1.Sia lodato Gesù Cristo!Domenica prossima, alle sei della sera, verrà don Giuseppe Molon a celebrare la Santa Messa. Quest’anno ha celebrato il suo 25° di sacerdozio. Voi sapete, almeno parzialmente, quanto don Giuseppe sia legato a noi, se non altro perché ci ha regalato il pulmino che avete adoperato abbastanza, no? Ma vi assicuro che fin dalle prime ore dell’Istituto ci è stato tanto e tanto vicino, e ancora ci è vicino.Ora noi, e anche lui, desideriamo che celebri almeno una Messa del suo 25° di sacerdozio; abbiamo pensato che il tempo migliore fosse proprio di domenica sera, perché di domenica sera lui è più libero e anche voi siete liberi. Allora, la comunione potete farla pure al mattino, che abbiamo la Messa... Al posto delle funzioni facciamo un’altra Santa Messa. Poi si fermerà a cena con noi, e... Domenica non occorrerà sostituirlo a Schio, perché c’è don Giovanni Galvan che farà lui, se capitasse qualche cosa... Si pensava di andarlo a prendere lunedì mattina; pensa lui caso mai a condurlo a casa, ha detto. Se no, altrimenti, bisogna mandare uno a posta; se no bisogna mandare un sacerdote là che... “Allora, ti fermi qua fino a lunedì mattina - ha detto - e combiniamo così”.... Tutto combinato insomma quella faccenda lì.E, alla fine della cena, sarebbe auspicabile, vero, che tutto il popolo di Dio discendesse “ad inferos”, vero, e si rivolgesse una parolina... Il nostro caro Zeno ha detto che preparava lui, si era offerto lui ieri sera per preparare due parole di circostanza. E caso mai, due tre canti, qualche canto, fare un pochino, se il nostro caro direttore del complesso... dov’è? Giorgio, dove sei, caro? Se desideri offrire due tre colpetti, due tre, so io? Prima che ci sia però un discorsetto, un cantino anche della Madonna, e poi... le paste per tutti... giusto, se no Bepi se offende.Seconda cosa. Dopo aver fatto il mio dovere dinanzi all’altare, aver pregato per lui, penso che interpreto anche il vostro desiderio se offro al nostro caro Raffaele gli auguri. Penso che chissà quanti te li avranno fatti da basso, ma penso che anche in primo piano bisognava farli, no? Cosa dici, Raffaele? Speriamo che l’arcangelo San Raffaele lo conduca sano e salvo fino in Paradiso... “Più tardi che xe possibile”, el ga dito...Ed ora... Avete impegni proprio eccessivi stamattina? Fin che ora posso andare avanti?
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2.Abbiamo cominciato le nostre meditazioni sull’umiltà.Adesso il nostro caro padre Matteo comincia a esaminare i motivi che ci devono spingere all’umiltà. Primo motivo: “Prima di tutto la nostra debolezza naturale, nell’ordine fisico”.Leggo la prima paginetta e dopo facciamo qualche commento.«Ecco che un colpo d’aria indiscreto, la puntura di un insetto, un microbo invisibile, abbattono un gigante di salute. E malgrado ciò, noi siamo fieri di noi stessi... noi siamo degli orgogliosi!Sentite un caso interessante. Un monaco aveva consacrato allo studio di vecchi manoscritti dei lunghi anni e il meglio delle sue forze, consumandovi la sua salute. Finalmente è arrivato al termine del suo sogno: ha trovato quello che egli cercava, le sue note sono ordinate, egli possiede una magnifica raccolta, preziosa di erudizione... parleranno di lui. Ahime! Una sera una scintilla infiamma e riduce in cenere il frutto di vent’anni di ricerche e di sfibrante fatica. Per colmo di sventura, la commozione è tale che il povero monaco, sconvolto, diviene folle.Ecco ciò che siamo, nani e formiche, vinti per un niente. La nostra piccolezza è ancora più evidente davanti alle forze scatenate della natura: una tempesta in pieno oceano, un terremoto, un vulcano in eruzione... Eppure, noi rimaniamo nel nostro intimo pieni di noi stessi, così superbi per quella che chiamiamo la potenza del nostro genio!».Per il momento mi fermerei un po’ a meditare questo. E cioè: la nostra debolezza, pensando al nostro corpo, pensando a quello che siamo, così... Poi, se andiamo più avanti, vedrete che le cose sono ancora peggiori.
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3.Vorrei considerare, come al solito, tre punti.Il primo è questo: la nostra debolezza, se guardiamo l’arco, la parabola della nostra vita. La nostra debolezza dinanzi alle malattie... e la nostra debolezza dinanzi agli incidenti che continuano a capitare. Perché voi capite che se... Ieri, per esempio, o l’altro giorno sono andati a comprare delle mele, e ho detto: “Perché non ne avete comprate di più?”. “E conservarle, poi?”. E conservarle... Ora, co si compra del materiale, co si compra della carne, se c’è il frigorifero per conservarla, buona, ma se non c’è il frigorifero, perché comprarla e poi va a male?Ora, penso che valga proprio la pena di guardarci un po’ in faccia, guardarci un pochino e dire: “Beh! Quanto durerà questo mio corpo? Come devo considerarlo questo mio corpo, questa benedetta persona mia?”. Ora, l’arco, il famoso arco della vita, guardate che è una cosa, sapete, che ci dovrebbe far pensare: non per abbatterci, no, ma per divenire più santi.Ieri sera, passando in macchina vicino a una certa strada, ho visto un vecchiotto che con fatica attraversava la strada, e mi è venuto in mente quello che diceva sempre mio povero nonno passando davanti al cimitero: “Cari morti, ieri voi eravate come noi, domani noi saremo come voi”. Ora, vedete... quando che tu vedi un fanciullo e vedi un vecchio, pensa che quel fanciullo, in un attimo, diventerà come quel vecchio. Ora tu pensa, per esempio, a uno che va a giocare il calcio. Ecco lì: allenamento, allenamento... Arriva in quella squadra, e poi... “È troppo vecchio; mettetelo là da una parte; è troppo vecchio”. Questa è la nostra vita! La corsa a un titolo, la corsa per un concorso e... la speranza di una pensione. Eccola qui: è questa la nostra vita!Ora, vedete... questo non ci deve portare a un senso di scoraggiamento e dire: “Beh, allora stemo fermi, perché xà...”. No! Ci deve portare invece a un senso di lavorare di più, ma non stimarci, ma non stimarci al di sopra di quello che siamo. Vedere... vorrei dire, alla luce di questa vita che ti passa proprio velocemente, bisogna proprio che mettiamo a fuoco le parole, vero, della Sacra Scrittura: “Quod aeternum non est, nihil est: quello che non è eterno non vale niente”. Che mettiamo a fuoco le parole che Sant’Ignazio ripeteva continuamente, là a Parigi, al nostro caro Francesco Saverio, quando che diceva: “Quid prodest homini si mundum universum lucretur, animae vero suae detrimentum patiatur?”.A un certo momento dobbiamo, guardate, da una parte sentire la bellezza della vita, la bellezza di quei doni che il Signore ci ha dato, ma d’altra parte sapere che a un dato momento, insomma, questa vita passa. “Et dum tempus habemus... - com’ela? - operemus bona”; la frase, mi pare, mi sembra che sia così, no? Fin che abbiamo tempo... Ecco, quello! La conclusione dev’essere questa: fin che abbiamo tempo operiamo il bene. Prima, vero, che questo benedetto corpo non possa più rispondere, cerchiamo di fare, di fare... ma di fare quello che vale per l’eternità.
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4.Ora, vedete, a un dato momento, quando che io dico tenere presente l’arco della vita, voglio dire questo: non soltanto tenere presente che a un dato momento le gambe non valgono più, che a un dato momento il corpo insomma non cammina più, ma vorrei dire anche riguardo all’intelligenza... Pensate, uno vecchio comincia a perdere la memoria, comincia a non capire più, comincia a confondersi, comincia così... E allora è un dono di Dio quello che abbiamo, e basta tanto poco, tanto poco a un dato momento, vero, per perdere tutto... Vedete, anche umanamente parlando, tu quando vedi qualcuno che ha una certa età... basta! Siamo... guardate, siamo tutti, diremmo, destinati ad arrivare a quel punto, se non viene una fermata prima. Perciò, quello che abbiamo consideriamolo dono di Dio, ma pensiamo che è una cosa alla quale non dobbiamo attaccarci. Perché, vedete, io vorrei considerare questo come una casa in affitto quasi, non una casa in cui siamo là e resteremo per sempre. Guardate, quando che uno dice: “Compro una casa”, va bene, la compera... “Adesso è mia! Sono in casa mia!”. Sì, ma per quanto? Fin che non vengono lì con quattro tavole a portarti fuori di casa. È chiaro, no? Vero, Zeno, voi che avete le vostre ville a destra e a sinistra?A un dato momento, cosa volete, nessuno può dire: “Questa è casa mia”. La casa mia è il Paradiso; la nostra casa è dove abiteremo eternamente: è il Cielo. Perciò, questo benedetto corpo che noi abbiamo, considerarlo come un dono di Dio; questa intelligenza che abbiamo, un dono di Dio... E non sentirsi superiori agli altri perché siamo 20 cm. più alti degli altri, o perché abbiamo le gambe più forti degli altri, o perché siamo più resistenti degli altri, o perché abbiamo un po’ più intelligenza degli altri, o perché vediamo, comprendiamo le cose... È una cosa di Dio, siamo di Dio! E perciò non... Quando venisse un momento di superbia, un momento così... perché forse abbiamo qualche cosa più di qualche altro, pensiamo che questo “qualche cosa” è un dono che ci è stato dato da Dio, che andrà a finire fra un pochi di anni in un sepolcro.
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5.Proprio, vorrei proprio approfittare, amici miei, proprio di questa meditazione per fermarvi un istante: “Memorare Novissima tua! Memorare Novissima tua!”. Guardate che oggi si pensa troppo poco ai Novissimi, si pensa troppo poco a un pochino: morte, giudizio, Inferno e Paradiso. E credo che l’umiltà vera nasce proprio da questa meditazioni... Quando tu mediti sinceramente che un bel giorno morirai; quando i nostri vecchi andavano in cimitero e si mettevano là a camminare in mezzo ai morti, guardate che, vi assicuro io, vi assicuro che non lo facevano per capriccio, facevano per aver sempre dinanzi agli occhi qualche cosa...Ricordo i primi anni dell’Istituto qui, quando mi trovavo solo... certi momenti... le battaglie che sostenete voi le ho sostenute anch’io, ma tante volte le ho sostenute andando in cimitero alla sera, alla sera, porte chiuse, chiedevo al padre se mi apriva la porta, e andavo là a camminare in mezzo ai morti. E camminando in mezzo ai morti, da solo, là... Quante sere l’ho fatto! Partivo da qua in bicicletta, andavo lì, e il padre mi apriva - sa, eravamo amici, vero...- e facevo il mio giretto attorno ai portici a recitare la corona e a meditare.Quando tu pensi che quelle creature erano anche loro come noi... Vicenza era in mano di loro qualche anno fa, era in mano di loro, e sono stati spazzati via tutti, chi dal bombardamento, chi dalla malattia, sono stati spazzati via tutti, giovani e vecchi. E siamo rimasti noi. E tu, vero, dinanzi a questi morti, ah, cominci a vedere le cose un po’ diversamente. Allora non ti abbatti dinanzi alle difficoltà, allora prendi coraggio perché dici: “Beh, domani saremo in Paradiso”; non ti abbatti se uno ti offende un pochino, eccetera.Amici miei, bisogna pensare un pochino alla morte, sapete. Alla morte... non, attenti, non per diminuire il lavoro, ma per far presto a lavorare.Se, vero, vedete un temporale che sta venendo avanti, dite: “Beh, già, dopo viene il temporale”, no, si dice: “Presto che piove! Presto, buttiamoci sotto! Mettiamoci... dai, là...”. E chiami a raccolta un po’ tutti se c’è il fieno specialmente fuori in campagna, no? Perché bisogna portarlo dentro prima che abbia da piovere.Ebbene, io vi dico proprio così: il pensiero della morte, il pensiero che i nostri doni... fra qualche anno o qualche giorno saremo morti, non ci deve portare a un senso di scoraggiamento, di abbattimento, anzi ci deve far lavorare di più e farci render conto che siamo nelle mani di Dio, siamo strumenti nelle mani di Dio. Per carità, però, non state mai, mai, vero, un pochino aver troppa fiducia troppo di voi stessi, aver troppa stima di quello che il Signore vi ha dato. Torno a dirvi quello che vi ho detto l’altra volta: guardate che il Signore si serve degli umili. Ringraziate il Signore se avete un corpo, se avete un’intelligenza, se avete dei doni naturali, ma guardate che il Signore si serve degli umili.
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6.Secondo punto direi questo, guardate: vedere questo arco insomma della vita, che passa così, ma - secondo - anche la questione delle malattie. Pensateci qualche volta... è sempre il pensiero della morte, no? “Se tutto va bene, arriverò a settant’anni; se la va proprio pulito, a ottanta”. Beh! Fate conto che quando siete arrivati a ottant’anni c’è poco da sperare, eh? No, don Matteo, c’è poco da sperare. Però c’è anche un’altra cosa: può capitarci una malattia improvvisamente. E allora, “estote parati!”. E mentre vi preparate alla morte, state sicuri che tirate via l’io.Perché ve l’ho detto, lo dicevo, vero, lassù a Bosco, mi par di averlo ripetuto anche a voialtri: in Guatemala ai maialini che vanno in giro per la strada mettono un pezzettino di legno qua per traverso, perché non possano entrare nelle siepi. L’avete visto anche nelle diapositive. Guardate che quel pezzo di legno impedisce ai maialini di entrare nelle siepi.Guardate che il nostro io è come quel pezzo di legno: con l’io non si entra in Paradiso. Guardate che i superbi non entrano in Paradiso. E allora, vedete, considerare la morte proprio per poter togliere questo impedimento. Domandarci continuamente: “Se io morissi in questo momento, cosa farei? Avrei qualche ostacolo ancora?”. Guardate che tante volte abbiamo puntato sulla purezza, ed è giusto, giustissimo, per carità, non si può entrare in Paradiso impuri... Ma, guardate, si entra ancor meno in Paradiso superbi. È un impedimento che noi tante volte forse non consideriamo sufficientemente. E di superbia ne abbiamo tutti. E guardate che la superbia la vinciamo soltanto dinanzi a una tomba, cioè pensando che un bel giorno io sarò chiuso in una cassa.Guardate, il cardinal Rossi era qui. Improvvisamente ti chiama su Zeno: febbre! “Sa, mi sento...”. Quaranta di febbre. Capiterà così a qualcuno di noi, capiterà così. Ho sentito la Vittoria lì, la buona donna che abbiamo in cucina; mi diceva piangendo ieri - si è fermata lì un momentino con me - che ha un nipote: trentotto anni, in cinque giorni, aperto, pancreas rotto... in cinque giorni è morto; stava bene, ha lavorato fino a sabato di sera... in cinque giorni è morto! A un dato momento... Ricordo Francesco Giuliari, là... suo fratello mi chiama, si mette a piangere, Angelo... “Cos’hai?”. “Mio fratello deve morire”. “Ma come? Se era qui in oratorio...”. “Sì, non c’è niente da fare! Avrà dieci giorni di vita”.Un bel giorno, fratelli miei, voi, io, saremo visitati da un medico; il medico crollerà un po’ il capo e dirà: “Mah, mah...”.
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7.Guardate, quando è venuto su Vittoriano l’altra volta, - ti ricordi, don Guido - ci ha fatto tremare un pochino. Ti ricordi? Per un poche di ore abbiamo tremato un po’ tutti, perché avevamo paura che fosse un tumore. È andato a farsi visitare: non era un tumore. Ma può capitare questo. Un bel giorno uno di voi: un piccolo gnocchetto, una robetta da niente... Va a farsi vedere. Il medico crolla: “Vediamo”. Estrae, manda all’analisi... ti chiama privatamente: ”Don Ottorino... - dice - guardi... quel giovane...”. Ovvero chiama don Guido per don Ottorino e gli dice: “Guardi che purtroppo, purtroppo, sa, purtroppo... è un tumore! Purtroppo è un tumore!”. E poi don Guido dirà: “Ah, il medico ha detto che non è niente, sa... bisogna far ‘na cura del sangue: ‘ndemo dal botanico”, tanto per imbrogliare un pochino... “Un poche de bottiglie, vero, de acqua... xé mejo forse un altro botanico, cambiamo botanico”. E da un botanico all’altro, da una confessione al peccato, dal peccato alla confessione, vero, si finisce per andare al creatore.Guardate che, amici miei, è la storia di tutti i giorni, mica scherzi!Quante volte, quando che mi alzo al mattino, dico: “Questa sera andrò a riposare in un letto o sarò dentro quattro pezzi di legno?”. Quando che Giorgio è partito per andare via, non avrebbe certo pensato di ritornare dentro quattro pezzi di legno. Ora, dinanzi a questo pensiero... malattia... basta una piccola cosa che mi butti a terra.. e forse mentre parlo, io magari sto già cullando dentro di me qualche cosa. Eh... Zeno ride...Amici, bisogna pensarci a queste cose qua, perché, cari miei, si tratta di un’eternità. In dialetto se diria che dinanzi a ‘ste robe qua passa le moche. È chiaro? E ti metti a un dato momento a dire: “Qua bisogna che costruisca un pochino di più per l’eternità, perché è l’unica cosa che resta!”. Questo per le malattie. E guardate che o di malattia o di incidente moriremo tutti. Non è che il 50%... Tutti! E dentro cento anni saremo tutti partiti.E quella degli incidenti... Ma vi rendete conto quel giorno il nostro caro Lino, là... Ha mangiato con voi, è stato insieme con voi, ha scherzato con voi... È andato fuori, e dalla finestra lo vedo ancora, là, disteso in un lago di sangue. Ma vi rendete conto che questo potrebbe essere per ciascuno di noi prima di mezzogiorno?
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8.E vi rendete conto che da questo, insomma, dipende l’eternità?Ora, ecco, penso che se ci fermassimo un po’ di più a considerare la morte, nella sua realtà, proprio... il nostro corpo nella sua realtà, che è destinato al sepolcro... Non è il caso che facciamo adesso come al tempo di San Francesco... Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, vero, che ci mettiamo là a considerare, vero, la corruzione del sepolcro... No, no! Andiamo alla realtà insomma: che io un bel giorno dovrò morire e apparire dinanzi al giudizio di Dio, e mi porterò nella valigia soltanto i meriti. Gli atti di superbia, tutte le incensazioni del mondo, tutte le stupidaggini che ho cercato, tutti i trionfi che ho cercato e le lodi che ho cercato... mi dispiace, queste non valgono niente.Che mi siano venuti è un’altra storia... con semplicità che li abbia accettati è un’altra cosa, ma che io vada a cercare trionfi e glorie umane, guardate che queste non valgono niente, queste non valgono per l’eternità. Che io possa aver anche avuto dei momenti di trionfo, va bene... Ma essenziale è che io faccia tutto per il Signore, e solo per il Signore.Ora, io vorrei, prima di procedere avanti, che ci fermassimo due tre minuti, due tre minuti.Che ci fermassimo a pensare un pochino: e io? Sono veramente convinto che un giorno morirò? E ho lavorato sempre pensando che un giorno sarei morto? Ho forse un pochino troppo esaltato me stesso, una stima un po’ troppo grande di me stesso? Se non vi dispiace, un paio di minuti pensiamo a questo.
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9.«E tutto questo, che senza dubbio è assai rilevante, è ancor niente di fronte a un’altra impotenza sconcertante: la nostra assoluta incapacità per operare qualsiasi bene. È il Signore che lo dice espressamente: “Sine me nihil potestis facere”. Rimarchiamo che Egli dice e io sottolineo la parola “nihil”. Non dice “voi potete fare poco”, ma “niente senza di me”. Non una giaculatoria che abbia un valore eterno senza di Lui, niente! Ma vi è ancora di più di questo, più del niente? Sì, vi è in noi una facoltà formidabile per il male. Non dubitate giammai di questa verità: “Noi siamo tutti capaci di tutto il male”!».Per esempio, questa frase qui, guardate che ha fatto tanti santi: “Io morirò. Perciò io so che un bel giorno apparirò dinanzi al giudizio di Dio...”.Io son capace di qualsiasi male. Io son capace di poter commettere peccati impuri, perder la testa per una donna, io sono capace di odiare, io sono capace di calunniare, io sono capace di uccidere. Amici miei, e se il Signore non mi tiene una mano sulla testa, può capitare anche a me, e può capitare entro qualche giorno. E i santi avevano paura. San Filippo Neri che diceva: “Tienimi una mano sulla testa!”. Tu vedevi i santi che veramente avevano paura perché temevano della propria debolezza. Paura che non vuol dire disperazione, paura che vuol dire umiltà: “Signore, io confido in te, sono sicuro che non mi abbandonerai. Fammi un piacere, fammi morire un minuto prima che io abbia da offenderti”.Ora, noi non siamo capaci da soli compiere il bene. Perciò quel bene che compiamo... e che lo compiamo il bene... ma, riconosciamo che lo compiano perché il Signore ci ha dato delle doti, ci ha dato delle grazie, ci sostiene, ci dà una mano lui.Siamo però capaci di compiere il male. E questo male lo compiamo poi coi doni che Dio ci ha dato. Sarebbe come che io dovessi dare mille lire a don Matteo, e don Matteo prendesse queste mille lire e comprarmi il veleno per avvelenarmi. In fondo noi offendiamo Dio con i doni che il Signore ci ha dato, con l’intelligenza, vero, con il corpo che il Signore ci ha dato.Ora, amici miei, queste cose sono troppo spesso sottintese... “Sì, sì, siamo d’accordo, siamo d’accordo!”. Bisogna fermarsi a pensare a queste cose qui! Perché tutti abbiamo peccato, più o meno abbiamo peccato; tutti, più o meno, abbiamo alzato la nostra mano contro il Signore. E bisogna che ci pensiamo a che punto siamo arrivati al cospetto di Dio quando abbiamo offeso lui.“Signore, esclamava San Filippo Neri, mettete le vostre due mani sulla mia testa; tutte e due, perché se voi ne ritirate una, io sarò capace di tradirvi questa sera stessa, più che Giuda!”.Del resto, guardate anche, adesso, questi sacerdoti contestatori, eccetera. Non erano mica cattivi tutti quanti in partenza, credetelo. Guardate che forse erano più buoni di noi... dinanzi a Dio può darsi che siano mille volte più buoni di noi anche adesso, ma insomma, se guardiamo gli atti esterni, certo quelli no non li approviamo... Non condanniamo nessuno, perché dinanzi a Dio non possiamo condannare... Guardate che anche oggi stiamo osservando, insomma, che i cedri del Libano stanno rovesciandosi.
MO279,10 [24-10-69]
10.«E diceva una grande verità - Filippo Neri -, perché tutti portiamo dentro di noi un nido di vipere, che non attendono che la nostra distrazione...».Eh, è importante ‘sta roba qui: la nostra distrazione. Basta che noi siamo distratti un momento, quei vizi saltano fuori immediatamente. Non occorre che andiamo a cercarli; ci sono dentro: stiamo distratti un momentino, e nasce la gramigna. Voi andate via dal giardino un po’ di tempo e vedrete che xo par le stradele, da una parte, l’altra, pien de gramegna, pien de erba, no? Bene, così anche i vizi dentro di noi: facciamo di meno pregare, facciamo di meno far mortificazione, state sicuri che nascono, nascono da soli; non occorre seminarli, non occorre coltivarli e spingerli; basta che cessi un’azione, vero, che è l’azione positiva di estirpazione e loro si sviluppano. Se io non prego, io non faccio penitenza, io non mi mortifico un pochino, a un dato momento sono loro che comandano in casa mia.«È così che dei cedri del Libano, delle stelle del firmamento sono caduti. Prudenza, umiltà. Io che vi predico, se non sono umile, posso essere domani un “riprovato”, così diceva San Paolo. Aggiungiamo che quando un cedro o una stella cadono, in seguito della loro superbia, cioè quando cade un’anima consacrata, diciamo un prete... la caduta da tanta altezza è spaventosa, “corruptio optimi pessima”!».Eh, uno che sta andando giù per le scale e se rabalta, i xe trenta scalini, el va fin in fondo, non ghe xe gnente da fare. Non ci sono ringhiere dalle parti, no? Se tu sbrissi... brooom... fin in fondo!Ora, o un prete resta alto o casca giù. Non può un aeroplano, vero, un aereo fermarse a metà strada: se casca e va fin in fondo, in terra. Perciò, “meglio star per terra” el ga dito quell’altro. Eh, ma se siamo aerei non possiamo mica andar per terra!«Ditemi, di che cosa ci possiamo noi gloriare ragionevolmente? In realtà noi non possediamo che due tesori: quello delle nostre qualità, tesoro di imprestito che non appartiene che a Dio e a lui solamente; e quello della nostra orribile miseria, nascosta in noi, tesoro questo veramente ed esclusivamente nostro... Possiamo noi trarre vanità da questo tesoro senza essere dei folli?
MO279,11 [24-10-69]
11.Per non cadere in tale follia colpevole, oh! detestate, più che la stessa impurità, il più impuro degli amori, l’amor proprio, la superbia! Temetela, come il vizio capitale fra tutti i vizi. Gli amici del Signore che divennero un giorno dei traditori, caddero, l’immensa maggioranza, per l’orgoglio, che è la radice di mille altre debolezze formidabili. Se voi sapeste con qual rigore il Signore castiga anche su questa terra la rivolta della superbia! Io ho visto riprodursi il caso di Nabucodonosor nella terribile umiliazione di un Rettore di una Università, uomo folle di orgoglio e bestemmiatore. Fu colpito non già da demenza, ma da un male strano che, senza togliergli l’uso della ragione, l’obbligò a vivere per due interi anni come una vera bestia, degradato a tal punto che io non potrei raccontare. Tremate, tremate per il timore di essere presi un giorno dalle vertigini dell’orgoglio, causa di tutte le rovine e di tutti gli scandali. Ma come difenderci? Io ve lo indicherò in una maniera tanto semplice come pratica».Ecco, io vorrei in questi giorni qua adesso, fino alla prossima volta, che ci pensassimo qualche volta, un pochino, e che ci domandassimo: “Ma, sono stato veramente finora un pochino preoccupato di difendermi dalla superbia?”. Ho detto che l’abbiamo tutti. E un pizzico di superbia, di amor proprio ci vuole nel lavoro, no? Ma, state attenti che un pizzico di sale ci vuole nella pastasciutta, ci vuole nella minestra, ma un minestro de sale rovina la minestra, e rovina tutto, ed è immangiabile. Guardate che la superbia dentro di noi, coltivata, sotto la specie di... chiamandola “apostolato” o chiamandola quel che volete, guardate che è la rovina delle nostre anime.Ora, ritorno a quello che ho detto: il Signore ci ha congregati “in unum” per qualche cosa di straordinario, per azioni straordinarie sue, però ci vuole umili, umili non soltanto nell’atteggiamento esterno, specialmente interno: “Scindite corda vestra!”. Perché nell’atteggiamento esterno siamo quello che siamo, agiamo come che siamo... non è il caso che se uno sa cantare, faccia di meno di cantare in chiesa per umiltà; se uno sa scrivere articoli, faccia a meno di scriverli per umiltà; se uno sa di filosofia, faccia in modo di non saperla... No! Ognuno quello che ha lo dia, e lo dia per la Chiesa, per le anime, eccetera, però lo dia con umiltà.