Mons. Attilio Bortolotto era insegnante di fisica e chimica nel seminario di Vicenza quando don Ottorino era studente. Uomo di grande cultura e capacità didattica, seguiva il cammino della scienza, ma non fu in grado di prevenire i travolgenti sviluppi. Nel ragionamento riferito c’è un errore, perché in realtà un treno a quella velocità raggiungerebbe la luna in poco più di tre mesi. Forse il professore pensava alla distanza fra la terra e il sole, per la quale quell’ipotetico treno impiegherebbe più di cent’anni.
Il riferimento è al fisico Antonio Pacinotti (1841-1912), che ideò e costruì l’anello che da lui prese il nome. Nel testo registrato don Ottorino dice Pacinelli invece di Pacinotti, e poi parla di alternatore invece di generatore. A don Ottorino non preme l’esattezza scientifica, ma l’applicazione dell’esempio al campo spirituale, cioè al lavoro fatto insieme, del quale parla subito dopo.
Senza dubbio don Ottorino porta questo esempio sotto l’entusiasmo dell’impresa spaziale dell’epoca, culminante con l’allunaggio avvenuto il 21.7.1969, quando il primo uomo, Neil Amstrong, pose piede sulla luna.
MI295,1 [18-02-1970]
1. Sia lodato Gesù Cristo! Quando si studiava fisica nei lontani anni del liceo, parliamo del '33, '34, '35, i professori ci dimostravano l'impossibilità di arrivare sulla luna. Mons. Bortolotto ci diceva che ciò era impossibile, perché “nell'ipotesi che ci fosse un treno che corresse alla velocità, diciamo una velocità pazza di 150 chilometri all'ora, cosa impossibile e immaginaria, e una rotaia conducesse fino alla luna, ci vorrebbero così tanti anni che si sarebbe morti per strada; sarebbero arrivati i figli!”. Quando in fisica si parlava di questo, si parlava anche di uno scienziato che inventò il famoso anello, cioè Pacinotti. Se vi avesse fatto passare la corrente, l'anello avrebbe cominciato a girare e così lui avrebbe inventato il motore. Invece inventò solo l'alternatore, ma non il motore. Povero Pacinotti, inventore del motore senza saperlo! Allora si parlava dello scienziato A, dello scienziato B, dello scienziato C. A mano a mano che si è andati avanti con gli anni, questi singoli scienziati sono diventati un collegio di scienziati. Sembrerebbe logico che l'uomo più diventa capace, più dovrebbe diventare indipendente; invece diventa più dipendente e il suo lavoro diventa più lavoro di gruppo, lavoro di équipe. Abbiamo avuto ultimamente l'esempio di questo tipo di lavoro nei voli spaziali. Abbiamo visto che non c'era uno scienziato solo, ma una équipe di scienziati, e ogni scienziato, si può dire, dipendeva dall'altro, ogni scienziato doveva collaborare con l'altro. Soltanto con tanti scienziati si è potuto arrivare a fare una spedizione di quel genere. Perché uno, da solo, non avrebbe potuto regolare la televisione, la radio, la spinta, eccetera. Ognuno è uno specializzato nel suo settore, ma anche in questo ha bisogno di altri che siano specializzati in altri settori. In questo momento, in cui la scienza ha fatto progressi e uno scienziato non può lavorare da solo ma in collaborazione con altri, come per esempio coloro che lavorano per preparare e guidare un volo spaziale, potete voi immaginare che lavorino completamente indipendenti? Potete pensare che uno di loro faccia una determinata cosa nel suo settore completamente da solo, senza alcun controllo? Gli altri direbbero: “Non può essere che tu faccia da solo. Potresti anche sbagliare e, se sbagli, mandi in malora tutto quello che abbiamo fatto noi”. Uno può fare una parte di una cosa e poi gli altri il resto, ma se sbaglia lui, l’errore ricade anche su tutti gli altri. E allora è logico che ci deve essere un controllo: ci deve essere un lavoro fatto insieme, nel quale, per quanto è possibile, con il controllo reciproco, vengano evitati gli errori che l'umana natura porta involontariamente a fare: involontariamente, non per cattiveria.AUTOBIOGRAFIA seminario
MONDO progresso
SOCIETÀ
tecnica
SOCIETÀ
lavoro
Nel testo registrato don Ottorino dice in latino la famosa sentenza di San Gregorio Magno: “Ars artium regimen animarum”.
In dialetto veneto le bestie per antonomasia erano le vacche, per la loro importanza nell’ambiente agricolo. L’espressione il mio povero nonno significa che il nonno era già defunto.
Don Ottorino continua con il paragone dei voli spaziali. Infatti sputnik fu il nome dei primi satelliti artificiali sovietici.
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2. Se questo è vero nel campo scientifico, potete voi pensare che non sia altrettanto vero nel campo spirituale? Se è vero quello che si è detto nel passato: “Guidare le anime è la più difficile delle arti” , volete voi che la salvezza di un'anima, la nostra e quella dei fratelli, sia meno importante di un volo spaziale? Ecco, io penso che noi forse prendiamo con leggerezza, con faciloneria il problema della salvezza di un anima. Un'operazione al cervello o al cuore viene preparata, studiata, collegialmente discussa e poi eseguita collegialmente. Evidentemente c'è un professore che opera, ma assistito da un gruppo di persone che lavorano insieme. Una volta, quando si facevano le cose alla buona, colui che operava faceva tutto da sé: dava l'anestesia, operava e... tutto. Adesso no. C'è chi dà l'anestesia, c'è chi opera, ci sono gli assistenti. Anche il medico del mio paese un bel giorno disse in Comune: “Ah, per mandare gli ammalati all'ospedale si spendono troppi soldi. Qui, in casa mia, c'è una bella stanza. Invece di mandare i poveri all'ospedale, li teniamo qui; io stesso posso provvedere all’operazione di appendicite, di ernia”. Naturalmente l'80%, il 90% andava in paradiso. Gli altri si salvavano perché riuscivano a scappare dalle mani del medico. Aveva collocato in casa sua quattro o cinque letti e operava; fra lui e sua moglie provvedevano a tutto. Anche il mio povero nonno operava, ma le bestie. Piantava quattro pali nel cortile, poneva una vacchetta con la pancia all'aria e, con un coltellaccio, faceva l'operazione. Ma, anime di Dio, per operare una bestia si può anche fare così? Per male che vada, si mangiano le braciole. Alla base di tutto questo ci deve essere la presa di coscienza di che cosa vuol dire il lavoro di un'anima, di che cosa vuol dire far volare non uno sputnik , ma un'anima, cioè farla arrivare a Dio, metterla in orbita con Dio, sincronizzarla con Dio. Se noi ci fermiamo a considerare questo, cioè che cosa vuol dire mettere in orbita un'anima, allora, ci facciamo prudenti e sentiamo anche noi il bisogno di dire: “Qui... eh, no! Da solo non ce la faccio”; sentiamo il bisogno di consigliarci, di lavorare in équipe perché mettere in orbita un'anima è un'impresa impegnativa.FORMAZIONE direzione spirituale
APOSTOLO salvezza delle anime
AUTOBIOGRAFIA
DOTI UMANE responsabilità
VIRTÙ
Mons. Giovanni Sartori nel 1970 era rettore del seminario vescovile di Vicenza, e in seguito divenne vescovo di Adria e Rovigo, e poi di Trento. Era un figlio spirituale di don Ottorino, che lo ebbe come allievo nel periodo del seminarietto, e con il quale mantenne sempre un profondo legame di paternità e di collaborazione.
Don Ottorino soleva dire che accanto ad ogni santo c’è sempre una mamma santa. Con frequenza egli parlava anche di mamma Clorinda, sua mamma, che considerava una santa donna.
MI295,3 [18-02-1970]
3. Supponiamo che venga da me un giovane e mi dica: “Per piacere, don Ottorino, mi può fare la direzione spirituale?”. Amici miei, io ricevo questo giovane da Dio e Dio lo attende in un certo grado della santità; questo giovane potrebbe diventare, nelle mani di un San Roberto Bellarmino un San Luigi Gonzaga, - mi pare fosse Roberto Bellarmino che fece da padre spirituale a San Luigi Gonzaga - nelle mani di un Cafasso un San Giovanni Bosco, nelle mani di un San Giovanni Bosco un Domenico Savio. Ma, amici miei, nelle mie mani può rimanere un santo fallito, non a causa della sua mancata buona volontà, ma della mancata buona volontà del suo maestro o, meglio, dello strumento che dall’eternità Dio aveva stabilito che fosse per lui il canale della grazia. Questa coscienza di una responsabilità professionale, o scientifica se vogliamo esprimerci con un linguaggio umano, ma che io direi strumentale, soprannaturale, per usare un linguaggio più nostro, non dobbiamo prenderla alla leggera. Quando, per esempio, un sacerdote prende in mano una parrocchia o la direzione di una casa di formazione, la responsabilità dovrebbe far tremare. Lo dicevo ieri a don Giovanni Sartori : “Tu devi tremare; hai la responsabilità di un seminario; puoi farne uscire dei santi e puoi essere responsabile della mancata santità di centinaia e centinaia di sacerdoti”. Non si può prendere alla leggera una responsabilità come questa, come un papà e una mamma non possono prendere alla leggera la formazione dei loro figli. E chiaro? Mamma Margherita è mamma Margherita e da mamma Margherita noi abbiamo un San Giovanni Bosco; mamma Monica è mamma Monica e noi sappiamo che le preghiere e i sacrifici di mamma Monica riuscirono perfino ad abbattere Agostino. Amici miei: le cose devono essere prese sul serio. Non si possono prendere alla leggera impegni così grandi come sono quelli della guida delle anime. Che cosa dobbiamo fare? Stiamo trattando dell'egoismo e, tanto per ritornare al tema fondamentale, noi sappiamo una cosa: che siamo egoisti, cioè ci sentiamo autosufficienti, ci sentiamo capaci di qualsiasi cosa. Questa è faciloneria, è cattiveria.FORMAZIONE direzione spirituale
DOTI UMANE responsabilità
CONSACRAZIONE santità
DOTI UMANE buona volontà
SACERDOZIO prete
PASTORALE parrocchia
FORMAZIONE case di formazione
FORMAZIONE educazione
Il prof. Bianchi era all’epoca il primario della sezione ortopedica dell’ospedale civile di Vicenza e godeva chiara fama per la sua abilità e competenza. Il fatto a cui don Ottorino si riferisce era successo l’anno precedente: durante il viaggio in America, in seguito ad una botta riportata in auto, gli si era gonfiato il gomito e aveva avuto dei problemi.
Anche per questa meditazione don Ottorino si serve delle Note di spiritualità religiosa preparate da don Matteo Pinton. La frase appena citata non si trova nel testo pubblicato in Scritti ispirati da don Ottorino, mentre si trovano, alla pag. 189 quelle citate in seguito e riportate sempre in corsivo senza ulteriori richiami.
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4. Appena ritornato dall’ultimo viaggio in America, sono andato all'ospedale e ho chiesto del prof. Bianchi , ma non c'era. Un medico mi visitò e mi disse: “Bisogna tagliare. Quando si fa ricoverare? Domani?”. Io risposi: “Senta, dottore: domani non potrei. Dopodomani”. “Senta, - mi disse il dottore - bisogna presentare gli incartamenti necessari per il ricovero perché bisogna tagliare”. Mi feci visitare poi dal prof. Bianchi che disse: “No, no, non occorre tagliare; sono sufficienti dei bagni di acqua calda”. Nient'altro, e tutto finì così. L’altro mi avrebbe fatto ricoverare, mi avrebbe tagliato e scaraventato su un letto, e invece il prof. Bianchi: “Bagni di acqua calda”. In pochi giorni di bagni d'acqua calda tutto si è rimesso a posto. Non è la stessa cosa! Finché si tratta di un gomito, tutto va bene, ma se si tratta della pancia o del cuore, o che cambino le valvole e sostituiscano le valvole di carne con altre di acciaio... non c'è da scherzare. Non si possono trattare le cose così! Attenti perché la nostra superbia e il nostro egoismo ci portano a questa faciloneria. E guardate che non ci sono tanti santi sulla terra per questa faciloneria, vorrei dire per questa incapacità e incoscienza degli uomini che dovrebbero essere gli specializzati nel dirigere e salvare le anime. Che cosa bisogna fare? Ce lo dice il nostro autore: “Bisogna non sentirsi sicuri, bisogna consigliarsi”. Non è più il tempo dello scienziato che fa tutto da sé. Una volta c'era il farmacista che faceva tutto: “Che cosa sente? Beh, vediamo!”. E allora sfogliava in disparte un po' di carte e cartine e, con polveri e polverine, confezionava le pillolette e le faceva portare a casa in una bottiglietta dicendo: “Queste vanno bene per lei”. Se vai dal botanico, ti dà quattro bottiglie di infuso e ti dice: “Con queste starà meglio”. Ora non siamo più ai tempi in cui uno faceva tutto. Qui bisogna che ci convinciamo che occorre lavorare insieme. Il lavoro va fatto insieme: anzitutto per la propria santificazione personale, e poi per un fecondo lavoro apostolico. Io non devo fidarmi della mia capacità individuale. Quando ho eseguito un certo calcolo, anche se mi pare esatto, devo avere tanta umiltà da farlo verificare da un altro, che può essere più vecchio o anche più giovane di me, e dirgli: “Senti, per favore, dà un'occhiatina a questo”. “Eh, non è necessario perché lei fa sempre esatto”. “No, fammi un piacere, dà un occhiatina per vedere se tutto va bene”. Cento volte può darsi che il conto sia esatto, ma che sia sbagliato la centunesima volta. Se io ho coscienza della mia missione, non posso sbagliare, non mi devo concedere il lusso di sbagliare, neanche quando si tratta della mia vita intima perché, poi, ne deriva una ripercussione sugli altri; non posso dire: “Beh, insomma, qui non si tratta degli altri”. Quando io, persona pubblica, tratto della mia santità personale, tratto della santità anche degli altri. Perciò non posso sbagliare neanche quando si tratta di me stesso. E devo curare la mia santificazione non solo per i miei rapporti personali con Dio, ma per quello che io devo agli altri. Io ho un dovere: farmi santo, dare il massimo possibile a Dio, cioè unirmi il più possibile con lui, perché dalla mia unione, dalla pressione che ne deriva, ne viene la santità degli altri.AUTOBIOGRAFIA viaggi
ESEMPI superficialità
VIZI superbia
APOSTOLO salvezza delle anime
FORMAZIONE direzione spirituale
CONSACRAZIONE santità
VIRTÙ
umiltà
DOTI UMANE responsabilità
Don Zeno Daniele e Adriano Conocarpo erano diplomati in ragioneria e lavoravano già nell’amministrazione della Congregazione; Mariano Apostoli, invece, nominato subito dopo, frequentava il 4° anno del corso teologico e svolgeva mansioni nella segreteria della Casa dell’Immacolata, ed era incaricato anche di consegnare la busta paga ai professori.
La voce dei Berici, settimanale della diocesi, veniva stampato nella scuola grafica dell’Istituto San Gaetano, e il comm. Castegnaro ne era l’amministratore.
È evidente che don Ottorino accompagna le parole con il gesto della mano per indicare il controllo delle moltiplicazioni e delle somme.
MI295,5 [18-02-1970]
5. Ricordatevi che è una pia illusione quella di pensare di fare da soli. Non si può, per esempio, dire: “Io agisco da solo, io lavoro da solo; ormai ho una certa età e lavoro da solo”. È una pia illusione! Un domani, quando sarete nel campo della vita apostolica, quando forse avrete una certa difficoltà per trovare un direttore spirituale, dovrete accontentarvi di uno più vecchio o più giovane, e potrete scegliervi anche un confratello più giovane, al quale, con santa semplicità, pur senza dargli proprio il titolo di padre spirituale, potrete aprire un po' il vostro cuore e dire: “Sta’ attento. Io vorrei fare questo: che ne dici? cosa faresti tu?”. Bisogna saper chiedere con la semplicità di un figlio di Dio, in modo da far verificare da un altro, per esprimerci con altre parole, l'operazione, come si farebbe da buoni fratelli in famiglia quando si fanno i conti . Prima di mandare i conti a qualcuno si dice: “Senti, fammi un piacere: dà un'occhiatina, che per caso non ci sia qualche errore”. Zeno e Conocarpo, che sono in amministrazione, sanno quanto è facile sbagliare. Per esempio, uno dei mesi scorsi hanno mandato qui le buste ai professori e Mariano Apostoli mi ha detto che c'era un errore. Nonostante tutta la buona volontà c'è stato uno sbaglio: un mese può farlo uno, un mese l'altro. È capitato anche che hanno presentato i conti a “La voce dei Berici” e hanno sbagliato di quasi un milione; il comm. Castegnaro fece presente che c'era uno sbaglio perché se ne era accorto. Ora, non c'è da meravigliarsi per niente: nelle cose umane è così! I nostri cari amici, che lavorano in amministrazione, sanno che bisogna controllare le fatture, che bisogna controllare tutto. “Mi hanno mandato la fattura...”. “No, bisogna controllare!”. “Eh, ma l'ha fatta lui...”. “Va bene, non penso male di lui, ma siccome è un uomo, può sbagliare. Bisogna controllare...”. Questo lo sottolineo perché, un domani, se vi mandano una fattura: “Ebbene, pronti: 10.000 lire, 50.000 lire, 100.000 lire...”. No! Si controlla per così e anche per così, non per cattiveria, ma perché siamo uomini. Avete il dovere di controllare. Se arrivano dieci fatture, non si può pagarle senza controllare. Prima si controlla e si tira sul prezzo, e poi si paga. Hai ordinato 10 q.li di merce? Vedi se sono arrivati dieci. Sono 10 q.li a lire 1.100 il quintale? Controlla se nella fattura sono 11.000 lire o no, e poi fa la somma di tutto per vedere se è esatto. Dopo che hai fatto i conti, puoi dire al fornitore: “Senta: invece di 54.000 lire, non possiamo fare 50.000?”. È vostro dovere fare così.CROCE difficoltà
FORMAZIONE direzione spirituale
VIRTÙ
semplicità
VIRTÙ
umiltà
COMUNITÀ
fraternità
COMUNITÀ
Don Ottorino visitava con frequenza le giovani Comunità operanti in America Latina per animare e indicare i mezzi necessari per accrescere lo spirito religioso e apostolico, in particolare la direzione spirituale. Qui accenna ad alcune persone che si prestavano a guidare i confratelli nel cammino spirituale: il cappuccino p. Francesco da Chajarí nel Chaco (Argentina), il vicario generale di Zacapa in Guatemala, il resurrezionista polacco p. José Wyrwisky a Resende in Brasile.
MI295,6 [18-02-1970]
6. Questo dovete farlo in modo particolare nel campo spirituale. Se è facile sbagliare nelle cose materiali, dove ci sono numero e misura, dove ci sono cose concrete, potete immaginare quanto sia più facile sbagliare nelle cose intime e spirituali, dove noi siamo spesso abbagliati dalle passioni, dal nostro punto di vista, da tante circostanze. Una volta sarà una nostra idea, un'altra volta un po' il cuore che ha le sue tendenze... insomma, è facilissimo sbagliare. Per questo è necessaria la direzione spirituale. Qui, nella Casa dell'Immacolata, potete trovare facilmente qualche direttore spirituale; anche fuori di qui potrete trovare dei buoni e santi sacerdoti. Ho visto che l’hanno fatto anche nei luoghi di missione, senza ricorrere ad altri mezzi. Per esempio, in Argentina hanno trovato padre Francesco, che è una santa anima, un buon sacerdote, un buon francescano, un vero papà, molto vicino ai nostri; in Guatemala sono ricorsi al vicario generale, un padre cappuccino, un santo prete, che può essere benissimo un bravo direttore spirituale dei nostri religiosi; in Brasile hanno incontrato un padre, che non so di quale famiglia religiosa sia perché non l'ho neppure visto, ma del quale tutti i nostri confratelli sono contenti, vanno da lui e si trovano molto bene. Con un po' di buona volontà si può trovare qualche “scienziato” di Dio che possa aiutarci a lavorare per il Signore. Ma anche se non lo si trovasse possiamo trovare qualche confratello in casa e, con santa semplicità, senza chiamarlo padre spirituale, aprirsi con lui: si può andare a confessarsi da un sacerdote, e ma con santa semplicità domandare consiglio al confratello. Io, per esempio, faccio così. Ho il mio padre spirituale e, siccome è logico che certe cose non possono essere capite dal padre spirituale perché sono problemi di casa, allora prendo uno dei confratelli più anziani che sono in casa, e con santa semplicità gli domando consiglio. Quante volte ho domandato insistentemente a qualcuno di quelli che sono qui presenti: “Che cosa faresti? Che cosa ne pensi?”. E questo non per debolezza umana, ma perché siamo coscienti di essere tutti uomini e che possiamo sbagliare. Come primo passo è necessario togliere questo egoismo e questa autosufficienza, che può condurci a conseguenze tremende, può condurci fuori di strada, a rovinare anche il lavoro degli altri.PREGHIERA vita interiore
PECCATO passioni
FORMAZIONE direzione spirituale
MISSIONI
AUTOBIOGRAFIA viaggi
DOTI UMANE buona volontà
COMUNITÀ
confratelli
GRAZIA Confessione
VIRTÙ
semplicità
Don Ottorino riprende l’esempio del lancio spaziale che aveva iniziato all’inizio della meditazione.
Don Ottorino si riferisce ad un curioso episodio accadutogli quando era ragazzo: al momento di sparare a un merlo il colpo non partì, e così l’improvvisato cacciatore si espose alle beffe degli amici.
Don Ottorino sembra voler stimolare la conversione sull’argomento nominando don Matteo Pinton, Raffaele Testolin che frequentava il 1° anno del corso teologico, don Luigi Furlato che era maestro dei novizi, e specialmente Tarcisio Magrin del 3° anno del corso liceale con il quale usa espressioni chiaramente scherzose. Nomina pure Antonio, che potrebbe essere Antonio Donà del 3° anno del corso teologico o Antonio Bottegal del 4° anno dello stesso corso. Alla fine chiede a don Zeno Daniele, che stava terminando il corso teologico, di leggere qualche riga delle Note di don Matteo.
MI295,7 [18-02-1970]
7. Poi c'è un altro aspetto che l’autore di questo lavoro mi deve permettere di dire anche se qui non è scritto. Oltre che per il mio lavoro personale di santificazione io devo sentire il bisogno, vorrei dire anche in modo più urgente, della collaborazione fraterna quando si tratta del lavoro apostolico, di un lavoro in mezzo alle anime. Noi stiamo lavorando praticamente sullo stesso terreno, stiamo lavorando per portare in alto la stessa massa. Non può uno lavorare all'impianto della stazione radio, l'altro a quello della televisione, l'uno disgiunto dall'altro. Bisogna senz'altro che chi fa l'involucro, faccia anche il posto per la stazione radio, trovi anche il posto per le pillole o per il mangiare che è necessario. L'uno non può dimenticare l'altro. Se in una parrocchia ci sono quattro o cinque religiosi, non può uno di loro dire: “Io penso ai giovani e basta; io non c'entro per il resto” oppure: “Io penso alle vecchie e non al resto”. Ricordate quante volte l'abbiamo detto e ripetuto: la parrocchia dovete prenderla in mano tutti, dovete lavorare tutti insieme, dovete mettere i problemi sul tappeto. Vi dico questo perché anche ultimamente qualcuno si è lamentato: “Sì, sì, il superiore vuole che si dica tutto, però lui non dice niente; vuole saper tutto, ma lui non dice niente di quello che fa”. Sarebbe tremendo, sapete! Bisogna che si parli insieme, bisogna che si tratti insieme, bisogna che a un dato momento si chiami Gesù come superiore e insieme con lui si discutino tutti i problemi. Allora la comunità andrà bene, allora Dio agirà in mezzo alle anime, allora saremo sicuri che tutta la parrocchia andrà in orbita. Altrimenti faremo un lavoro unicamente umano che resterà umano, e nel momento in cui si cercherà di fare il lancio in orbita non ci sarà alcun distacco da terra: resterà lì, farà cilecca come quell'altro quando ha sparato al merlo. Su questo tema abbiamo detto abbastanza. Se qualcuno vuole aggiungere qualche cosa, può farlo. Mi pare che don Matteo abbia da aggiungere qualcosa... Allora ci fermiamo qui, senza andare avanti, altrimenti andiamo avanti. Tu, Raffaele, hai qualcosa da dire? Tu, don Luigi? Tarcisio, tu che sei pieno di spirito divino... è andato a fare l’assaggio del vino... quanti bicchieri ne hai bevuto? Quanti sono stati, Tarcisio? Sei andato da solo? Fin a che numero hai contato...? Antonio, hai qualcosa da obiettare su questo argomento? Tu, Zeno, che facevi il sorrisetto sotto i baffi... Leggi questo.CONSACRAZIONE santità
COMUNITÀ
fraternità
PASTORALE
PASTORALE parrocchia
COMUNITÀ
superiore
COMUNITÀ
dialogo
Il riferimento è a Marco Pinton, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso teologico.
Nel testo registrato si ascolta a questo punto una voce che commenta con queste parole: “Credo che questo sia importante, perché è abbastanza facile fare la correzione fraterna tra confratelli, tra coetanei, ma è molto più difficile farla ai superiori Viene spontaneo parlarne alle spalle se si presenta l'occasione, parlarne con altri, non direttamente. Penso che l'esempio, che lei ha portato tante volte, cioè che si critica il vescovo oppure anche i parroci nelle parrocchie, sia vero. Veramente nessuno ha il coraggio di farsi avanti e di parlare: questo comporta rischio e impegno. Penso che, quando si fa una correzione ai superiori, comporti sempre un impegno, poi, da parte di chi fa la correzione, di collaborare. Diventa una correzione impegnativa che, in un certo senso, compromette”.
MI295,8 [18-02-1970]
8. «Il mio amore verso Dio lo dimostro infine attraverso uno sforzo costante di piacergli sempre e dappertutto: impegnandomi con coraggio e buona volontà di crescere nella sua conoscenza e nel suo amore e di togliere tutto ciò che in me non gli piace. Riguardo a questo problema due sono i campi del mio impegno concreto: a) L'assiduità alla direzione spirituale e un frequente, responsabile, umile avvicinamento dei superiori per ottenere la correzione fraterna... b) Un contatto vivo, costante, con i libri santi e di aiuto spirituale, e la cura di conversazioni elevanti con i confratelli sul come amare Dio, sul come seguirlo più generosamente, sul come farlo amare da tutti». Mi permetto di dire questo, adesso, perché parliamo della casa di formazione; un domani in campo apostolico sarà un'altra situazione. Un domani potrebbe capitare che un superiore sia talmente invaso dallo Spirito Santo da credere di essere infallibile e perciò esiga che gli altri vadano da lui per la correzione fraterna, mentre lui non domandi mai agli altri tale correzione o non accetti mai alcuna osservazione. Io direi che bisognerebbe fargli passare questa sbornia. A un dato momento dobbiamo pensare che siamo tutti uomini e possiamo tutti sbagliare. E allora bisogna che nelle nostre Comunità ci abituiamo da buoni fratelli a correggerci reciprocamente; bisogna che, quando ci riuniamo insieme, ci abituiamo a pensare che il superiore è Nostro Signore Gesù Cristo. E allora, da buoni fratelli, dobbiamo proprio cercare insieme e con santa semplicità dire le cose che non vanno bene. Se domani andiamo a Bosco e lì ci sono cose che non vanno bene, allora tu, Marco , con santa semplicità devi dire: “Don Ottorino, mi scusi se io, così giovane, lo dico a lei che è tanto vecchio. Capisco che la vecchiaia comporta certe conseguenze... Non le sembrerebbe forse meglio se, per esempio, la meditazione del mattino invece di farla due volte la settimana lei, che ormai è vecchio e la fa male, una volta la facesse lei e un'altra volta don Guido o don Matteo... in modo da fare per turno il giro?”. Così, con semplicità, dicendo quello che nel cuore sentite necessario dover dire. Bisogna che ci abituiamo a questo. Se è vero che, un domani, il superiore dirà l'ultima parola e la questione è chiusa e la volontà di Dio sarà quella, è altrettanto vero che si deve lavorare insieme e cercare insieme la volontà di Dio. Se è vero che da una parte si deve vedere il rappresentante di Dio, è altrettanto vero che dall'altra il superiore deve sentire che è lì per manifestare ai fratelli l'amore di Dio, è lì per servire, aiutare, dare una mano. Se da una parte si deve vedere Dio, dall'altra si deve vedere Dio cinque o sei volte di più. Mi pare che sia utilissimo capire questo. Se noi entriamo con questo spirito di servizio, credo che il demonio non abbia nulla a che fare con una Comunità che vive così. Bisogna avere il coraggio di dircele le cose, e non dirle dietro la schiena.FORMAZIONE case di formazione
DIO Spirito Santo
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fiducia
VOLONTÀ
di DIO ricerca della...
DIO amore di...
DIO cuore di...
DIO bontà
di...
CROCE Demonio
COMUNITÀ