1.Questo... lo dico tanto per ambientare gli amici che sono appena arrivati. Abbiamo cominciato a parlare, o meglio, un pochino a leggere con distrazioni un libro di Renè Voillaume "Sulla traccia di Gesù".Abbiamo visto una cosa: che dobbiamo stringerci in amicizia con Lui e dobbiamo fare in modo che Gesù sia continuamente presente a noi. Non soltanto che occupi un posto, ma tutto il posto dentro di noi, in modo da poter vivere una vita a due. Una vita, però, concreta e reale, nella fede, quanto la vita che conduciamo in mezzo agli uomini.Abbiamo visto, primo, che dobbiamo tener presente che "Gesù è risuscitato nella pienezza della vita e della gioia e che io posso immediatamente aver rapporti intimi e costanti con Lui". Secondo: che "Gesù ci conosce in ogni momento della nostra vita interiore, come in quella esteriore, e ci vuole suoi"."Gesù poi ha un disegno preciso su ciascuno di noi e attende che lo raggiungiamo con i nostri sforzi"."Gesù è costantemente attento e percepisce sempre le nostre parole quando gli parliamo".Ora: "Tutto è possibile a chi crede".
MO82,2[01-08-1966]
2."La nostra fede è troppo spesso solo uno sforzo di adesione della mente a verità più o meno astratte, mentre noi dimentichiamo che essa si rivolge a un Uomo-Dio più vivente e più presente che il più vicino dei nostri fratelli".Vedete, mi pare che molto spesso noi parliamo di un Dio studiato nei libri, di un Dio che è lontano da noi. Questo pensiero ripetutamente noi lo abbiamo svolto nelle meditazioni, nelle letture spirituali, ma credo che forse non ci ha mai colpito profondamente, perché se ci avesse colpito profondamente forse saremmo già santi. Vedete: non possiamo pensare di studiare Dio per avere Dio in cielo e non sentire Dio presente. Altrimenti noi studiamo un Dio troppo lontano da noi. Bisogna, scusate adesso, bisogna che ci sforziamo proprio di metterci alla presenza sua prima di parlare di Lui.Per esempio, noi prendiamo in mano la Sacra Scrittura, la Bibbia, ci mettiamo a leggere l'Antico e il Nuovo Testamento. Ma non possiamo noi leggere quel libro senza prima fare un atto di presenza del Signore, senza dire prima: "Parla, Signore, io ti ascolto. Dimmi un po' cosa vuoi, cosa intendevi dirmi quando hai scritto queste cose, quando le hai suggerite, le hai ispirate agli scrittori santi, agli scrittori, agli Apostoli. Cosa volevi dirmi, cosa mi volevi dire". E allora ti accorgerai che Dio ti dirà qualcosa, ma proprio qualche cosa che va bene per te.Vedete, forse noi troppo spesso accostiamo le cose di Dio senza la presenza di Dio, senza lo sforzo prima di metterci alla presenza del Signore. Anche, vedete, questo è necessario prima della preghiera; per coloro che recitano il Divino Ufficio, prima della recita del Divino Ufficio, prima della celebrazione della Santa Messa. Ma questo lo dovremmo fare specialmente vorrei dire nello studio di Dio, studiando Dio; perché per conoscere Dio bisogna studiarlo. Dicevamo ieri sera che noi dobbiamo sforzarci di conoscere Dio, di amarlo e di fare la sua volontà: è questa la sostanza. Ma per conoscerlo, bisogna studiarlo. E dove lo studieremo? Nei libri santi. Lo studiamo nei libri santi, lo studiamo in qualche buon libro, nell'Imitazione di Cristo, in qualche vita di santo. Ma ricordatevi: non si può pensare di studiare Dio senza metterci alla presenza di Dio. Altrimenti avremo una cultura sul Signore, ma non una vita in unione col Signore.
MO82,3[01-08-1966]
3."Se sappiamo leggere tra le righe del Vangelo, ci dobbiamo davvero convincere che la mancanza di fede è proprio il difetto che più di tutti Gesù temeva nei suoi discepoli".Fa un po' impressione sentire come Gesù insistentemente raccomandava ai suoi Apostoli di avere fede, di avere fede, e metteva alla base di tutto la fede; tanto è vero che a un dato momento dice: "Se aveste la fede grande come un granello di senape...”, ne aveste soltanto un pizzichino così, voi fareste cose meravigliose, cose grandiose.Ora vedete, tante volte io ho gridato: "Ci manca la fede.". Non è, vedete, la fede, sentimentalismo. No. Io ho la fede perché? Perché vengo fuori... piango in chiesa perché quando vado dinanzi al Signore... No, non è questa la fede. Ma, non illudiamoci di avere fede perché soltanto studiamo e diciamo: "Sì, è vero questo.".Tra il sentimentalismo e la conoscenza intellettuale c'è la vera fede, l'adesione a un Dio presente, non a un Dio trascendente; a un Dio che è presente nella mia vita, proprio continuamente presente, che mi ama, che mi conosce, che mi segue, che ha un piano su di me e che io devo seguire istante per istante. Scusate se insisto su queste cose; ma guardate che devono diventare vita della nostra vita, altrimenti è meglio chiudere baracca e burattini nel vero senso della parola. Perché, cosa andremo in giro a portare nel mondo se non avremo fede?
MO82,4[01-08-1966]
4."Perciò è impossibile per noi concepire una fede senza amore, perché una fede senza amore non terminerebbe alla persona di Gesù. In un atto di fede vera è tutta la nostra vita che noi doniamo a Gesù".Vedete, San Paolo insiste, no?: "Se io avessi anche, eccetera eccetera... e non avessi la carità... e non avessi la carità...".Ora vedete, non possiamo disgiungere l'atto di fede dall'atto di amore. "Mio Dio, io credo, credo, ma immediatamente adoro, spero e amo". Non si può fermarsi alla parola "mio Dio, io credo". La vera fede ti fa prostrare: "Dimmi, chi è?", ed ecco il guarito che si prostra ai piedi del Signore. Se io veramente credo che nel tabernacolo c'è Lui, dal mio cuore immediatamente deve uscire un atto di amore verso di Lui e immediatamente devo sentire il bisogno di donarmi a Lui. Fede, carità, donazione devono susseguirsi, ma devono essere impregnati, immedesimati quasi. Ora Gesù...
MO82,5[01-08-1966]
5."Uomini di Galilea, perché state qui a guardare verso il cielo? Quello stesso Gesù che vi è stato tolto ed è salito al cielo, ritornerà nello stesso modo che voi lo avete visto salire al cielo"(Atti 1, 12).Ricordiamoci: "La nostra fede è un camminare avanti incontro al nostro Salvatore. Non possiamo considerare i luoghi dove visse Gesù come testimoni di cose passate, come un archeologo che si sforza di rendere vivo ciò che in realtà è già morto.Non vi sono più barche sul lago, non più pescatori che escono la notte a gettare le loro reti. Un peschereccio tutto di ferro fa la pesca industriale. Delle jeeps solcano le piste nelle vicinanze di Cafarnao, nella "Patria di Gesù", perché c'è una frontiera tra uomini che si battono. Rottami di cemento armato, fili di ferro spinato insudiciano i pendii erbosi. Tutta una vita ardente protesa verso l'avvenire fa sparire le tracce del passato: villaggi d'immigrazione allineano i loro tetti di lamiera luccicanti nel sole. Pompe di drenaggio succhiano, attraverso grossi tubi, l'acqua del lago per irrigare le colture scientifiche. L'avvenire degli uomini è qui, la loro attività cancellerà sempre più le tracce visibili del passaggio. Ed è bene che sia così! Le beatitudini non devono essere meditate soltanto sui pendii del deserto della collina dove risuonano per la prima volta, ma devono essere ardentemente – ardentemente - ripensate e rivissute in mezzo a uomini, prigionieri e schiavi essi pure, a modo loro, di un lavoro tirannico; devono essere rivissute con lo sguardo volto in avanti, in mezzo ai piloni di ferro, tra le case coi tetti di lamiera ondulata, tra i pesanti camion sulle strade asfaltate, tra il fragore delle macchine: poiché in mezzo a tutto ciò si nasconde, molto più che ai tempi del Signore, una immensa angoscia umana, la paura del domani di guerra e l'assillo di un nutrimento da trovare.Non dobbiamo condannare questo nuovo volto della Terra Santa. Dobbiamo accettare questo nuovo stato di cose, questa lezione senza la quale sarebbe ben vano rimpiangere gli orizzonti contemplati da Gesù. Egli è venuto sulla terra ed è morto per gli uomini: i Luoghi Santi devono ricondurci senza posa a questa realtà. Le Beatitudini e il Vangelo sono eterni e devono essere letti e intesi e vissuti come uscenti attualmente dalla bocca di un Cristo vivente, di un Cristo che predica oggi sulle nostre pubbliche piazze, perché Egli è l'eterno vivente, per gli uomini di oggi, per quelli di domani, come per i Galilei del primo secolo: perché Egli non è “il Dio dei morti, ma dei viventi".
MO82,6[01-08-1966]
6.Dalla nostra fede deve perciò germogliare una grande speranza protesa verso il Signore che viene."Uomini di Galilea, che state qui a guardare verso il cielo? Quello stesso Gesù che vi è stato tolto ed è salito al cielo ritornerà nello stesso modo che voi l'avete visto salire al cielo"".Mi pare che andando nei vari posti dove il Signore domani vi invierà, voi dovete preparare proprio gli uomini all'arrivo di Lui. Se, per esempio, il nostro caro don Piero sapesse che dopo due anni che si troverà là nel Chaco il Santo Padre andrà a fargli visita, occuperebbe, coi suoi carissimi confratelli, due anni a preparare la gente per l'arrivo del Santo Padre. Cercherebbe in tutti i modi e tutte le forme di preparare i bambini, preparare i vecchi, preparare le mamme, preparare l'ambiente... Perché? Deve arrivare il Papa. Ebbene, guardate che Egli verrà, Egli tornerà. Il nostro lavoro dev'essere questo: una preparazione di noi e degli altri all'arrivo di Lui, che tornerà per giudicare gli individui e il popolo suo.2 agosto 1966