Meditazioni italiano > 1969 > LA VIRTÙ DELL’UMILTÀ

LA VIRTÙ DELL’UMILTÀ

MI279 [24-10-69]

24 ottobre 1969 Meditazione ai Religiosi e ai Novizi della Casa dell’Immacolata. Don Ottorino, prendendo lo spunto dal libro “Ritiro sacerdotale” di P. Matteo Crawley-Boevey, parla dell’umiltà ricorrendo al pensiero del tempo che passa, della morte che insidia, della malattia sempre pronta a colpire e della necessità della vigilanza cristiana. Il testo originale è registrato e la sua durata è di 33’.

Don Giuseppe Molon, sacerdote diocesano, è sempre stato legato a don Ottorino da profonda amicizia ed ha accompagnato l’Opera fin dagli inizi quando, giovane chierico, si offriva per assistere i giovani orfani della Casetta. Chiamato a lavorare nell’economato del seminario diocesano continuò con entusiasmo ad essere canale di provvidenza per l’Istituto. All’epoca era

Il riferimento è alla necessità di sostituire don Giuseppe Molon durante la sua assenza dall’ospedale civile di Schio (VI) dove il cappellano doveva essere sempre presente, ma a tale necessità avrebbe provveduto don Giovanni Galvan che all’epoca era il vicedirettore dell’Istituto San Gaetano di Vicenza.

La sala da pranzo dei superiori era situata nel seminterrato ricavato sotto la chiesa della Casa dell’Immacolata per cui si capisce la scherzosa espressione di don Ottorino in latino.

Don Ottorino coinvolge dapprima Zeno Daniele che all’epoca frequentava l’ultimo anno del corso teologico, Giorgio De Antoni che stava iniziando il corso teologico ed era il responsabile del complesso musicale, e infine Giuseppe che è difficile individuare perché molti dei presenti portavano quel nome.

Il riferimento è a Raffaele Testolin, che all’epoca stava iniziando gli studi teologici.

MI279,1 [24-10-69]

1. 1. Nozze d’argento sacerdotali di don Giuseppe Molon
Domenica prossima, alle sei della sera, don Giuseppe Molon verrà a celebrare la Santa Messa.Quest’anno ha celebrato il suo 25° di sacerdozio. Voi sapete, almeno parzialmente, quanto don Giuseppe sia legato a noi, se non altro perché ci ha regalato il pulmino che avete usato abbastanza. Ma vi assicuro che fin dalle prime ore dell’Istituto ci è stato tanto e tanto vicino, e lo è ancor oggi. Perciò noi, insieme con lui, desideriamo che celebri almeno una Messa del suo 25° di sacerdozio qui nella nostra casa. Abbiamo pensato che il tempo migliore sia quello della domenica sera, perché di domenica sera lui è più libero e lo siete anche voi. Allora potete fare la comunione al mattino durante la Messa, e nel pomeriggio celebriamo questa seconda Santa Messa in luogo delle funzioni. Egli si fermerà, poi, a cena con noi, e domenica non occorrerà sostituirlo a Schio perché ci sarà don Giovanni Galvan che provvederà se capitasse qualcosa.Si pensava di andare a prenderlo lunedì mattina, ma eventualmente lo condurrà a casa don Giuseppe stesso, altrimenti bisognerebbe mandare un sacerdote appositamente. Ad ogni modo quella faccenda è combinata. Alla fine della cena sarebbe auspicabile che tutto il ‘popolo di Dio’ discendesse “ad inferos”e qualcuno gli rivolgesse una parola di augurio. Il nostro caro Zeno ha detto che preparerà lui; ieri sera si è offerto a preparare due parole di circostanza e, caso mai, si potrebbero fare due o tre canti se il nostro caro direttore del complesso - caro Giorgio, dove sei? - desiderasse offrire due o tre colpi di bacchetta. Bisogna che prima ci sia un bel discorsetto e anche un cantino alla Madonna, e poi le paste per tutti. È giusto, se no Giuseppe si offende. Dopo aver fatto il mio dovere davanti all’altare e aver pregato per lui, penso anche di interpretare il vostro desiderio se rivolgo al nostro caro Raffaele gli auguri per il suo onomastico. Penso che tanti te li hanno fatti giù, ma penso che bisognava farli anche al primo piano. Che ne dici, Raffaele? Speriamo che l’arcangelo San Raffaele lo conduca sano e salvo fino al Paradiso... “Il più tardi possibile!”, ha detto lui. Avete impegni proprio straordinari stamattina? Fino a che ora posso andare avanti con la meditazione?

SACERDOZIO prete

CONGREGAZIONE storia

MARIA

Per questa meditazione don Ottorino si serve del libro di P. MATTEO SS. CC., Ritiro sacerdotale, Direzione Generale Intronizzazione, Grottaferrata (Roma) 1958. Le citazioni sono prese dalle pagine 35-38 e vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

MI279,2 [24-10-69]

2. 2. Umiltà e impegno davanti al tempo che passa
Abbiamo cominciato le nostre meditazioni sull’umiltà. Il nostro caro padre Matteo comincia ora ad esaminare i motivi che ci devono spingere all’umiltà. Il primo motivo è la nostra naturale debolezza nell’ordine fisico. Leggo la prima paginetta e dopo faremo qualche commento. «Ecco che un colpo d’aria indiscreto, la puntura di un insetto, un microbo invisibile, abbattono un gigante di salute. E malgrado ciò, noi siamo fieri di noi stessi, noi siamo degli orgogliosi! Sentite un caso interessante. Un monaco aveva consacrato allo studio di vecchi manoscritti dei lunghi anni e il meglio delle sue forze, consumandovi la sua salute. Finalmente è arrivato al termine del suo sogno: ha trovato quello che egli cercava, le sue note sono ordinate, egli possiede una magnifica raccolta, preziosa di erudizione... parleranno di lui! Ahimé! Una sera una scintilla infiamma e riduce in cenere il frutto di vent’anni di ricerche e di sfibrante fatica. Per colmo di sventura, la commozione è tale che il povero monaco, sconvolto, diviene folle. Ecco ciò che siamo, nani e formiche, vinti per un niente. La nostra piccolezza è ancora più evidente davanti alle forze scatenate della natura: una tempesta in pieno oceano, un terremoto, un vulcano in eruzione... Eppure, noi rimaniamo nel nostro intimo pieni di noi stessi, così superbi per quella che chiamiamo la potenza del nostro genio!». Per il momento mi fermerei un po’ a meditare sulla nostra debolezza in riferimento al nostro corpo, pensando a quello che siamo; poi, procedendo, vedrete che le cose sono ancora peggiori.

VIRTÙ

umiltà

Questo detto non si trova nella Bibbia, per cui forse don Ottorino confonde con qualche altra espressione simile.

Don Ottorino ricorda in latino quanto diceva Sant’Ignazio di Loyola ripetendo l’espressione di Lc 9,25, la cui lezione esatta è la seguente: “Quid enim proficit homo si lucretur universum mundum, se autem ipsum perdat et detrimentum sui faciat?”.

Cfr. Galati 6,10.

MI279,3 [24-10-69]

3.Vorrei considerare, come al solito, tre punti.
Il primo è questo: la nostra debolezza osservata dentro l’arco, ossia nella parabola della nostra vita; la nostra debolezza dinanzi alle malattie, la nostra debolezza dinanzi agli incidenti che continuano a capitare. Ieri, per esempio, o l’altro giorno, i nostri sono andati a comprare delle mele. Ho detto loro: “Perché non ne avete comprate di più?”. “E come possiamo poi conservarle?”, mi hanno risposto. Quando si compra qualcosa, della carne, per esempio, se c’è il frigorifero per conservare va bene, ma se non c’è il frigorifero perché comprarla quando poi va a male? Penso proprio che valga la pena di guardarsi in faccia e dire: “Beh, quanto durerà questo mio corpo? Come devo considerare questo mio corpo, questa mia benedetta persona?”. L’arco, il famoso arco della vita, è qualcosa che dovrebbe farci pensare, non per abbatterci, ma per divenire più santi. Ieri sera passando in macchina vicino a una strada ho visto un vecchietto che con fatica l’attraversava. Allora mi è venuto in mente quello che diceva sempre il mio povero nonno passando davanti al cimitero: “Cari morti, ieri voi eravate come noi; domani noi saremo come voi”. Quando tu vedi un fanciullo e un vecchio, pensa che quel fanciullo in un attimo diventerà come quel vecchio. Immagina, per esempio, un giovane che aspira a giocare al calcio: si impegna per fare allenamento e allenamento, arriva in squadra... e poi: “È troppo vecchio; mettetelo da una parte, è troppo vecchio!”. Questa è la nostra vita: la corsa a un titolo, poi a un concorso e... la speranza di una pensione. Questa è la nostra vita! Questo però non deve portarci a un senso di scoraggiamento e a dire: “Beh, allora rimaniamo inattivi perché già non vale la pena!”. No, deve accenderci invece lo stimolo a lavorare di più, senza stimarci al di sopra di quello che siamo. Alla luce di questa vita che passa velocemente bisogna che mettiamo a fuoco le parole della Sacra Scrittura: “Quod aeternum non est, nihil est”, quello che non è eterno non vale niente, e quelle che Sant’Ignazio ripeteva continuamente a Parigi al nostro caro Francesco Saverio: “Quid prodest homini, si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?”. Da una parte dobbiamo sentire la bellezza della vita, la bellezza di quei doni che il Signore ci ha dato, ma dall’altra sapere che a un dato momento questa vita passa. “Ergo, dum tempus habemus, operemur bonum ad omnes”; mi pare che la frase suoni così: “Finché abbiamo tempo...”. Perciò la conclusione dev’essere questa: finché abbiamo tempo, operiamo il bene. Prima che questo benedetto corpo non possa più rispondere, cerchiamo di fare, ma di fare quello che vale per l’eternità.

AUTOBIOGRAFIA famiglia

ESEMPI fragilità

umana

VIRTÙ

umiltà

PAROLA DI DIO

DOTI UMANE

Don Ottorino scherza: don Zeno Daniele lavorava all’epoca nell’economato della Congregazione e gestiva anche la parte commerciale delle casette (ville!) prefabbricate che venivano costruite nei laboratori della Casa dell’Immacolata, anche se la loro fabbricazione era cessata da circa due anni. I laboratori erano stati adattatati per accogliere la nuova attività nata con la fondazione dell’ Editrice I.S.G., cioè la legatoria e lo stoccaggio dei libri già confezionati.

MI279,4 [24-10-69]

4.Quando io dico che bisogna tenere presente l’arco della vita, voglio dire questo: non soltanto tenere presente che le gambe a un dato momento non reggono più, che il corpo insomma non cammina più, ma intendo parlare anche dell’intelligenza. Pensate... una persona vecchia incomincia a perdere la memoria, a non capire, a confondersi... E allora tutto quello che abbiamo è un dono di Dio, e basta tanto poco per perdere tutto. Anche umanamente parlando, quando qualcuno ha una certa età... basta! E noi siamo tutti destinati ad arrivare a quel punto, se non c’è prima una fermata. Perciò, quello che abbiamo, consideriamolo dono di Dio, ma pensiamolo come cosa alla quale non dobbiamo attaccarci. Io vorrei quasi considerarlo come una casa in affitto, non una casa nella quale ci resteremo per sempre... Quando una persona dice: “Compro una casa”, va bene, la compra e pensa: “Adesso è mia! Sono in casa mia!”. Sì, ma per quanto tempo? Finché non verranno i becchini con quattro assi a portarti fuori di casa. È chiaro, no? Che ne dite, Zeno, voi che avete le ville a destra e a sinistra.
A un dato momento nessuno può dire: “Questa è casa mia”, perché la mia casa è il Paradiso, la nostra casa è quella dove abiteremo eternamente: è il Cielo! Perciò questo benedetto corpo che noi abbiamo, l’intelligenza che noi abbiamo, dobbiamo considerarli come dono di Dio, e non sentirci superiori agli altri perché siamo venti centimetri più alti degli altri, o perché abbiamo le gambe più forti degli altri, o perché siamo più resistenti degli altri, o perché abbiamo più intelligenza degli altri, o perché comprendiamo meglio le cose. Siamo di Dio, sono doni di Dio, e perciò non dobbiamo insuperbirci se li possediamo. E quando sopraggiungesse un momento di superbia perché forse abbiamo qualcosa più di un altro, pensiamo che questo qualcosa è un dono che ci è stato dato da Dio e che, fra un po’ d’anni, andrà a finire in un sepolcro.

CREATO corpo

DOTI UMANE

NOVISSIMI paradiso

VIZI superbia

La custodia del cimitero di Vicenza da tempo immemorabile è affidata ai Frati Francescani di Santa Lucia.

Ai tempi di don Ottorino non c’era l’entrata di viale Astichello, subito dietro l’Istituto San Gaetano, ma la sola entrata principale monumentale in viale Trieste che distava circa un chilometro dall’Istituto.

MI279,5 [24-10-69]

5. 3. L’umiltà nasce anche dalla meditazione della morte
Vorrei proprio, amici miei, approfittare di questa meditazione per fermarmi un istante: “Memorare Novissima tua!”. Oggi si pensa troppo poco ai Novissimi, troppo poco a “morte, giudizio, Inferno e Paradiso”. Io credo che la vera umiltà nasca proprio da queste meditazioni. Se tu mediti sinceramente che un bel giorno morirai... Quando i nostri vecchi andavano in cimitero e si mettevano a camminare in mezzo alle tombe, vi assicuro che non lo facevano per capriccio; lo facevano per avere sempre dinanzi agli occhi qualche cosa che ricordasse loro la brevità della vita. Ricordo i primi anni dell’Istituto, quando in certi momenti mi trovavo solo... Le battaglie che sostenete voi adesso le ho sostenute anch’io, ma tante volte le ho sostenute andando in cimitero alla sera, quando i cancelli erano chiusi. Chiedevo al padre custodese mi apriva la porta e andavo là a camminare in mezzo ai morti, da solo. Quante sere l’ho fatto! Partivo di qui in bicicletta, arrivavo là e il padre mi apriva. Eravamo amici! Facevo il mio giretto attorno ai portici recitando la corona e meditando. Quando tu pensi che quelle persone erano come noi, che Vicenza era in mano loro qualche anno fa, e sono state spazzate via tutte, chi dai bombardamenti, chi dalla malattia... sono state spazzate via tutte, giovani e vecchi, e siamo rimasti noi. Allora, dinanzi a questi morti cominci a vedere le cose un po’ diversamente, allora non ti abbatti dinanzi alle difficoltà, allora prendi coraggio perché dici: “Beh, domani saremo in Paradiso”, e non ti abbatti se qualcuno ti offende un pochino. Amici miei, dobbiamo pensare alla morte, non per diminuire il lavoro, ma per lavorare più in fretta. Se vedete un temporale che sta venendo avanti, non dite: “Beh, già fra poco arriverà il temporale!”, ma: “Presto perché piove! Presto, ripariamoci...dai!”, e chiamate a raccolta un po’ tutti se, per esempio, c’è del fieno sui campi, perché bisogna portarlo al riparo prima che piova. Ebbene io vi dico di fare proprio così: il pensiero della morte, il pensiero che i nostri doni fra qualche anno o fra qualche giorno non ci saranno più perché saremo morti, non deve portare a un senso di scoraggiamento e di abbattimento, ma farci lavorare di più e pensare che siamo nelle mani di Dio, strumenti nelle mani di Dio. Però, per carità, non abbiate mai troppa fiducia di voi stessi, troppa stima di quello che il Signore vi ha dato. Torno a ripetervi quello che vi ho detto l’altra volta: guardate che il Signore si serve degli umili. Ringraziate il Signore se avete un corpo sano, se avete un’intelligenza brillante, se avete dei doni naturali, ma guardate che il Signore si serve degli umili.

NOVISSIMI

VIRTÙ

umiltà

PREGHIERA meditazione, contemplazione

AUTOBIOGRAFIA

PREGHIERA rosario

Don Matteo Pinton faceva parte all’epoca della Comunità della Casa dell’Immacolata, dove insegnava filosofia.

Cfr. Giovanni 12,24.

Il cardinale Agnelo Rossi, arcivescovo di San Paolo in Brasile, si era fermato alcuni giorni a Vicenza nella Casa dell’Immacolata. Improvvisamente la febbre aveva cominciato a salire fino a raggiungere i 40 gradi. Venne chiamato il primario del reparto di medicina dell’ospedale di Vicenza che per alcuni giorni non riuscì a comprendere la causa del malessere, finché si scoprì che la causa del grave malessere del cardinale era dovuto alla puntura di un insetto ricevuta in Brasile pochi giorni prima di partire.

Il riferimento è a Francesco Giuliari, il giovane aspirante di Araceli che don Ottorino preparò alla morte e che impegnò per mandare un segno dal cielo che indicasse la volontà di Dio a proposito del suo desiderio di dedicarsi ai giovani poveri e orfani.

MI279,6 [24-10-69]

6.Come secondo punto direi di considerare l’arco della vita che passa, anche riguardo alla malattia. Pensateci qualche volta. È sempre il pensiero della morte. “Se tutto andrà bene arriverò a settant’anni, e se andrà arriverò a ottanta”. Beh, fate conto che quando siete arrivati a ottant’anni, c’è poco da sperare, eh! Non è vero, don Matteo?C’è poi da considerare un’altra cosa: può capitarci improvvisamente una malattia e allora, “estote parati”! E mentre voi vi preparate alla morte, state sicuri che toglierete via l’io.
Ve l’ho detto lassù a Bosco, e mi pare di averlo ripetuto anche qui, che in Guatemala ai maialini che girano per le strade mettono un pezzo di legno di traverso perché non possano entrare nelle siepi; l’avete visto anche voi nelle diapositive. Il nostro io è come quel pezzo di legno: e con l’io non si entra in Paradiso!I superbi non entrano in Paradiso! E allora bisogna pensare alla morte per poter togliere questo impedimento, e domandarci continuamente: “Se io morissi in questo momento che farei? Avrei ancora qualche ostacolo?”. Tante volte abbiamo giustamente insistito sulla purezza, perché non si può entrare in Paradiso impuri, ma si entra ancor meno in Paradiso se si è superbi: è un impedimento che, forse, tante volte non consideriamo sufficientemente, e superbia ne abbiamo tutti. Guardate che la superbia la vinciamo soltanto dinanzi a una tomba, cioè pensando che un giorno sareno chiusi in una cassa. Ricordate l’episodio del cardinale Rossi. Era nostro ospite e improvvisamente ha chiamato Zeno perché aveva quaranta di febbre: “Mi sento tanto male...”.Capiterà così anche a qualcuno di noi! Ho sentito la Vittoria, la buona donna che abbiamo in cucina; ieri si è fermata un momentino con me e mi parlava piangendo di un suo nipote di trentotto anni: l’hanno aperto e chiuso, e in cinque giorni è morto. Stava bene, aveva lavorato fino a sabato sera: in cinque giorni è morto. Ricordo Francesco Giuliari: suo fratello Angelo mi chiama e si mette a piangere. “Angelo, che cos’hai?”. “Mio fratello deve morire”. “Ma come? Se era qui in oratorio...”. “Sì, non c’è niente da fare, avrà dieci giorni di vita”. Un bel giorno, fratelli miei, voi ed io saremo visitati da un medico che, scuotendo un po’ il capo, dirà: “Mah, mah...”.

NOVISSIMI

CREATO corpo

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

ESEMPI novissimi

NOVISSIMI paradiso

VIZI superbia

NOVISSIMI morte

Il riferimento è all’assistente Vittoriano Rossato, che all’epoca faceva parte della Comunità di Crotone.

Don Guido Massignan era all’epoca il segretario generale della Congregazione e il direttore della Casa dell’Immacolata.

L’assistente Giorgio Pieropan morì in un incidente d’auto ritornando da Roma ove aveva accompagnato i missionari in partenza per il Guatemala.

Il riferimento è al seminarista Lino Zuin, morto tragicamente nel cortile della Casa dell’Immacolata, travolto da una putrella di acciaio.

MI279,7 [24-10-69]

7.L’ultima volta che Vittorianoè venuto da Crotone - te lo ricordi, don Guido? - ci ha fatto tremare un pochino; per alcune ore abbiamo tremato un po’ tutti perché avevamo paura che fosse un tumore. È andato a farsi visitare: non era un tumore.
Ma questo potrebbe capitare. Un bel giorno uno di voi avverte un piccolo nodulo, una cosina da niente. Va a farsi vedere, il medico controlla: “Vediamo...”, estrae un pezzetto di tessuto e lo manda ad analizzare... ti chiama privatamente: “Don Ottorino, guardi che quel giovane...”, oppure chiama don Guido anziché don Ottorino e gli dice: “Purtroppo, guardi che si tratta di un tumore, purtroppo, purtroppo è un tumore!”. E poi don Guido dirà, tanto per imbrogliare un pochino: “Ah, il medico ha detto che non è niente e bisogna fare una cura del sangue; andremo da un botanico”. Dopo un po’ di bottiglie e di tisane varie, si dice: “È meglio, forse, che andiamo da un altro botanico, che cambiamo botanico”, e da un botanico all’altro, da una confessione al peccato, dal peccato alla confessione, si finisce per andare al creatore. Amici miei, questa è la storia di tutti i giorni! Quante volte al mattino quando mi alzo mi chiedo: “Questa sera andrò a riposare in un letto o sarò dentro a quattro assi di legno?”. Quando Giorgioè partito l’ultima volta da qui non pensava certamente di ritornare dentro a quattro assi di legno. Dinanzi a questo pensiero dobbiamo meditare seriamente perché basta una malattia, basta una piccola cosa per buttarci a terra e, forse, mentre parlo io sto già cullando dentro di me qualcosa che può uccidermi. Eh, Zeno ride! Amici, bisogna pensarci a queste cose perché si tratta dell’eternità. In dialetto si direbbe che dinanzi a queste cose passano tutte le manie di grandezza che abbiamo. È chiaro? E allora a un dato momento ti metti a dire: “Bisogna che costruisca un pochino di più per l’eternità, perché è l’unica cosa che resta!”. Questo per quanto riguarda le malattie, e guardate che o di malattia o di incidente moriremo tutti, non il 50%, tutti! Fra cento anni saremo partiti tutti! E le morti per incidente? Vi rendete conto di quel giorno... in cui è morto il nostro caro Lino?Aveva mangiato con voi, era stato insieme con voi, aveva scherzato con voi, è uscito in cortile ed è morto: dalla finestra lo vedo ancora disteso in un lago di sangue.

CREATO corpo

NOVISSIMI morte

CONGREGAZIONE storia

MI279,8 [24-10-69]

8.Vi rendete conto che questo potrebbe succedere a ciascuno di voi prima di mezzogiorno? E vi rendete conto che da questo, insomma, dipende l’eternità?
Penso che se ci fermassimo a considerare un po’ di più la morte nella sua realtà più profonda, vedremo che il nostro corpo è destinato al sepolcro. Non è necessario che adesso facciamo come al tempo di San Francesco di Sales, o meglio di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, e ci mettiamo a considerare la corruzione del sepolcro. No, no! Tuttavia andiamo alla realtà: io, un bel giorno, dovrò morire e apparire dinanzi al giudizio di Dio, e mi porterò nella valigia soltanto i meriti. Tutte le incensazioni del mondo, gli atti di superbia, le stupidaggini, i trionfi e le lodi che ho cercato, mi dispiace, non valgono niente! Che mi siano venuti i trionfi e le glorie è un’altra faccenda; che li abbia accettati con semplicità è un’altra cosa; ma che io vada a cercare trionfi e glorie umane... guardate che queste non valgono niente per l’eternità. Che io possa aver avuto anche dei momenti di trionfo, va bene, ma l’essenziale è che io faccia tutto per il Signore e solo per il Signore. Ora, prima di procedere, vorrei che ci fermassimo due o tre minuti per pensare un pochino: e io, sono veramente convinto che un giorno morirò? Ho sempre lavorato pensando che un giorno morirò? Ho forse un po’ troppo esaltato me stesso? Ho avuto una stima troppo grande di me stesso? Se non vi dispiace pensiamo, per un paio di minuti a questo...

NOVISSIMI morte

CREATO corpo

NOVISSIMI giudizio

VIZI superbia

CONVERSIONE esame di coscienza

MI279,9 [24-10-69]

9. 4. Nulla è possibile senza la grazia di Dio
«E tutto questo, che senza dubbio è assai rilevante, è ancora niente di fronte a un’altra impotenza sconcertante: la nostra assoluta incapacità per operare qualsiasi bene. È il Signore che ce lo dice espressamente: “Sine me nihil potestis facere” (Giovanni 15,5). Rimarchiamo che Egli dice, e io sottolineo la parola ‘nihil’. Non dice “voi potete fare poco”, ma “niente senza di me”. Non una giaculatoria che abbia un valore eterno senza di Lui, niente! Ma vi è ancora di più di questo: più del niente? Sì, vi è in noi una facoltà formidabile per il male. Non dubitate giammai di questa verità: “Noi siamo tutti capaci di tutto il male”!». Questa frase, per esempio, ha fatto tanti santi: “Io morirò, e perciò so che un giorno apparirò dinanzi al giudizio di Dio; so anche che io sono capace di qualsiasi male! Io sono capace di commettere peccati impuri, di perdere la testa per una donna, di odiare, di calunniare, di uccidere”. Amici miei, se il Signore non mi tiene una mano sulla testa, può capitare anche a me, e può capitare entro qualche giorno. I santi ne avevano paura; San Filippo Neri diceva: “Signore, tienimi una mano sulla testa!”. Tu vedi che i santi avevano veramente paura perché temevano della propria debolezza; paura che non vuol dire disperazione, paura che vuol dire umiltà: “Signore, io confido in te, sono sicuro che non mi abbandonerai. Per piacere, fammi morire un minuto prima che io abbia ad offenderti”. Noi, non siamo capaci di compiere il bene da soli, perciò quel bene che compiamo, ammesso che lo compiamo, riconosciamo che lo compiamo perché il Signore ci ha dato delle doti, ci ha dato delle grazie, perché lui ci dà una mano e ci sostiene. Però, siamo sempre capaci di compiere il male, e questo male lo compiamo con i doni che Dio ci ha dato. Sarebbe come se io dessi mille lire a don Matteo, e don Matteo se ne servisse per acquistare il veleno e avvelenarmi. In fondo noi offendiamo Dio con i doni che egli ci ha dato: con l’intelligenza, con il corpo che Dio ci ha dato... Amici miei, queste cose sono troppo spesso sottintese: “Sì, sì, siamo d’accordo, siamo d’accordo!”, e invece bisogna fermarsi sopra a pensare perché tutti abbiamo peccato, chi più e chi meno. Più o meno tutti abbiamo alzato la nostra mano contro il Signore, e bisogna che pensiamo fino a che punto siamo arrivati al cospetto di Dio quando l’abbiamo offeso. «“Signore, esclamava San Filippo Neri, mettete le vostre due mani sulla mia testa; tutte e due, perché se voi ne ritirate una, io sarò capace di tradirvi questa sera stessa, più che Giuda”!». Del resto, considerate anche i sacerdoti contestatori: in partenza non erano tutti cattivi. Forse erano più buoni di noi, e può darsi che dinanzi a Dio anche adesso siano mille volte più buoni, anche se guardando gli atti esterni non li possiamo certamente approvare. Non condanniamo nessuno, perché dinanzi a Dio non possiamo condannare, tuttavia oggi stiamo osservando che nella Chiesa molti cedri del Libano stanno rovesciandosi.

NOVISSIMI morte

NOVISSIMI giudizio

PECCATO peccatore

VIRTÙ

umiltà

VIRTÙ

fiducia

DOTI UMANE

CREATO corpo

PREGHIERA meditazione, contemplazione

SACERDOZIO prete

“Quando il buono si corrompe diventa il peggiore degli uomini”: frase del Papa San Gregorio Magno.

MI279,10 [24-10-69]

10. 5. La vigilanza cristiana
«E diceva una grande verità, perché tutti portiamo dentro di noi un nido di vipere, che non attendono che la nostra distrazione, la nostra debolezza per compiere la loro opera di morte». È importante questo rilievo: la nostra distrazione! Basta che noi siamo distratti un momento perché quei vizi che abbiamo saltino fuori immediatamente. Non occorre che andiamo a cercarli : sono dentro di noi. Se stiamo distratti un momentino nasce la gramigna. Se voi uscite dal giardino per un po’ di tempo, vedrete che lungo i vialetti, da una parte e dall’altra, si riempie di gramigna, di erbe infestanti. Bene, così anche i vizi dentro di noi. Facciamo a meno di pregare, facciamo a meno di fare mortificazioni, e state sicuri che i vizi nascono da soli; non occorre seminarli, coltivarli, e concimarli; basta che cessi l’azione positiva di estirpazione e loro si sviluppano Se io non prego, se io non faccio penitenza, se non mi mortifico un pochino, a un dato momento sono loro che comanderanno in casa mia. «È così che dei cedri del Libano, delle stelle del firmamento sono caduti. Prudenza, umiltà. Io che vi predico, se non sono umile, posso essere domani un “riprovato”, come dice San Paolo. Aggiungiamo che quando un cedro o una stella cadono, in castigo della loro superbia, cioè quando cade un’anima consacrata, diciamo un prete... la caduta da tanta altezza è spaventosa, “corruptio optimi pessima” !». Chi sta discendendo le scale e fa un scivolone... eh, se la scala è di trenta scalini e ai lati non c’è il corrimano per sostenersi e casca, non c’è niente da fare: rotola giù fino in fondo! Un prete o resta in alto o casca in basso. Un aereo non può fermarsi in quota: se casca, va già a terra fino in fondo. Perciò è meglio stare a terra, diceva un tizio. Eh, ma se siamo aerei non possiamo correre sulla terra! «Ditemi, di che cosa ci possiamo noi gloriare ragionevolmente? Di che cosa? In realtà noi non possediamo che due tesori: quello delle nostre qualità, tesoro di imprestito che non appartiene che a Dio e a Lui solamente; e quello della nostra orribile miseria, nascosta in noi, tesoro questo veramente ed esclusivamente nostro... Possiamo noi trarre vanità da questo tesoro, senza essere dei folli?

VIZI

ESEMPI vizi

PREGHIERA

PENITENZA

SACERDOZIO prete

Cfr. Daniele 3,98 - 4,34.

Gioele 2,13.

MI279,11 [24-10-69]

11 .Per non cadere in tale follia colpevole, oh! detestate, più che la stessa impurità, il più impuro degli amori, l’amor proprio, la superbia! Temetela, come il vizio capitale fra tutti i vizi. Gli amici del Signore che divennero un giorno dei traditori, caddero, l’immensa maggioranza, per l’orgoglio, che è la radice di mille altre debolezze formidabili.
Se voi sapeste con qual rigore il Signore castiga anche su questa terra la rivolta della superbia! Io ho visto riprodursi il caso di Nabucodonosor nella terribile umiliazione di un Rettore di una Università, uomo folle di orgoglio e bestemmiatore. Fu colpito non già da demenza, ma da un male strano che senza togliergli l’uso della ragione, l’obbligò a vivere per due interi anni come una vera bestia, degradato a tal punto che io non potrei raccontare. Tremate, tremate per il timore di essere presi un giorno dalle vertigini dell’orgoglio, causa di tutte le rovine e di tutti gli scandali. Ma come difenderci? Io ve lo indicherò in una maniera tanto semplice come pratica». Ecco, io vorrei che in questi giorni, da oggi fino alla prossima meditazione comunitaria, pensassimo qualche volta a queste cose e ci domandassimo: “Finora sono stato veramente preoccupato di difendermi dalla superbia?”. Ho detto che l’ abbiamo tutti, e che un pizzico di superbia e di amor proprio nel lavoro ci vuole, ma state attenti: un pizzico di sale nella pastasciutta ci vuole, nella minestra ci vuole, ma un mestolo di sale rovina la minestra o la pastasciutta, rovina tutto e il cibo è immangiabile. Guardate che la superbia coltivata dentro di noi - anche se mascherata, chiamandola ‘apostolato’ o con altri nomi - è la rovina delle nostre anime. Ritorno a quello che ho detto: il Signore ci ha congregati "in unum" per qualcosa di straordinario, per le sue azioni straordinarie. Però ci vuole umili, e non solo nell’atteggiamento esterno, ma specialmente in quello interno. “Scindite corda vestra”.Infatti nell’atteggiamento esterno noi siamo quello che siamo, e non è il caso che se uno sa cantare faccia a meno di cantare in chiesa per umiltà, o se uno sa scrivere articoli faccia a meno di scriverli per umiltà, o se uno sa di filosofia faccia in modo di non dimostrarlo. No! Ognuno dia quello che ha, e lo dia per la Chiesa, per le anime, però lo dia con umiltà.

CONVERSIONE esame di coscienza

VIZI superbia

ESEMPI egoismo

VIRTÙ

umiltà