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LA VITA RELIGIOSA È VITA DI COMUNIONE CON DIO E CON I FRATELLI

MI293 [04-02-1970]

4 febbraio 1970

Nella Casa dell’Immacolata c’era l’abitudine ogni mattina di fare alcuni minuti di corsa e di esercizi fisici per ossigenare i polmoni e anche per disporsi meglio all’ascolto della meditazione. A volte, a causa del maltempo, ciò non era possibile.

Don Ottorino inizia in forma scherzosa, nominando subito don Girolamo Venco, che era alto di statura, e Marco Pinton, che era piuttosto gracile e mingherlino.

Nel testo registrato don Ottorino usa una espressione latina, reminiscenza di antiche formule giuridiche.

Don Ottorino continua con il suo parlare scherzoso perché Mariano Apostoli era di costituzione robusta mentre Giampietro Fabris era magro.

Anche in questo caso don Ottorino usa una espressione latina del linguaggio religioso, tipica per concludere un discorso.

Il diacono Vinicio Picco era il responsabile del laboratorio di meccanica e, allo stesso tempo, insegnante di tecnologia nel corso di magistero.

L’allusione è a Benito Mussolini, duce d’Italia, che fondò il suo movimento politico sul principio del “fascio”. Nell’esempio don Ottorino sembra quasi interpellare Giorgio Girolimetto, che aveva studiato filosofia a Roma.

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1. Sia lodato Gesù Cristo!
Stamattina mi è venuta in mente una riflessione, che potrebbe introdurmi nella meditazione e servire un pochino a sostituire quei due o tre minuti che si passano di solito in cortile, prima di entrare in chiesa, per svegliarsi del tutto e non dormire durante la meditazione. Voi sapete che nel mondo gli uomini non sono uguali in tutto, altrimenti non si potrebbe distinguere Venco da Marco. “Venco... Venco”; tutti si chiamerebbero “don Girolamo” e nessuno saprebbe chi sia veramente il chiamato. Allora si dovrebbe dire: “Girolamo, figlio di Giuseppe, figlio di Pietro, figlio di Giovanni”, oppure: “Girolamo III, Girolamo IV, Antonio XXIV... bisognerebbe addirittura mettere un numero sulla fronte di ciascuno. Il Signore ci ha fatti uno grosso e l'altro sottile, uno magro come Mariano Apostoli, l'altro grasso come Fabris e via discorrendo. Così ci ha fatti il Signore. Ed infatti “con legge alterna il mondo si governa”. Questo si può dire per le fattezze fisiche, ma anche e specialmente per la nostra forma interna, il nostro carattere, il nostro modo di pensare. Vogliamo pavimentare il cortile? Uno lo vuole con asfalto, l'altro in porfido. Gusti diversi! In giardino i giardinieri litigano: uno vuole le rose, uno i garofani, uno i gelsomini, uno le viole. Eppure tutti vogliamo cose buone, cose belle. E quando è ora di mangiare uno vuole frittelle, uno crostoli, uno il “bordeaux”, l'altro lo “champagne”, e così via. Gusti diversi! E tutto ciò per arrivare alla stessa meta, “alla vita eterna. Amen”. Il Signore ci ha chiamati a collaborare e a lavorare insieme, ed ha chiamato l'uomo grosso e l'uomo piccolo, quello alto e quello basso, chi con un carattere e chi con un altro... però dobbiamo stare insieme, fusi dalla stessa carità, dallo stesso amore verso Dio e verso i fratelli. Per poter realizzare questa carità, per poter lavorare insieme, bisogna anche stare un po’ insieme, altrimenti, a un dato momento, poiché siamo tutti diversi per carattere e naturalmente, forse, non portati alla convergenza, che cosa succede? Se non si sta insieme, a un dato momento, le linee di lavoro diventano divergenti, e voi che sapete di geometria e di matematica capite che due linee divergenti, per quanto piccolo sia l'angolo da esse formato, non si incontreranno mai, anzi si allontaneranno tra loro sempre più con il passare del tempo. Non si può dire che il tempo le avvicinerà, perché il tempo le allontanerà; per quanto piccola sia la divergenza, il tempo le allontanerà. Per questo bisogna stare insieme, bisogna essere legati insieme. Legando insieme due verghe di acciaio, direbbe il nostro maestro Vinicio , anche se sono un po' divergenti, stanno unite; anche se hanno un po' di divergenza, poiché tutti abbiamo un po’ di flessibilità, legate insieme restano unite. Se invece si lasciano andare lunghe lunghe, non è possibile poi legarle insieme mettendoci attorno una cordicella. Ma se vengono legate subito, piano piano, e si continua a legarle, restano strette insieme, se non fuse, o per lo meno si farà il “fascio”, come diceva quel tale di felice memoria. Non è vero, Giorgio? Il quale affermava che una piccola verga si rompe, ma tante verghe di legno legate insieme non si rompono perché formano un fascio: un fascio di verghe, un fascio di uomini o di qualsiasi altro genere. Dove andiamo a finire con il discorso? A questo!

MONDO

DIO creatore

DOTI UMANE personalità

COMUNITÀ

uniti nella diversità

DIO amore a Dio

COMUNITÀ

unità

nella carità

L’espressione povero prete è usata spesso da don Ottorino per indicare se stesso. Pia è evidentemente l’abbreviazione di Pia Società San Gaetano. Sotto il palco è in riferimento all’umile inizio dell’Opera, cominciata il 24 maggio 1941 sotto il palco del teatro parrocchiale di Araceli (VI) dove don Ottorino era vicario coadiutore.

L’espressione biblica è di Qohelet 4,10 e don Ottorino la pronuncia in latino. Poi continua con una frase scherzosa nei riguardi dei filosofi: “Mi pare che sia la Sacra Scrittura; che ne dite, voi filosofi? Perché adesso la filosofia si intromette anche tra le pietanze in refettorio, tra i piatti di polenta, eccetera”.

Il riferimento è a Gen 2,18.

Don Aldo si è unito definitivamente a don Ottorino, lasciando la parrocchia cittadina di San Marco (VI) dove era vicario coadiutore, nel settembre del 1944.

Don Ottorino è sempre plastico nei suoi esempi, e in questo è evidente l’esagerazione per rendere l’idea della diversità. Antonio Pernigotto lavorava nella colonia agricola di Grumolo delle Abbadesse (VI) ed era di corporatura robusta, mentre Raffaele Testolin era uno studente dal fisico snello ed agile.

Il riferimento è a Ugo Gandelli, che è originario di Lodi (MI).

Il riferimento è a Giorgio De Antoni, allievo del 1° anno del corso teologico, nipote di don Aldo.

Don Ottorino si riferisce alla prolungata assenza di don Aldo da Vicenza, perché si trovava in Brasile con don Giuseppe Rodighiero per un corso di preparazione al diaconato permanente con i confratelli non sacerdoti dell’America Latina.

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2. Quando quel povero prete, di felice o infelice memoria, ha incominciato la “Pia” sotto il palco era solo. Voi direte: “Meglio soli che male accompagnati!”. Eh, no! “Guai a chi è solo!”, dice la Sacra Scrittura. E allora, che cosa abbiamo fatto? Abbiamo cercato un compagno, un “aiuto simile a lui”, come dice la Sacra Scrittura. L'abbiamo trovato in don Aldo che è venuto, e da buoni fratelli abbiamo incominciato a lavorare insieme.
Per il noto principio che non siamo tutti uguali, anche se vogliamo andare tutti allo stesso posto, voi capite che appaiono le differenze. Se organizziamo una corsa e, per esempio, Antonio Pernigotto sfida nella corsa un bravo corridore come Raffaele, è logico che se anche Antonio partisse a metà cortile e Raffaele dal fondo, a due terzi del cortile verrebbe sorpassato dall'altro perché Raffaele ha le gambette da capriolo e Antonio le gambe da bue. Che volete? È abituato ad abitare in campagna. Siamo partiti ambedue con l'intenzione di andare allo stesso posto, di farci santi: siamo entrati in seminario con la stessa intenzione di farci santi, ci siamo tuffati in quest'opera con l'intenzione di farci santi, però siamo uomini diversi, e non c'è da meravigliarsene, diversi l'uno dall'altro, diversi perciò nel modo di vedere le cose, di giudicare... Si tratta di fare una gita? Uno dice: “Io la farei fino a Grumolo”, l'altro: “No, io la farei fino a Lodi”, vero, Ugo? Dov'è il nostro Ugo Gandelli? Diversità di vedute! Allora si discute insieme e poi... si mandano tutti e due al Cottolengo ed è risolto il problema. Che volete? Sono modi diversi di vedere, ma tutti e due cercano la stessa cosa, anche se uno la vede sotto un punto di vista e l'altro sotto un altro. Ci si mette d'accordo e si va a finire così. Parlo male, Giorgio? Che poi tu non vada a dire a don Aldo che parlo male di lui; anzi ne parlo bene. Non è giusto? Siamo due caratteri diversi. Fin dall'inizio ho pensato: come si fa? Qui bisogna lavorare insieme e da buoni fratelli; il Signore ha chiamato me e anche lui, anzi me lo sono scelto io perché, quando si è trattato di scegliere, c'erano cinque sacerdoti che volevano venire con me; ho dato uno sguardo alle loro doti e ho detto al vescovo: “Eccellenza, io sceglierei questo!”. Se dovessi scegliere adesso sceglierei ancora don Aldo, non avrei neanche un centesimo, un milionesimo di dubbio: sceglierei don Aldo. E ringrazio il Signore tutti i giorni per avermi dato don Aldo. Voglio tanto bene a don Aldo, e vi assicuro che parecchi giorni prima che partisse sentivo il forte dispiacere della sua partenza, il suo vuoto.

AUTOBIOGRAFIA Araceli

CONGREGAZIONE storia

CONGREGAZIONE sottopalco

COMUNITÀ

uniti nella diversità

CONSACRAZIONE santità

COMUNITÀ

fraternità

Nel testo registrato don Ottorino usa molto in questo esempio le espressioni “di qua... di là” perché così si diceva alla Casa dell’Immacolata per indicare l’Istituto San Gaetano, dove era direttore in quel tempo don Aldo, e viceversa.

Inizialmente l’attività principale era quella dell’Istituto San Gaetano, che è stato un po’ la culla della Congregazione.

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3. Lavorando insieme bisogna anche stare insieme. Non basta dire: “Io lavoro alla Casa dell’Immacolata e tu lavori all’Istituto, lavoriamo per lo stesso scopo”. No, bisogna anche trovare il modo di stare insieme e di incontrarci perché, altrimenti, i caratteri diversi - e non c'è da meravigliarsi, perché siamo tutti diversi l'uno dall'altro - piano piano, senza accorgercene, ci porteranno su due linee divergenti. Per cui a un certo momento lui e quelli dell’Istituto guarderanno la Casa dell’Immacolata e diranno: “Quanto è lontana quella linea!”, e noi, osservando la nostra linea e quella loro, diremo: “Com'è lontana quella linea!”, senza sapere che gli uni e gli altri sbagliamo, perché il punto giusto è quello in mezzo. È chiaro? Se siamo divergenti, il punto esatto di convergenza sta nel mezzo, perciò non ha ragione né l'uno né l'altro. Invece, se camminiamo insieme e ci scambiamo insieme le nostre idee, ogni giorno mettiamo un piccolo filo e allora queste due verghe, direbbe il nostro maestro Vinicio, legate giorno per giorno insieme non presentano tanta resistenza e si va avanti in “fascio”, come dice il nostro caro Giorgio.
Il segreto è stato questo: avere trovato il modo di incontrarci ogni giorno. Abbiamo incominciato con un incontro settimanale, ma era troppo poco. Allora, fin dal principio, abbiamo stabilito di trovarci insieme ogni giorno e di fare ogni tanto qualche uscita insieme per trattare i nostri problemi. Nei primi tempi ci assentavamo ogni anno di casa per otto o dieci giorni - i più vecchi se lo ricordano bene - dopo Natale, di solito durante il tempo dell'Epifania, e così si cercava di vedere le cose un po' da lontano, fuori dal proprio ambiente, di vedere la Congregazione o meglio, allora, l'Istituto sotto una luce che non fosse quella condizionata dagli avvenimenti della giornata. Per non essere influenzati dall'ambiente andavamo fuori, e facevamo un po' di esame davanti a Dio di tutto quello che si stava facendo. Il grande segreto di questa fraternità, mi pare, pur essendo noi due di carattere diverso, e non fate torto né a me né a don Aldo se dite che siamo diversi, è stato proprio l'incontro quotidiano. A primo avviso si potrebbe dire: “Perché ogni mattina, verso le nove, don Ottorino va da don Aldo o don Aldo viene qui da don Ottorino, e si incontrano insieme per dieci minuti, un quarto d'ora, un'ora, un'ora e mezzo? Perché?”. Sappiate che quel tempo non è rubato alla Congregazione, ma è ossigeno per la Congregazione, perché in quel momento noi avvolgiamo quel pezzetto di filo che tiene unite le verghe d'acciaio. Guardate dove siamo andati a finire!

COMUNITÀ

uniti nella diversità

COMUNITÀ

condivisione

COMUNITÀ

dialogo

CONGREGAZIONE storia

AUTOBIOGRAFIA Araceli

Don Ottorino usa spesso l’espressione fare quattro chiacchiere per indicare la necessità di dialogare familiarmente con Dio, allo scopo di sintonizzare le nostre scelte con la sua volontà. A volte usa il verso sintonizzarsi (mettersi sulla stessa lunghezza d’onda) e altre volte sincronizzarsi (muoversi allo stesso modo).

Si era nel periodo di carnevale, durante il quale nel Veneto c’è la tradizione di preparare le frittelle. Don Ottorino scherzando applica l’immagine a Dio, che vive nell’amore e nella festa, mentre noi possiamo divergere da lui.

Don Ottorino scherza con Ruggero Pinton, allievo dell’ultimo anno del corso teologico, per il suo atteggiamento devoto.

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4. Con Dio è la stessa cosa. Dio e noi: non possiamo dire che siamo linee convergenti, ma divergenti; solo che lui è la linea diritta, mentre siamo noi piuttosto quelli che divergono da lui. Infatti abbiamo una tale naturaccia che siamo portati a divergere da Dio. Io e don Aldo andavamo tutti e due un pochino di qua e un pochino di là e, a seconda che ci muovevamo, ci incrociavamo, come fanno talvolta le linee storte. Fra uomini è così. Non è vero, Marco? Non ti meravigli? Dio, invece, è un rettilineo, è un'autostrada diritta; siamo noi che andiamo a destra e a sinistra. E allora bisogna che ci incontriamo con Dio. Perché? Per fare insieme quattro chiacchiere su quello che stiamo facendo, per sincronizzarci con lui, per lavorare insieme.
Stiamo per affrontare un tema, e lo affronteremo un po' in fretta, il cui argomento ha questa premessa: le pratiche di pietà nella nostra Famiglia religiosa. Si può dire che le pratiche di pietà hanno come loro fondamento proprio questo: lo stare insieme con Dio per lavorare insieme. E giusto? Dico male, don Girolamo? Bisogna che stiamo insieme con Dio per potere lavorare insieme, altrimenti succede che don Aldo va per conto suo e l'Istituto San Gaetano è una cosa bella e santa, e don Ottorino va per conto suo e la Casa dell'Immacolata è una cosa bella e santa... ma, ad un dato momento, si creano due, tre, quattro Congregazioni. Allora Dio va avanti per conto suo: Padre, Figlio e Spirito santo se la fanno e se la godono, fanno le frittelle, le mangiano e bevono... e noi ce ne andiamo per conto nostro. A un dato momento, quando è l'ora di vivere insieme per sempre in cielo, bisogna fare due Paradisi perché non ci conosciamo più. Poiché la Congregazione è di Dio, don Aldo non poteva farne una per conto suo e neppure io una per conto mio, ma tutti e due dovevano cercare insieme la linea di Dio: non quella sua o quella mia. E chiaro? Siccome l'opera dell'evangelizzazione del mondo non è nostra, ma di Dio, non si può, caro Ruggero che mi guardi con un occhio languido da santucciarella addormentata - chissà a che ora sei andato a letto ieri sera, figliolo! - non si può assolutamente dire: “Io faccio una Congregazione per conto mio, cioè faccio quello che mi pare sia bene si faccia”, perché tu devi fare quello che Dio vuole da te, e le tue decisioni devi prenderle soltanto davanti al Signore.

DIO

DIO rapporto personale

VOLONTÀ

di DIO ricerca della...

PREGHIERA pratiche di pietà

COMUNITÀ

unità

nella carità

DIO Padre

DIO Figlio

DIO Spirito Santo

NOVISSIMI eternità

Il riferimento è al quartiere di Rio de Janeiro (Brasile) dove aveva sede all’epoca la nunziatura apostolica, sulla strada che conduce al Cristo del Corcovado. Don Ottorino si sforza di pronunciare il nome in portoghese, ma alla fine lo pronuncia in spagnolo. Nella nunziatura apostolica, allora retta dal vicentino S. E. mons. Sebastiano Baggio, era stato ospite insieme con don Aldo nel suo secondo viaggio in America Latina.

MI293,5 [04-02-1970]

5. Quante volte capita che, nel ritiro della tua stanza, ti prepari una bella lista di cose che vuoi fare e la metti là, la prendi in mano la mattina dopo dinanzi al Signore, in chiesa, la esamini e vedi che quelle cose bisogna cancellarle quasi tutte e devi farne un'altra differente. Infatti t'accorgi che la sera precedente esse avevano un colore e che al mattino ne hanno un altro; t'accorgi che, viste in mezzo al lavoro, avevano un aspetto, mentre davanti al tabernacolo ne hanno un altro; fuori di chiesa sembravano importanti e necessarie, ma dopo una notte, dopo una Messa, dopo una comunione non sembrano più strettamente necessarie: molte erano forse capricciose o frutto di una passione o di un'idea passeggera e momentanea.
La nostra preghiera deve veramente sincronizzarci con Nostro Signore, deve stringere la nostra amicizia con lui. E questo particolare, sul quale proprio insisto, vorrei sottolinearlo perché non solo nei nostri rapporti con Dio è necessario questo incontro pluriquotidiano, ma anche fra noi fratelli, un domani, nell'apostolato. Non è tempo perso quello che passiamo nel lavorare insieme, nel discutere insieme. Lo dicevo in America ai nostri fratelli. La prima cosa che mi ha fatto impressione a Rio de Janeiro, a Santa Teresita, alla nunziatura dove sono stato ospite per una settimana con don Aldo, è stata questa: ogni mattina il card. Baggio, allora nunzio apostolico, riuniva i suoi cinque segretari nel proprio ufficio. Loro chiamano questo incontro “congresso”, e lo fanno in ogni nunziatura da quanto mi hanno detto, durante il quale il nunzio distribuisce a ciascuno il proprio compito: “Nel lavoro di quest'oggi farete così; la situazione è questa, c'è da sbrigare quella pratica...”. In sostanza il nunzio metteva sul tavolo tutta la situazione e assegnava il lavoro della giornata. Era un po' la resa dei conti del giorno e la programmazione del lavoro del giorno: “Io faccio questo... tu fai quello... alle dieci tu hai finito il tuo lavoro e potresti fare quell'altro...”, e quindi ognuno si ritirava nel suo ufficio. Che bello trovarsi insieme, prendere insieme le responsabilità di tutto il lavoro, programmarlo insieme e poi tuffarvisi dentro, come se ognuno fosse solo! Questo sarebbe il sogno: trovarsi con il Signore per discutere il lavoro con lui; non solo, ma trovarsi anche tra noi, come fratelli, per discutere insieme. Quanto sarebbe bello se riuscissimo a trovare nelle nostre Comunità dieci minuti alla sera, prima di andare a letto, o al mattino o anche finché si mangia o dopo cena per dare un'occhiata alla nostra attività! Stiamo lavorando insieme. Questo è possibile, fratelli miei, soltanto se siamo spiritualizzati e uniti con il Signore.

VOLONTÀ

di DIO ricerca della...

EUCARISTIA tabernacolo

EUCARISTIA S.Messa

EUCARISTIA comunione

PREGHIERA

GESÙ

amico

DIO rapporto personale

COMUNITÀ

confratelli

COMUNITÀ

condivisione

COMUNITÀ

dialogo

AUTOBIOGRAFIA viaggi

CONGREGAZIONE storia

DOTI UMANE collaborazione

COMUNITÀ

Anche per questa meditazione don Ottorino si serve delle Note di spiritualità religiosa stese da don Matteo Pinton e pubblicate in Scritti ispirati da don Ottorino. Le citazioni, prese dalla pagina 188, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

A Grumolo delle Abbadesse (VI) la Congregazione aveva una colonia agricola, e Antonio Pernigotto, che aveva svolto il servizio militare nel corpo degli alpini, faceva parte di quella Comunità.

Il riferimento è alle delibere del 1° Capitolo generale, celebrato dal 7 al 16 settembre 1968.

Forse il riferimento è all’assistente Mario Zorzi, che però non era ancora diacono.

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6 Leggiamo adesso in fretta quello che ha scritto il nostro caro padre Matteo di felice memoria; adesso se ne è andato, perciò adesso sì è di felice memoria sul serio
«Il mio rapporto con Dio è legato anche a dei momenti particolari di preghiera personale e comunitaria, propri della nostra congregazione, che costituiscono il suo volto concreto di comunità prima di tutto orante». Noi siamo prima di tutto comunità e comunità che prega, unita con il Signore; in altre parole una comunità che si raduna, ma che si raduna prima di tutto con il padrone di casa. Altrimenti sarebbe come se coloro che hanno un po' in mano l'organizzazione dicessero: “Facciamo ogni giorno una riunione della famiglia, facciamola qui nella Casa dell'Immacolata, però non vogliamo che ci sia con noi don Ottorino: vogliamo fare da soli”. Allora, scusate, dite a don Ottorino che se ne vada a Grumolo. Che ne dici, Antonio? Facciamo là una comunità. Io posso fare il caporale, non voglio essere il sergente, ma sono sempre il caposquadra. Se volete buttar fuori il caposquadra, non potete fare comunità. Se cacciamo via il Signore dalle nostre riunioni, non si fa comunità; perciò la prima comunità si fa con il Signore. Quando nel Capitolo abbiamo detto che qualche pratica comunitaria di preghiera, limitata al minimo se volete, è necessaria, volevamo alludere specialmente a questo, alla riunione di tutta la famiglia con il suo caposquadra. Com'è bello vedere anche a Monterotondo i confratelli che si alzano un po' prima della Messa, recitano le lodi insieme e poi fanno la meditazione! Le vecchiette che vengono in chiesa, vedono questo gruppo di sacerdoti e di diaconi - Beh! Ce n'è uno solo un po' giovincello ancora, ma non importa - che sono insieme, che pregano insieme. Che bello! Danno proprio, vorrei dire, anche una testimonianza di quella unità, che è necessaria per lavorare per la salvezza delle anime. «Le mie pratiche di pietà sono veri momenti di incontro con Dio; la mia fedeltà ad esse è segno della mia donazione». Se io cominciassi a dire a don Aldo: “Ah, questa mattina non vengo da te!”, una mattina perché devo andare a Bassano, un'altra perché devo andare in un'altra parte, e insomma rimandassi, rimandassi, a un dato momento voi capite chiaramente che l'unità verrebbe meno. Invece si cerca di essere fedeli all'impegno preso, o per lo meno si dice: “Guarda che oggi non posso venire”. E la ragione è questa: o ci si riunisce o non ci si riunisce.

COMUNITÀ

PREGHIERA

COMUNITÀ

superiore

CONGREGAZIONE fondatore

CONGREGAZIONE Capitolo

PREGHIERA pratiche di pietà

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

CONGREGAZIONE storia

SACERDOZIO prete

DIACONATO diacono

COMUNITÀ

confratelli

COMUNITÀ

fraternità

COMUNITÀ

comunione

Don Ottorino si riferisce per il primo esempio allo sceneggiato televisivo ispirato al romanzo di Fedor Michajlovic Dostoievsky “I fratelli Karamanov”; per il secondo allude al film tratto dal libro di Georges Bernanos “I dialoghi delle carmelitane”.

Il riferimento è a Luigi De Franceschi, che all’epoca svolgeva il servizio di maestro delle cerimonie.

Don Ottorino insiste molto sull’idea: “Sono al mio posto?”, applicandola non solo nelle grandi scelte della vita, ma anche nelle piccole cose quotidiane.

Cfr. Mt 5,23-24.

MI293,7 [04-02-1970]

7. «Come vivo la celebrazione eucaristica?».
Eh, questo è il punto, questa è la prima riunione! Non basta chiedersi: come suono l'organo? Come canto? Come si svolgono le cerimonie? Tutte queste cose devono essere fatte bene, benissimo, ma prima di tutto devo chiedermi: come vivo la celebrazione eucaristica? Poco importerebbe che facessimo una bellissima cerimonia se si vedessero soltanto dei commedianti. Quando voi andate al cinema e vedete un attore che fa bene la sua parte, come quando vedevate quei famosi attori russi, il fratello frate, il fratello “menarrosto” e l'altro ancora “menarrosto”, sapevate già che erano attori; sapevate che quelle suore famose, che andavano al patibolo, non erano suore, lo sapevate già: questa è la tale, quella è la tal'altra attrice. Queste commedie non possiamo farle in chiesa. Quando voi vedete nei film conventi, dove si rappresentano le vicende di quelle suore e quei frati, voi sapete già che gli attori non sono frati, non sono suore, eppure sanno fare bene, benissimo, la loro parte. Che brutta cosa se le nostre Messe diventassero una bella rappresentazione teatrale, dove il prete non fosse prete, il diacono non fosse diacono, il concelebrante non fosse concelebrante! È giusto, monsignore ? Amici miei, la Messa è una cosa meravigliosa, grandissima, che non si può improvvisare. La Messa, per essere compresa, deve essere vissuta tutte le ventiquattro ore del giorno; bisogna che sentiate che domattina celebrate la Messa e che lo sentiate durante la giornata, quando anche voi dovete dire di no alla natura perché viene una tentazione impura, quando dovete rinunciare ad un pensiero, vincere voi stessi per essere dove Dio vi aspetta istante per istante. Sarebbe una commedia, fratelli miei, essere con Cristo presso l'altare al mattino quando non si è stati istante per istante come Cristo durante la giornata nel compimento del proprio dovere. Se per ventiquattro ore io ho fatto la mia volontà, non posso con un semplice “mia colpa, mia colpa”, con un “confiteor” affrettato e un po' ridotto, dire: “Io sono a posto”. Sì, sarai a posto, ma se farai il proposito di rimanere a posto durante la giornata. Una volta ci insegnavano che per fare una buona confessione ci vuole il pentimento dei peccati, ma anche il proposito di non commetterne più. Non so, adesso, se a voi giovani insegnino ancora così. Perciò potrò accostarmi all'altare e vivere la mia Messa al mattino solo se dirò: “Ieri ho fatto il mio capriccio, però oggi devo fare la volontà di Dio!”. Se tu hai perso tempo nelle ore di studio e non hai studiato, se non sei stato al tuo posto, se non ti sei sforzato di amare nel vero senso della parola, di aiutare il fratello durante il giorno, di accettare quel piccolo sacrificio che ti imponeva il regolamento o la carità cristiana, di dare una mano a chi ne aveva bisogno, amico mio, io ti dico: “Lascia la tua offerta e va’ prima a fare il tuo dovere” , oppure: “Questa mattina va’ pure a Messa, ma un'altra volta preparati meglio”. Perciò la Messa va vissuta ventiquattro ore, preparata durante la giornata e desiderata.

EUCARISTIA S.Messa

DIACONATO diacono

SACERDOZIO prete

VIRTÙ

dominio di sé

CROCE tentazioni

VOLONTÀ

di DIO

GESÙ

imitazione

GRAZIA Confessione

CONVERSIONE pentimento

PECCATO passioni

CARITÀ

amore al prossimo

PENITENZA sacrificio

Allude alla tradizione che si richiama a San Gregorio Magno e che consiste nel far celebrare una serie ininterrotte di trenta Sante Messe, nella convinzione che il Signore per la sua misericordia, liberi dal Purgatorio l’anima per cui sono celebrate.

Il riferimento all’enciclica di Paolo VI (1967) vuole semplicemente sottolineare che si può vivere di fede anche senza aver fatto studi approfonditi.

MI293,8 [04-02-1970]

8. Mi pare d'avervene già parlato qui, comunque permettete che ve lo ripeta. Ci sono certe cose che fanno impressione, come il caso di quella donnetta, quella povera donna di servizio che, mi pare, ha settant'anni e continua a prestare servizio. Ha raccontato: “Mia sorella non cessa di rimproverarmi, ma io vado lo stesso a servizio perché tutto quello che guadagno lo do in carità ai poveri. Sto ancora abbastanza bene in salute. Se mi ritiro, non posso avere più questi soldi per fare la carità”. E va a servizio dalle otto del mattino fino alle quattro del pomeriggio. È venuta qui per far celebrare una Messa per le anime del Purgatorio, una Messa gregoriana da quarantamila lire, e ha detto che ne fa celebrare una ogni anno e che ne ha già fatte celebrare nove: una all'anno per nove anni. Con il resto dei soldi fa la carità: “Con gli altri soldi che guadagno, faccio la carità”.
Ah! Questa vecchietta dice: “Vado alla Santa Messa alla data ora, al dato posto. Al mattino faccio così, ed ho sempre fatto così nella mia vita, altrimenti mi pare che la mia Messa non sia vera Messa”. E questo prima del Concilio, eh! “Quando il sacerdote versa le gocce dell'acqua nel calice dico al Signore: “Accetta tutto quello che ho fatto ieri, le piccole cose, i sacrifici che ho fatto”. E durante il giorno ci penso. Nel corso della giornata cerco di fare tutto per il Signore: lo conservo per la mattina seguente quando vado a Messa, e lì presento tutto quello che ho fatto e dico: “Signore, mettilo nel calice, come le gocce dell'acqua, e trasformalo in te”. Perché - ha soggiunto - anche l'acqua che entra nel calice si perde nel vino e non si sa quale sia l'acqua e quale il vino. A un dato momento anche la mia offerta diventa sangue di Nostro Signore. Penso che, versando anch'io dentro il calice le mie sofferenze, le mie cose, esse diventino un tutt'uno con il Signore”. Ah, amici miei, questa donnetta, non aveva studiato la Populorum progressio! Amici miei, nel regno di Dio vedremo delle vecchiette che, senza tante teologie e filosofie, scappano davanti a noi; vedremo anime semplici che, illuminate dallo Spirito Santo, sognavano la Messa magari a mezzanotte, si svegliavano al mattino presto perché non avevano più sonno e dicevano: “Ah, le tre! Ancora cinque ore, Signore, e poi verrò a Messa... Ancora quattro ore e poi verrò a fare la comunione”. Ce ne sono di queste anime semplici, che durante la notte, da sveglie, sognano la comunione, sognano la Messa, la desiderano, contano le ore: “Signore, ancora alcune ore e poi ci incontreremo”. E noi, magari, andiamo a Messa come ad una parata: “Oh, oh, che bella Messa!”. E quanto Cristo sei tu adesso? Non so se esagero. Don Girolamo, puoi dirmi la verità: esagero? Mi guardano con due occhi come per dire: “Dove andiamo a finire?”.

ESEMPI Eucaristia

CARITÀ

DIO rapporto personale

PENITENZA sacrificio

CROCE sofferenza

CROCE sangue

NOVISSIMI eternità

VIRTÙ

umiltà

VIRTÙ

semplicità

Antonio Pernigotto, per lunga tradizione familiare, era molto esperto nella lavorazione del vino.

MI293,9 [04-02-1970]

9 Con questo non vi dico di togliere le cerimonie; anzi ringrazio il Signore che la Messa sia così. Vi dico: fatela ancora più bella, più solenne; vi prego, vi supplico: fatela più bella! Però, non dimenticatevi che durante il giorno bisogna celebrarla spiritualmente, bisogna prepararla, altrimenti vi trovate al mattino, all'ora di Messa, senza vino, senza particole e senza candele. Il vino della Messa non lo si può fare la mattina: bisogna prepararlo qualche tempo prima. Non è vero, Antonio? Per avere la materia del sacrificio bisogna piantare le viti, seminare il frumento. Bisogna “piantare” un ragazzo in seminario perché diventi prete, e quanto tempo ci vuole perché arrivi fino in fondo, se pur vi arriva, perché questi ragazzi non crescono come i polli nella gabbia, un po' automaticamente. Ma bisogna anche che ogni cristiano “pianti” qualcosa. E non è possibile rendere in pochi minuti il cristiano pronto per la Messa. Pensate a San Luigi Gonzaga che faceva la comunione una volta la settimana: mezza settimana la dedicava alla preparazione e mezza al ringraziamento.
La Messa deve divenire un faro di luce per la nostra giornata, di cui è il momento principale, il momento desiderato e illuminante, santificante e vivificante; deve essere il momento che io desidero per avere la forza necessaria per portare Cristo in mezzo alle anime. E lì che sta la nostra forza. Perciò il breviario serve come preparazione e ringraziamento della Messa; e tutto quanto, dalla lettura spirituale alla meditazione, è un incontro con il Cristo, con il quale, poi, dovremo concelebrare. Se teologicamente sono fuori di strada, tu, Giorgio e compagni, ditemelo. Perciò: «Come vivo la celebrazione eucaristica? come faccio la meditazione? come recito il breviario?». Leggo soltanto Marco, porta pazienza! «Faccio regolarmente con sincerità l'ora di adorazione, la Via Crucis? So approfittare con profitto e umiltà della confessione, dei ritiri, degli esercizi spirituali, per rivedere il mio spirito, riavvicinarmi a Dio, ricaricarmi della sua amicizia e del suo amore? “Mi riconosco al mio posto, nell'umile, semplice, confidente, filiale domanda di aiuto alla Vergine con la recita giornaliera del santo rosario?». Mi fermo nella lettura, altrimenti bisognerebbe cominciare un altro argomento, un’altra chiacchierata e un’altra distrazione. Come proposito per questa settimana possiamo tener presente questo: se io voglio collaborare con un mio confratello, poiché siamo ognuno diverso dall'altro, devo cercare di stare insieme con lui; se voglio lavorare con Dio, che mi ha chiamato, devo cercare di stare insieme con lui. Il momento culminante di questo mio incontro è la Santa Messa. Alla Santa Messa non si va soltanto per pronunciare parole, ma per portare qualche cosa perché la Messa è vita. E allora lo sforzo durante la giornata è questo: essere sempre come Gesù, sincronizzato con la volontà del Padre, in modo che anch'io possa mettere qualcosa nel calice o sulla patena, come quella povera vecchietta: cioè il sacrificio quotidiano di aver fatto la volontà di Dio, quando piace e quando non piace.

FORMAZIONE

ESEMPI di Santi

EUCARISTIA S.Messa

EUCARISTIA comunione

APOSTOLO salvezza delle anime

GESÙ

incontro personale

COMUNITÀ

confratelli

COMUNITÀ

uniti nella diversità

DIO rapporto personale

GESÙ

imitazione

VOLONTÀ

di DIO

PENITENZA sacrificio

DIO Padre