mezzanotte. Andare una sera a Bosco a giocare a carte... si può anche farlo, ma frequentare ogni sera le case private, mettersi in compagnia di ragazzi e ragazze, giocare a carte... penso che non sia proprio di una vita sacerdotale. E allora ecco un fuoco umano senza che si pensi a cose cattive. I fuochi umani possono essere fatti di tante cose. Per esempio, uno può avere un domani la passione della macchina da corsa e se ne compera una: lui fa il prete alcune ore e alcune ore fa il corridore. Questo è un altro fuoco umano. Oppure un altro segue con passione qualche filosofo strano che non sia Tommaso d'Aquino... Ecco, vedo che uno fa un sorrisetto...
Procediamo! «... a cui riscaldarsi nell'equivocità di un affetto non del tutto evangelico e apostolico oltre le apparenze di etichetta». Ecco, viene salvata l'etichetta. C'è tanta gente che salva l'etichetta perché bisogna salvarla, ma oltre l'etichetta non va. Lo sposato che salva l'etichetta: non dà, però, il suo cuore, tutto il suo cuore, alla famiglia. E nessuno può dirgli niente perché salva l'etichetta. Che brutta cosa salvare l'etichetta, e dentro la botte metter petrolio anziché vino! «... non si creano comunità divine, in cui Dio solo sia il Padre, in cui le anime si incontrino con Lui, lo portino nel cuore e scoprano il suo amore; di fatto si cercano piccoli regni in cui essere re, centro di interesse umano e sensibile». Cioè non si cerca Dio, ma dei piccoli regni dove essere re. Allora ci si mette al posto di Dio.

PECCATO scandalo

SACERDOZIO

ESEMPI vari

PECCATO passioni

SACERDOZIO prete

FAMIGLIA

VIZI superbia

MI288,9 [14-01-1970]

9. Qui sono state scritte in piccolo dall'autore tante parole, che preferisco leggervi un'altra volta, nella seconda edizione riveduta e corretta. Oggi vi ho citato soltanto mezza paginetta: pensavo di citarla tutta, ma... portate pazienza.
La conclusione di questa seconda meditazione potrebbe essere questa: se vogliamo vivere la nostra vita di consacrati, bisogna avere Dio nel cuore, cioè bisogna rimanere insieme con il Signore da soli a soli. Un uomo, che sta fisicamente lontano dalla famiglia, piano piano se ne allontanerà anche con il cuore. Che dobbiamo fare? La preghiera comunitaria è bellissima, ma non può assolutamente sostituire quella da soli a soli con Dio. E allora io direi: incrementiamo il più possibile nel corso della settimana questo incontro intimo con il Signore, perché con esso alimenteremo quell'amore che ci terrà lontani dai pericoli che abbiamo indicato. “Ama Dio e fa’ quello che vuoi”, diceva Sant’Agostino, e credo che possa essere anche per noi proprio così. Se un marito ama realmente sua moglie e i propri figlioli non incorre in nessun pericolo; anche se si reca da qualche ragazza e discorre con lei, state sicuri che lo fa unicamente per necessità di ufficio o per ragioni motivate, né la moglie nutre gelosia. Se vive veramente la vita di famiglia, non c'è nessun pericolo per lui. Anche noi, un domani, entreremo con santa semplicità nel campo apostolico, tratteremo indifferentemente con le persone della parrocchia, con vera signorilità e santa indifferenza, senza pericoli... soltanto a condizione che noi viviamo la nostra vita di famiglia con Dio. Ed è questo che, con l'aiuto della Madonna, io auguro a voi e a me.

CONSACRAZIONE vita religiosa

APOSTOLO vita interiore

DIO rapporto personale

PREGHIERA unione personale con Dio

DIO amore a Dio

FAMIGLIA moglie

FAMIGLIA marito

FAMIGLIA figli

VIRTÙ

semplicità

PASTORALE parrocchia