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LA VITA COMUNITARIA E LA FEDELTÀ AL PROPRIO DOVERE

MO274 [15-04-69]

15 aprile 1969

MO274,1 [15-04-69]

1.Sia lodato Gesù Cristo! Penso che una delle condanne più grandi che si potrebbe fare ad uno stonato sarebbe quella di metterlo professore di musica. Tra voi non so se ci sono degli stonati, ma supponiamo per esempio, Giuseppe Biasio, che non è stonato. Sei stonato? No, vero? Beh! Lasciamolo stare... Conocarpo allora, quello son sicuro che non sbaglio, vero, tu non sei stonato... sei della famiglia mia! Ecco, poniamo che domani ti mandassi a Roma a studiare musica e metterte ad insegnare musica... fosse suonare... ma anche a cantare a insegnar il canto; penso che sarebbe una delle più gravi condanne che potrei fare al mio venerabile confratello Adriano, non a Raffaele... Raffaele, quello sarebbe una condanna mandarlo studiare qualcosa altro, no? State attenti, vi capiterà però, forse, non di andare a Roma a studiar musica, ma vi capiterà nella vita qualche condanna, e questa vi capiterà spesso: di dover dire agli altri quello che voi per tanti anni avete cercato di fare e non sarete stati capaci di fare insomma, non siete riusciti a fare, o perché avevate le gambe corte o perché c'era il cervello troppo stretto o per cattiveria o per insufficienza di energie... insomma, vi toccherà dire qualche cosa. È quello che capita spesso anche a questo povero diavolo che vi parla. E questa mattina appunto devo appunto parlare di una certa armonia, che poi, sa, è difficile, vero, che io possa dire: "Exemplum dedi vobis: quaemadmodum ego feci, ita et vos faciatis". Non posso dirvi questo, ma d'altra parte il tema lo devo affrontare. Dobbiamo cominciare a trattare della Comunità. Permettetemi che prima di trattare della Comunità vi porti un paragone. Voi sapete che di solito ricorriamo a paragoni un po' plastici per poter ricordarci meglio la verità.

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2.Penso che voi, nei vostri giri che avete fatto in tante parti del mondo, vi siate incontrati qualche volta in un tavolino con tre gambe, un tavolino con tre gambe, quei tavolini rotondi che si trovano qualche volta in certi salotti, un certi posti, ordinati o disordinati, vero... Bene! Questo tavolino a tre gambe, se manca una gamba, il tavolino non sta in piedi; se una gamba è un po' più corta o è un po' più lunga, squilibria tutto... il tavolino non si può usare comodamente. Basta pensare a una sedia quando che manca solo un tappo: prendi la sedia, la metti da una parte e ne cerchi un'altra, perché lì si sta scomodi, no? Bisogna che le gambe siano uguali; anche nella sedia stessa, basta una, basta che manchi un piccolo tappo perché non si stia bene nella sedia. Là non si sta bene, la sedia sta in piedi; ma un tavolo a tre gambe, se manca una gamba, il tavolo non sta in piedi. Il tavolo... cioè le altre due sono legate alla terza gamba. Come in una macchina, la vettura, le tre ruote sono legate alla quarta; se ne manca una, la macchina non va avanti. Tu non puoi correre con la macchina se te ne manca una. Ora, vedete, mi pare che, come il tavolo è stato concepito con tre gambe e deve stare in piedi con tre gambe, così noi siamo stati concepiti, siamo stati pensati e voluti dal Signore per vivere insieme. Non si può pensare una gamba del tavolo da sola: tu non vai a comperare una gamba del tavolo, vai a comperare un tavolo. Se tu vai in un negozio e vedi una gamba là, dici: "Beh, cos'è questa?". "È la gamba di un tavolo...". Sì, la gamba di un tavolo... non porti a casa una gamba, porti a casa il tavolo; la gamba la metti da una parte; la metterai, se è tanto bella, in un museo artistico, ma la gamba da sola non vale.

MO274,3 [15-04-69]

3.Ora, vedete, queste benedette tre gambe hanno dei doveri reciproci, no, tra loro. E se noi consideriamo la nostra Comunità e vogliamo continuare con questo paragone, ognuno di noi deve dare e deve avere dalla Comunità: ha il dovere di dare e ha il diritto di avere. Le due gambe hanno il diritto che l'altra sia uguale di altezza, che sostenga la sua parte del tavolo, ma anche loro hanno il dovere di essere al loro posto e di sostenere la loro parte del tavolo. Ora, vedete, in una Comunità... bisogna che noi ci prepariamo alla piccola Comunità apostolica, ma è possibile questa domani piccola Comunità, se è entrato in noi questo principio: che cioè nella Comunità ognuno di noi deve prima di tutto sapere che ha dei doveri verso la Comunità, prima che dei diritti. E quando dico dei doveri, intendo dire non soltanto il dovere di scopare, quando che è ora di scopare anch'io devo scopare la mia parte, è ora di far pulizia, è ora di portar via una cosa, è ora di spreparare la tavola... sì, sì, anche lì ci sono dei doveri, ma direi che ci sono dei doveri ancora più profondi, che riguardano la qualità, la qualità. E cioè io ho il dovere di essere santo tanto quanto lo esige il mio posto. Non posso più io essere quello che ero a casa, non posso più fare una santità mia, individuale, come voglio io, non posso io isolarmi, non posso isolarmi. Io sono lì... È vero: ognuno è diverso. Se noi andiamo nella chiesa di là, dell'Istituto, noi vediamo i capitelli uno diverso dall'altro. I nostri professori d'arte, no, potrebbero descrivercelo molto bene; però se tu li guardi nell'insieme c'è un'armonia meravigliosa, ci sono delle linee, delle linee comuni. È vero, don Giuseppe? Ci sono delle linee comuni, però uno diverso dall'altro. In un primo momento, uno che li guarda non s'accorge delle diversità, però vede che sono belli, fatti bene; li osserva e vede che sono uno diverso dall'altro. Ora, vedete, anche queste benedette tre gambe, una diversa dall'altra, ma in un'armonia, in una armonia voluta dall'artista per cui, per cui la diversità non toglie niente alla solidità del tavolo e alla bellezza del tavolo. Non è una gamba quadrata e le altre rotonde, non è una gamba rossa e le altre nere. No! Sono armonizzate, pure nella loro diversità. Perciò questo vivere in comunità non toglie niente alla vostra personalità, alle doti che il Signore vi ha dato, al...vorrei dire, allo sviluppo di voi stessi; completamente niente non toglie! Però ci vogliono delle linee comuni.

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4.Ora, dico, la prima linea, direi, dev'essere il dovere che avete voi di fare la volontà di Dio e di dare buon esempio. Cioè le altre due gambe devono vedere che voi siete al vostro posto: non una gamba staccata dieci centimetri dal tavolo, non una gamba che vien sopra il tavolo o che si abbassa sotto di cinque centimetri, perché altrimenti viene troppo corta o troppo lunga. Cioè una gamba che è sempre al suo posto, una gamba che si sforza di essere al suo posto. E allora, ecco, vedete, che nella Comunità non... Guai se uno dice: "A me sembra di fare... io faccio il mio dovere e gli altri che i se rangia!". Eh, no, non si può dir così, assolutamente! Non si può dire una cosa di questo genere. Non si può dire: "Io mi sforzo di far il mio dovere, io cerco di dire le mie preghiere, studio, faccio... e che gli altri si arrangino". Non si può costruire tavoli mettendo le gambe in volta per la fabbrica una di qua una di là; non verranno mai fuori tavoli, non verrà mai fuori la Comunità apostolica, non verrà mai... Perché guardate che fuori guarderanno la Comunità apostolica, non le gambe. Non guarderanno i singoli, i singoli. Sì, il singolo farà, ma il Signore ci ha voluto insieme e vuole che lavoriamo insieme e vuole che andiamo insieme. Ora, ecco, io vi direi proprio prima cosa: non devo assolutamente farmi una santità ideata da me, vero, perché sono insieme e devo sforzarmi di creare una santità collettiva. E perciò io devo cercare un pochino quello che anche gli altri, insomma, esigono da me, quello che Cristo esige da me. Come pure, nel costruirsi... non può uno fare un disegno di se stesso. C'è un artista che ha fatto il disegno del tavolo, c'è un artista che ha fatto il disegno di ogni gamba del tavolo, pure diversa ma armonica. E perciò, quando voi considerate la vostra santità, come dovete farvi santi, non potete da soli, non lo potete da soli. Dovete ricorrere al disegno, per forza! E in una Casa religiosa, scusate, il disegno l'hanno in mano coloro che Dio ha messo all'ufficio tecnico della Casa. Ufficio tecnico che è aperto per tutti, perché siamo in famiglia; ma viva Dio, non lo potete voi. Potreste essere dei grandi anacoreti, se volete, degli altri santi, ma non santi in questa Famiglia religiosa, se non ricorrete a chi ha in mano il disegno un po' della Famiglia religiosa. Vi dico, in questo momento è uno stonato che sta parlando di musica, se volete, ma deve dire certe verità, perché se non le dico io manco al mio dovere. Ora, vedete, voi non potete essere gli artefici di voi stessi, perché fate una cosa che, che... voi siete degli artisti solitari che non potete domani mettere quel pezzo, portarlo là in uno stabilimento per montarlo. Non può uno mettersi a fare una carrozzeria, bellissima, artistica, e portarla alla FIAT: "Metteteci dentro un motore". Non è possibile! Bisogna che uno lavori in sincronia con gli altri che fanno il motore, perché il motore deve starci dentro alla carrozzeria. Non si può dire: "Porto là la carrozzeria, e adesso metteteci una ruota"; magari fare una carrozzeria alta quindici metri... Ma che ruota ci metti? Quella della cinquecento? No, ah! È un lavoro che dev'essere fatto...... tu facendo la carrozzeria mettici pure la tua arte, ma hai delle leggi, hai dei punti, che non puoi metterteli tu.

MO274,5 [15-04-69]

5.Ecco allora, vorrei dire, primo pericolo, primo pericolo: costruzione, sentirsi sicuri di se stessi e ognuno che cerchi di costruire la sua piccola santità, il suo piccolo tempio, il suo piccolo edificio. Guardate, questo è un errore enorme, è un errore enorme! Perché guardate che in questo modo... "E, ma io c'ho il capitolo, e ho tutte quante le delibere del capitolo, cerco di vivere secondo la delibere del capitolo e io mi costruisco...". No! Guardate che a un dato momento, facciamo tante congregazioni quanti sono gli uomini. Guardate, però, una cosa: che non sarà la Congregazione a morire, saranno gli uomini che fanno così a morire. A un dato momento non arriverà più l'ossigeno, a un dato momento non arriverà più, non arriverà più... per forza centrifuga saranno gettati fuori. L'esempio che portavo un tempo - che la nave è diretta al porto e la nave arriverà al porto - lo ripeto. Però tutti quelli che sono sulla nave non sono sicuri di arrivare al porto. Arriveranno al porto soltanto in tanto in quanto saranno preoccupati di realizzare una santità, una santità, vero, che è armonizzata con la santità degli altri. Guardate che uno può essere anche apparentemente dieci volte più santo, se ci fosse uno qui che fa tante ore di adorazione, uno che studia e che fa bene il suo dovere, ma, ma lavora da solo, io vi dico: vada in un altro posto, si faccia una congregazione religiosa di anacoreti o di apostoli, ma non è per questa Famiglia religiosa. Non si può assolutamente! Ecco, guardate, siccome siamo in regime proprio fraterno e di libertà, io vorrei domandare adesso a voi cosa ne pensate di questo. Tu, don Giuseppe, cosa ne dici? Don GIUSEPPE RODIGIERO: “Ho avuto anche maniera di dirlo più volte e di trattarlo con i nostri novizi: dobbiamo veramente entrare nello spirito della Congregazione. E mi pare che lo abbiamo anche ribadito più volte durante il Capitolo: dobbiamo assumere lo spirito della Congregazione”. ... che è fatto di piccole cose, che è fatto di piccole cose. Vedete, non vuol dire che è fatto di coercizione, perché, ho detto, c'è una varietà, ma questa varietà deve essere sottoposta un pochino a chi ha il dovere di armonizzare un po' tutto, mi pare. È giusto o no questa roba? Ecco... Non so, don Guido, sei d'accordo su sta roba qui? Attenti, come pure mi pare un'altra cosa. Non si può dire, non si può dire: “Io vedo gli altri e perciò, siccome gli altri fanno tutti così e io...”. Scusate, se gli altri sono corti dieci centimetri, non è mica una scusa dire: "Io resto...", perché vien fuori un tavolo che non è quello... Quando che è il momento di vendere il tavolo, nessun lo compra perché i dixe: "No! Noi lo vogliamo alto 80 cm., no alto 60 cm.". Non è un motivo sufficiente per dire: "Ma gli altri fanno tutti così". Non so se sbaglio. Guardate tante volte si sente dire: "Ma, e gli altri! Non lo fanno gli altri? E non lo fanno gli altri?".

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6.Guardate amici, per il fatto stesso che tu ti accorgi che gli altri sono fuori di posto, tu sei più fuori di posto degli altri. Quando tu ti accorgi che non sei secondo il disegno, secondo il disegno, tu fa' un piacere: avvisa gli altri che si allunghino un pochino o che si accorcino un pochino, perché guarda che altrimenti il tavolo viene scartato e vieni scartato anche tu. A un dato momento, a un dato momento, uno si adegua. Ci sono gli altri che sono dieci centimetri più corti, le altre due gambe, e allora, sa, tanto per una certa armonia mi metto anch'io dieci centimetri più corto. Quando è il momento di vendere il tavolo, quello che l'ha commissionato lo rifiuta e dice: "No! Io lo voglio alto 80 centimetri, e no 60 o 70 cm.". Lo rifiuta. Perché la Comunità non è la Comunità voluta, non è il tavolo richiesto, commissionato. "Ma... sa, piuttosto che una gamba alta e due...". No! Se tu ti fossi messo in quel punto là, al momento del collaudo si sarebbero accorti gli altri che le altre gambe erano più corte. Si faceva a tempo correre in officina e metterle a posto. Invece, tu hai voluto adattarti agli altri, e in officina, siccome non c'era... a un dato momento non ci si accorgeva passando in fretta e furia, il tavolo è uscito dall'officina che non era giusto, dalla falegnameria, no, che non era all'altezza giusta. Buttato in campo apostolico il tavolo viene scartato! Non so se è sufficiente il paragone o se bisogna spiegarlo. Guardate che, per conto mio, è un grave, un grave pericolo anche questo; cioè: che ci si adatti ad una mediocrità.

MO274,7 [15-04-69]

7.Per esempio, abbiamo detto: in casa nostra non si deve criticare. Monsignor Luna, quando è andato in Zacapa, vi ricordate bene, ha preso i sei preti che c'erano: "Volete rimanere con me, primo? Volete andarvene via? Andate via! Se rimanete con me: sospeso "a divinis" uno solo che critica dietro alle spalle. Se abbiamo qualcosa ce lo diciamo in faccia". Abbiamo detto, molti anni fa: una delle cose essenziali della nostra Comunità deve essere questa: non si dice mai dietro alle spalle qualche cosa. Se abbiamo da dire ce lo diciamo in faccia. Ma questa prerogativa fa parte della misura. Se una nostra Comunità non ha tutte le gambe alte così, viene scartata la Comunità, non è più la Comunità che Cristo vuole. E perciò, guardate che viene scartata. Non compirà il bene che deve compiere. Una delle prime cose è: in casa nostra non ci deve essere mormorazione e critica di nessuna sorte. Questo vuol dire allora chiudere la bocca? Nossignori, nossignori! Guardare il disegno e vedere se si è alti come il disegno, vedere se c'è qualche cosa da dire anche su un tavolo vicino, e andare dal capofficina e dire: "Guardi, scusi, ma mi pare che el tavolo sia 5 cm. più basso". Questo è un dovere, non una critica. La critica è quando ci si mette: "Guarda qua... guarda là...", e ci si mette così, tanto per buttarla... Ma un fratello che prende un fratello e che dice: "Guarda, me pare che Adriano cantando el gapia stonà. Proviamo a sentire un po', e ascoltiamo...”. "Sì, ciò!". "Fratello, guarda che tu stoni quando canti. Forse rendi più gloria a Dio tacere quando cantano gli altri, altrimenti rovini tutto". Questa è carità! Questo è un dovere di coscienza; uno che non lo fa, manca di carità, e il Signore chiede conto a chi ha mancato di carità.

MO274,8 [15-04-69]

8.Ora, vedete, la critica è una cosa; la correzione fraterna, la collaborazione fraterna perché siano eseguiti bene, vero, questi tavoli, questo è un dovere. Nessuno vi chiude la bocca, anzi vi dico, vi dico... vi rimprovero perché non aprite la bocca, perché non andate dai superiori, perché non andate dai confratelli, perché non siete animati, cioè preoccupati di... di creare l'ambiente, di aiutare l'ambiente a crescere così. Si tratta solo di come si deve vedere le cose, no? Tu hai la grazia, ti dico, la grazia che vedi, che senti le note stonate: ma ringrazia Dio! Ci sono alcuni: "Ma quello l'è un brontolon!". No! Quello può darsi che abbia la grazia di sentire le note stonate, di vedere le cose che non vanno. Ma ringraziamo il Signore che almeno qualcuno le veda. Però, disgraziato se quello va in giro fuori nella strada a dire che qua si stona e non aiuta invece ad incordarsi l'organo o l'harmonium o quello che sarà, in casa. È l'altra cosa che è condannata, cioè quella di andare in giro per la strada a dire queste cose, ma quello di dirle, questo è una grazia di Dio, meravigliosa grazia di Dio! È l'ufficio tecnico. Vorrei dire, sono quei tecnici che Dio ha messo nello stabilimento, che vedono, che sanno organizzare, che fanno andare avanti. Quei tali che vedono le cose e che son spinti alla critica, se entra in loro la carità sono domani i direttori meravigliosi di quello che può essere una casa di formazione, una parrocchia, di una organizzazione. Di solito sono i migliori questi per organizzare perché le vedono le cose. Ma il veleno tremendo è lì: se loro si fermano a vederle e a criticarle e non collaborano per andare avanti. Perciò direi, ecco, una delle prime cose, una delle prime cose è questa: che se vogliamo che le tre gambe stiano proprio in equilibrio giusto bisogna che ognuno si preoccupi di aiutare il fratello. E perciò questo, mentre io ho il dovere di dare il buon esempio, ho il diritto anche che il mio fratello me lo dia il buon esempio; ma se io me ne accorgo che il mio fratello non mi dà il buon esempio, devo aiutare il fratello, con carità, con fraternità, devo aiutare il fratello ad equilibrarsi. Ma sempre a equilibrarsi non fra noi, non fra noi, sempre rivolgendosi un pochino a quello che è il disegno, perché può darsi che ci sia... tutta quanta la musica sia calata di un'ottava. È vero che c'è l'armonia, ma siamo calati di un'ottava. E quando ci metteremo insieme, vero, queste cornette, che sono un'ottava più bassa, insieme con l'altra... musica, non va, vero...

MO274,9 [15-04-69]

9.Adesso entro in un campo che non è il mio, ma capite chiaro che se io prendo questo pezzo e... suonato dalle cornette, che va molto bene, lo metto insieme con i tamburi e con le trombe e con i clarini un'ottava diversa, benissimo! Ma se invece che essere un'ottava xe mesa ottava xe pexo che pexo, vero? Se fosse un'ottava, ancora in qualche modo se balla; ma con mesa ottava non so... Musici, per carità, non stè dirme su! Attenti... Sempre ancora... Speta ca varda.... go segnà qualcosetta qua.... Riguardo sempre a questo qui della Comunità, della Comunità, e cioè dell'obbligo che abbiamo un pochino di essere come ci vuole, io vorrei un pochino adesso sentire qualcuno di voi, dato che questa mattina è meglio... dopo cominceremo st'altra volta caso mai a leggere le delibere. Secondo voi, se c'è qualche cosa, vero, così fraternamente, che si potrebbe rimediare, qualcosa che stona un pochino. Cosa vi pare? Vi dispiace, un pochino? Adesso, io ho dato un'idea un po' buttata lì in fretta e furia. Ma se c'è qualcosa... Voi capite chiaramente che abbiamo il dovere dinanzi a Dio di portare delle Comunità che siano armonicamente proprio sincronizzate con Dio, sincronizzate con gli uomini, per ciò che... proprio, diano proprio la testimonianza comunitaria della carità. Va bene! Per arrivare a questo c'è una strada lunga da fare. Ci possono essere delle difficoltà, no, difficoltà che provengono da me, che dipendono da voi, eccetera. Ora, siamo qui dinanzi a Gesù, abbiamo ricevuto la comunione da poco, perciò l'abbiamo dentro di noi il Signore. Vi pare che ci sia qualche cosa da dire a questo riguardo? Se qualcuno vuol prendere la parola qui... Spirito Santo... nessun che gapia carismi speciali? Tu, Girolamo? Tu, Girolamo? Vinicio? Parla più forte un po'... VINICIO: “Tutto perfetto certo non è. Naturalmente io non so se... per lo meno sotto l'aspetto pratiche di pietà, l'aspetto spirituale, non so se uno vada o non vada dal padre spirituale. Posso dire che ci sono, che abbiamo parecchie imperfezioni che possono toccare, non so, la povertà, per esempio, l'obbedienza... che ho visto o sentito dire, insomma, ecco. Adesso bisognerebbe fare una casistica... qualcosa da fare c'è senz'altro, insomma... Non so io... il silenzio in camerata, l'orario... non so... Certe disposizioni che vengono date, ma non vengono osservate”.

MO274,10 [15-04-69]

10.Per esempio, scusa, riguardo a queste piccole cose, che non sono piccole, sono piccole in se stesse, vero, vedete: rientrano in quello che è lo spirito di penitenza. Una delle prime cose che si deve fare è un po' di penitenza. Ora, penitenze straordinarie noi non ne facciamo; non c'è questione di digiuno, non c'è questione di grandi penitenze. Ma, per amore del Signore ci sono queste piccole penitenze che il Signore ci chiede. Allora scusa, se vogliamo che le tre gambe siano... bisognerebbe che questa piccola penitenza fosse fatta da tutti. Si stabilisce, per esempio, alla sera silenzio. Va bene, stabiliamo alle dieci e mezza, stabiliamo alle undici, stabiliamo a mezzanotte... ma stabilito un po' insieme l'orario, quella deve essere l'ora, quello dev'essere silenzio... "Ma...". Vedete, una piccola cosa può essere anche cambiata, pol diventare una dissonanza... Ma se queste dissonanze sono continue, le xe stonature, vero? VINICIO: “Infatti, don Ottorino, mi riservavo per una domenica pomeriggio di tirar fuori un po' l'argomento. È povertà? Non so... Ma quante volte abbiamo detto: "Rispettate le cose degli altri, rispettate - don Ottorino scusi - gli attrezzi". Lei lo sa bene. Sarà il mio... il mio pallino, ma d'altra parte sono responsabile. Invariabilmente, immancabilmente, quotidianamente continuano a sparire robe di qua e di là, eccetera, e non tornano; o se tornano alla chetichella, rotte, compagnia bella! Queste cose, insomma, che non... Non so se mi spiego, ecco. Quelli che ho vicino lo sanno bene... Mi riservavo appunto di tirar fuori il discorso, perché non è soltanto una cosa superficiale, questa qua, mi spiego? Non siamo mica bambini, vero; ormai siamo uomini, insomma, e certe cose non si possono più fare per conto mio. Non so se mi spiego. Dico, bisognerebbe scendere a casi, ma... Ecco, è un termometro per conto mio. Ha capito, don Ottorino?”. No, ecco, quello che io accennavo prima in forma generica è questo: il pericolo che ognuno faccia da sé. Avete capito? Che ognuno faccia, si faccia il suo disegno e faccia il suo, senza volerlo, la sua santità, ideata nel modo come crede: "Dinanzi a Dio me par de essere a posto, dinanzi qua...". Va avanti per la sua strada. Ciò, questo è un errore enorme, vero, questo è un errore enorme! Don GIUSEPPE RODIGHIERO: “Io vorrei dire a proposito di questo argomento che forse qualche volta la libertà che ci viene data e anche il senso di fiducia che ci viene dato permette, almeno a qualcuno di noi, di svolgere la sua vita in un ambito molto individuale. Fa bene... certe cose non le fa, a certe regole non bada, fa quello che vuole, praticamente... bene... fuori forse potrebbe esser peggio... Quindi rimane dentro nella nostra Famiglia perché, perché non va fuori; ma non perché partecipi della nostra Famiglia, perché faccia parte della Famiglia nostra, perché voglia assumersi lo spirito della Congregazione”. Ecco, guarda, ti dico subito, guarda, ho piacere che le abbia dette tu queste cose qua e mi hai risparmiato di dirle, e hanno più valore dette da te. Quando uno fosse fuori, anche un operaio, sarebbe talmente legato a un dovere, a un dovere... L'orario, alle 8 alla mattina, eccetera, qua e là... che insomma neanche passerebbe per la testa a questo operaio di dire: "Beh! Stamattina vado alle 8, vado alle 10! Xa che el lavoro che go da fare non l'è tanto importante, vado alle 9, vado alle 9". Ecco, per me, per esempio, è inconcepibile, è inconcepibile uno, per esempio, che di sua iniziativa una volta stia a casa un'ora di scuola, se è un teologo. Per me, è inconcepibile! Guardate, sono stato scolaro anch'io dodici anni, ma non son stato mai fuori, in dodici anni, un'ora di scuola senza permesso. E penso che anche don Giuseppe... Per noi era inconcepibile, perché era un dovere.

MO274,11 [15-04-69]

11.Come un operaio non può... Il professore Vicari, quando era professore al liceo, se rimaneva a casa una volta un'ora, telefonava al preside e diceva: "Guardi, mi capita così e così". Non lascia lì impiantata la scuola. Qual è il professore che lascia impiantata la scuola? Ora, come si può, per esempio, uno della vostra età dire: "Beh, mi ancò ghe xe canto, scuola in seminario, beh, mi ancò non son gnanca andà, non vò gnanca a scuola perché gnente se impara, gnente se fa!". Una volta iera... Ma è da matti, proprio, ma, ma... è inconcepibile! Noi che professiamo la santità, va ben, siamo peggio di quelli che non professano la santità. Quelli che non professano la santità sono ligi al loro dovere per paura, noi che non lasciamo la paura... diciamo: "Guarda, non ti mettiamo il carabiniere col fucile a spararti, però ti lasciamo Dio come testimone del tuo dovere". Allora tu, che hai Dio testimone del tuo dovere, sei giudice di te stesso e fai quello che ti pare e ti piace; l'altro, perché invece ha il padrone, allora quello deve fare. Eh ma scusa, allora gli altri hanno ragione di dire che "meglio andar preti per star ben". I ga ragion, i ga pienamente ragione: "Vanno preti perché... intanto i magna, i beve, i fa quel che i vole, vero, i fa quel che i vole". Eh, no! Devono vedere che noi siamo più, scusate la parola, più schiavi di un dovere di loro. Capite? Perché? Noi non abbiamo il padrone, ma abbiamo Dio, il quale ci domanda conto anche di un minuto, ci domanda conto anche di una piccola azione. E per amore di Dio, anche se ho una certa libertà, non devo fare un chilometro di più in macchina se lui non lo vuole, non devo bere un caffè di più se lui non lo vuole, non devo prendere un bicchiere d'acqua di più se lui non lo vuole. Il pericolo enorme è questo: che si va avanti così, si fa qua e là. Ma scusa, ma è la vita di Michelasso questa e allora non scocca la scintilla di Dio neanche per sogno! Ho piacere che l'abbia tirato fuori perché è questo il tema un po' che mi sta a cuore... Perché, cioè, noi abbiamo concesso una libertà, abbiamo tolta un pochino quell'impalcatura che è stata quella che ha condotto avanti la nostra formazione, ma... abbiamo tolta anche l'impalcatura... Però, fuori nel mondo, negli stabilimenti, diventa sempre più terribile questa impalcatura, perché andiamo verso l'automazione e perciò l'uomo diventa sempre più macchina: tantan, tantan; perciò è sempre più monotona la vita dell'operaio fuori. Va bene. L'abbiamo tolta un pochino questa, questa, vero, vorrei dire questa pesantezza, ma ciò, ma non abbiamo tolto il dovere, perché il dovere è quello, vero. Non abbiamo messo un carabiniere vicino alla gamba nel costruire, abbiamo detto: "Arrangiati a costruire il tavolino", ma il tavolino deve venire fuori. Adesso, che ci sia uno che vi prende a pugni per fare un tavolino, o che ci fidiamo e ve lo facciamo fare a domicilio... Ma resta che all'ora giusta il Signore vien a prendere il tavolino con le tre gambe giuste, vero.

MO274,12 [15-04-69]

12.Ecco, ed è appunto questo quello che mi fa soffrire tanto. Perché qualche volta mi son domandato: "Ho lasciato troppo... ho data troppa fiducia? Va bene? Ho mancato forse perché son stato troppo duro? O...". Son domande che mi faccio. Però, guardando in se stesso, io vedo che queste piccole cose non si danno al Signore. Guardate che il Signore di Santa Teresina del Bambino Gesù, che offriva le piccole cose, è anche quello di oggi. Le nostre buone mamme, nel loro piccolo mondo familiare, guardate che sono maestre su questo punto qua: "Eh, sa, me also presto mi, andar a scoltar la Messa... Sa faccio questo...". Se lo fanno loro l'orario, ma vedi che non mancano al loro dovere, e hanno uno spirito di sacrificio che è meraviglioso, nelle nostre case. Ora, ecco, guardate che quello... quando che accennavo prima, volevo alludere a questo: quando che ognuno stabilisce la sua, la sua, sa, vita e... insomma allora a un dato momento guardate che la Casa dell'Immacolata diventa un albergo, vero. E per qualcuno che è qui presente la casa è un albergo. Adesso scusate, ma io potrei dire... per qualcuno è un albergo dove si cerca la correttezza, si cerca di non metter ... andare con le scarpe sporche nei tappeti... Ma, insomma, dove però si va, si mangia, si fa, e dopo ognuno va per conto suo. Eh, no! Non si può far un albergo della Casa dell'Immacolata. Dico male? MARIO CORATO: “Me accorxo di questo tipo, sì... che qualche volta si crede un po', non so, in un albergo oppure... un lavoro che si fa... Porto un esempio, forse se capise mejo. A proposito dei telefoni. Qualche volta capita, uno ha finito l'orario dei telefoni: "Io devo stare al telefono fino alle 10". Alle 10 quello parte e va via; non si preoccupa se è arrivato l'altro, non si preoccupa... Non si può fare una cosa, mi sembra, una cosa così, perché, insomma... è casa nostra o non è casa nostra? Perché... devo interessarmi almeno che venga l'altro, devo interessarmi... Non è tanto il fatto in sè, che è già una cosa che se capita fuori in qualche ufficio è una cosa che, non so... ma il fatto che dice: insomma sei di casa o non sei di casa? Ti interessa che... quello che arriva... ricevere una persona, ricevere una telefonata urgente. Queste cose... può essere anche...”. Sì, sì, ce ne son tante cose di questo genere qui dove, vero: "Io? Io ho fatto! I me ga dito de star fino alle 10? E allora mi alle 10 vado via! Me interessa mi! Tanto che i se rangia! Non ga da vegner quell'altro?". Ci manca qualche cosa, insomma. Lì il Signore che è presente dice proprio di andar via? Va bene, tu con carità dirai all'altro: "Perché vieni sempre in ritardo?"; ecco, aiutare l'altro ad essere gamba giusta. Ma tu non puoi abbandonare il tavolo perché l'altro arriva... "Butta! Rabalta tutto! Me interessa mi!". Questo, se lo fai fuori, lo fai in un ufficio pubblico, ti licenziano. Vinicio? O per lo meno i tin dà quattro che non te ghe gnanca l'idea... perché uno non può fuori, in un ufficio pubblico, dire: "Beh, non è mio orario". "Ma c'era l'altro che ti sostituiva?". "No! Mi son andà via". Prova fuori in uno stabilimento far una roba così, nei turni, eccetera. Non so tu che te ne intendi... Don GUIDO MASSIGNAN: “A proposito di questo spirito di amore, mi ha colpito moltissimo... Durante la settimana santa sono andato a Sandrigo, e ho trovato lì un sacerdote indiano che studia a Roma e che a Natale e Pasqua viene a confessare qua... È di rito malabarico, quello là di San Tommaso... E mi diceva che loro, per esempio, non hanno nessuna legge che li obbliga sotto pena di peccato grave, parlo delle leggi umane, ecclesiastiche, eccetera. Per esempio, noi abbiamo il dovere, sotto pena di peccato grave, di dire il breviario, loro no, possono anche non dirlo, ma tutti lo dicono. Perché? Per amore! Se si ama non c'è bisogno di imporre una cosa. Mi pare che noi abbiamo cercato qui di fare con questo spirito, di vivere la nostra vita religiosa. Si potrebbe mettere dei carabinieri... mettere delle norme più ferme, essere più rigidi e più rigorosi... ma...”.

MO274,13 [15-04-69]

13.Per me, per esempio, è stata una cosa dolorosissima sentire, per esempio, qualche mese fa che in stanza si chiaccherava, nelle stanze di sopra si chiaccherava. Per me è stata una cosa... Guardate che ho sentito no da Berto che mi abbia parlato di Francesco, l'ho sentito da Francesco che a lui ha detto parlando di....: "Noi chiaccheriamo". Perciò non è stato uno che l'abbia detto dell'altro... Per me è stata... Sa, sarò stato ingenuo, ma... Quando eravamo in principio, una delle cose che io battevo con i nostri giovani era il dovere per amore del Signore, e basta! Per cui quando che veniva qui monsignor Caliaro - vi ricordate? - veniva dentro e dopo el ghin parlava continuamente in seminario... Veniva in studio: "Li go trovà in studio, fanno silenzio". Si andava fuori dalla porta... Una delle cose che venivano inculcate ai ragazzi: il dovere è dovere; se il Signore ti ha domandato questo... È troppo pesante? Diminuiamolo, ma quello che diciamo di dare al Signore, diamolo interamente al Signore. Perciò, uno non andava fuori dallo studio senza il permesso, senza avvisare il compagno che era più vecchio o avvisare... Ma... in studio... Ti ricordi, don Guido, il primo tempo che proprio monsignor Caliaro veniva e poi ne parlava continuamente in seminario, diceva: "Guarda, si va là, qualunque momento, qualunque ora, tu vedi che sono in silenzio da soli, anche se non c'è l'assistente, se non c'è uno che li custodisce". Una cosa inconcepibile in seminario! Si era inculcato questo pensiero. Ora, quando io vi ho mandato a dormire di sopra, a tre a tre, eccetera, io non son mai venuto una volta in tutti questi anni, vi dico, mai una volta ad ascoltare. Perché? Perché, scusatemi, non mi passava neanche per la testa pensare che un giovane a cui do fiducia, va bene, do fiducia, poi non sia ossequiente... Ma, scusa, per esempio, fossi stato in seminario e avessero detto: "Guarda, va' in camera; però dopo le dieci non si esce di camera". Ma, scusate, ma, perché? Io fossi uscito una volta dopo le dieci dalla camera senza permesso, non sarei... avrei sentito dentro di me che non sarei stato più degno del seminario, mi sarei vergognato restare in seminario. Ma, scusa, se il seminario mi dà fiducia, dice: "Guarda, tu fino alle dieci puoi andare dove che vuoi. Alle dieci devi stare in camera". Ma se io vado in camera alle dieci e un minuto, vado dal superiore e dico: "Guarda, ieri sera go sbaglià. Perché mi è capitato di andare al gabinetto; gera occupà e ho dovuto aspettare". Se non faccio questo, io... a me pare che... insomma, ho mancato; ho promesso una cosa, e non l'ho fatta, al Signore.

MO274,14 [15-04-69]

14.Perciò dico, guardate... Ogni tanto... Mi è capitata questa qua della stanza, e io non ho mai controllato e non verrò a controllare perché mi sarebbe umiliante controllare. E anche vi dico... penso che è una cosa, è inconcepibile per me una cosa... Se è stabilito che tu non devi... per esempio, in seminario, non devi andare fuori in città dalle dieci alle dieci e mezza o dalle dieci e mezza alle undici. Ma, perché vai? Se è stabilito di no, non si va! E per andare ci vuole il permesso. E io penso di domandare il permesso. Non è indagare chi va e chi non va. Dico: non son degni... quelli, non son degni di stare nella Casa dell'Immacolata... non... non... Perché domani, domani... oggi fai questo, domani ne farai un'altra... Al Signore dai quello che vuoi, insomma. Io non voglio domandarvi se ve compràrve i giornai, comprarve le riviste; lo sapete che non lo potete. Io non vengo vedere che libri che avete in studio, che libri che avete in stanza, se vi portate in stanza le bottiglie... Io non son mai venuto a fare inquisizioni. Però, voi sapete che avete un dovere, e alla fine, facendo l'esame di coscienza, dovete dire: "No, io non sono degno di questa casa perché io non faccio il mio dovere". Dovete essere voi i giudici! Voi che dovete dire al Signore: "No, questo ...io insomma sto conducendo per il naso il Signore!"... Perché guardate che domani sarete dei parassiti nella Congregazione, guardate che sarete quelli che frenate la Congregazione. Meglio fare cinque tavoli fatti bene, piuttosto che mandar via cinquanta tavoli e dopo continuano a mandarmeli a casa perché non vanno bene. Meglio dieci motori che funzionano, che mandar via mille motori che dopo te li mandano di ritorno perché riscaldano, eccetera. Vardè che non è mica... domani la Casa dell'Immacolata non deve essere mica un ufficio di riparazione degli uomini, perché uno el ga la morosa e bisogna che i lo manda di ritorno, un altro perché baruffa bisogna che i lo manda de ritorno, un altro perché... questo i lo manda de ritorno... Ci capiamo ben, anche perché, sa... Siamo d'accordo? E guardate che se non siete fedeli a queste piccole cose, voi siete destinati entro qualche anno a... o partire ed andar in qualche altra parte, o venire mandati a casa come... un ufficio recuperi. E guardate, è inevitabile! Perché se non siete fedeli nel dare al Signore queste piccole cose, domani cominceranno piovar lettere dai superiori del posto: "Ma, insomma, quello là el fa quel che el vole; quell'altro... sì, va ben, el lavora, ma el fa quel che el vole, el va dove che el vole, el crea quel che el vole, el se ga creà el suo piccolo mondo, mi non lo voio, mi non lo voio!". E già abbiamo parecchi, vero, parecchi nomi, dico parecchi nomi, che dovrebbero mettersi nell'ufficio recuperi, perché uno non lo vole: "Questo non lo vui, questo non lo vui!"... Parliamoci chiari! E allora devo dire a don Aldo: "Porta pazienza"; devo dire a don Flavio: "Porta pazienza"; devo dire a don Marcello: "Porta pazienza", eccetera, "et ita porro". State attenti, perché il male non è delle robe grandi; è in queste piccole cose. O voi siete fedeli in queste piccole cose, e allora state sicuri, siete in grado di coprire qualsiasi carica nella Congregazione perché siete strumenti nelle mani di Dio, altrimenti sarete un peso per voi e per gli altri, e così sia!