Il discorso di Gesù sulla vera vite è presentato da Gv 15,1-11.
Don Ottorino intende riferirsi a tutta la storia della Congregazione, a partire dagli umili inizi nel sottopalco del teatro parrocchiale di Araceli, e sottolinea che sempre si è cercato la volontà di Dio e si è vissuto sotto le ali della provvidenza.
Nel testo registrato don Ottorino ripete in dialetto veneto la giaculatoria da lui stesso coniata ed insegnata: “Mama, te voio ben, fame santo”.
Don Pietro De Marchi era entrato in Congregazione già sacerdote della diocesi di Vicenza, e dal mese di aprile dell’anno precedente si trovava all’Isolotto di Firenze, come parroco e superiore della Comunità.
A questo punto Marco Pinton, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico, si avvicina e legge l’importo di due assegni bancari: “Uno di due milioni, e l’altro di dieci milioni”.
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1. Il Signore ci ha detto che, se vogliamo portare frutto, dobbiamo stare attaccati alla vite come i tralci. Un tralcio attaccato alla vite dà frutto, non adesso che ci troviamo d'inverno, ma nella stagione opportuna; un tralcio tagliato e buttato da una parte invece non porta frutto. In questa casa, e quando dico “in questa casa” intendo riferirmi a tutta la nostra storia dal sottopalco in poi, si è continuamente insistito dicendo: “Sforziamoci di farci santi, di metterci nelle mani del Signore, di essere strumenti docili nelle sue mani, di fare la sua volontà, di fare quello che vuole lui istante per istante”. Il resto? Il Signore ce lo darà. Infatti l'invocazione potente è sempre stata questa: “Mamma, ti voglio bene, fammi santo” , e con essa noi chiediamo la santità, ci sforziamo di raggiungere la santità... al resto pensa il Signore. Certamente il Signore provvede, ma è chiaro che anche noi dobbiamo metterci la nostra parte: lui però non ci lascia mancare niente. In quest'ultimo periodo abbiamo pregato per tante necessità, ma abbiamo messo un po' a fuoco il problema della provvidenza. In quest'ultimo mese e mezzo ci siamo trovati molto a disagio perché alcuni nostri creditori volevano la restituzione del denaro. Inoltre abbiamo avuto un maggiore movimento nella tipografia dell’Istituto che esigeva necessariamente un investimento più consistente di denaro, per cui abbiamo invitato a pregare il Signore. Per chiedere che cosa? Il pane nostro, il nostro pane quotidiano, non il pane di domani o di posdomani, il pane quotidiano necessario per poter continuare a lavorare nella vigna del Signore, a compiere il nostro lavoro apostolico. Ed è con gioia che io devo dire, questa mattina, che ieri è arrivato un bel pezzo di pane, e che latore di questo pane è stato il nostro caro fratello don Pietro. Adesso lui dirà qualche cosa al posto mio, lui che canta con una buona voce canterà le glorie del Signore, le lodi del Signore. A me resta soltanto l'incarico di mostrarvi il pezzo di pane. E poiché c'è qualcuno che è capace di leggere, e mi pare che sia Marco, chiedo per piacere a Marco di venire avanti e di leggere. Sono due pezzi di pane... Due pezzi di pane della provvidenza! Sono suoi, ce li ha dati in mano perché li passiamo. Noi siamo come il mare che riceve acqua da tutte le parti e poi la restituisce. Adesso prestiamo attenzione a don Pietro.PAROLA DI DIO Vangelo
CONGREGAZIONE
CONSACRAZIONE santità
MARIA devozione a ...
PROVVIDENZA
Il racconto di don Pietro De Marchi presuppone la conoscenza della situazione della parrocchia dell’Isolotto di Firenze prima che venisse affidata alla Congregazione, e il cui parroco era don Enzo Mazzi, coadiuvato dapprima da don Sergio Gomiti e poi da don Paolo Caciolli. La signora in questione è Elsa Chirici, benefattrice della parrocchia e della Congregazione.
. Don Masi non era impegnato ministerialmente all’Isolotto, ma condivideva da vicino le idee di don Mazzi ed era molto legato alla signora Chirici.
La comunità cristiana ribelle all’autorità del vescovo, dopo le prese di posizione del cardinal Florit, cominciò a riunirsi e a celebrare nella piazza antistante la chiesa parrocchiale.
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2. Don PIETRO DE MARCHI: Credo veramente che l’offerta che ho portato è una grazia di una persona che in una circostanza è stata qui, almeno mi pare, quando sono venuti a Vicenza alcuni parrocchiani dell'Isolotto, anche se lei non è dell'Isolotto. È stata molto vicina a don Mazzi e ne condivideva veramente le idee, tanto che poi è stata profondamente disorientata da tutto quello che è accaduto in seguito. Lei è molto riconoscente a noi perché dice che le abbiamo fatto ricuperare la fiducia, non so in quale modo, ma lei dice che le abbiamo ridato la stima, la fiducia e la fede perché dubitava di tutto. È una persona che crede fino in fondo, quando crede, e dopo avere visto, si era proprio fidata a occhi chiusi dei sacerdoti dell’Isolotto, specialmente di don Masi Don Masi è il sacerdote che ha ammesso i bambini dell'Isolotto alla prima comunione il primo anno che siamo andati noi e che quindi non sono venuti in chiesa. Veniva sempre a darci noia, e anche lui pensava come don Mazzi; ora sembra che sia stato un paio di mesi in Inghilterra e che stia un po' rivedendo le sue idee. Questa signora da parecchio tempo è vedova e, quindi, poteva andare anche in montagna, e apriva la sua casa a don Masi. La sua delusione è cominciata qui. In verità il suo parroco, poiché lei portava i ragazzi da don Masi, le diceva: “Stia attenta, stia attenta, stia attenta”. E lei allora era contraria a questo parroco. Mi diceva che una volta è andata in montagna con un gruppo di ragazzi e don Masi non celebrava mai la Messa. Lei chiedeva: “Non diciamo la Messa?”. “Eh... dopo, più tardi”, ma non celebrava mai la Messa. Don Masi è giovane, ha più o meno la mia età. E un giorno stava celebrando la Messa alle nove di sera, mentre i ragazzi erano già a letto e si trovavano loro due soltanto, e al momento della predica don Masi le ha fatto una domanda: “Secondo lei è più importante il Vangelo o il libro di Mao?”. E poi le ha spiegato come oggi il libro di Mao incide di più del Vangelo, è più importante, insomma. Questo è quello che lei mi ha comunicato. È stato da quel momento che lei ha perso completamente la fiducia. Don Masi andava in casa, stava là fino a mezzanotte con tutte le famiglie vicine a insegnare il catechismo, ma non appariva dall'inizio. Per cui lei ha veramente perso la fede, non la fede, ma la fiducia più che la fede: non sapeva più verso chi orientarsi, non sapeva più a chi aggrapparsi. L’incontro con noi, appena arrivati, è cominciato così: lei è andata in piazza a Messa, perché già celebravamo in piazza, e hanno detto: “Sono arrivati i preti nuovi”.PROVVIDENZA
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3. Allora le ho detto: “Diciamo una Messa per Cesare - il marito aveva nome Cesare - e all'offertorio la offriamo al Signore. Faccia così, - lei è molto ricca, può molto perché è sola - l'offra al Signore. Non è più sua, è di Dio, in modo che dopo Dio farà lui, farà capire quello che vuole che lei faccia”. È rimasta contenta, veramente contenta. Lei ci porta sempre da mangiare, per esempio al martedì porta il pasticcio e tanti altri alimenti che ne abbiamo per tre giorni, porta il vino, la verdura, la frutta... ieri ha portato il miele; insomma è piena di attenzioni! È qualcosa che commuove. Una mamma non avrebbe tante attenzioni. Sabato o venerdì ha portato il cibo, e mi ha detto: “Si può chiedere al Signore di diventare poveri o di amare la povertà?”. Io le ho risposto di sì, e allora ho approfittato. Pensavo di chiederle un prestito per la Congregazione, solamente un prestito, perché conoscevo le difficoltà economiche che sta passando. L'ho chiamata in archivio e le ho parlato; ho cercato di spiegarle meglio che potevo perché la mia preoccupazione era proprio quella di non abusare della sua fiducia; io conoscevo la stima che ha di noi, la fiducia, l’attaccamento, per cui ad un certo punto si può chiedere quello che si vuole, ma non volevo abusare della sua stima e della sua fiducia e preferivo che agisse indipendentemente da questo. E le ho parlato con molta chiarezza e lei mi ha detto: “Sì, sì... Ho capito tutto e faccio un po' i miei conti...”. Lunedì mattina è venuta, senza che io le potessi dire grazie, e mi ha detto: “Questi sono di Cesare”, cioè del marito; non ha detto nemmeno “un dono”, ma: “Sono di Cesare”. Le ho risposto: “Domani mattina celebrerò la Messa per lui,”, e lei: “No, no!”. Ieri mattina ho celebratola Messa. Ho raccontato questo per sottolineare il modo di dare veramente cristiano.Il riferimento è al gruppo di dissidenti, che continuavano a riunirsi attorno a don Mazzi.
La Comunità dell’Isolotto era composta all’epoca da don Pietro De Marchi, dal diacono Gianfranco Orfano, da don Gabriele Grolla e don Luigi Smiderle.
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4. E noi all'Isolotto sentiamo veramente la responsabilità di non deludere questa persona e tante altre come lei: sentiamo che sarebbe un peccato mortale grosso, veramente un delitto. Per questo all'Isolotto siamo in una posizione particolare perché non possiamo assolutamente sgarrare, e sentiamo che è il Signore che ci aiuta, ma non possiamo sbagliare strada, ripetere quello che ha fatto don Mazzi. Infatti, dopo la delusione che hanno avuto, si sono attaccati a noi come ad un'ancora di salvezza, come a un qualche cosa che dà loro fiducia. Se dovessimo sbagliare anche noi, credo che all'Isolotto si può veramente chiudere chiesa e tutto perché non crederanno più a nulla. Questa signora poi non è neanche della parrocchia. Ad ogni modo credo che varrebbe la pena di pregare perché eventualmente un domani potrebbe orientare tutti i suoi beni verso la nostra Congregazione. Io non ho accennato assolutamente a niente, ma credo che sarebbe contenta perché lei cerca di diventare povera. L'ha colpita l’episodio evangelico della vedova che ha dato l'obolo e ha sempre l'impressione di non dare nulla. Io l'avevo davanti quando predicavo... Un giorno stavo facendo il ringraziamento dopo la Messa, mi è venuta accanto con una bustina e mi ha detto: “Per i bisogni della parrocchia”, e dentro c'era l'assegno di un milione. Aggiungo inoltre che lei acquista i fiori per la chiesa tutte le settimane, li porta in canonica, li mette per terra, e poi scappa via senza aspettare ringraziamenti. È in atteggiamento veramente molto bello! Ieri sera dicevo che noi abbiamo visto tutto questo come attenzioni del Signore: il Signore è stato veramente tanto buono con noi, troppo buono perché proprio non lo meritiamo. Infatti la comunità è arrabbiata con molti fedeli dell'Isolotto per esserci stati vicini, affermando che se ci avessero abbandonato noi ci saremmo stancati e saremmo venuti via; per questo c’è avversione verso tante persone che dal momento in cui siamo arrivati ci sono state vicine. Io credo che in poche parrocchie come a Firenze la gente ci è vicina in tutti i modi. Io, ad esempio non ho comperato nulla di quello che vesto, nulla, e neppure il diacono Giovanni, né don Gabriele dal momento che è arrivato anche lui, ma tutto ci è stato offerto.MI332,5 [25-11-1970]
5. Aggiungo un altro esempio. Fra poco verrà mia mamma a Firenze, e un giorno a cena in casa di questa signora, dove ho celebrato la Messa con altre persone, commentavo che stavamo preparando una cameretta e che volevamo comperare un letto. Il giorno dopo è arrivato tutto l'occorrente per il letto: lenzuola, coperte, federe... tutto, tutto. Non si può esprimere un desiderio, perché subito provvedono. Quindi direi che vediamo circolare la provvidenza. Anche questo aiuto in un momento di particolare necessità è un segno della bontà del Signore, e credo sia bene che anche questa signora sappia che si pregava per questo scopo, perché è veramente un segno. Anche perché io avevo chiesto veramente un aiuto, un prestito con interessi, e dopo lei subito ha detto: “No, questi sono di Cesare”. Questo ci infonde conforto, ma nello stesso tempo ci obbliga anche a riflettere perché se il Signore è così attento vuol dire che dobbiamo corrispondere alle sue attenzioni, alle sue delicatezze. Intanto la nostra Comunità va benino. C'è tanta strada da fare ancora, ma siamo abbastanza sereni tutti e quattro, e mi pare che questa sia la cosa più importante. Questo mi pare di poterlo dire: siamo sereni. Don Gabriele ha alcuni disturbi fisici più degli altri: è andato dal medico l'altro giorno per fare delle analisi e ieri doveva andare per una cura al fegato, per cui fisicamente è un po' più bisognoso. Ma io credo che ci troviamo bene insieme, anche se non siamo la Comunità ideale... ma stiamo bene insieme, volentieri. L'arrivo di don Luigi noi lo consideriamo proprio un dono del Signore, perché così mi pare completata la Comunità, e ha fuso anche noi tre più di prima. Per cui credo di dover proprio ringraziare don Ottorino che ci ha mandato don Luigi perché era necessario anche per il lavoro, era necessario veramente perché ci sono molti impegni specialmente alla domenica e con la scuola. Comunque il nostro il primo problema, è chiaro, è quello della Comunità. Anche la gente ci guarda, ci guarda veramente come Comunità, ci osserva. Anche ieri sera facevo un accenno a questo: ci siamo trovati insieme l’altra sera per ricordarci come sia veramente necessario che anche esternamente noi ci sentiamo uniti. A questo scopo abbiamo posto una Messa comunitaria al venerdì: facciamo una sola Messa e concelebriamo noi tre sacerdoti e il diacono, e la gente, al vederci tutti e quattro sull'altare, tutti insieme, fusi nell'abbraccio della pace, è rimasta colpita e ce l'ha detto esplicitamente: è stato un gesto che ha causato commozione e buona impressione perché abbiamo insistito sul fatto della Messa come segno di unità. Almeno una volta alla settimana vogliamo che ci sia una Messa in cui tutta la parrocchia, anche se è chiaro che molti che potrebbero non vengono, sia unita con i propri sacerdoti, e vi assicuro che è molto partecipata: è al venerdì alle sette, e serve come penitenza un po' della settimana, caratterizza il giorno penitenziale ed è offerta specialmente per fomentare la comunità e per noiMI332,6 [25-11-1970]
6. Noi quattro, proprio per il fatto di essere tutti stretti attorno all'altare, davanti e insieme con la parrocchia, ci sentiamo aiutati moltissimo, e inoltre questo ha impressionato molto, molto bene; alcuni l'hanno sottolineato e fatto capire esplicitamente. Lunedì sera ci siamo trovati con alcuni giovani per programmare il periodo dell’Avvento e il Natale. Io e il diacono prospettavamo un'idea, don Gabriele e don Luigi un'altra idea: avevamo discusso prima, avevamo già risolto prima, ma lì si ritornava proprio perché si voleva che il presepio esprimesse l'idea che Cristo è già presente, ma viene alla luce nella misura in cui noi lo sappiamo vedere e accogliere negli altri. Don Gabriele e don Luigi avevano un'altra idea e la maggioranza era un po' per la prima idea, e c'è stata un po' di discussione, non dico di battibecco, per carità. Ieri mattina ho incontrato una persona in chiesa che mi ha detto: “Non è bello che quando vi trovate così insieme con tutti siate in disaccordo. Prima accordatevi tra voi, e dopo comunicate l’idea da portare avanti”. Dico questo proprio per far vedere come la cosa più importante, veramente la più importante, dell'Isolotto è la nostra Comunità. Questo non vuol dire che siamo Comunità, assolutamente, perché la Comunità si costruisce ogni giorno, ma noi sentiamo l'esigenza, credo dappertutto, ma l'esigenza specialmente lì non solo di essere, ma di apparire anche esternamente come Comunità. Un'altra volta è capitato lo stesso con don Gabriele. Stavamo a cena, e c'era un gruppo di ragazzi che discutevano sul catechismo nelle famiglie, e don Gabriele insisteva dicendo che questa era una necessità del momento perché se avessimo avuto le aule non sarebbe più stato necessario. Io allora ho detto: “No! Preferisco il catechismo nelle famiglie perché lo giudico più conveniente”. Il mattino dopo ho dovuto domandare scusa a don Gabriele perché avevo alzato la voce e avevo notato che i ragazzi ci guardavano meravigliati. Se dall'esperienza che noi stiamo facendo all’Isolotto si può ricavare una parola che possa aiutare voi che state preparandovi a questo tipo di esperienze, io credo di poter affermare che la vita comunitaria non s'improvvisa assolutamente. Non è possibile che qui ognuno vada per conto proprio, e poi ci si trovi in campo di lavoro in due o tre e si possa realizzare la comunione, perché capiteranno mille inconvenienti. Può capitare il fatto che uno sbatta la porta, per esempio, o che l'altro arrivi cinque minuti in ritardo: se non si è abituati un po' a superare queste cose, dopo ci saranno screzi, che di solito sono sciocchezze, vere sciocchezze.Don Pietro De Marchi continua con una lunga conversazione sulla vita comunitaria e don Ottorino non fa nessun altro intervento.