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LA CONSACRAZIONE RELIGIOSA È DONAZIONE TOTALITARIA.

MI303 [15-04-1970]

15 aprile 1970

Mons. Vincenzo Sebben era il rettore del collegio vescovile di Thiene (VI), che fungeva da seminario minore della diocesi di Padova. Don Ottorino lo aveva conosciuto per chiedere che i giovani della Casa dell’Immacolata fossero ammessi per gli esami statali di 5ª ginnasio, e da allora ne nacque una amicizia fraterna e sincera. L’espressione dialettale “vita da cani” sta per vita dura, difficile, che costa molta fatica.

Il villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI) era stato voluto da don Ottorino non soltanto come luogo di vacanza, ma specialmente per incontri di fraternità e di spiritualità.

Don Ottorino cita la parola del figlio prodigo di Lc 15,18 in latino, come è sua abitudine per molte citazione bibliche.

MI303,1 [15-04-1970]

:1. Mi è stato chiesto da qualcuno dei fratelli che cosa si prova nel fare il deserto. Chiamatelo deserto o chiamatelo ritiro, penso che si provi quello che si ha dentro l'anima, perché ci si ritrova con se stessi. Avete capito? Si prova quello che provava Santa Teresina del Bambino Gesù quando da ragazzina si ritirava nel sottoscala. Perciò il deserto possiamo farlo anche nel sottoscala, se vogliamo. Penso che sia un esperimento bellissimo, ottimo. Però non si può dire: “Adesso prescriviamo questa ricetta e... si otterrà il formaggio”. Non è una ricetta medica per cui si possa dire: “Mettiamo dentro... ed ecco il deserto, ecco la santità ottenuta senza fatica”. In altre parole, fratelli miei, per farsi santi bisogna far fatica. Mons. Sebben era solito dire: «Vita da cani, caro!». Diceva così, non è vero?
Non è vita da cani, è vita da cristiani. Per farci santi bisogna far fatica. E quando ci si ritira un pochino dal mondo, si va a Bosco... - tra l'altro abbiamo sperimentato che Bosco è un luogo meraviglioso per fare il deserto e, specialmente nei giorni feriali, quando non c'è nessuno, tu stai lì calmo, tranquillo - hai tutte le possibilità per parlare con Dio. Se non avessimo Bosco, forse faremmo il deserto qui in casa o anche a Grumolo, perché non è il luogo che importa: basta che il luogo sia sufficiente per darci la possibilità di pregare. Quando ci si ritira con Dio, fuori dal luogo dove si lavora continuamente, è chiaro che, mettendoci un po' con verità davanti al Signore, ci si accorge, fratelli miei, che si è risposto male alla chiamata di Dio. E io penso che anche i più grandi santi, ritiratisi un pochino dalla vita ordinaria che, voglia o non voglia, distrae, e fermatisi dinanzi a Dio, abbiano tirato fuori il fazzoletto e si siano messi a piangere i propri peccati. Quando ti trovi a tu per tu con Dio e cominci a considerare quello che egli ha fatto per te, il suo amore di predilezione, la bontà e la pazienza che ha avuto, il perdono che ripetutamente ha dato, la comprensione che ha manifestato specialmente in certi momenti della vita, l’instancabile pazienza che ha portato, allora tu dici: “Signore, tu mi hai perseguitato con la tua bontà, mi hai perseguitato con le tue grazie e con il tuo amore!”. Sembra quasi come un innamorato che ha perso la testa per la sua ragazza e non capisce più niente: “Poveretto, ha preso una cotta!”. Così viene la voglia di dire: “Signore, tu ti sei presa una cotta per me! Io non capisco, ma sono così interessante per te? Sono brutto sotto tutti i punti di vista, eppure tu ti sei innamorato di me, non di un amore sensibile come quello che potrebbe avere un uomo per una donna, ma di un amore che è tutto donazione e offerta. Tu mi hai amato proprio in modo disinteressato!». E allora per forza, quando ti trovi davanti a questa visione, a questa verità, senti il bisogno di dire: “Mi alzerò! Adesso devo fare anch'io qualche cosa”.

PREGHIERA deserto

PREGHIERA vita interiore

CONSACRAZIONE santità

PENITENZA sacrificio

DOTI UMANE buona volontà

APOSTOLO chiamata

DIO rapporto personale

CONSACRAZIONE santo

DIO amore di...

DIO perdono di...

I cinque minuti della sera sono per don Ottorino un momento privilegiato da vivere davanti al tabernacolo alla chiusura della giornata, per esaminarla in un dialogo familiare ed intimo con il Signore.

È una barzelletta che don Ottorino racconta per tener viva l’attenzione sull’argomento che gli sta a cuore.

Don Giuseppe Rodighiero era da poco tornato da un viaggio in America Latina ed aveva raccontato le varie avventure che gli erano successe, fra le quali anche questa a cui don Ottorino allude. Da Buenos Aires a Resistencia ci sono circa 1200 chilometri: in corriera ci vogliono molte ore di viaggio, mentre in aereo si arriva in un’ora abbondante.

MI303,2 [15-04-1970]

2. Bisognerebbe che facessimo ogni giorno un po' di deserto, ognuno di noi, specialmente quando andiamo in chiesa. I cinque minuti della sera dovrebbero essere proprio cinque minuti di questo deserto, quando ci mettiamo dinanzi al Santissimo. Può darsi che alla sera qualcuno faccia un po' fatica perché ha sonno, ma allora deve trovare il modo di farlo durante la giornata e alla sera farà un momentino, ma bisogna trovare il tempo ogni giorno, fratelli miei. Non varrebbe niente ritirarsi una giornata al mese a Bosco o altrove se non facessimo ogni giorno un po' di deserto, cioè se non ci allontanassimo dalle cose, non ci allontanassimo dal mare, da tutto, per stare soltanto sulla spiaggia di Dio.
“Trecento chilometri di spiaggia!”, rispose quel tale. Un uomo si trovava in mezzo al deserto e cammina, cammina, quand'ecco incontrò una persona con il cammello. Gli domandò: “Ehi, quanto manca per arrivare al mare?”. “Eh, trecento chilometri!”. “Accidenti, quanta spiaggia c'è ancora! Trecento chilometri di spiaggia!”. Ebbene, bisogna che anche noi ci allontaniamo un po' dal mare, che ci troviamo sulla spiaggia insieme con Dio, soli con Dio. Io credo che questo sia il segreto della nostra efficacia apostolica, se noi avremo la possibilità di trovarci soli con Dio, proprio soli. Con il Signore non dobbiamo parlare noi, ma lasciare parlare lui, lasciare che ci parli apertamente, che metta la mano nella piaga. Ah, figlioli miei, è questo il segreto della nostra potenza! Perché? Perché forse il Signore ci frenerà, ma sarà una frenata provvidenziale; ci fermerà in qualche azione, un pochino forse, ma per lanciarci ancora di più; ci farà perdere l'asino, ma perché prendiamo l'aereo; ci farà perdere qualche ora, com'è capitato a don Giuseppe quando è stato in America e ha perso la corriera che da Buenos Aires porta a Resistencia, ma farà prendere l'aereo che supererà, poi, la corriera. Apparentemente si perde tempo, ma poi si parte e in un'ora o poco più si arriva a destinazione. È quello che fa Dio: ti ferma un momentino con lui, ma poi ti dà il mezzo, offre lui le idee, ti dà la grazia di arrivare in fretta.

PREGHIERA deserto

PREGHIERA i cinque minuti della sera

EUCARISTIA adorazione

PREGHIERA unione personale con Dio

DOTI UMANE ascolto

GRAZIA

Il riferimento è a don Giovanni Battista Chautard e al suo libro “L’anima di ogni apostolato”, dove sottolinea la priorità della vita interiore su quella attiva.

L’episodio dell’adultera è narrato da Gv 8,1-11.

Don Ottorino, dopo aver nominato don Matteo Pinton, insegnante di filosofia e animatore dei chierici del corso teologico, usa un linguaggio evidentemente scherzoso sia nei riguardi di don Matteo sia per l’esempio di sapore contadino.

Il riferimento è a don Pierino Rota di Lodi (MI), padre spirituale di Ugo Gandelli, che aveva indirizzato alla Congregazione e che all’epoca frequentava il 3° anno del corso per ragionieri.

Nell’esempio don Ottorino nomina dapprima Antonio Bottegal e Giuseppe Biasio del 4° anno del corso teologico, e poi Mario Corato del 3° anno dello stesso corso.

MI303,3 [15-04-1970]

3. Non cadiamo, per carità, nell'eresia dell'azione, come dice lo Chautard , buttandoci dentro nelle cose, anche sante, senza questo segreto di fermarci prima con Dio. Voi chiederete: “Allora che cosa dobbiamo fare?”. Per ora abbiamo provato noi più vecchi, anche perché avevamo più bisogno. Voi ricordate bene l’episodio dell'adultera: sono stati i più vecchi i primi a scappare, a lasciare cadere a terra il sasso... i vecchioni sono scappati per primi. E allora siamo andati noi per primi a Bosco. Adesso bisogna aspettare che piova un pochino prima di andarci ancora e che la pioggia lavi un po' i peccati di don Matteo che sono ancora sparsi in giro qua e là... come quando spargono sui prati gli escrementi dei polli e si sente l'odore per un po' di tempo, ma quando viene una pioggia purifica tutto. Bisogna aspettare quindi che venga una bella pioggia che purifichi un po' Bosco dopo che vi siamo passati noi. Poi, se qualche altro vorrà fare un'esperienza del genere, allora ci sarà un incontro a parte tra noi per metterci d'accordo sul come fare. L'essenziale è, fratelli miei, che si faccia qualcosa.
E questo qualcosa non lo può fare né il padre spirituale, né la madre superiora, né il sindaco di Vicenza: devi farlo tu, caro Ugo. Neanche don Pierino lo potrà fare al tuo posto: non c'è niente che tenga! Ci sono cose che devono essere fatte da Ugo, solo da Ugo insieme con il Signore. Neanche il Signore da solo le fa. Ognuno, caro Antonio, deve agire in nome del Signore, con il Signore, però deve sudare lui, proprio lui. Giuseppe, bisogna mangiare, però sei tu che devi mangiare: non può mangiare tua mamma per te, e nemmeno Mario: devi mangiare tu. Allo stesso modo devi sudare tu per farti santo. Non c'è niente da fare!

APOSTOLO attivismo

DOTI UMANE buona volontà

Anche per questa meditazione don Ottorino si serve delle Note di spiritualità religiosa preparate da don Matteo Pinton. Le citazioni, tratte dalle pagine 192-193 di Scritti ispirati da don Ottorino, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

Don Ottorino ha appena detto di non voler permettersi distrazioni, cioè le sue riflessioni personali sotto la spinta dello Spirito, e subito cede alla tentazione.

Giovanni Battista Lacordaire (1802-1861), domenicano, fu uno dei più famosi oratori francesi del 1800.

È evidente il tono scherzoso di don Ottorino nei riguardi di don Matteo Pinton, estensore delle note di spiritualità.

“A che serve?” (Mt 16,26).

Cfr. Gv 19,30.

Don Ottorino si rivolge ai sei giovani del 3° anno del corso teologico che sarebbero stati ordinati suddiaconi nel 1970 (l’ordine del suddiaconato venne in seguito abolito), poi a tutti religiosi, e infine, in tono scherzoso, ai cinque novizi, numero esiguo in confronto a quello degli anni precedenti.

Nell’esempio don Ottorino nomina il diacono Vinicio Picco e Antonio, che è difficile individuare, e accenna ad avventure tipiche della vita militare, ascoltate forse da qualcuno che aveva fatto il servizio di leva.

MI303,4 [15-04-1970]

4. Proseguiamo ora con la nostra lettura, sperando finalmente di terminarla quest’oggi, perché non farò, come il solito, delle distrazioni.
«L'apostolo consacrato unicamente alla gloria di Dio...». Unicamente! Non faccio distrazioni, ma sottolineo solo la parola “unicamente”. Vorrei essere San Giovanni evangelista o, almeno, Lacordaire o un altro grande predicatore per potervi spiegare le parole: «... consacrato unicamente alla gloria di Dio...». Penso che l'autore che ha scritto questo fascicolo, investito dallo Spirito Santo, non sapesse neanche lui che cosa scriveva quando metteva giù queste parole. “Unicamente” vuol dire che per me non c'è altro, non c'è altro. Così almeno dovrebbe essere, non che in realtà sia così per me. Se io sono consacrato unicamente alla gloria di Dio, per me non c'è altro. Capite che cosa significa che non c'è altro? Significa che non c'è neppure un minuto, non c'è neppure un paio di calze, non c’è un poppatoio, non c’è un libro, non c’è una rivista, non c’è un pezzo di pane, non c'è niente: per me c'è solo questo! Tutto il resto deve entrare qui: io sono consacrato unicamente alla gloria di Dio. “Quid prodest?” , ripeteva Sant’Ignazio a San Francesco Saverio quando studiavano all'università della Sorbona di Parigi. “A che serve all'uomo conquistare tutto il mondo, se poi perde la sua anima? Che cosa serve questo per l’eternità?”. E qui bisognerebbe chiedersi: che serve questo alla mia consacrazione? Io penso che Gesù era consacrato unicamente alla gloria del Padre, e perciò dal suo primo vagito fino all'ultimo rantolo quando disse: «Consummatum est» , tutti i suoi respiri sono stati atti di amore, perché si sono consumati completamente per la gloria e per amore di Dio. Bisogna che ci pensiamo. Specialmente voi, fratelli cari, che domani avrete la grazia di essere ordinati suddiaconi, voi tutti che avete i voti religiosi, e voi che formate il grande numero dei novizi che stanno preparandosi alla vita religiosa, ricordatevi bene: non si può scherzare con il Signore. Non possiamo prendere la vita religiosa alla buona, come si prenderebbe una cosa qualsiasi. Non si può, se si sta facendo il servizio militare, buttar giù ogni tanto la divisa, andarsene in famiglia, andare da una parte e dall’altra, e poi tornare in caserma scavalcando il muro di cinta dalla parte retrostante, sperando di farla in barba al caporale di giornata. Con Dio non si possono fare simili cose. Tu, Vinicio, che sei abituato alla vita militare, tu, Antonio, che hai fatto il servizio di leva: bisogna essere in caserma per le dieci di sera, non è vero? “Intanto - dicono tra loro - gliela facciamo: scappiamo, prendiamo il treno, andiamo in qualche parte”, e ogni tanto, quando appare un ufficiale, se si è in divisa ci si rifugia nei servizi sperando di non essere scoperti, e se non si è in divisa allora la si fa franca e lo si può menare anche per il naso. Con Dio, però, non si può fare così.

CONSACRAZIONE offerta totale

DIO Spirito Santo

DIO centralità

di...

CONSACRAZIONE

DIO Padre

GESÙ

incarnazione

DIO amore di...

DIO cuore di...

DIO bontà

di...

DIACONATO diacono

CONSACRAZIONE vita religiosa

CONSACRAZIONE voti

La Congregazione venne approvata il 25 dicembre 1961 e durante la solenne celebrazione del 31 dicembre, presieduta dal vescovo diocesano mons. Carlo Zinato nella Casa dell’Immacolata, don Ottorino ed altri ventiquattro religiosi emisero la professione perpetua.

Con questa lunga argomentazione don Ottorino vuole mettere in risalto la maggior autonomia nella vita religiosa moderna nei confronti della antica regolamentazione monastica che sembrava mortificare le persone. L’attuale maggiore libertà, afferma don Ottorino, richiede maturità e totalitarietà.

Il termine vuole indicare chiaramente fallimenti nella vita consacrata, nell’apostolato, nella santità.

Don Ottorino usa il termine scapolo, come nelle meditazioni precedenti, in senso peggiorativo e con la connotazione di persona irresponsabile e infeconda.

Il riferimento è sempre a don Giuseppe Rodighiero, che don Ottorino sembra interrogare per avvallare le sue affermazioni.

Il tono è evidentemente scherzoso perché don Girolamo Venco era di statura alta e slanciata.

L’espressione vuole indicare una vita religiosamente mediocre, senza slanci di santità e senza mancanze gravi, ma accomodata allo stile mondano.

MI303,5 [15-04-1970]

5. Con Dio siamo sempre in servizio, figlioli miei. Dal giorno in cui mi sono presentato all'altare e mi sono inginocchiato davanti al vescovo, ho detto: “Io, Ottorino Zanon, faccio voto di povertà, di castità e di obbedienza...”. Se ricordate bene, avevo la voce che mi tremava in quel momento; risentendo la registrazione potreste notare che avevo la voce che mi tremava, perché volevo dire: io mi metto sopra l'altare, e il calice messo sopra l'altare è, da quel momento, dell'altare, di Dio. Da allora io non posso più dire: “Prendo la macchina e vado a fare un giretto”; non lo posso più: io sono di Dio, sono di Dio. Non posso più dire: “Adesso me ne vado nella saletta del piano superiore e passo un'oretta a vedermi la televisione”. Prima devo domandare a Dio se posso farlo.
Una donna di servizio non può fare quello che vuole, chi lavora in uno stabilimento non può fare quello che vuole, e tanto meno io che non mi sono votato al servizio soltanto per otto ore al giorno, ma ho dato anima e corpo, anche il mio pensiero, i miei affetti, tutto al Signore. Perciò questo tutto deve essere tutto. Non possiamo scendere a compromessi con Dio. Ed è questa consacrazione totalitaria che il Signore vuole da noi, ed è questa consacrazione totalitaria che il Signore vuole dalla nostra Famiglia religiosa. Altrimenti non valeva la pena di fondare una nuova Famiglia religiosa. Ci volevano alcuni uomini consacrati in forma totalitaria, ma veramente totalitaria, cioè senza compromessi; una forma totalitaria che è molto difficile oggi, perché non è inquadrata, come ieri, in una vita monastica, nella quale si entrava, si cambiava nome, si cambiava vestito e si restava inquadrati in una regola. Nell’organizzazione attuale invece, dato anche il campo apostolico che ci è aperto davanti, per forza le persone restano persone: oggi c'è un senso di libertà, di distensione, però questo non toglie niente a quella che è una consacrazione totalitaria. Se ieri, per fare un esempio, bisognava chiedere tre permessi per prendere un caffè, e poi ti esaminavano e ti soppesavano se veramente avevi bisogno del caffè, oggi questo non è più necessario, però tu non puoi prendere le cose alla leggera e dire: “Prendo un caffè!”, non puoi dire: “Io ho i soldi in tasca: mi prendo questo...”. Non puoi farlo. Il capriccio deve essere eliminato da noi sotto tutti i punti di vista, perché va contro i tre voti, va contro l'offerta che abbiamo fatto a Dio. La Madonna, che si è offerta interamente al Signore, faceva tutto in vista del figlio e della sua missione. Noi dobbiamo essere abbandonati in Dio alla stessa maniera. Il Signore non ci farà mancare il pane, non ci farà mancare il vestito, non ci farà mancare il necessario, ma sarà lui a darcelo e a lui ci dobbiamo riferire. Questo è quello che abbiamo detto altre volte e in tanti modi; perciò vi prego, in nome di Dio, cercate di capirlo perché minacciamo di tradire la chiamata del Signore. noi abbiamo la possibilità di farci santi, grandi santi, nella Famiglia religiosa nella quale siamo attualmente, ma possiamo fare anche dei fiaschi tremendi, possiamo illuderci. Noi ci troviamo in un genere di vita che ci offre l'occasione per essere grandi santi o grandi scapoli. Non è vero, don Giuseppe? Possiamo essere dei grandi santi se noi viviamo in forma totalitaria. Prendiamo come esempio il nostro carissimo don Girolamo, che è il più piccolo della nostra Comunità. Nella situazione in cui si trova può divenire un santo eccezionale, perché in tutte le sue azioni può avere Dio come centro e fine, ma nello stesso tempo potrebbe cedere facilmente a compromessi. Per carità, io non ho motivo per pensare questo, altrimenti non l'avrei citato come esempio, ma potrebbe cedere a compromessi, anche senza scendere a compromessi di peccato grave: compromessi di vita religiosa, per cui fa la bella vita.

CONSACRAZIONE voti

AUTOBIOGRAFIA

CONGREGAZIONE storia

CONSACRAZIONE offerta totale

DOTI UMANE televisione

CREATO corpo

CONGREGAZIONE spiritualità

CONGREGAZIONE missione

PECCATO passioni

MARIA obbedienza di ...

PROVVIDENZA

PECCATO tradimento

CONSACRAZIONE mediocrità

CONSACRAZIONE santità

Don Ottorino ricorda alcune norme della severa disciplina che reggeva la vita del seminario ai suoi tempi, regolamentata da classificazioni mensili e garantita dagli incaricati a far osservare il regolamento.

Don Ottorino insiste sulla necessità di un regolamento personale e di una autodisciplina proprio per la maggiore libertà ed autonomia della vita religiosa ed apostolica attuale.

È forte l’insistenza di don Ottorino sul senso del dovere e della responsabilità davanti a Dio, che devono reggere la vita religiosa a prescindere da eventuali sanzioni punitive.

MI303,6 [15-04-1970]

6. Questo potrebbe essere detto di me prima di tutto, e poi anche degli altri. La libertà che Dio vi dà è un mezzo meraviglioso per salvare anime, per essere a loro disposizione, ma non abusatene, per carità, non abusate di un minuto, non abusate di un centesimo, non abusate di un libro. Fratelli miei, costa fatica, costa fatica! Era più facile un tempo quando eravamo inquadrati, era più facile quando ti davano nove in condotta alla fine del mese se dicevi qualche parola durante il tempo destinato allo studio, era più facile quando ti assegnavano un otto in passeggio se durante il passeggio facevi un piccolo scherzo a un tuo compagno, era più facile quando ti chiudevano la porta della stanza e, se per caso alle dieci di sera vedevano all'interno la luce accesa, venivano a bussarti alla porta e ti dicevano: «Luce! Spegnere la luce!», e se si accorgevano che la luce rimaneva ancora accesa staccavano l'interruttore e ti lasciavano al buio. Noi siamo stati educati così, e riconosco che era più facile per noi compiere il nostro dovere. L'unica cosa che si poteva fare era quella di inghiottire e di offrire al Signore: “Signore, ti offro questa umiliazione”, ma dovevamo stare inquadrati.
Oggi voi non avete questa umiliazione, tuttavia l'inquadratura non cambia. Noi dovevamo trovarci nella nostra stanza in quel minuto preciso e lì ci chiudevano dentro, noi dovevamo spegnere la luce ad un certo momento sennò bussavano alla porta e ce la toglievano. Il dovere dovevamo compierlo e c'era il carabiniere che ce lo faceva fare. Ma il dovere è dovere! Anche se oggi non c'è il controllo alla porta, c'è il dovere di entrare per il lavoro alle otto. E in caso di infrazione si paga dinanzi agli uomini se c'è il controllo, e dinanzi a Dio se il controllo non c'è, perché alle otto tu devi essere al tuo posto: è il dovere che te lo impone. Scusate se mi accaloro per questi principi, ma io ho una paura tremenda: vedo il demonio per i corridoi, per le camerate, da una parte e dall’altra, che cerca di mescolarsi in mezzo a noi, cerca di rompere l’unione che c'è fra noi, la linea che il Signore ci ha dato.

APOSTOLO salvezza delle anime

AUTOBIOGRAFIA seminario

FORMAZIONE educazione

DOTI UMANE maturità

DOTI UMANE responsabilità

Don Ottorino usa la parola bestemmia per significare una espressione forte, esagerata, e poi si appoggia sull’autorità di un libro popolare in dialetto veneto.

Il linguaggio è scherzoso e arguto verso se stesso: don Ottorino si accusa di tanti insuccessi nella vita spirituale ed apostolica. I vocaboli compagnia fiaschi, fiaschetteria, autocisterna, autobotte, sono molto plastici e significativi per esprimere la convinzione personale di non aver corrisposto adeguatamente alle grazie del Signore.

Don Ottorino calcola i dodici anni di seminario e i trenta di sacerdozio, nei quali avrebbe dovuto vivere nella santità. Nel 1970 egli compiva cinquantacinque anni, come dice subito dopo, mentre tutti i religiosi della Casa dell’Immacolata erano molto giovani. Il diacono Vinicio Picco, il meno giovane, aveva appena quarantadue anni non ancora compiuti.

Spesso don Ottorino afferma di aver sentito dal Signore una melodia che non ripetere e trasmettere bene perché stonato. Nell’esempio nomina Raffaele Testolin, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso teologico e si intendeva di musica, e chiama pipe le note del canto gregoriano per la loro forma quadrata.

Il riferimento è a Giorgio Girolimetto, del 4° anno del corso teologico all’epoca, che aveva ottenuto la licenza in filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma con un lavoro sul filosofo Sören Kierkegaard.

Don Ottorino continua in tono scherzoso nominando Ruggero Pinton e Alberto Baron Toaldo, accostando quest’ultimo a un santo dal cognome curioso, come fa subito dopo con il nome di Antonio e Sant’Antonio abate, abitualmente raffigurato con un porcellino ai piedi.

Don Ottorino allude al tarassaco, il cui nome dialettale “pissacàn” indica chiaramente le sue proprietà diuretiche.

MI303,7 [15-04-1970]

7. Permettete che questa mattina io dica una bestemmia, e non importa se verrà registrata; ogni tanto ce ne vuole qualcuna, diceva Fric Froc, per dare un po' di tono al discorso. Se noi, questo piccolo gruppo qui presente, anche solamente dodici come gli Apostoli, fossimo capaci di metterci d'accordo e di vivere queste parole, questa riga soltanto: “... consacrati unicamente alla gloria di Dio...”, noi avremmo la forza per sconvolgere il mondo. Se io fossi più santo vi direi: datemene undici, e sarebbero dodici con me, che vivano così, e noi sconvolgeremo il mondo. Non ho la forza di dirvelo, perché dovrei essere io il primo, ma nel nome di Dio vi dico solo questo stamattina: se nella Pia Società ci fossero dodici consacrati, interamente consacrati alla gloria di Dio, io vi assicuro che avremmo la forza per rimettere a posto l'equilibrio del mondo. Perché questi dodici, ve l'assicuro, fra non molti anni diverrebbero centoventi, e poi milleduecento. Non solo i cattivi si moltiplicano; i buoni si moltiplicano molto di più, se sono veramente buoni, solamente che per la moltiplicazione dei buoni ci vuole ottima qualità, bisogna entrare in orbita, occorre una reazione a catena, e la reazione a catena avviene quando c'è una determinata carica di santità.
Vi prego di fare in modo che a cinquantacinque anni non vi tocchi dire quello che ha detto don Ottorino in questi giorni durante il suo deserto: “La compagnia fiaschi ha fatto un’autocisterna, un'autobotte”. E se a don Calabria un tempo ha detto: “Caro don Giovanni, ho tentato per dodici anni di farmi santo, ma ho fatto fiasco”, se adesso don Calabria venisse nuovamente dovrei dirgli: “Caro don Giovanni, dodici più trenta fa quarantadue: qui si tratta di una vera fiaschetteria o, addirittura, di un'autocisterna!”. Vi faccio l'augurio che, arrivati a cinquantacinque anni, - Vinicio è ormai vicino, ma gli altri sono molto lontani - non dobbiate anche voi dire questo. Lo direte se non avrete cercato con tutte le forze di vivere unicamente per la gloria di Dio, solo per la gloria di Dio. Già all'inizio della meditazione vi dicevo che al mio posto ci vorrebbe San Giovanni evangelista, ci vorrebbe la nostra buona mamma, la Madonna. Qui è proprio il caso di dirvi quello che vi ho ripetuto tante volte nel passato: io sento le note, ma sono stonato. Datemi un pezzo di musica: se sono stonato, caro Raffaele, le pipe escono rovesciate e ne esce un'ottava alta e un'ottava bassa. Io sento quello che il Signore vorrebbe da noi: non cose straordinarie, flagellazioni, ma che ognuno continui a fare le cose di prima, però in forma tale e con un tale amore da sconvolgere l'Inferno. Perciò se uno è un cultore di San Tommaso coltivi pure San Tommaso, un altro di Kierkegaard approfondisca Kierkegaard: c'è posto per tutt'e due, Giorgio caro. Un altro invece è amante di Santa Teresina del Bambin Gesù come Ruggero, o di San Giovanni de Matha come don Alberto: per carità, c’è spazio per tutti. E tu, Antonio, sei amante di Sant’Antonio del porcellino? Ma sì, caro, benedetto dal Signore! Però attenti: tenetevi il santo che volete, ma con questo spirito. In altre parole, ognuno deve conservare il suo colore, altrimenti avremo un gran mazzo di garofani, ma tutti rossi, mentre ci vuole un po' di varietà. Il Signore ci ha creati diversi: Giorgio potrebbe essere uno dei fiorellini che sbocciano in giardino, davanti alla casa, con le foglie di radicchio e con un nome particolare, un altro potrebbe essere una viola, e un altro ancora un girasole, però sempre un fiore nato dal cuore di Dio e dato per l'umanità. Mi guardi, Vinicio? È questa la realtà! Comunque, stamattina niente distrazioni e procediamo!

CONSACRAZIONE offerta totale

MONDO

CONSACRAZIONE santità

AUTOBIOGRAFIA

MARIA la nostra buona mamma

CONGREGAZIONE carisma

CONGREGAZIONE spiritualità

PENITENZA

Cfr. Mt 26,39-42; Mc 14,36; Lc 22,42.

Don Ottorino scherza con don Matteo Pinton, estensore delle note che gli offrono lo spunto per la meditazione.

MI303,8 [15-04-1970]

8. «L'apostolo, consacrato unicamente alla gloria di Dio, di tanto in tanto con regolarità - questo potrebbe essere un impegno per il deserto - confronta il suo modo di vivere e di agire con le costituzioni, le delibere capitolari e si impegna con sempre rinnovato spirito di sacrificio nelle mansioni specifiche ricevute».
Qui ci vorrebbe una distrazione, ma don Giuseppe mi ha dato un'occhiata che sembra dire: “No, basta, per carità, altrimenti non si arriva più alla fine”. «... si impegna con rinnovato spirito di sacrificio...». Cari figlioli miei, anche noi, cominciando da me, davanti al sacrificio ci tiriamo indietro. Anche la natura di Gesù davanti al sacrificio gli fece dire: “Padre, se è possibile, passi da me questo calice”, ma, sapendo che avrebbe salvato gli uomini con la croce, soggiunse: “Padre, non la mia, ma la tua volontà sia fatta”. Distratti dal mondo, tante volte anche noi possiamo recalcitrare davanti al sacrificio, ma, inginocchiati davanti all'altare, pensando che Gesù ha salvato le anime con la croce, anche noi, allora, riprenderemo forza e diremo: “Padre, se è necessario questo sacrificio del compimento del dovere, dell'osservanza delle costituzioni e delle delibere, se è necessario questo piccolo sacrificio per la salvezza delle anime, eccomi qui, Signore!”. Cioè prenderemo sempre più coscienza che noi siamo salvatori di anime prima di tutto con il sacrificio e poi con la parola. Penso che il nostro caro dottore, di felice memoria, quando scrisse queste parole, volesse alludere a questo. Non è vero, padre Matteo? «Nei dubbi sa consigliarsi con umiltà con i confratelli e i superiori per timore di non dissipare il Regno di Dio con i suoi piani umani: per questo non rifiuta la collaborazione per cercare il meglio, anche se questo meglio può talvolta portare a dei sacrifici non indifferenti di rinuncia, di obbedienza e di apertura confidente nell'amore costante, anche quando le proprie attese rimangono a lungo deluse. Chiudersi in se stessi per dissenso è chiaro egoismo. Soprattutto, il religioso preoccupato unicamente di essere in ogni momento dove Dio vuole, sa obbedire, responsabilmente, ma obbedire».

PREGHIERA deserto

PENITENZA sacrificio

GESÙ

uomo

PREGHIERA abbandono

VOLONTÀ

di DIO

CONGREGAZIONE Costituzioni

CONGREGAZIONE Capitolo

MONDO

APOSTOLO salvezza delle anime

Beniamino Chimetto, operaio della legatoria Olivotto, per aiutare l’avvio della legatoria della Casa dell’Immacolata, offriva gratuitamente alcune ore di lavoro e insegnava ai ragazzi l’uso delle macchine.

Don Ottorino porta come esempio di responsabilità e di impegno - più avanti dirà “lavorare come disperati”, espressione dialettale per indicare un lavoro fatto di buona lena, con entusiasmo, senza misurare le fatiche - don Marcello Rossetto e don Gianni Rizzi, responsabili delle Comunità di Crotone e del Guatemala.

Don Ottorino si lascia prendere dall’entusiasmo ed elenca alcune proprietà e realtà della Congregazione per ricordare che appartengono a tutti, non solo ai responsabili e ai superiori. Usando un linguaggio vivace e scherzoso nomina l’assistente Umberto Manzardo, della Comunità dell’Istituto San Gaetano, che allevava conigli in gabbia, e Franco Faggian, allievo del corso liceale.

MI303,9 [15-04-1970]

9. Nell'obbedienza, qualche volta, sono presenti due tentazioni: la prima è quella di fare la propria santa volontà, la seconda - ed è una tentazione anche questa - di fare il minimo possibile. “Ma, sa... - si potrebbe obiettare - La propria personalità...”. Amici miei, bisogna obbedire, per conto mio, in una forma responsabile.
Ieri mi trovavo in legatoria e c'era Chimetto che tagliava carta. “Sa, - mi disse - è un piacere venire qui, perché si vedono tutti i ragazzi lavorare come se fossero a casa loro”. Bello, questo! È un elogio che fanno quando dicono: “Lavorano come se fossero a casa loro”. Ed io ho ribattuto: “Come? Se fossero? Questa è la loro casa; ci mancherebbe altro! Li metterei sotto la taglierina se non lavorassero così”. È chiaro! Se non altro per vedere che cosa c'è dentro di loro, incominciando dalla testa. Siamo in casa nostra, è naturale che dobbiamo lavorare così. Nelle vostre azioni, e anche negli atti di obbedienza, fate in modo che la gente possa sempre dire: “Lavora come se fosse il superiore generale, ce la mette tutta come se fosse il fondatore!”. Se andate a Crotone, voi vedete don Marcello che ce la mette tutta perché è il capo di quella Comunità. Non solo il capo, ma tutti dovrebbero fare così. In Guatemala voi vedete don Gianni che ce la mette tutta. Ebbene, non solo don Gianni, ma tutti dovrebbero impegnarsi al massimo. Dobbiamo arrivare al punto di avere la Comunità veramente fusa in unità fraterna. Perciò ci vuole uno sforzo, da parte del superiore per primo, evitando che lui debba mettercela tutta e lasciare gli altri in disparte; è chiaro, ci vuole un lavoro comunitario. Dobbiamo arrivare al punto in cui ognuno dei membri della Comunità ce la mette tutta, in modo che se uno si avvicina debba dire: “Chi è il superiore? Lavorano tutti come disperati; qui non si riesce a capire chi sia il superiore”. E allora si accorgerà che il superiore è Dio. È chiaro? Non è possibile che uno tiri la carretta e l'altro dica: “Che cosa devo fare?», oppure: «Beh, beh, questo lo faccio, ma poi basta!». Non ci si può accontentare del minimo. Avete capito? Un'obbedienza responsabile significa specialmente questo. Per esempio, c’è da organizzare villa Valeri. Non si chieda: «Che cosa devo fare? Mi concedete un paio di ore... un'oretta di qua, un’oretta di là? Che cosa posso fare?». Perché la legatoria è di tutti, villa San Giovanni è di tutti, la Casa dell'Immacolata è di tutti, i debiti sono di tutti, le mucche di Grumolo sono di tutti, i conigli di Umberto sono di tutti, i pidocchi sono di tutti, i peccati sono di tutti. Anche i peccati, caro Franco, che mi guardi fisso, perché dobbiamo pagare anche per i peccati tuoi, anche per i miei; la comunione vale anche qui, cari, purtroppo anche qui!

PECCATO passioni

DOTI UMANE personalità

CROCE tentazioni

CONSACRAZIONE obbedienza

CONGREGAZIONE appartenenza

COMUNITÀ

corresponsabilità

COMUNITÀ

superiore

COMUNITÀ

fraternità

Don Ottorino si riferisce alle ceramiche che lui stesso aveva fatto preparare dettandone il testo da scrivere, e la sua scrittura non era affatto bella e facilmente leggibile, che poi fece appendere alle pareti della Casa dell’Immacolata. Attualmente queste ceramiche sono conservate nel piccolo museo dedicato a don Ottorino, ma manca la ceramica qui ricordata perché purtroppo è andata perduta.

Nel testo registrato don Ottorino dice l’espressione di Gv 3,10 in latino, come spesso faceva nel riportare frasi evangeliche o bibliche.

Espressione scherzosa su se stesso che aveva ispirato le note che ora sta commentando e su don Matteo Pinton che le aveva poste per iscritto.

MI303,10 [15-04-1970]

10. «Questa consacrazione all'obbedienza, espressa attraverso un suo voto speciale (e il voto è un impegno pubblicamente assunto), conduce il religioso fino alla croce».
Non crediate che i voti, che voi fate, vi conducano in cantina. Una volta nella nostra casa religiosa avevano collocato questa scritta: “Scegli l'ultima porta e troverai la pace”, e l'ultima porta era quella della cantina. Quando avevamo fatto fare la scritta con le parole: “Scegli l'ultimo posto e troverai la pace”, era stato commesso un errore: avevano scritto “porta” invece di “posto”, perché lo scrivente scriveva male. Perciò sulla tavoletta in ceramica fu scritto: “Scegli l'ultima porta e troverai la pace”. E coloro che l'hanno appesa l'hanno messa al posto giusto, per cui l'ultima porta era quella della cantina. E qualcuno domandava: “Dov'è la stanza che conduce alla pace?”. “Eccola laggiù”, rispondevano. State attenti perché il voto di obbedienza non si fa così, scegliendo l'ultima porta. «Esigere che tutto sia chiaro, che i superiori siano infallibili (cioè facciano quello che pare giusto a noi), che non ci sia nessuna obbedienza difficile o incomprensibile, è anteporre delle remore e condizioni egoistiche al piano di Dio che ci chiama a soffrire per la redenzione del mondo...». Credo che tutto il resto si spieghi da sè, se abbiamo capito questo, se cioè abbiamo capito l'amore di Dio e il nostro dovere di soffrire per la redenzione del mondo. Allora, se c'è qualcosa che pesa, diremo: “Beh, insomma, non importa, pazienza! Ce la metto tutta, però, in fondo, anche se resta un po' di peso, so che devo portarlo”. Ma se noi non abbiamo capito questo, allora, per conto mio, la vita religiosa è impossibile. Non so se sbaglio. Se non abbiamo capito questo, cioè l'amore di Dio e la necessità di collaborare con lui per la salvezza del mondo con la nostra sofferenza, penso che sia difficile, veramente difficile accettare l'obbedienza. Del resto anche i buoni cristiani, le nostre buone mamme dicono: «Pazienza: il Signore ha sofferto, poveretto! Sì, è vero, bisogna sempre soffrire qualcosa», e magari portano croci pesanti sulle spalle! «Sì, c'è qualcosa, - dicono - ma, d'altra parte, quando penso a tutto quello che il Signore ha sofferto, questo è poco». Queste buone mamme ci superano: hanno capito che anche i cristiani devono collaborare con Gesù e come Gesù per la salvezza del mondo. E forse noi, “maestri in Israele” , rischiamo di non conoscere queste cose e di non viverle. «Se le nostre mani e i nostri piedi non sono piagati dalle ferite doloranti della volontà di Dio; se il nostro vivere è un fuggire continuo dal luogo dove Dio ci chiama, dal nostro Getsemani e dal nostro Calvario, dove forse l'obbedienza ci chiama solo a sudar sangue o a morire nell'abbandono, come faremo a parlare alle anime di volontà di Dio, di dovere, di amore?». Sentite come i nostri santi padri fondatori scrivevano bene! «Creeremo intorno a noi degli egoisti scontenti come noi, giustificando le loro scappate in nome della libertà, della maturità, della responsabilità! Non riusciremo ad educarli a morire piuttosto di offendere Dio o un fratello, magari nemico; non li educheremo ad amare per primi, nell'eroismo di una fede crocifissa!».

CONSACRAZIONE voti

CONSACRAZIONE vita religiosa

SLOGANS umiltà

DOTI UMANE buona volontà

CONSACRAZIONE obbedienza

CROCE sofferenza

DIO amore di...

DIO cuore di...

DIO bontà

di...

APOSTOLO salvezza delle anime

CHIESA cristianesimo

FAMIGLIA mamma

CROCE

GESÙ