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LA CONSACRAZIONE RELIGIOSA RICHIEDE FEDELTÀ ALLE PRATICHE DI PIETÀ

MI294 [13-02-1970]

13 febbraio 1970

Il riferimento è a don Matteo Pinton, autore della Note di spiritualità religiosa che don Ottorino sta commentando in questa serie di meditazioni, il quale era di costituzione fisica abbastanza gracile.

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1. Siamo in Quaresima e, prima di incominciare la meditazione, vorrei chiedervi due cose.
Di solito, in questa ricorrenza, ci si imponeva qualche penitenza da fare insieme, da buoni fratelli. Perciò io vorrei chiedere, se non avete niente in contrario, vorrei proporre per la Quaresima un paio di penitenze piccole, piccole: nulla di straordinario, né cenere, né cilicio, e neanche digiuni. Hai capito, don Matteo, altrimenti, se cominci a digiunare, caro, se mi prendi sul serio, alla fine non mi resta più niente di te. Però, se vi chiedo due cosette da farsi proprio in spirito di penitenza, penso che non mi direte di no La prima: spegnere le luci, non lasciare le luci accese. Ho osservato in casa che spesso si lasciano qua e là le luci accese senza necessità. In corridoio, per esempio, alla sera c'è uno che passeggia con tutte le luci accese: non vi dico di muovervi all'oscuro, ma un certo equilibrio ci vuole. Come nelle nostre famiglie, nelle quali la mamma direbbe: “Questa sì, quella no”. Se una luce è necessaria la si usa, non si discute, ma senza sprechi. Mi pare che questo non sia giusto; manchiamo di povertà. Infine il contatore gira. Se nella sala di studio bastano due luci, si accendono due luci; se ne occorrono quattro, quattro, se venti, venti. Non bastano quelle che ci sono? Mettetene delle altre. Quello che è necessario, sì, quello che non è necessario, no. Tante volte, proprio alla sera, devo continuamente spegnere a destra e a sinistra. Facciamo quindi la campagna dell'economia, in vista però della povertà, pensando che i poveri non sprecherebbero, e che noi dobbiamo abituarci ad essere poveri e a non sprecare.

CONVERSIONE Quaresima

PENITENZA

COMUNITÀ

fraternità

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

CONSACRAZIONE povertà

Don Ottorino si riferisce al periodo nel quale, mentre era chierico del 1° e del 2° anno del corso teologico, era stato inviato come assistente dei giovani del seminarietto, che attendevano al servizio liturgico nella chiesa cattedrale.

Il riferimento è a Franco Faggian che all’epoca frequentava il 1° anno del corso liceale.

Il termine ocheta in dialetto veneto sta per “piccola bestemmia”.

Don Ottorino, con linguaggio scherzoso e fiorito, nomina Ruggero Pinton e Zeno Daniele che insieme frequentavano l’ultimo anno del corso teologico. I termini scendere agli inferi e venire giù dall’Olimpo indicano un invito a scendere da un mondo fantastico per mettere i piedi per terra.

MI294,2 [13-02-1970]

2. La seconda è simile alla prima, per cui non sono cose straordinarie, ma piccole cose, che però aiutano a divenire migliori. È la seguente: durante la Quaresima non vogliamo bestemmiare contro il prossimo, cioè non dire parolacce, titolacci volgari, anche se non sono cose gravi, per carità. Che non venga ai posteri l'idea che noi bestemmiavamo nella Casa dell'Immacolata.
Quando io sono andato in cattedrale, ho visto un cartello esposto in sacrestia: “Si prega vivamente di non bestemmiare in sacrestia”. Io l'ho trovato, anche se era un cartello un po' vecchio. Che non si pensi, poi, che proprio nella Casa dell'Immacolata - non è vero, Franco ? - qualcuno tiri qualche “ocheta” ! Beh, fino a questo punto... no! Lo speriamo, a meno che non sia don Matteo. Però, qualche parola un po' villana sfugge, qualche espressione che non sta bene in bocca ai religiosi... Non sono cose gravi, ma stupidaggini. Io proporrei di fare questa campagna: durante la Quaresima vogliamo eliminare queste due cosette. Ci si sforza, con la collaborazione fraterna. Perché è chiaro che quando don Ruggero dice certe parolacce, com'è il suo solito, contro Zeno o contro qualche altro; non lo fa coscientemente, ma incoscientemente. E allora bisogna che un fratello buono gli dica: “Fratellino, “descende ad inferos”, vieni un pochino giù dall'Olimpo, perché stai dicendo contro il tuo amico Zeno parole che non devi dire”. Vi pare giusto? Le accettate queste penitenze? Penso che non siano pesanti. Se vi avessimo detto: “Fate a meno del vino, del cibo...”, no, no, per carità! Qualche piccola mortificazione personale la farete per conto vostro, accettando specialmente il sacrificio del dovere, sforzandovi di offrire al Signore il compimento del vostro dovere, di fare la volontà di Dio istante per istante. Non penso neppure che non facciate questa penitenza, che non vi siate messi d'accordo col vostro padre spirituale nello stabilire di fare qualcosa di concreto durante la Quaresima. Noi faremo insieme queste due piccole cose. Ed ora andiamo avanti.

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CARITÀ

amore al prossimo

AUTOBIOGRAFIA seminario

PECCATO difetti

CONSACRAZIONE religioso

COMUNITÀ

fraternità

COMUNITÀ

correzione fraterna

PENITENZA

PENITENZA sacrificio

VOLONTÀ

di DIO

FORMAZIONE direzione spirituale

Il riferimento è sempre a don Matteo Pinton, autore delle note che don Ottorino sta usando, anche se nel caso concreto le riassume senza leggere il testo.

Il riferimento è evidentemente alle delibere del 1° Capitolo generale del 1968, l’unico al quale don Ottorino ha potuto partecipare.

Il riferimento potrebbe essere a Giorgio Girolimetto, allievo del 4° anno del corso teologico, o a Giorgio De Antoni, che aveva appena iniziato il corso teologico.

S. E. mons. Costantino Luna, originario di Recoaro (VI), era vescovo di Zacapa in Guatemala. Nei suoi frequenti viaggi in Italia visitava sempre la Casa dell’Immacolata e manteneva stretti contatti con don Ottorino.

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3. Nell'ultima meditazione stavamo parlando delle pratiche di pietà obbligatorie nella nostra Congregazione e siamo arrivati ad un punto in cui il venerabile autore dà l’avvertimento - leggeremo poi la paginetta in questione - di stare attenti al pericolo di scegliere... Un confratello potrebbe mettersi nel pericolo di scegliere lui le sue pratiche di pietà e di dire: “Queste no... queste sì...”. In una comunità religiosa si dovrebbe essere come in una famiglia nella quale, se ci sono cinque o sei persone che vogliono mangiare ciascuna una cosa differente, ci si mette prima d'accordo e poi si prende tutti lo stesso cibo, a meno che esso non faccia male; se, però, non fa male, in casa lo si mangia tutti. Ora, perché dovremmo noi, che facciamo parte di una comunità religiosa, di una famiglia dove ci sono tanti fratelli, dove uno vorrebbe mangiare minestra, un altro pastasciutta, un altro riso asciutto, un altro gnocchi, lasciare tutto al gusto individuale? Perché questo? Se un cibo fa male, beh, ma se ci siamo messi d'accordo... Così, io direi, è anche delle pratiche di pietà.
Ci sono delle pratiche di pietà che sono state stabilite dalla santa madre Chiesa; ce ne sono delle altre che abbiamo stabilito noi, insieme, nel Capitolo. Quelle stabilite dalla santa madre Chiesa le accettiamo in spirito di obbedienza e di amore; quelle, invece, stabilite dalla nostra Famiglia religiosa le accettiamo e, se volete, anche le giudichiamo, in modo che nel prossimo Capitolo si possa dire: “Ci pare che sarebbe il caso di modificare, di sostituire questa pratica con un'altra”. La discussione resta pienamente aperta, ma fino al prossimo Capitolo si resta legati a ciò che è un impegno comunitario. “Alle regole del gioco”, direbbe il nostro caro Giorgio. Abbiamo stabilito questo e facciamo questo. Nel frattempo sono sorte delle difficoltà che ne impediscono la realizzazione, che forse modificano il motivo della scelta? Allora si ricorre a chi si deve e si vedrà di fare una modifica provvisoria. Infatti si può fare qualche cambiamento fino al prossimo Capitolo, ci si può mettere d'accordo: la strada è aperta. Ma il pericolo enorme, fratelli, è un altro, ed insisto fortemente su questo punto perché è una cosa che mi preoccupa. Potete dire: “Voi vecchi...”. Ieri sera mons. Luna, telefonando da Roma, mi domandava: “Come va da voi la fede? Ce l'hanno ancora i ragazzi? Perché qui in Italia e nel mondo se ne trova tanto poca! E con le idee come si sta?”. È un po' umiliante sentire che tutti i vescovi domandano questo, perché c'è proprio il pericolo di perdere la fede. Voi direte che queste sono calunnie dei vecchi.

PREGHIERA pratiche di pietà

CONGREGAZIONE Capitolo

COMUNITÀ

fraternità

COMUNITÀ

dialogo

COMUNITÀ

condivisione

COMUNITÀ

confratelli

COMUNITÀ

comunione

CHIESA

CROCE difficoltà

Il breviario, che all’epoca si recitava completamente in latino, era il nome che si dava alla “Liturgia delle ore”, preghiera che il sacerdote deve fare ogni giorno per tutto il popolo di Dio.

Cfr. Mt 7,15-20.

Nel 1970, in un clima generale di contestazione, si discuteva molto sulla possibilità di togliere l’obbligo del celibato sacerdotale

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4. Pochi giorni or sono un sacerdote, al quale avevo chiesto se recitava il breviario, mi diceva: “Beh, a dire la verità, lo recito una volta o due al mese, qualche volta di più, qualche volta di meno, però in sostituzione faccio un'ora di lettura biblica ogni giorno. Perché io ho fatto un ragionamento di questo genere: la Chiesa non può imporre sotto pena di peccato; quando lo fa, abusa della sua autorità. Io mi sono reso conto che la recita del breviario non apporta nessun giovamento alla mia vita intima, spirituale, e allora ho pensato che sia meglio... che il Signore sia più contento che io faccia qualcos'altro. Così io faccio un'ora di lettura biblica, di meditazione biblica e rimango per un'oretta a pensare”. Io dubito molto che quella sia un'ora di lettura biblica e di meditazione biblica. Credo sia piuttosto un'ora di soddisfazione personale perché, poi, indagando un po' più a fondo, ho visto che anche i frutti non erano... grappoli d'uva e nemmeno mele. Va bene? Se dai frutti si conosce la pianta, è chiaro che i frutti non erano quelli.
E doloroso che uno, che si presenta all'altare per dire al Signore: “Signore, eccomi qua: vengo ad offrirmi a te attraverso la Chiesa e nella Chiesa”, poi non sia fedele. Compia prima i suoi impegni! “Quali sono i miei impegni?”. L'offerta intera della mia vita nel celibato, l'offerta della mia vita con questi obblighi di preghiera... E poi, fatta questa offerta, comincia a dire: “Sì, sì: io resto soldato, però non voglio portare la divisa; resto soldato, però niente celibato , niente breviario!”. Mi pare che questa sia una vigliaccheria. Quando ti sei fatto prete, tu sapevi che c'erano degli obblighi e li hai accettati coscientemente. E allora, scusami tanto, come puoi permetterti ora di dire: “Io, liberamente, faccio questo, faccio quello”? Se non ti è possibile, muovi i passi necessari, di’ una parola, per esempio, in Congregazione, chiedi una dispensa... Però mi pare che, anche sotto l'aspetto umano, bisogna essere coerenti. Non so se esagero; tu, don Matteo, che cosa ne dici? Io non entrerei neppure a discutere se la Chiesa può o non può imporre. Sei entrato ed hai accettato? Allora ti sforzerai di recitare bene il breviario. Sai che i vescovi hanno la facoltà di concederne la recita in italiano: chiedine l'autorizzazione. Mi dice: “Anche ultimamente, per esempio, ho letto un salmo dove ci sono delle stupidaggini”. Ad un dato momento io gli direi: “Ma allora... Se prendi in mano un’arancia, nel suo interno ci sono certi noduli che fanno ridere. Se prendi una zucca, t’accorgi che ha i semi, e per questo butti via la zucca? Se prendi un pollo e ne apri il ventre butti via il pollo perché vedi le interiora? Scusami tanto!”.

SACERDOZIO prete

CHIESA autorità

PREGHIERA vita interiore

PECCATO passioni

PECCATO omissioni

CONSACRAZIONE offerta totale

CONSACRAZIONE celibato

DOTI UMANE coerenza

APOSTOLO uomo

Villa Valeri era la casa di campagna che la signorina Clementina Valeri aveva donato alla Congregazione per accogliere i benefattori anziani, e che ora ristrutturata veniva chiamata Casa San Giovanni.

Don Ottorino scherza sull’equivoco creato dall’espressione.

Ospizio cittadino per anziani.

Don Zeno Daniele era ancora studente dell’ultimo anno del corso teologico, ma già seguiva molti problemi relativi all’amministrazione di Casa San Giovanni e l’avvio delle attività.

In questa circostanza don Ottorino sembra interpellare anche don Guido Massignan, che all’epoca era segretario della Congregazione e direttore della Casa dell’Immacolata, Zeno Daniele e Ruggero Pinton.

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5.Ieri ero andato a villa San Giovanni che ora non si chiama più villa Valeri: da quando abbiamo messo il recinto ha cambiato nome. Arriva una donna in bicicletta, vede questo prete, scende dalla bici e mi dice: “Senta, reverendo, ha bisogno di una donna?”. Io ho riso dentro di me e le ho chiesto: “Per farne che cosa?”. “È una brava donna, sa! Servirebbe per fare ogni cosa in questa casa. Era ospite a San Pietro, in seguito è andata a lavorare in casa di signori, ma in un istituto si troverebbe meglio!”. “Quanti anni ha?”. “Sessanta, ma non sembra; pare più giovane; e poi, è così brava nel curare i polli! È così brava! Se vuole vederla...”. E cominciò a tesserne gli elogi. Allora le risposi: “Non sono io a trattare queste cose; è don Zeno , un altro sacerdote”.
Ora, per tornare all'argomento del pollo, lo si acquista e si butta via la parte non commestibile, ma lo si compera e lo si paga tutto, così com'è, tutto intero. Amici miei, vedete quanta poca logica abbiamo. Per conto mio, non so se sbaglio, manca la semplicità, lo spirito di donazione semplice. Non so se sono fuori di strada; don Guido, Zeno, Ruggero, voi che cosa dite? Manca la semplicità! Se si è accettato di dire il breviario, se si è accettato di fare meditazione, se si è accettata questa vita: bene, la si accetta così com'è. Il giorno in cui un uomo si sposa accetta la donna con tutte le conseguenze di una famiglia. Non vi pare che, in fin dei conti, il fare quel che vogliamo noi sia un cercare quello che piace, un liberarsi da qualcosa che pesa? Lo so anch'io che certe volte si preferirebbe leggere tre o quattro pagine della Bibbia anziché mettersi a recitare il breviario: in certi momenti, con certi salmi, con la pesantezza, eccetera, è duro. E lo spirito di sacrificio? E un po' di penitenza?

AUTOBIOGRAFIA

VIRTÙ

semplicità

FAMIGLIA matrimonio

PECCATO passioni

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6. Ieri mi trovavo a villa San Giovanni con un gruppo di nostri confratelli: io ad osservarli e loro, poveretti, a lavorare di badile. Sudavano, erano stanchi. A un dato momento, osservando un povero manovale che aveva sempre tanto da portare con sé perché era grande e grosso e, oltre ad avere da portare la propria notevole mole, continuava ad andare avanti e indietro con il carico, ho fatto un po' di riflessione che poi ho confidato anche ai confratelli: “Quest'uomo, quando abbiamo cominciato i lavori, era già qui che lavorava, e voi lo vedete alla mattina e a qualunque ora del giorno sempre con la malta, per tutta la giornata dalle otto del mattino fino alla sera. Adesso, supponiamo, qui sta per finire: terminerà questi nostri lavori fra sette o otto mesi e poi andrà a lavorare in un'altra parte. E tutta la sua vita verrà consumata così. Pensate un momentino: tutta la sua vita consumata così!”. I lavori cominciano al mattino alle otto, perciò egli deve partire da casa alle sette; alla sera termina alle cinque, perciò arriverà a casa dopo le sei, per riprendere il giorno seguente la stessa storia.
È ben diverso il lavoro del medico che va a visitare gli ammalati ed ha un po' di varietà, il lavoro di un avvocato o di un professore: il professore va a scuola, ha un po' di soddisfazione, anche se avrà da arrabbiarsi con i ragazzi; ma, amici miei, questo genere di lavoro del manovale - mattoni e malta, malta e mattoni, badile e zappa... - è monotono, e gli anni passano e comincia a sentire il peso dell'età, le difficoltà. Guardate che la maggior parte degli uomini portano questo peso. E noi, se c'è qualcosa di monotono: “Piano! Ci vuol questo, ci vuol quello, altrimenti ci stanchiamo”. State attenti che disgraziatamente non diventiamo dei giovani viziati, che a confronto delle fatiche dei nostri genitori e dei nostri fratelli non abbiamo da arrossire, mentre invece noi apostoli dovremmo avere uno spirito di sacrificio maggiore del loro. Nessuno vi chiamerà a fare i manovali per tutta la vita, a fare i preti operai, ma a fare gli operai sì, gli operai della vigna del Signore, i suoi lavoratori. È necessario lo spirito di sacrificio, lo spirito di mortificazione, un po' di austerità. Quando sento qualche prete che parla in un certo modo, che comincia a dire: “Questo... sa...”, che cioè, praticamente, va a cercare tutto quello che piace, che mentre legge sente la necessità di aggiungere anche una musichetta, perché bisogna alleggerire tutto, bisogna rendere tutto roseo, tutto bello, tutto facile, io dico: “Quello è un uomo che, se fosse a capo di un'industria, si mangerebbe anche le brache, perché non rende, non rende”.

AUTOBIOGRAFIA

COMUNITÀ

confratelli

PENITENZA sacrificio

SOCIETÀ

lavoro

CROCE difficoltà

CONSACRAZIONE generosità

Il soprannome Cichè era stato dato a Luigi De Franceschi dai suoi compagni ancora durante la scuola media, contraffacendo il suo cognome dopo la lettura a scuola di una novella di Pirandello fra i cui personaggi c’era un asino chiamato Cichè. Don Ottorino poi aggiunge il titolo di monsignore perché diligente e perfetto nella direzione delle cerimonie. Luigi De Franceschi, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico, era responsabile nel laboratorio di legatoria della Casa dell’Immacolata, ove oltre ai libri delle Edizioni ISG a volte si lavorava per ditte della città, fra le quali Olivotto era la principale datrice di lavoro.

Il riferimento è forse ad Alberto Baron Toaldo, che all’epoca frequentava il 4° anno del corso teologico.

Don Ottorino usa il termine scapolo nell’accezione peggiorativa di persona che non vuole responsabilità e non sa impegnarsi per un ideale.

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7. Quando, per esempio, voi vi mettete con monsignor Cichè e compagni in laboratorio, avete poco da fantasticare: se c'è da lavorare, bisogna lavorare. Se c'è da fare una consegna ad Olivotto, non potete dire: “Aspetta la musichetta!”: in questo modo mandate in malora tutto. E invece: “Dai, sotto!”. Il lavoro è lavoro.
Il nostro è un lavoro anche se spirituale, e perciò bisognava alzarsi presto al mattino, muoversi, fare quello che c'è da fare. È il dovere che dobbiamo compiere. Supponiamo che un domani uno abbia la Messa alle nove e dice: “Beh, mi alzerò alle otto!”. “Perché, ti alzerai alle otto? Alzati, su! Se stai poco bene è un'altra cosa, però, tu, alzati regolarmente, fa’ il tuo dovere!”. “Ma - obbietta - non posso attendere fino alle nove?”. “Come puoi aspettare fino alle nove?”. I nostri genitori si alzano prima per finire gli altri lavori in casa. Se devono essere al lavoro per le otto, si alzano magari alle quattro per fare qualche faccenda in casa. E quando per qualche motivo possono recarsi al lavoro più tardi dicono: “Che bellezza! Così faccio in tempo a fare quella data cosa!”. C'è da studiare, c'è da pregare, c'è da fare qualche altra cosa! Vi pregherei di cercare che entri nella vostra vita questo spirito di sacrificio. Quando esso c'è, non abbandonerete le pratiche comuni di pietà, che sono veramente poche quelle stabilite, meditazione, corona, breviario; mi pare siano così poche! Che ne dici, Berto? Ora io sono preoccupato non tanto per quella determinata pratica di pietà, quanto piuttosto per la causa che la fa trascurare, che fa diventare uno poltrone, cioè, si direbbe in altri termini, scapolo. Guardando un po' intorno, guardando i nostri buoni papà, i nostri buoni fratelli che lavorano veramente e si sacrificano, io dico: “Ho paura che tante volte noi ci lasciamo indurre ad assecondare un po' la nostra natura, cioè quella natura che ci porterebbe ad essere dei fiacchi”. Perciò uno dei punti fermi, sui quali non dovete assolutamente transigere, è la questione delle pratiche di pietà.

SOCIETÀ

lavoro

FORMAZIONE lavoro

PENITENZA sacrificio

VIZI accidia

PREGHIERA pratiche di pietà

Don Ottorino era molto ricercato dai sacerdoti per la direzione spirituale.

Il termine il nostro asino è usato nel senso di San Francesco d’Assisi che così chiamava abitualmente il proprio corpo.

Non si è in grado di stabilire chi sia don Massimo qui nominato, e nemmeno padre Samuele nominato subito dopo.

Il riferimento è a Marco Pinton, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso teologico, che amava scherzare e raccontare barzellette.

Padre Giuseppe Bertinazzo aveva studiato con don Ottorino nel seminario di Vicenza e poi era passato fra i Padri Comboniani conservando sempre una profonda amicizia con lui.

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8. Dicevo un giorno a un sacerdote : “Non tralasciare la recita della corona!”. E magari in un mese la si tralascia dieci o quindici volte. “Non tralasciarla!”, gli dicevo. “Sì, prometto: non la tralascerò più”. La volta successiva gli domando: “Hai recitato la corona?”. “Oh, no!”. Porto questi esempi perché son sicuro che non lo conoscete, sennò vi assicuro che non lo direi. “Quante volte l’hai recitata in venti giorni?”. “Cinque o sei volte”. E così via discorrendo. A un certo punto gli domando: “E la meditazione l'hai fatta? E quanto è durata? Una mezz'ora?”. “Beh, insomma: venti minuti, un quarto d'ora. L'ho omessa qualche volta”. “Hai fatto la lettura spirituale?”. “Beh, per lettura spirituale leggo qualche rivista, un momentino, così!”. Ebbene, scusate, che meraviglia c'è se dopo si scivola nel peccato? E logico! Lasciate l'asino senza cibo e vedrete che cosa succederà dopo quindici giorni. Non è vero, don Matteo? Parlo del nostro asino, non di quello degli altri.
Non si può stare in piedi, figlioli miei, senza un po' di sacrificio e un po' di preghiera. E guardate che le preghiere stabilite dalle nostre Costituzioni sono il minimo per vivere. Don Massimo narrava di quel missionario dell'India che ritornava la sera a casa e si trovava solo, completamente solo, e per sostenerti con il morale, per farsi compagnia, raccontava a se stesso le barzellette davanti allo specchio. Ed è quello che capiterà a Marco. Però attenti: l'unica sua forza erano un paio d'ore di preghiera davanti al tabernacolo, ogni giorno. Allora si capisce perché continua ancora ad andare avanti: ha costruito una chiesa e adesso la affida al sacerdote indiano, a padre Samuele, mentre lui ne costruisce un'altra in un luogo più avanzato. Allora si capisce perché padre Bertinazzo, terminato il servizio di provinciale, ritorna in missione e incomincia daccapo; ha più di cinquant'anni e incomincia daccapo. A cinquantacinque anni non è facile cominciare di nuovo: una capanna e si riparte. “Non importa niente - mi diceva - se continuerò io l'opera, se riuscirò a terminarla o se morrò: non interessa. Potrà prenderla in mano un altro e farla continuare”. Questi sono gli uomini di Dio. Domandate però a padre Bertinazzo se ha tralasciato la recita della corona una sola volta in vita sua; domandate a padre Bertinazzo se ha tralasciato una volta la meditazione. E allora tu trovi gli uomini capaci di fare.

SACERDOZIO sacerdozio dei laici

PECCATO omissioni

VIZI accidia

PENITENZA sacrificio

CONGREGAZIONE Costituzioni

EUCARISTIA tabernacolo

EUCARISTIA adorazione

MISSIONI

APOSTOLO uomo di Dio

PREGHIERA rosario

PREGHIERA meditazione, contemplazione

Don Ottorino sottolinea con forza il pericolo che può esserci in certe letture che presentano idee audaci e poco rispettose del magistero e della tradizione della Chiesa.

Il Regno è una rivista edita dai Padre Dehoniani di Bologna, molto impegnata nello sforzo di rinnovamento della Chiesa, e portavoce a volte di idee avanzate e di opinioni contestatarie in seno alla Chiesa. Qui si fa riferimento al noto caso delle difficoltà sorte tra la Chiesa olandese e la sede romana. Don Ottorino, per la sua formazione e sensibilità e per il suo ruolo di superiore generale, non entrava volentieri in discussioni teologiche, ma preferiva la dottrina sicura enunciata dal magistero della Chiesa.

Don Ottorino allude alla preghiera che si recitava in seminario e nella Casa dell’Immacolata ogni mattina al suono della sveglia: “Quando sarà, o mio Dio, che io aprirò questi miei occhi per vedervi nei giorni eterni lassù in Paradiso? A voi, Gesù, Giuseppe e Maria, io dono il cuore e l’anima mia”. Il pensiero del Paradiso e della risurrezione richiama alla mente di don Ottorino le parole di un canto usato nella liturgia dei defunti: “Io credo: risorgerò; questo mio corpo vedrà il Salvatore”.

Don Ottorino allude a un aneddoto che si racconta nella vita di San Pio X. Un giorno a Venezia, mentre portava l’Eucaristia a un ammalato, sentì un gondoliere che diceva al suo cliente: “Si inginocchi perché passa il Signore!”. “Io non credo alla transustanziazione!”. “Neanch’io credo a quelle cabale, ma intanto si tolga il cappello perché passa il padrone del mondo”.

MI294,9 [13-02-1970]

9. Vi pregherei, fratelli, ed ho insistito forse anche un po' troppo: non lasciatevi ubriacare dalle idee che trovate scritte un po' dappertutto. Leggete poco, leggete poco. Accontentatevi di leggere il Vangelo. Certe riviste, certi giornali, certe cose avvelenano: non leggetele.
Vi assicuro che qualche volta ho preso in mano qualcuna di queste riviste e l'ho buttata via perché ho paura di me stesso, ho paura della mia debolezza. Vi confesso una cosa e ve la dico davanti al Signore: ieri mattina il nostro caro don Guido mi diceva, a proposito di un articolo letto nella rivista Il Regno, che è vergognoso il modo con cui tratta la questione dell'Olanda, dando ragione a quelli dell'Olanda e non al Papa. Sì, avevano messo tra le pagine un foglietto di spiegazione, in cui si diceva: “L'articolo è stato fatto prima dell'intervento del Papa, e perciò adesso ci mettiamo un po’ d'accordo”. Ma il foglietto vola e resta quanto affermato dalla rivista. Io vi confesso che non mi sentirei, dato che don Guido mi ha già informato del contenuto dell'articolo e, quindi, non è necessario che vada a leggerlo, non mi sentirei in coscienza di leggere l'articolo perché ho paura di esserne influenzato. Io li leggo solo se è necessario, come si legge soltanto per necessità una rivista pornografica. Infatti, perché devo leggere se so già che cosa c'è scritto? Se non lo sapessi, allora prenderei in mano l'articolo e leggerei con tanta tranquillità, ma siccome don Guido me ne ha già informato sarebbe solo curiosità. Attenti perché insistendo oggi e insistendo domani, qualcosa resta! Quante cose ci sono anche nella natura che non comprendiamo, che non sappiamo! Ci occorre un pizzico di fede. Per esempio, stamattina, svegliandomi, pensavo: risorgerò. Mi è venuta in mente la liturgia dei defunti mentre dicevo: “Quando sarà, o mio Dio...”. Risorgerò! Questo mio corpo vedrà il Signore: in che modo risorgerà questo mio corpo? Pensavo all'India, ai morti dell'India; don Massimo aveva detto che i cadaveri vengono gettati nel Gange, e poi... si va a mangiare in albergo il pesce che si è cibato di cadaveri... non importa! Ebbene, come faranno a risorgere quei morti? Come farà il Signore? Io so che risorgerò. Lo so, perciò lasciamo che il Signore faccia qualcosa anche lui. Vogliamo fare tutto noi? No, eh! Che si metta lui a combinare certe faccende. A un dato momento io penso che occorra proprio dire come quel tale: “Beh, neanch'io credo a quelle cabale, ma intanto giù il cappello, perché passa il Signore, il padrone del mondo!”. Qualche volta bisogna proprio invidiare la fede semplice dei nostri vecchi. E allora non si deve studiare? No, figlioli, studiate, ma tenete salda la fede, per carità. E se vi accorgete che essa traballa, buttate i libri dalla finestra e fate a meno di fare gli esami, piuttosto; essa è più preziosa di tutte le scartoffie! Tenetela forte, ma guardate che si conserva con l'aiuto di Dio, con la preghiera e con la meditazione. State attenti a non mettervi nel pericolo, senza necessità. Io proprio insisterei nel dirvi che il pericolo oggi sta in casa nostra, nel conservare certe riviste, certi libri, certe cose che sono pericolose. Approfondite la conoscenza dei libri santi, dei testi scolastici, ma sempre avendo come base l'unione con Dio e la preghiera.

FORMAZIONE

PAROLA DI DIO Vangelo

VIRTÙ

prudenza

VIRTÙ

fede

CREATO corpo

GESÙ

mistero pasquale

EUCARISTIA

VIRTÙ

semplicità

DOTI UMANE studio