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LA CORRESPONSABILITÀ NELLA CONGREGAZIONE

MI329 [11-11-1970]

11 novembre 1970

Il riferimento è a Raffaele Testolin, che l’anno precedente aveva frequentato il 1° anno del corso teologico e all’epoca si trovava in un periodo di discernimento.

Cfr. Tobia 11,7-14.

Il primo Capitolo generale della Congregazione, l’unico celebrato con la presenza di don Ottorino, si tenne nel mese di settembre del 1968. Don Ottorino richiama subito dopo alcune idee della sua relazione programmatica.

MI329,1 [11-11-1970]

1 La meditazione di questa mattina vi sembrerà un po' strana. Poco fa in chiesa il nostro caro Raffaele ha detto: “Signore, fa' che io veda! Fa', o Signore, che vediamo!”. Ho pensato subito che San Raffaele ha dato la vista a Tobia, cioè ha insegnato il mezzo per dare la vista a Tobia, è stato il messaggero di Dio; e forse il nostro nuovo Raffaele c'insegna la strada per acquistare la vista.
È un pensiero un po' forte quello che propongo alla nostra meditazione, che non deve terminare dopo questa mezz'ora, ma che dovrebbe essere oggetto di riflessione durante questi giorni. Mi riallaccio a quello che è stato detto nel Capitolo generale e che in varie circostanze è stato ripetuto qui in sede di meditazione e in altre sedi ancora. E cioè: una Famiglia religiosa è un intervento straordinario di Dio nella storia della Chiesa per un fine particolare. Ora la nostra Famiglia religiosa è stata approvata, con una linea ben definita, perciò dobbiamo prendere coscienza che abbiamo una missione nella Chiesa, chiara e precisa, e dobbiamo testimoniare e agire in conseguenza di questa missione.

PAROLA DI DIO Sacra Scrittura

CONGREGAZIONE Capitolo

CONGREGAZIONE missione

Don Ottorino accenna scherzosamente a don Pietro Martinello, che all’epoca era il superiore della Comunità del Chaco (Argentina) e che precedentemente aveva svolto l’ufficio di suo segretario per molti anni.

MI329,2 [11-11-1970]

2. Se noi vogliamo, per capire meglio noi stessi, dare uno sguardo agli altri, cerchiamo di considerare rapidamente l’inizio dei Gesuiti. Quando il Signore ha fatto sorgere la Compagnia di Gesù si può dire che ha chiamato un gruppo di uomini capitanati, se volete, da Ignazio, ma ha chiamato un gruppo di uomini, non ha chiamato Ignazio solo: Ignazio è stato il primo, ma con lui ha chiamato gli altri. La vocazione non è per uno, la vocazione è per gli altri, è anche per tutti.
Qual è stata la vocazione allora, non di Ignazio, ma dei Gesuiti? Formare un gruppo militare al servizio del Cristo e della Chiesa, senza guardare a destra e a sinistra, senza fare confronti con gli altri sacerdoti o con gli altri apostoli, senza discutere su tradizioni più o meno valide, guardando il Vangelo e la Chiesa: obbedienza fino alla morte. Sono sorti come soldati al servizio di Cristo e della Chiesa, pronti a qualunque cosa, pronti ad andare dalla Spagna alla Francia, dalla Francia all'Italia, dall'Italia alla Spagna, dalla Spagna all'Oriente, pronti in qualsiasi posto del mondo: Cristo ha voluto così e si fa così. Vorrei dire quasi: offrire la testimonianza di una totale disposizione nelle mani di Dio, il quale parlava loro attraverso le autorità competenti e attraverso anche le circostanze. E vediamo allora il caso tipico di Francesco Saverio, che vede attraverso le circostanze la volontà di Dio. Si ammala il confratello che doveva andare nella Indie, e Ignazio chiama il suo segretario, il suo don Pietro Martinello , lo chiama e gli dice: “Domani devi partire per le Indie perché l'altro si è ammalato”. E Francesco è pronto: mette a posto un po' le sue cose, e il giorno dopo parte; non si ferma a discutere. E noi vediamo che Francesco era fatto veramente per le Indie ed è stato l'apostolo delle Indie, e noi lo vediamo talmente convinto che il Signore si serve del superiore e delle circostanze per esprimere la sua volontà che quando si trova nelle Indie legge le lettere di Ignazio in ginocchio e risponde ad Ignazio in ginocchio, non tanto per la persona di Ignazio, perché la persona di Ignazio è una persona come le altre, ma perché è convinto che lui avrebbe ricevuto gli ordini di Dio attraverso quella persona, attraverso quel canale.

CHIESA

DIO piano di salvezza

Don Ottorino sottolinea con una certa enfasi questo ufficio di San Francesco Saverio, anche se è necessario inserirlo nel tempo e nel luogo in cui visse e operò.

MI329,3 [11-11-1970]

3. Attorno ad Ignazio di Loyola noi abbiamo un gruppo di santi, di santi che si erano donati a una causa e vivevano per una causa. Perciò vorrei sottolineare che a un dato momento gli uomini, anche se santi come Ignazio, scomparivano dinanzi allo sguardo di Francesco Saverio o degli altri perché essi vedevano il canale di Dio, l'opera di Dio, si sentivano invasi da una missione che veniva dall'alto, ma una missione che voleva dire annientamento quasi della propria personalità per mettersi a disposizione di Dio, il quale prendeva queste personalità e le elevava in alto. Certamente Francesco Saverio non avrebbe mai pensato di diventare nunzio apostolico, perché era nunzio apostolico plenipotenziario delle Indie, eh! Noi consideriamo Francesco Saverio come il missionario, ma ricordate bene che è partito con pieni poteri da parte della Santa Sede, come nunzio apostolico, con i poteri del rappresentante della Santa Sede per tutte le missioni che c'erano nelle Indie. Quando lui si è donato interamente al Signore non avrebbe mai pensato di diventare in seguito “un pezzo grosso”, come diremo noi umanamente parlando. Ma se Francesco Saverio avesse sentito da una lettera di Ignazio che il suo dovere sarebbe stato quello di tornare a Roma e fare lo sguattero, lui sarebbe tornato subito per fare lo sguattero.
Ecco gli uomini, gli uomini che non si erano messi a giudicare, ma si erano messi a disposizione di una causa, cioè pieni, pieni di questo ideale: “Dio ci ha chiamati, noi siamo a disposizione di Dio”. Fratelli, su questa linea, sotto questa luce, noi potremmo considerare le altre Famiglie religiose.

CHIESA

CONSACRAZIONE disponibilità

Dapprima don Ottorino accenna all’attività della produzione dei sussidi catechistici e pastorali, da poco iniziata nella Casa dell’Immacolata, e poi invita a parlare don Matteo Pinton, che all’epoca era insegnante di filosofia e aveva già messo per iscritto alcuni sussidi di spiritualità.

MI329,4 [11-11-1970]

4. Come nei filmati che stiamo facendo si cambia voce per sentire un po' la diversità, anche per non stancare ho pensato anch'io di fare un po' di cinema questa mattina. E allora consideriamo sotto questa luce la Famiglia dei nostri cari fratelli Francescani, la Famiglia di San Francesco d'Assisi, e la voce che vi viene a descrivere questo è quella di don Matteo. Poi continuerò io.
Don MATTEO PINTON: Veramente, ieri sera, quando don Ottorino mi ha accennato di questo impegno, avrei dovuto parlare soltanto del numero dei Francescani qualche anno dopo la morte di San Francesco. Per questo, ieri sera, ho voluto compulsare qualche testo per vedere se corrispondeva a verità il numero che avevo cercato di dire. E mi è risultato, almeno dai testi che ho consultato, che morto San Francesco d'Assisi nel 1226, nel 1284 c'erano già 1583 conventi sparsi in tutta Europa. Se facciamo la media di una cinquantina di frati per convento, perché a quei tempi le comunità erano numerose, si conclude, come ho visto anche in un altro testo, che circa neanche cento anni dopo l’inizio i Francescani erano più di centomila in tutta l’Europa. Questo per parlare solamente di numeri... Ma quello che più conta in questo discorso, in consonanza con quanto ha detto ora don Ottorino, è chiederci: dov'è la forza di questo esercito, dove si fonda la grandezza, insomma, di questi Francescani? Infatti ancor oggi lo spirito francescano presenta un'anima veramente viva e autentica nella Chiesa. E allora, mentre facevo la ricerca, mi è venuto in mente un fatto... cioè il ricordo del luogo dove San Francesco ha scritto la sua Regola. San Francesco ha scritto la sua Regola vicino a Rieti, vicino a Greccio dove aveva fatto per la prima volta il presepio: si era raccolto in un eremo, l'eremo di San Colombano, mi pare, e lì sotto una roccia voleva stendere la sua Regola. Ma poi ha visto che non valeva la pena e non ha voluto stendere niente, e ha preso in mano il Vangelo. La Regola dei Francescani era il Vangelo, soltanto e unicamente il Vangelo, vissuto alla lettera nella povertà come la viveva il Signore Gesù, nello spirito apostolico come lo aveva espresso nella sua vita pubblica Gesù. Per cui, a un dato momento, la vera pastorale, come dice la storia, la vera pastorale del tempo era in mano di questi ordini mendicanti, dei Domenicani e poi specialmente anche dei Francescani, che predicavano il Vangelo a tutti attraverso la testimonianza radicale della vita pubblica di Gesù, quindi della vita vissuta insieme con lui.

CHIESA

MI329,5 [11-11-1970]

5. Tutti ricordiamo il famoso Capitolo delle stuoie, che si è celebrato dopo qualche anno da quando San Francesco aveva cominciato a fondare i primi conventi in giro per l'Italia: era composto da oltre quattromila rappresentanti, quattromila rappresentanti dei vari conventi. Non ricordo precisamente la località dove si erano radunati, ma credo che sia stato vicino a Rieti, alla Foresta, e s'erano radunati appunto per mettersi d'accordo insieme con San Francesco, e il santo aveva di nuovo presentato la sua Regola, che era la Regola, appunto, evangelica...
Ricordate anche che tanti avevano incominciato a fare delle penitenze straordinarie. Allora San Francesco ordinò a tutti di buttare via i cilici che avevano attorno al proprio corpo, e avevano fatto una grande montagna, proprio in mezzo a questa loro riunione, di tutti questi strumenti di penitenza... perché a un dato momento non si dimenticasse, attraverso questi strumenti di penitenza, quale era l'autentica loro missione: conformarsi sempre di più a Gesù e predicare il Vangelo. Insomma si tratta di un movimento che, partito da poco, da una persona di diciotto anni, perché Francesco aveva diciotto anni quando ha iniziato ed è morto a neanche cinquant'anni, a quarantaquattro anni per l’esattezza, ha portato nell'ambito della Chiesa una iniezione di spirito evangelico autentico che ancora adesso porta i suoi frutti. Il fatto più importante, secondo me, è proprio quello che un frate ci raccontava quando siamo andati a visitare i luoghi dove San Francesco ha scritto la Regola in un antro: la Regola è il Vangelo, soltanto e unicamente il Vangelo. Ha detto: “È inutile che scriviamo tante norme: è questo, c'è tutto qui!”. E poi il Vangelo vivo venne impresso nel suo corpo stesso quando due anni prima di morire, nel 1224, ha ricevuto le stimmate a La Verna. Ecco in sintesi il suo messaggio: la configurazione autentica con Gesù, l’ideale che tutti i suoi frati fossero come lui. Io credo che tutta la forza del francescanesimo sia radicata soltanto e unicamente in questo.

CHIESA

Il riferimento è all’invito di Gesù per la correzione fraterna, in Mt 18,15-18.

MI329,6 [11-11-1970]

6. Se consideriamo poi i Comboniani, noi vediamo che hanno un motto: “O nigrizia o morte”, vediamo cioè un esercito di anime consacrate che mirano verso l'Africa, mirano verso quei poveri fratelli, e si sono riuniti insieme per servire il Signore nella povertà, castità ed obbedienza, ma con un ideale, e l'ideale è: “O nigrizia o morte”. E tutto il loro lavoro è impostato in vista della salvezza dei fratelli africani.
Arrivati a questo punto, io direi: bisogna che facciamo un esame di coscienza collettivo e individuale. Noi, radunati insieme come i Gesuiti, come i Francescani, come i Comboniani, abbiamo un ideale motore che potenzia tutte le nostre azioni? O andiamo avanti alla giornata mediocremente, facendo i buoni cristiani, i buoni religiosi, i buoni preti, i buoni diaconi? Andiamo avanti con indifferenza o siamo veramente disponibili per una causa? Quando per il passato vi ho ripetutamente detto: “Dovete essere tutti superiori generali”, non intendevo neppure lontanamente dire: “Adesso fate quel che volete... Adesso potete discutere di tutto”. Non parlavo in quel senso perché avrei sbagliato in pieno se dicevo questo. Io intendevo dire, e lo intendo dire ancor oggi, che dovete sentire tutti, alla stessa maniera come la sento io, la responsabilità della vocazione della Congregazione. Per cui deve essere chiaro e preciso il punto dove dobbiamo arrivare, la testimonianza che dobbiamo dare, la vita che dobbiamo condurre, le anime che dobbiamo salvare. Dobbiamo comprendere la carità, lo spirito che ci deve animare. Per cui se c'è qualcosa che non va, non deve essere motivo di critica, ma motivo invece di dolore per noi. C'è un fratello che non fa bene? Anch'io sbaglio? Per voi dovrebbe essere motivo di dolore e dovete aiutarmi, prendermi a braccetto, come dice il Vangelo : “Prendilo a tu per tu e digli: “Fratello Ottorino, secondo me manchi di carità, secondo me manchi di povertà, secondo me manchi di spirito di dedizione”. Questo avete il dovere di fare dinanzi a Dio, anche con me.

CHIESA

CONVERSIONE esame di coscienza

CONGREGAZIONE carisma

CONGREGAZIONE missione

APOSTOLO salvezza delle anime

CARITÀ

COMUNITÀ

critica

COMUNITÀ

correzione fraterna

MI329,7 [11-11-1970]

7. Quando, per esempio, qualche volta si sente dire: “Eh! Dice lei, don Ottorino, ma sapesse che cosa dicono dietro alla schiena!”. Questo è inconcepibile! Potete pensare voi che Sant’Ignazio fosse riunito con un gruppo di Gesuiti e uno di loro avesse detto: “Eh! Dici tu, Ignazio, ma sentissi che cosa dicono dietro la schiena”? È permesso con un esercito di volontari? Per me è inconcepibile. Con questo non voglio affermare che si debba sempre dire: “Ignazio, hai sempre ragione”. No, no! Ma non è lecito commentare di nascosto e dire: “Di dietro alla schiena dicono un'altra cosa”. E qui abbiamo i vigliacchi che fanno queste cose. C'è qualcosa su cui non sei d'accordo? Non soltanto hai il diritto di parlare, ma il dovere; aggiungo anche che non soltanto avete il diritto di dire queste cose anche a don Ottorino, ma avete il dovere di dirle, perché se don Ottorino non va verso la meta, voi avete il dovere di aiutarlo e di farlo andare diritto.
Se a un dato momento uno dei Comboniani non andava verso la nigrizia, anche l'ultimo dei Comboniani aveva il dovere di dire al Comboni: “Caro Daniele, monsignore carissimo, non stiamo andando verso la nigrizia, ma stiamo deviando, manchiamo al nostro programma, manchiamo al nostro dovere”. Perciò voi dovete sentirvi investiti di una missione che è qualche cosa di più di una semplice vita ordinaria, del semplice fluire di una vita che va verso la fine di un anno scolastico o verso la fine di una vocazione o verso lo spiraglio di una meta: “Andrò in quel posto e allora, e allora sarò calmo, sarò tranquillo”. Dobbiamo togliere questi aspetti umani che naturalmente si mettono, si mescolano in mezzo ai nostri ideali perché siamo uomini. È chiaro che camminando si suda un po' e il sudore fa odore, per cui sempre avremo con noi un po' di umanità. Ma, a un dato momento, dobbiamo scuoterci un po' e sentire la missione che il Signore ci ha affidato.

COMUNITÀ

critica

COMUNITÀ

correzione fraterna

CONGREGAZIONE missione

CONSACRAZIONE mediocrità

A questo punto c’è una interruzione nel testo registrato.

MI329,8 [11-11-1970]

8. Vorrei dire che tutte le nostre azioni dovrebbero essere illuminate da questo fine meraviglioso per il quale siamo raccolti insieme, per cui non è ammesso nulla, sia nel campo spirituale come in quello materiale, nessun divertimento, nessuna cosa, se non finalizzato all’ideale. Quando uno mangia lo fa per poter lavorare, non per uccidersi: se beve un bicchiere di vino lo fa per star bene, se mangia un po' di pane lo fa per star bene. Ebbene, tutto quello che noi facciamo, le nostre azioni, i nostri pensieri, i nostri divertimenti, dovrebbero essere sempre finalizzati. Per noi non c'è nessun altro divertimento che quello di dire: “Io voglio realizzare quello che il Signore vuole”.
Ora viviamo in un momento un po' difficile nella storia della Chiesa... Bisogna avere il coraggio di prendere le nostre vesti, buttarle in faccia al mondo e dire: “Eccomi. Oggi posso dire: Padre nostro che sei nei cieli... Dimmi, Padre: che cosa vuoi da me?”. E allora viene di conseguenza una carità meravigliosa, per cui ci si vuol bene. Non ci si vuol bene perché l'altro mi fa i sorrisi, perché volersi bene vuol dire: voglio bene a uno anche se mi sputa in faccia. Quello è amore, anche se so che dietro la schiena parla male di me. Questa è la carità! Volersi bene significa: aiuto uno anche se so che di dietro mi spara; gli voglio bene quando veramente mi costa amarlo perché mi è antipatico. Potete chiamarla carità se è solamente simpatia? La carità si manifesta in una disponibilità totale a tutto, per cui si trova la gioia di servire il Signore anche nelle piccole cose, come può essere la recita del breviario, la commemorazione che non mi piace o l'oremus che non mi va. È necessario saper vedere la volontà di Dio con semplicità, la volontà di Dio nella campanella, nel dovere che sto facendo in studio, nella lezione a scuola anche se non mi piace, senza uscire in espressioni umane tanto basse: “Oh, la scuola! Quella roba, quell'altra roba”. Dobbiamo saper accettare. C'è qualche cosa da dire? Si va dal rettore del seminario, si parla con me. Lo spirito di obbedienza non impedisce di fare osservazioni, ma noi accettiamo con amore anche le cose che non piacciono perché in questo modo soffriamo un po' per amore del Signore. Amici miei, se non c'è questo spirito di unione con Dio, di carità fra noi, di accettazione delle circostanze della vita che naturalmente porteranno qualcosa di pesante, dov'è la vita religiosa? Dov'è la testimonianza che noi dobbiamo dare al mondo di oggi che siamo di un altro mondo, che viviamo per un altro mondo?

CONSACRAZIONE radicalità

ESEMPI consacrazione

VOLONTÀ

di DIO

APOSTOLO testimonianza

CARITÀ

amore al prossimo

COMUNITÀ

fraternità

CARITÀ

perdono

CONSACRAZIONE obbedienza

DIO rapporto personale

COMUNITÀ

Il riferimento è forse a don Giuseppe Giacobbo, che all’epoca svolgeva il suo servizio presso il semiconvitto Ferdinando Rodolfi.

Il riferimento è forse a don Giorgio Girolimetto, che sarebbe stato consacrato sacerdote nel giugno del 1971.

Don Guido Massignan era all’epoca il segretario generale della Congregazione.

Nella parrocchia dell’Isolotto di Firenze la Congregazione aveva inviato una Comunità nel mese di aprile dell’anno precedente per sanare una difficile situazione di rottura ecclesiale.

MI329,9 [11-11-1970]

9. La tendenza odierna, che porta un obbligo per noi superiori di manifestare un po' le motivazioni dell’obbedienza, di renderla dolce, di renderla piacevole, non toglie la fondamentale caratteristica, vorrei dire, l'essenza della vita religiosa che è l’immolazione.
Se io, per esempio, dico a don Giuseppe: “Caro don Giuseppe, ti trasferisco dall'Istituto alla Casa dell’Immacolata per questi e questi motivi, per questi e questi motivi”, e potrebbe essere mio dovere, questo non toglie che lui dinanzi al tabernacolo deve dire: “Eccomi, Signore!”. Un domani potrei dire a Giorgio: “Caro Giorgio, adesso non continuerai verso il sacerdozio, ma ti fermerai per tre anni”. Se io come superiore ho il dovere di rendere dolce questa decisione e possibilmente di spiegarne anche i motivi, ciò non toglie che lui deve vedere anche in questo, se si è messo in una Famiglia religiosa, la volontà di Dio e dire: “Se la volontà del Signore è questa, eccomi qui!”. Infatti se c'è un dovere da parte dei superiori, c'è un dovere anche da parte dei religiosi. Se domani facciamo il Capitolo generale e viene eletto, supponiamo, don Guido come superiore generale, e don Guido mi dice: “Caro don Ottorino, mi dispiace tanto, ma tu adesso vai cappellano all'Isolotto” , io devo andare in virtù di santa obbedienza, perché so che Dio mi vuole all'Isolotto, anche se don Guido, mandandomi all'Isolotto, avesse dei motivi umani che lo spingono a far questo. Posso dire soltanto: “Amico don Guido, mi permetto di manifestarti questa mia difficoltà, però io vado all'Isolotto senza nessun problema. Vado anche se mi costa e vado molto volentieri, perché una cosa è il gusto umano e un’altra è la volontà di Dio, e vado con gioia perché il giorno che ho fatto i voti mi sono offerto a Dio e perciò non metto condizioni. Però mi permetto di dirti che l'aria dell'Arno mi è dannosa, però non mi interessa di morire dieci anni prima”. Lui esaminerà dinanzi a Dio e io non posso più giudicare: mi manda e per me è finita, per me la volontà di Dio è morire dieci anni prima. Se non arriviamo ad essere uomini di questo stampo, partiamo con una Famiglia religiosa disgraziata, scusatemi la parola, ma molto disgraziata. All'inizio delle Famiglie religiose c'è sempre un gruppo di anime donate totalmente che si vogliono bene, che si amano, ma di un amore non sentimentale. A volte ci può essere anche un po' di sentimento, perché vivendo insieme ci si vuol bene anche sentimentalmente, non nel senso peccaminoso, ma nel senso sano, come un papà ama il proprio figliolo, il figlio ama la propria mamma, ma l’amore di queste anime è quello cristianamente inteso. È un gruppo di anime disponibili, completamente disponibili, completamente disponibili.

CONSACRAZIONE vita religiosa

CONSACRAZIONE obbedienza

CONSACRAZIONE immolazione

ESEMPI obbedienza

CONSACRAZIONE religioso

COMUNITÀ

unità

nella carità

CONSACRAZIONE voti

CONGREGAZIONE missione

Il riferimento è a don Ugo Caldini della Comunità di Rio Hondo in Guatemala, che si trovava in Italia per un periodo di vacanza.

Il riferimento è forse a Mario Corato, che all’epoca frequentava il corso teologico.

MI329,10 [11-11-1970]

10. Adesso io non voglio fare un esame di coscienza portando come esempio casi concreti. Vorrei invece che tutti facessimo l'esame di coscienza dinanzi al tabernacolo, e ciascuno per conto proprio, e ci domandassimo: “Io vivo per la Congregazione, vivo l'ideale della Congregazione o sono un parassita della Congregazione?”.
Guardate che parassita della Congregazione non è soltanto uno che tira indietro, ma anche chi non tira avanti. Una volta, caro don Ugo , si usavano gli aratri trainati da otto buoi, e allora poteva esserci un bue che tirava indietro, un bue che non tirava e un bue che tirava: il bue che tirava indietro o che non tirava lo si mandava al macello. Non è vero, Mario ? Perché? Perché è la stessa cosa che un bue tiri indietro o non tiri: quando si attaccavano otto buoi all'aratro lo si faceva perché tutti tirassero. Ricordatevi bene, se c'è uno che non tira lo si vede subito perché tira indietro, brontola, critica, si comporta male; è abbastanza facile notarlo, e allora abbiamo il dovere dinanzi a Dio di mandarlo al macello. Però ricordatevi, e questo è il caso più frequente, ci possono essere dei buoi che non tirano: apparentemente non ci si accorge, però ci si accorge che l'aratro non va avanti. E qual è questo aratro che non va avanti? Le vocazioni che non entrano. Amici miei, quando la provvidenza qualche volta non arrivava io ho alzato la voce e ho detto: “Fratelli, state attenti che nella nostra casa non ci sia qualcuno in peccato, perché allora la provvidenza non arriva”. Io oggi vi dico dinanzi a Gesù presente nel tabernacolo: “State attenti che non ci sia nella nostra Famiglia religiosa qualche religioso che non tira”. Può esserci qualcuno che tira indietro, interpretando la vita religiosa a modo proprio, lanciando qualche frase, qualche critica. Purtroppo c'è qualche religioso che non tira: piccole cose, ma queste mancanze ci sono. Se questi religiosi verranno da me sono disposto a fargliele toccare con mano, ma per me è odioso prendere uno e dire: “Vieni qui, tu fai questo, tu non fai quello...”. Se fossero cose gravi lo farei immediatamente, ma ci sono delle piccole cose per cui si vede che qualcuno tira un pochino indietro. Però religiosi che non tirano sono purtroppo molti tra noi. State attenti, fratelli, che per questo dormire e questo non tirare non si sia chiusa la porta delle vocazioni, nel qual caso ci sentiremo responsabili dinanzi a Dio del bene che non viene fatto nella Chiesa del Signore. E quando qualche vescovo, e quando la Chiesa batterà a questa porta per venire a chiedere apostoli, che il Signore non debba dire: “La causa è di quei tali che purtroppo hanno fatto della Famiglia religiosa la loro oasi dove, senza eccessiva responsabilità, un po' come scapoli di famiglia, si andava avanti... da mangiare ce n'era, libri ce n'erano, il caldo c'era, bastava lavorare un pochino e si arrivava in fondo”. Questo non basta per chiamarsi Gesuiti, Francescani, Comboniani o della Famiglia di San Gaetano. Sia lodato Gesù Cristo!

CONVERSIONE esame di coscienza

CONGREGAZIONE

PROVVIDENZA

ESEMPI Eucaristia

CONSACRAZIONE religioso

CONSACRAZIONE vita religiosa

CONSACRAZIONE mediocrità

CHIESA

APOSTOLO animazione vocazionale