Meditazioni Originale > 1970 > LA CORRESPONSABILITÀ NELLA CONGREGAZIONE

LA CORRESPONSABILITÀ NELLA CONGREGAZIONE

MO329 [11-11-1970]

11 novembre 1970

MO329,1 [11-11-1970]

1 La meditazione di questa mattina vi sembrerà un po' strana; però poco fa in chiesa il nostro caro Raffaele ha detto: "Signore, fa' che io veda! Fa', o Signore, che vediamo!". Ho pensato subito che San Raffaele ha dato la vista a Tobia, cioè ha insegnato il mezzo per dare la vista a Tobia, è stato il messaggero di Dio, e pensiamo che il nostro nuovo Raffaele c'insegni la strada per acquistare questa vista.
È un pensiero un po' forte che propongo alla nostra meditazione, che non deve terminare dopo questa mezz'ora, ma che dovrebbe essere un po' un oggetto di riflessione in questi giorni. Mi riallaccio a quello che è stato detto nel Capitolo generale, e che in varie circostanze è stato ripetuto qui in sede di meditazione e in altre sedi ancora. E cioè: che una Famiglia religiosa è un intervento straordinario di Dio nella storia della Chiesa per un fine particolare. Ora la nostra Famiglia religiosa è stata approvata, con una linea ben definita, perciò bisogna renderci conto che abbiamo una missione nella Chiesa, chiara e precisa, e dobbiamo testimoniare e agire in conseguenza di questa missione.

MO329,2 [11-11-1970]

2. Se noi vogliamo, per capire meglio noi stessi, dare uno sguardo agli altri, cerchiamo di dare uno sguardo per esempio ai Gesuiti. Quando il Signore ha fatto sorgere la Compagnia di Gesù si può dire che ha chiamato un gruppo di uomini capitanati, se volete, da Ignazio, ma ha chiamato un gruppo di uomini, non ha chiamato Ignazio solo: Ignazio è stato il primo, ma con lui ha chiamato gli altri. La vocazione non è per uno, la vocazione è per gli altri, è anche per tutti, no?
Qual è stata la vocazione allora, non di Ignazio, ma dei Gesuiti? Un gruppo militare al servizio del Cristo e della Chiesa, un gruppo di uomini totalmente donati alla causa di Cristo e della Chiesa, senza guardare a destra e a sinistra, senza fare confronti con gli altri sacerdoti o con gli altri apostoli, senza discutere su tradizioni più o meno, guardando il Vangelo, guardando la Chiesa: obbedienza fino alla morte. Soldati al servizio di Cristo e della Chiesa, pronti a qualunque cosa, pronti ad andare dalla Spagna alla Francia, dalla Francia all'Italia, dall'Italia alla Spagna, dalla Spagna all'Oriente, se volete, pronti in qualsiasi posto del mondo, senza discussioni: Cristo ha voluto così e si fa così. Vorrei dire quasi: una totale disposizione nelle mani di Dio, il quale Dio parlava loro attraverso le autorità competenti e attraverso anche le circostanze. E vediamo allora, caso tipico, Francesco Saverio che proprio vede attraverso le circostanze la volontà di Dio. Si ammala quello che doveva andare nelle Indie, no, e Ignazio chiama il suo segretario, il suo don Piero Martinello, lo chiama lì e dice: “Guarda: domani devi partire per le Indie perché l'altro si è ammalato". E l'altro: pronti! Mette a posto un po' le sue cose e il giorno dopo parte; non sta lì a discutere. E noi vediamo che proprio Francesco era fatto per le Indie ed è stato l'apostolo delle Indie, e noi vediamo che Francesco è talmente convinto che il Signore si serve di questo canale per esprimere la sua volontà, che quando si trova nelle Indie legge le lettere di Ignazio in ginocchio e risponde ad Ignazio in ginocchio, non tanto per la persona di Ignazio, perché la persona di Ignazio è una persona come le altre, ma in quanto perché convinto che lui, vero, avrebbe ricevuto gli ordini di Dio attraverso quella persona, attraverso quel canale.

MO329,3 [11-11-1970]

3 Ora, noi abbiamo un gruppo di santi, di santi che si erano donati a una causa e vivevano per una causa. Perciò vorrei dire che a un dato momento gli uomini, pure santi come Ignazio, scomparivano dinanzi allo sguardo di Francesco Saverio o degli altri, perché vedevano il canale di Dio, l'opera di Dio, si sentivano invasi da una missione che veniva dall'alto, ma una missione che voleva dire quasi annientamento della propria personalità per metterla a disposizione di Dio, il quale Dio prendeva queste personalità e le buttava in alto. Certo, Francesco Saverio non avrebbe mai pensato di essere nunzio apostolico, perché era nunzio apostolico plenipotenziario delle Indie, eh! Guardate che noi consideriamo Francesco Saverio come il missionario, e... Ricordatevi bene che è partito con pieni poteri da parte della Santa Sede come nunzio apostolico, con i poteri del rappresentante della Santa Sede per tutte le missioni che c'erano là nelle Indie. Lui certo quando si è donato interamente al Signore non avrebbe mai pensato di essere poi un pezzo così grosso, come diremo noi umanamente parlando. Ma se Francesco Saverio da una lettera di Ignazio avesse sentito che il suo posto sarebbe stato tornare a Roma e fare lo sguattero, lui sarebbe tornato pronto a fare lo sguattero.
Ecco gli uomini, gli uomini che non si erano messi lì a giudicare... No, ma si erano messi a disposizione di una causa, cioè pieni, pieni di questo ideale: "Dio ci ha chiamati, noi siamo a disposizione di Dio". Ecco, fratelli, su questa linea... direi, sotto questa luce noi potremmo considerare le altre Famiglie religiose.

MO329,4 [11-11-1970]

4. Siccome nel cinema che stiamo facendo si cambia voce per sentire un pochino anche la diversità, anche per non stancare, ho pensato anch’io di far un po' di cinema questa mattina. E consideriamo sotto questa luce anche la Famiglia dei nostri cari fratelli Francescani, San Francesco d’Assisi, e la voce che viene a descrivere questo è quella di don Matteo. Poi continuerò io.
Don MATTEO PINTON: Veramente, ieri sera, quando don Ottorino mi ha accennato di questo fatto, si doveva parlare soltanto del numero dei Francescani qualche anno dopo San Francesco. Per cui, ieri sera, ho voluto compulsare qualche testo per vedere se corrispondeva a quel numero che avevo cercato di dire. E mi è risultato questo, almeno dai testi che ho consultato: morto San Francesco d'Assisi nel 1226, nel 1284 c'erano 1583 conventi sparsi in tutta Europa. Pensate, facciamo una media, perché erano in tanti, anche di una cinquantina per convento perché a quei tempi veramente... Si arriva, ho visto anche in un altro testo, che circa neanche cento anni dopo erano più di centomila in tutta quanta Europa i Francescani. Questo si tratta di numeri puramente... Ma quello che più conta evidentemente in questo discorso era partito da un discorso più radicale che don Ottorino aveva fatto in questo istante: cioè, dov'è la forza di questo esercito? Dove la grandezza, insomma, di questi Francescani? Ancora adesso lo spirito francescano presenta un'anima così viva e così autentica nella Chiesa. E allora appunto, mentre facevo la ricerca mi è venuto in mente un fatto, cioè il luogo dove San Francesco ha scritto la sua Regola. San Francesco ha scritto la sua Regola vicino a Rieti, vicino a Greccio dove aveva fatto per la prima volta il presepio, e si era raccolto in un eremo, l'eremo di San Colombano, mi pare, e lì sotto una roccia voleva stendere la sua regola. Ma poi ha visto che... Non ha voluto stendere niente, cioè ha preso in mano il Vangelo. La Regola dei Francescani era il Vangelo, soltanto e unicamente il Vangelo, proprio vissuto alla lettera nella povertà come la viveva il Signore Gesù, nello spirito apostolico come lo aveva espresso nella sua vita pubblica Gesù. Per cui, a un dato momento, la vera pastorale, come dice la storia, la vera pastorale del tempo era in mano di questi ordini mendicanti, dei Domenicani e poi specialmente anche dei Francescani, che predicavano il Vangelo a tutti quanti, proprio attraverso questa testimonianza radicale della vita pubblica di Gesù, quindi della vita insieme con lui.

MO329,5 [11-11-1970]

5. Soltanto ricordate, non so... Tutti quanti sappiamo questo: il famoso Capitolo delle stuoie, che si è avuto dopo qualche anno da quando San Francesco aveva cominciato a fondare i primi conventi in giro per l'Italia, aveva più di quattromila rappresentanti, quattromila rappresentanti dei vari conventi che s'erano radunati... Adesso non so precisamente la località.. credo che sia ancora lì vicino a Rieti, alla Foresta, e che s'erano radunati appunto per mettersi d'accordo insieme con San Francesco, e San Francesco aveva di nuovo presentato la sua Regola, che era la Regola, no, proprio appunto evangelica...
E ricordate il famoso fatto che tanti avevano incominciato a fare delle penitenze straordinarie, eccetera. Allora San Francesco aveva ordinato a tutti di buttare via tutti quanti i cilici che avevano attorno al proprio corpo, e avevano fatto una grande montagna, proprio in mezzo a questa loro riunione, di tutti quanti questi strumenti di penitenza... perché a un dato momento non ci si dimenticasse, attraverso questi strumenti di penitenza, quella che era invece l'autentica loro missione: quella di conformarsi sempre di più a Gesù e di predicare il Vangelo. Insomma si tratta di un movimento che, partito così da poco, da una persona di diciotto anni, aveva diciotto anni San Francesco, che poi è morto a neanche cinquant'anni, quarantaquattro anni, e che ha posto nell'ambito della Chiesa proprio una iniezione di spirito evangelico autentico che ancora adesso porta i suoi frutti. Il fatto più importante, secondo me, è proprio questo: quello di quel frate che ci raccontava quando siamo andati a visitare i luoghi dove lui ha scritto la Regola proprio in un antro: la Regola sua è il Vangelo, soltanto e unicamente il Vangelo. Ha detto: "È inutile che scriviamo tante cose: è questo, c'è tutto qua!". E poi il Vangelo vivo nella sua vita quando due anni prima di morire, nel 1224, ha preso le stimmate alla Verna. Ecco insomma: proprio la sua configurazione autentica con Gesù, e il suo ideale che tutti quanti i suoi frati fossero come lui insomma. Io credo che tutta la forza del francescanesimo sia radicata soltanto e unicamente in questo.

MO329,6 [11-11-1970]

6. Se consideriamo poi i Comboniani noi vediamo che hanno un motto: "O nigrizia o morte". E cioè vediamo un esercito di anime consacrate che mirano verso l'Africa, mirano verso quei poveri fratelli, e si sono riuniti insieme a servire il Signore nella povertà, castità ed obbedienza, ma con un ideale, e l'ideale è: "O nigrizia o morte!". E tutto il loro lavoro in vista di questa salvezza dei fratelli africani.
Ora, arrivati a questo punto, io direi: bisogna che facciamo un esame di coscienza collettivo e individuale. E cioè: noi, radunati insieme anche noi, come i Gesuiti, come i Francescani, come i Comboniani, abbiamo un ideale motore, motore che potenzia tutte le nostre azioni? O andiamo avanti alla giornata, così... andiamo avanti... facendo i buoni cristiani, i buoni religiosi, i buoni preti, i buoni diaconi? Andando avanti: "Beh, se mi mandano... ci vado, eccetera", o siamo disponibili per una causa? Quando ripetutamente io vi ho detto per il passato: "Dovete essere tutti superiori generali", non intendevo lontanamente dire: "Guardate, adesso fate quel che volete... adesso, sì, discutere, perciò...". Non in quel senso lì, perché avrei sbagliato in pieno dire questo. Io intendevo dire, e intendo dire: dovete sentire tutti, tanto come me, proprio identicamente, la responsabilità della vocazione della Congregazione. Per cui deve essere chiaro e preciso il punto dove dobbiamo arrivare, la testimonianza che dobbiamo dare, la vita che dobbiamo condurre, le anime che dobbiamo salvare. Dobbiamo capire la carità, lo spirito che ci deve animare. Per cui se c'è un qualche cosa che non va, non deve essere motivo di critica, ma motivo invece, anzi, di dolore per noi. C'è un fratello, per esempio, che dice male o qualcosa d’altro? Deve essere motivo di dolore per noi, e dobbiamo dare una mano al fratello e aiutarlo; e questo fratello può essere anche don Ottorino, non importa niente. C’è uno che non fa bene? Anch’io sbagliassi, per voi dovrebbe essere motivo di dolore e dovete aiutarmi, prendermi a braccetto, come dice il santo Vangelo: "Prendilo a tu per tu e dici: "Ma, senti, fratello Ottorino, guarda che secondo me manchi di carità, guarda che secondo me manchi di povertà, guarda che secondo me manchi di spirito di dedizione". Questo avete il dovere dinanzi a Dio di farlo, anche con me.

MO329,7 [11-11-1970]

7. Quando, per esempio, qualche volta tu senti dire: "Eh! Dice lei, don Ottorino, ma dopo sa... sapesse cosa che dicono dietro alla schiena!". Ma questa roba qua è inconcepibile. Pensate voi Ignazio con un gruppo, vero, di Gesuiti, che uno dei Gesuiti dica: "Eh! Dici tu, Ignazio, ma sentissi cosa dicono dietro la schiena!". Ma... un esercito di volontari? Ma per me è inconcepibile questo qua. Non si deve dire: "Ignazio, hai sempre ragione!". No, no! Ma dietro alla schiena che si debba dire: “Dietro alla schiena dicono un'altra cosa". Ma qua ci abbiamo i vigliacchi che fanno queste robe qui. C'è una cosa sulla quale non sei d'accordo? Hai non soltanto il diritto, ma il dovere, e io vi dico di più: non soltanto avete il diritto di dirle queste cose, anche a don Ottorino, ma avete il dovere di dirle. Perché se don Ottorino non va verso la meta, voi avete il dovere di aiutarlo, a farlo andar diritto.
Se a un dato momento uno dei Comboniani non va verso la nigrizia... anche l'ultimo dei Comboniani aveva il dovere di dire al Comboni: "Caro Daniele, monsignore carissimo, guardi che non stiamo andando verso la nigrizia, ma stiamo deviando, manchiamo al nostro programma, manchiamo al nostro dovere". Perciò, voi dovete sentirvi investiti di una missione che è qualche cosa di più di una semplice vita ordinaria, del semplice tran tran di una vita che va verso la fine di un anno scolastico o verso la fine di una vocazione o verso lo spiraglio di una meta... che "andrò là e allora, e allora sarò calmo, sarò tranquillo", eccetera. Via, via tutta queste cose umane che naturalmente si mettono, si mescolano in mezzo... perché siamo uomini, ed è chiaro che camminando tu sudi un pochino e il sudore fa odore... perciò un po' di umanità l'avremo con noi sempre. Ma dobbiamo a un dato momento scuoterci un pochino e sentire qual è la missione che il Signore ci ha affidato.

MO329,8 [11-11-1970]

8.
E vorrei dire che tutte le nostre azioni, tutte le nostre azioni dovrebbero essere illuminate da questo fine meraviglioso per il quale siamo raccolti insieme. Per cui nessuna delle azioni spirituali, materiali... non ci deve essere nessun divertimento per noi, nessuna cosa, se non finalizzata... Uno quando mangia, mangia per poter lavorare, non per uccidersi: se beve un bicchiere di vino lo fa per star bene, se mangia un po' di pane lo fa per star bene. Ebbene, tutto quello che noi facciamo, le nostre azioni, i nostri pensieri, le nostre azioni anche di divertimento, dovrebbero essere finalizzate. Per noi, per noi non c'è nessun altro divertimento che quello di dire: "Io voglio realizzare quello che il Signore vuole". Ora viviamo in un momento un po' difficile nella storia della Chiesa... e bisogna avere il coraggio di prendere le nostre vesti, buttarle in faccia al mondo e dire: "Eccomi qui! Oggi posso dire: Padre nostro che sei nei cieli... Dimmi, Padre: cosa vuoi da me?". E allora, quindi, viene di conseguenza una carità meravigliosa, dove ci si vuol bene. Non ci si vuol bene perché l'altro mi fa i sorrisi, ci si vuol bene vuol dire: voglio bene a uno anche se mi sputa in faccia. Quello è amore, anche se so che dietro la schiena mi dice male. Questa è la carità. Ci si vuol bene vuol dire: aiuto uno anche se so che di dietro mi spara; gli voglio bene quando veramente mi costa voler bene perché mi è antipatico. Cosa volete chiamarla carità se è simpatia? Si manifesta in una disponibilità totale a tutto, per cui si trova la gioia di servire il Signore anche nelle piccole cose. Si dice: guarda come... può essere quella di recitare il breviario, far questa commemorazione che non mi piace o dire quell'oremus che non mi va, o dire... Così, vedere un po' la volontà di Dio, con semplicità, vedere la volontà di Dio nella campanella, nel dovere che sto facendo in istudio, nella lezione a scuola anche se non mi piace, senza uscire in espressioni umane tanto basse: "Oh, scuola! Quella roba, quell'altra roba", eccetera. No! Sapendo accettare. C'è qualche cosa da dire? Si va dal rettore del seminario, si viene qui. Questo non impedisce di dire questo; ma, però, io accetto con amore queste cose che non mi piacciono perché in questo modo io so che patisco un pochino per amore del Signore. Amici miei, se non c'è questo spirito di unione con Dio, di carità fra noi, di accettazione un po’ delle circostanze della vita che naturalmente porteranno qualche cosa di pesante, amici miei, dov'è la vita religiosa? Dov'è la testimonianza che noi diamo al mondo di oggi che siamo di un altro mondo, che viviamo per un altro mondo?

MO329,9 [11-11-1970]

9. Vedete, la tendenza di oggi, che porta un obbligo a noi superiori di manifestare un po'... di rendere dolce, di rendere piacevole l'obbedienza, non toglie la fondamentale, vorrei dire, essenza della vita religiosa che è di immolazione.
Se io, per esempio, dico a don Giuseppe: "Caro don Giuseppe, guarda, ti porto dall'Istituto a qua per questi, questi e questi motivi, per questi e questi motivi". Se io devo dir questo, ma questo non toglie che lui dinanzi al tabernacolo deve dire: "Eccomi, Signore!". Se io dico, supponiamo domani, a Giorgio: "Caro Giorgio, guarda, sta’ attento, adesso fa’ di meno andar avanti verso il sacerdozio; fermati tre anni". Va bene, se io ho il dovere di rendere dolce questa qua e dir... possibilmente di spiegargli anche i motivi, ma non toglie niente che lui deve vedere un pochino, se si è messo in una Famiglia religiosa, deve vedere un po' la volontà di Dio, e dire: “Se la volontà del Signore è questa, per carità, eccomi qua!”. Perché se c’è un dovere dalla parte di qua, c’è un dovere dalla parte vostra. Che se domani facciamo il Capitolo generale e viene eletto, supponiamo, don Guido superiore generale e don Guido mi dice: "Caro don Ottorino, mi dispiace tanto, tu adesso vai cappellano all'Isolotto". E va bene, io devo andare in virtù di santa obbedienza perché so che Dio mi vuole all'Isolotto, anche se don Guido, mandandomi all'Isolotto, avesse dei motivi umani che lo spingono a far questo. Posso dire soltanto: "Amico don Guido, senti, mi permetto di dirti... però varda che io ci vado all'Isolotto, eh! Ci vado anche se mi costa e ci vado volentierissimo, perché un conto è il gusto umano e un conto è la volontà di Dio, e ci vado con gioia perché quel giorno che ho fatto i voti mi sono offerto a Dio e perciò non metto condizioni. Però mi permetto di dirti: guarda che l'aria dell'Arno mi è dannosa, però guarda che non mi interessa di morire dieci anni prima". Lui esamina dinanzi a Dio e io non giudico più. Basta! Mi manda e per me è finita, per me è volontà di Dio morire dieci anni prima. Guardate che se non arriviamo a uomini così, partiamo con una Famiglia religiosa disgraziata, scusatemi la parola, ma molto disgraziata. Guardate che all'inizio delle Famiglie religiose c'era un gruppo di anime che vivevano così, che si volevano bene, si volevano bene, si amavano, ma di un amore non sentimentale... Ci sarà anche un po' di sentimento, perché vivendo insieme poi ci si vuol bene anche sentimentalmente - nel senso mica peccaminoso, ma nel senso sano, no? - come un papà col figliolo, il figlio con la mamma, ma si volevano bene nel vero senso cristiano. Era un gruppo di anime disponibili, completamente disponibili.

MO329,10 [11-11-1970]

10. Ora, io non voglio, adesso, fare un esame di coscienza su... portando casi destra e sinistra. L'esame di coscienza vorrei che lo facessimo tutti dinanzi al tabernacolo, e ciascuno per conto proprio, e ci domandassimo: "Io vivo per la Congregazione, vivo l'ideale della Congregazione o sono un parassita nella Congregazione?".
Guardate che parassita della Congregazione non è soltanto uno che tira indietro, ma anche uno che non tira avanti. Quando se tacca otto bo su un varsoro... Una volta ghe gera i varsori, no, don Ugo, i ghe ciamava i varsori ‘volta, oh, otto bo: può esserghe o un bo che tira indrio o un bo che non tira e un bo che tira. Quel bo che tira indrio o che non tira i lo mandava al masselo. Mario, xe vero o no? Perché? Che tira indrio o che non tira xe la stessa roba. Quando i tacca otto bo sotto un varsoro i li tacca perché i tira... Ora, ricordatevi bene, che per conto mio, noi, se c'è uno che non tira lo se vede subito, perché el tira indrio, brontola, critica, eccetera, un po' el tira indrio; quello lo vedi abbastanza facilmente; quello, abbiamo il dovere dinanzi a Dio di mandarlo al macello. Però, ricordatevi, e questo è il caso più frequente, ci possono essere dei buoi che non tirano: apparentemente non ci si accorge, però ci si accorge che l'aratro non va avanti. E qual è questo aratro che non va avanti? Le vocazioni che non entrano. Amici miei, state attenti, quando... quando qualche volta la provvidenza non arrivava io ho alzato la voce e ho detto: "Fratelli, state attenti che dentro nella nostra casa non ci sia qualcuno in peccato, perché allora la provvidenza non arriva". Io oggi vi dico dinanzi a Gesù qui presente nel tabernacolo: "State attenti che non ci sia nella nostra Famiglia religiosa qualche religioso che non tira". Può esserci qualcuno che tira indietro così... interpretando la vita religiosa a modo proprio, con qualche frase, qualche, così... Purtroppo c'è qualche religioso che non tira: piccole cose... ma ci sono queste cose. E se questi religiosi verranno da me, li faccio toccare con mano; per me è odioso prendere uno e dire: "Vieni qua, tu fai questo, tu non fai quello...". Se fossero cose gravi... ma ci sono delle piccole cose per cui si vede che qualcuno tira un pochino indietro. Però religiosi che non tirano 'inter nos sunt multi', religiosi che non tirano tra noi ce ne sono purtroppo molti. State attenti, fratelli, che per questo dormire e non tirare non si sia chiusa la porta delle vocazioni, nel qual caso ci sentiremo responsabili dinanzi a Dio del bene che non viene fatto nella Chiesa del Signore. E quando qualche vescovo, e quando la Chiesa batte a questa porta per venire a chiedere apostoli, che il Signore non debba dire: "La causa è di quei tali che purtroppo hanno fatto della Famiglia religiosa la loro oasi dove, senza eccessive responsabilità, un po' come scapoli di famiglia, si andava avanti... da mangiare ce n'era, libri ce n'erano, caldo c'era, bastava lavorare un pochino e si arrivava in fondo". Questo non basta per chiamarsi Gesuiti, Francescani, Comboniani o della Famiglia di San Gaetano. Sia lodato Gesù Cristo!