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LA NECESSITÀ DI SAPER LAVORARE INSIEME.

MO295 [18-02-1970]

18 febbraio 1970

MO295,1 [18-02-1970]

1. Sia lodato Gesù Cristo!
Quando si studiava fisica nei lontani anni del liceo, parliamo del '33-'34-'35, insomma così, '34-'35... quando cioè i professori di fisica ci dimostravano l'impossibilità di arrivare alla luna... mons. Bortolotto ci diceva che arrivare alla luna era impossibile: "Ci vorrebbe un treno che andasse, supponiamo, un treno, - perché parlava così - supponiamo, ss... carità, eh, ci fosse un treno che potesse andare alla velocità, diciamo una velocità pazza, pazza di 150 Km. all'ora... pazza... Impossibile, no? Ma poniamo, poniamo... ci fosse una rotaia, no? che ci conducesse fino alla luna... Ci vorrebbero tanti anni, ci vorrebbero tanti anni, capite, si morirebbe per strada, e arriverebbero i figli... Eccola la luna, eh!”. Quando, dico, nella fisica si parlava di questo, si parlava di uno scienziato, povero Pacinelli, oh, povero Pacinelli, che ha inventato l'anello famoso... Ah, sì, scusa, Pacinotti; povero Pacinotti che ha inventato l'anello; che se avesse mandato dentro la corrente, avrebbe cominciato a girare, avrebbe inventato il motore; invece ha inventato l'alternatore, no, ma non il motore. Povero Pacinotti, inventore del motore senza saperlo!. Allora si parlava di uno scienziato A, scienzato B, scienzato C. Mano a mano che si va avanti, questo benedetto scienziato A, B, C, diviene un collegio di scienziati. Mah, mi pare che più che l'uomo diventa capace, più dovrebbe diventare indipendente, no? Invece più diventa dipendente, più diventa lavoro di gruppo, lavoro di équipe. Abbiamo avuto adesso ultimamente l'esempio di questo lavoro che è stato fatto per i voli spaziali, e noi abbiamo... non c'è soltanto uno scienziato, ma c'è una èquipe di scienziati... e ogni scienziato, si può dire, dipende dall'altro, dipende dall’altro. E ogni scienziato deve lavorare insieme con l'altro, e soltanto con tanti scienziati si può arrivare a fare una spedizione di quel genere lì, no, perché uno non potrebbe mettere a posto la televisione, la radio, la spinta, eccetera. Ognuno è specializzato, e anche quello che è specializzato in quel ramo ha bisogno poi degli altri che siano specializzati nei particolari. Ora vorrei dire questo: in questo momento che la scienza è andata avanti e che non basta più uno, ma devono essere più di uno, questi tali che lavorano per, supponiamo, per un volo spaziale, questi scienziati, siete capaci voi di pensare che lavorino completamente indipendenti? Potete pensare voi che uno fa una data cosa, quella la fa lui, senza nessun controllo, la fa, quella la fa lui e basta? "E no! - dicono gli altri - La fai tu? Ma tu potresti anche sbagliare, e se sbagli mandi in malora tutto quello che abbiamo fatto noi". Giusto, no? Uno può fare una cosa, e dopo che lui ha fatto quella cosa gli altri fanno il resto, ma se sbaglia lui, sbaglia lui, hanno sbagliato anche tutti gli altri, vero? E allora, scusa, è logico che ci deve essere un controllo, no, ci dev’essere un controllo. Ci deve essere un lavoro insieme dove, per quanto è possibile, col controllo reciproco, vengono evitati quegli errori che l'umana natura ci porta a fare involontariamente, non per cattiveria, involontariamente.

MO295,2 [18-02-1970]

2. Se questo è vero nel campo scientifico, potete voi pensare che non sia altrettanto vero nel campo spirituale? Se è vero quello che si è detto per il passato: "Ars artium regimen animarum", volete voi che la salvezza di un'anima, la nostra e quella dei fratelli, sia meno di un volo spaziale? Ecco, io penso una cosa, che forse noi prendiamo con leggerezza, con faciloneria quello che è la salvezza di un'anima.
Una operazione al cervello, una operazione al cuore, viene preparata, studiata, collegialmente discussa, e poi fatta collegialmente. Va bene, c'è un professore che opera, ma c'è un insieme di persone che lavorano insieme, no? Una volta, quando si facevano le cose un po' alla buona, uno operava, faceva tutto, dava l'anestesia, operava e tutto. Adesso no: c'è chi dà l'anestesia, c'è l’altro che opera, ci sono gli assistenti, eccetera, no? Anche il medico del mio paese un bel giorno ha detto: "Ah! Mandare all'ospedale - ha detto al comune - si spendono troppi soldi; qui in casa mia c'è una bella stanza. Invece di mandare i poveri all'ospedale, li teniamo qua, faccio io l'operazione di appendicite, di ernia". Ma naturalmente l'80 - 90% andavano in paradiso, e gli altri riuscivano a scappare dalle mani del medico... E lui quatro, cinque, sei letti aveva messo lì e operava lui; fra lui e sua moglie facevano tutto, vero? Anche il mio povero nonno operava le bestie: piantava quattro pali per terra nel cortile, una vacchetta con la panzetta par aria, e con il cortellazzo faceva l'operazione, vero? Ma, anima di Dio, per operare una bestia se pole fare anca così, no? Per male che la vada, mangiamo le brasole, vero? Giusto? Ora, vedete, penso che alla base, alla base di tutto ci sia questo: prendere coscienza di che cosa vuol dire il lavoro di un'anima; cosa vuol dire far volare non uno sputnick per aria, ma far volare un'anima, far arrivare a Dio un'anima, metterla, si può dire, metterla in orbita con Dio, un’anima, sincronizzarla con Dio un’anima... Se noi ci fermiamo a considerare questo, cosa vuol dire mettere in orbita un'anima, allora capite che allora andiamo piano, e allora sentiamo il bisogno anche noi, anche noi, sentiamo il bisogno di dire: "Qui, eh, no, da solo non ce la faccio!". Sentiamo il bisogno di consigliarci, sentiamo il bisogno di lavorare in èquipe. Vedete: mettere in orbita un'anima...

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3. Io mi trovo dinanzi, supponiamo... Viene da me un giovane e mi dice: "Per piacere, don Ottorino, mi può fare la direzione spirituale?". Amici miei, io questo giovane lo ricevo da Dio, e questo giovane Dio lo attende in un certo posto della santità, e questo giovane potrebbe divenire nelle mani di un... - mi pare che sia Roberto Bellarmino quello che ha fatto da padre spirituale a San Luigi Gonzaga, no? - può divenire un Luigi Gonzaga, può nelle mani del Cafasso divenire un San Giovanni Bosco, nelle mani di un San Giovanni Bosco può divenire un Domenico Savio. Ma, amici miei, nelle mani mie può rimanere un santo fallito, non per causa della sua mancata buona volontà, ma per causa della mancata buona volontà del maestro, o meglio dello strumento che Dio “ab aeterno” aveva stabilito che fosse il canale della grazia.
Ora, questa coscienza di una responsabilità, scusate, professionale, se vogliamo dire, diciamola scientifica, diciamola quel che volete con linguaggio umano, direi strumentale, soprannaturale se vogliamo parlare con linguaggio nostro, è vero, non dobbiamo, non dobbiamo prenderla alla leggera. Io vi dico, quando un sacerdote, per esempio, prende in mano una parrocchia, o un sacerdote prende in mano la direzione di una casa di formazione, ma è da tremare. Lo dicevo ieri a don Giovanni Sartori: "Tu devi tremare; hai la responsabilità di un seminario; puoi far venire fuori santi e puoi essere responsabile della mancata santità di centinaia e centinaia di sacerdoti". Ora, non si può prendere alla leggera una cosa come questa. Come un papà e una mamma non possono prendere alla leggera la formazione dei loro figlioli. È chiaro? Perché mamma Margherita è mamma Margherita e da mamma Margherita noi abbiamo un San Giovanni Bosco. E mamma Monica è mamma Monica e noi sappiamo che le preghiere e i sacrifici di mamma Monica sono riusciti perfino, vero, ad abbattere Agostino. Allora, io dico, amici miei: le cose devono essere prese sul serio. Non si possono prendere alla leggera cose così grandi come quelle che sono del "regimen animarum". Ora, cosa dobbiamo fare? Ecco qui, stiamo trattando dell'egoismo, tanto per ritornare al tema fondamentale. Noi sappiamo una cosa: che siamo egoisti, e cioè ci sentiamo autosufficienti, ci sentiamo capaci di qualsiasi cosa. Ora questa è faciloneria e questa è cattiveria.

MO295,4 [18-02-1970]

4. Noi andiamo adesso all'ospedale, il primo medichetto che si trova, vero... Io sono andato all'ospedale, tornato dall'America, sono andato lì dal prof. Bianchi, non c'era; un medico mi guarda qui e dice: "Bisogna tajare! Quando vienlo dentro? Domani?". "El senta, dottore, - ho detto - doman non podaria, posdoman". "El senta, qua bisogna che femo le carte; oh, bisogna tajare!". Andemo dal prof. Bianchi: "No, no, niente tajare, caro. - el ga dito - Bagni de acqua calda, e basta, xe finìo". Quelo el me gavarìa ciapà, portà dentro, tajà, vero, scaraventà su un letto, e invece il prof. Bianchi: bagni di acqua calda; in pochi giorni de bagni de acqua calda xe andà a posto tutto quanto. Non xe mia la stessa roba, no? Finché che se tratta di un gomito, tutto va ben, ma se se tratta della panzeta, magari, se tratta che i te taja el core, magari, nel core e i te cambia un poche de valvole, i te mette valvole de aciaio invece de quelle che te ghe de carne, no, non xe mia da scherzare! Ecco, guardate, non si può trattare le cose così.
Allora, attenti. La nostra superbia, il nostro egoismo ci porta a questa faciloneria. E guardate che tanti santi non ci sono sopra la terra per questa faciloneria, vorrei dire, questa incapacità, proprio incapacità o incoscienza degli uomini che dovrebbero essere gli specializzati nel reggere le anime, nel salvare le anime. Ora, che cosa bisogna fare? Ecco, ce lo dice il nostro padre, qua, autore: "Bisogna non sentirsi sicuri, bisogna consigliarsi". Non è più il tempo di uno scienziato che fa tutto. Una volta c'era il farmacista che faxeva tutto lu: "Cossa xe che el se sente? Beh, ca vedemo". E allora el vardava là un poche de carte e cartine e faseva polvare e polvarete, el te faseva le pillolette e: "El porta a casa bottigliette de pillolette, queste va ben par lu". Te ve dal botanico: quattro bottiglie, el butta dentro: "Con queste te stè mejo, vero? Con queste ste mejo". Ora no, non siamo più al tempo che uno fa tutto. Qui bisogna che ci mettiamo in testa che bisogna lavorare insieme. Lavoro insieme, che va fatto insieme: primo per la mia santificazione personale; secondo per un lavoro apostolico. Io non devo fidarmi da solo. Io quando che ho fatto un certo calcolo, devo dire, anche se mi pare che sia giusto, devo avere tanta umiltà da presentarlo ad un altro, che può essere più vecchio o può essere anche più giovane di me e dire: "Senti, per favore, per favore, dà un'occhiatina a questa cosa qui". "Eh, lu el fa giusto sempre". "No, fa’ un piacere, daghe un’occiadina per vedere se tutto xe giusto". Su cento volte può darsi che sia sempre giusto, ma la centoeunesima volta può darsi che sia sbagliato. Ora, se io ho coscienza della mia missione, non posso sbagliare; non mi devo concedere il lusso di sbagliare, neanche quando si tratta della mia vita intima, perché poi ne viene una ripercussione in mezzo agli altri. Non posso dire: "Beh, insomma, qua non se tratta degli altri". No, si tratta,ricordatevi... Quando io, persona pubblica, tratto della mia santità personale, io tratto della santità anche degli altri. Perciò non posso sbagliare neanche quando si tratta di me stesso. Perciò la mia santificazione io la devo curare non solo per i miei rapporti personali con Dio, ma per quello che io devo dare agli altri. Ho un dovere io di farmi santo, ho un dovere io di dare il massimo che è possibile a Dio, cioè di unirmi più che è possibile con Dio perché, perché dalla mia unione, dalla pressione si può dire, che ne deriva, ne viene la santità delle anime.

MO295,5 [18-02-1970]

5. Ora, questa, ricordatevi, è una pia illusione, quella di pensare di fare da soli, pensare, per esempio, di dire: "Io agisco da solo, io lavoro da solo, ormai ho una certa età e lavoro da solo”. Guardate che è una pia illusione!
Anche domani, quando sarete nel campo di vita apostolica, quando forse troverete una certa difficoltà di trovare un direttore spirituale... Ho detto prima: più vecchio o più giovane per questo motivo: potrete trovare un confratello più giovane col quale, con santa semplicità, anche senza proprio dargli il titolo di padre spirituale, ma con santa semplicità, potrete aprire un po' il vostro cuore e dire: "Sta attento, ciò... Mi fasso questo: cossa ghin dito ti? cossa farissito ti?", con proprio la semplicità di un figlio di Dio, in modo, in altre parole, da far verificare da un altro un pochino l'operazione, come si farebbe da buoni fratelli in una casa quando si fanno i conti. Prima di mandare i conti a uno si dice: "Ciò, fame un piasere, daghe na ociadina.. che non ghe sia qualche sbaglio". Ora noi vediamo una cosa, e Zeno e Conocarpo che sono in amministrazione lo sanno, com'è facile sbagliare, come è facile, per esempio... Guardate, hanno mandato le buste, per esempio, degli operai, cioè, scusate dei professori qui, in un certo mese... Mariano Apostoli mi ha detto che.... Con tutta la buona volontà, c'è stato uno sbaglio... un mese uno, un mese l'altro. Capita che presentano i conti, per esempio, a "La voce dei Berici" e hanno sbagliato di quasi un milione. E il comm. Castagnaro ha detto: "Guardate che c'è uno sbaglio". E si è accorto dello sbaglio. Ora non c'è da meravigliarsi per niente. “In humanis” è così. I nostri cari amici che lavorano in amministrazione sanno che bisogna controllare la fattura, bisogna controllare tutto. Perché? "Ma mi hanno mandato la fattura". No! Bisogna controllare. "Eh, ma l'ha fatta lui!".Va bene, non penso mica male di lui, ma siccome che è un uomo, può sbagliare, può sbagliare. Sottolineo, perché domani vi mandano una fattura: “Ben, pronti: 10 mila lire, 50 mila lire, 100 mila lire...”. No! Si controllano per così e dopo si controllano anche per così... Non per la cattiveria, no, neanche per sogno, ma perché siamo uomini. Ora, qui... avete il dovere di farlo. No, vi arrivano dieci fatture e si pagano. Domani si paga, prima si controlla e poi si paga; poi si tira zo e dopo se paga, no? Prima se controlla, dopo si tira zo, e dopo se paga... Giusto? Hai ordinato 10 q.li di roba? Vedi se sono arrivati 10 q.li, 10 q.li a L.1100 il q.le, controlla se sono 11.000 lire o no? E poi fa’ la somma di tutto quanto per vedere se è giusto Quando che è giusto, dire: “Ecco, giusto, la fattura xe giusta! Adesso, senta, invece di 54.000 lire non possiamo fare 50?”. È vostro dovere così, no?

MO295,6 [18-02-1970]

6. Questo lo dovete fare in modo particolare spiritualmente parlando. Ora, se è facile sbagliare nelle cose materiali dove c'è numero e misura, dove ci sono cose concrete, potete immaginare quanto più facile sia sbagliare nelle cose intime e spirituali, dove spesso noi siamo abbagliati dalle nostre passioni, dal nostro punto di vista, siamo abbagliati un pochino da tante circostanze. Una volta sarà un'idea nostra, una volta è un pochino il cuore che pende, insomma, è facilissimo sbagliare. Ora, vedete, ecco la necessità di una direzione spirituale.
Qui, nella Casa dell’Immacolata, potete trovare facilmente qualche direttore spirituale che vi segua; fuori di qui potrete trovare dei buoni e santi sacerdoti. Io ho visto anche nei luoghi di missione... senza ricorrere anche ad altri mezzi. Ho visto, per esempio, in Argentina: in Argentina hanno trovato padre Francisco, che è una santa anima, un buon sacerdote, un buon francescano, un vero papà, è proprio vicino ai nostri. In Guatemala abbiamo visto anche là il vicario generale, un padre cappuccino, un santo prete, che può benissimo essere un bravo direttore spirituale dei religiosi nostri. Abbiamo visto anche in Brasile, anche là c'è un altro padre, non so di quale famiglia religiosa che sia, perché non l'ho neanche visto io, ma tutti sono contenti e tutti vanno là e si trovano molto bene. Con un po' di buona volontà si può trovare qualche “scienziato di Dio” che possa aiutarci a lavorare per il Signore. Ma anche se non si trovasse, dico, possiamo trovare un buon confratello in casa, e con santa semplicità... senza dirlo, si va a confessarsi da un'altra parte, si può andare a confessarsi da un sacerdote, ma con santa semplicità domandare consiglio. È quello che, guardate, per esempio, io faccio così. Io ho il mio padre spirituale; certe cose è logico che non possono essere capite dal padre spirituale perché sono cose un po' di casa. E allora tu prendi uno dei confratelli più anziani che sono in casa e con santa semplicità domandi. Quante volte io domando continuamente a quelli che sono qui presenti... E si domanda: "Ciò, senti, cosa faresti? Cosa ne pensi tu?”. Questo non per una debolezza umana, ma per una coscienza che siamo tutti uomini che possiamo sbagliare. Ecco, io direi, prima cosa, ecco: togliere questo egoismo e questa autosufficienza. Questa autosufficienza può condurci a delle conseguenze tremende, può condurci fuori di strada, può condurci a rovinare, a rovinare il lavoro anche degli altri.

MO295,7 [18-02-1970]

7. Poi c'è un'altra cosa. Questo, mi permette il padre autore qui, se anche non è messo, sarebbe un altro testo, ma lo uniamo un pochino sto pensiero...
C'è anche questo che: oltre che per il mio lavoro personale di santificazione io devo sentire il bisogno, in modo vorrei dire ancora più urgente, della collaborazione fraterna quando si tratta del lavoro apostolico, quando si tratta di un lavoro un pochino in mezzo alle anime. Vedete, stiamo lavorando praticamente sullo stesso terreno, stiamo lavorando per portare in alto la stessa massa, la stessa massa, e non si può lavorare uno a mettere la stazione radio, un altro un’altra cosa... la televisione, e uno disgiunto dall'altro. Bisogna, per forza, quello che fa l'involucro che faccia anche il posto per la stazione radio, no, o quello che fa l'involucro deve fare anche il posto per le pillole o per il mangiare che è necessario. Non si può dimenticare l'altro. Ora se in una parrocchia ci sono quattro o cinque religiosi, non può uno dire: "Io penso per i giovani e arrangiatevi, io non c'entro per il resto!", o "Io penso per le vecchie e non penso per il resto". Vi ricordate quante volte l'abbiamo detto e quante volte l’abbiamo ripetuto: la parrocchia dovete prenderla in mano tutti, dovete lavorare tutti insieme, dovete buttare sul tappeto queste cose. Vi dico questo perché anche ultimamente qualcuno un po' si è lamentato, dicendo: "Sì, sì, vogliono che si dica tutto, però lui non dice niente; vuol sapere tutto, ma lui non dice niente di quello che fa". Sarebbe tremendo, sapete, sarebbe tremendo! Domani, per esempio, un superiore, che vuole sapere tutto, ma non dice niente: lui fa quel che vuole... Eh, no! Bisogna che si dica insieme, bisogna che si tratti insieme. Bisogna che a un dato momento si chiami Gesù come superiore e insieme con Gesù si discutano tutti quanti i problemi. Allora la Comunità va bene, allora Dio agisce in mezzo alle anime, allora siamo sicuri che tutta la parrocchia va in orbita. Altrimenti facciamo un lavoro unicamente umano, che resta umano e nel momento che si cerca di alzare in aria, non parte niente: resta lì, fa cilecca come quell'altro quando che el ghe ga tirà al merlo, vero? Fratelli, su questo tema abbiamo detto abbastanza. Se qualcuno, qualche fratello ha da aggiungere qualcosa... Mi pare che don Matteo abbia da aggiungere qualcosa... Allora ci fermiamo qui senza andare avanti, sennò andiamo avanti... Tu, Raffaele, hai qualcosa da dire? Tu, don Luigi? Tarcisio, tu che sei pieno di spirito divino... l'è nda a sercare el vin... quanti goti ghi n'eto bevù? Quanti xeli stà, Tarcisio? Sito nda ti solo? Toni, dime, gheto qualcosa da obiettare su ste robe qua? Ti, Zeno, che te fasevi el soriseto par soto... leggi questa roba qua..

MO295,8 [18-02-1970]

8. "Il mio amore verso Dio lo dimostro, infine, attraverso uno sforzo costante di piacergli sempre e dappertutto, impegnandomi con coraggio e buona volontà di crescere nella sua conoscenza e nel suo amore e di togliere tutto ciò che in me non gli piace.
Riguardo a questo problema due sono i campi del mio impegno concreto: a) l'assiduità alla direzione spirituale e un frequente, responsabile, umile avvicinamento ai miei superiori per ottenere la correzione fraterna... b) un contatto vivo, costante, con i libri santi e di aiuto spirituale e la cura di conversazioni elevanti con i confratelli, sul come amare di più Dio, sul come seguirlo più generosamente, sul come farlo amare di più”. Mi permetto di dire questo, che... qualche volta... Adesso parlemo qua nella casa di formazione, d'accordo? Domani, nel campo apostolico, la xe un'altra... Può capitare questo: che il tuo superiore, domani, sia talmente invaso dallo Spirito Santo da credere de essere infallibile lu, e perciò che esiga che gli altri vada per la correzione fraterna e lu non domanda mai la correzione fraterna o non accetta mai nessuna osservazione. Ecco, mi diria che bisogna farghe passare la bala de questo genere qua. Ad un dato momento semo tutti uomini e tutti sbagliemo, e tutti podemo sbagliare. E allora bisogna che ci abituemo nelle nostre Comunità così, da boni fradei, dirselo insieme. Bisogna che se abituemo, quando che se radunemo insieme, che il superiore xe Nostro Signore Gesù Cristo, e alora, da boni fradei, proprio cercare insieme, e allora con santa semplicità... Domani ghe xe delle robe che non va ben... Supponi: domani andemo su a Bosco; ghe xe delle cose che non va ben... con semplicità, Marco, te disi: "Don Ottorino, el varda, el me scusa se mi così giovane, se ghe lo digo a lu che el xe tanto vecioto; capisso che la vecchiaia porta certe cose... Non ghe pararia mia mejo se, per esempio, la meditazione a la mattina invece de farla lu do volte alla settimana, me pare che ormai el xe vecio e la fa male, una volta la fasesse lu e una volta la fasesse don Guido, don Matteo, fare el giro, eccetera, così?”. Ovvero... Così, con semplicità, quelo che sentì, insomma, nel cuore de dire... Giusto, no? Dico male? No, bisogna che se abituemo a questo. Vardè, se è vero che il superiore domani dice l'ultima parola e si chiude, e la volontà di Dio è quella, ma è altrettanto vero che si deve lavorare insieme e cercare la volontà di Dio insieme. Chiaro? Se è vero che da una parte si deve vedere il rappresentante di Dio, è altrettanto vero che dall'altra parte il superiore deve sentire che lui è lì per manifestare ai fratelli l’amore di Dio, il vero amore di Dio, che è lì per servire, per aiutare, per dare una mano. Se da una parte si deve vedere Dio, dall'altra parte si deve vedere Dio cinque o sei volte, no una volta. Ecco, mi pare che sia utilissimo... Se noi entriamo con questo spirito, spirito di servizio, credo che il demonio insomma, non ha niente a che fare con una Comunità che vive così. Altra voce: “Credo che sia importante questo. Perché se xe abbastanza facile fare la correzione fraterna fra confratelli, fra coetanei, xe molto più difficile farla ai superiori. Viene spontaneo parlarne alle spalle, se si presenta l'occasione, di parlarne con gli altri, non parlarne direttamente. Penso che l'esempio che lu ga portà tante volte del vescovo oppure anche nella parrocchie, che se critica i parroci... Veramente nessuno ha il coraggio di farsi avanti e di dire... Questo comporta... Penso che quando che se ghe fa na correzione ai superiori, comporta sempre un impegno dopo da parte de quello che fa la correzione, di collaborare, insomma. La diventa una correzione impegnativa, che compromette, in un certo senso... Penso che sia importante sta roba qua”. Bisogna avere el coraggio de dirsele, da boni fradei, non de dirle de drio la schena. Non ve pare