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L’APOSTOLO AMA LA POVERTÀ E IL LAVORO

MI185 [30-05-1967]

30 Maggio 1967

Anche per questa meditazione don Ottorino si serve dell’articolo di P. DOMENICO MONDRONE, Don Edoardo Poppe. Un modello insigne del clero d’oggi, in La Civiltà Cattolica del 15 aprile 1967, anno 118, quaderno 2804, pagine 127-141. Le citazioni vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

Don Poppe era nato il 18.12.1890 a Temse (Belgio), in seno a una famiglia che arriverà a contare 11 figli di cui due diventeranno sacerdoti e cinque femmine prenderanno il velo in varie Congregazioni; solo una resterà in casa ad accudire la mamma restata vedova, e gli altri tre figli morirono in tenera età.

Nella sapienza popolare per ‘osso’ si intendono le difficoltà da superare.

Il padre di don Poppe era fornaio.

Il riferimento è a Marco Pinton, che all’epoca stava completando il 1° anno del corso liceale. La sua famiglia era composta di sei figli, tre maschi e tre femmine; i tre maschi sono diventati tutti sacerdoti, Luca diocesano, Matteo e Marco nella Congregazione. Il papà Giovanni lavorava come carpentiere e falegname in una cooperativa alla quale era stato dato in appalto il montaggio delle case prefabbricate i cui componenti venivano costruiti nella Casa dell’Immacolata.

Don Luigi Smiderle, sacerdote novello dal 18 marzo di quell’anno, era orfano di padre.

MI185,1 [30-05-1967]

1 Continuiamo la nostra meditazione su don Poppe.
“Il giorno che don Sutter, direttore della scuola cittadina, si era presentato alla mamma di Edoardo per dirle che questi voleva essere prete, la vide accogliere la notizia come una luce e una felicità insperata. La donna e suo marito ne parlarono insieme. La prospettiva era meravigliosa; ma tutti quei figli, il negozio, lui già tocco dal male che l’avrebbe portato via. Però, che ci avrebbero guadagnato a disputare quel figlio a Dio? Via, ci penserà il Signore. Avrebbero cercato di vivere economizzando per lui”. La decisione di andare prete voleva dire per la famiglia l’impegno di mantenerlo in seminario; non voleva solo dire perdere un figlio sul quale forse avevano depositato le loro speranze, ma voleva dire anche dover dare per il suo mantenimento. Mettiamoci nella situazione di un papà e di una mamma di famiglia: hanno questi quattro, cinque, sei figli , sono lì che aspettano: “Oh, finalmente uno che viene a darci una mano”. Qualche volta si guarda nel matrimonio alla parte sacra che è bellissima e santa, o alla parte della soddisfazione umana che è pure una parte buona e santa, ma bisogna vedere anche il peso della vita matrimoniale, perché la vita è un dovere per tutti. Perciò anche nel matrimonio c’è la parte di gioia e la parte di osso. Pensate a un papà che ha questi figli e che deve mantenerli con il suo lavoro , e quando finalmente vien su uno che ha una certa età e può dare una mano gli dice: “No, io voglio farmi prete!”. Il Signore qualche volta chiede molto. Guardate la famiglia di Marco . Vien su un figlio e dice: “Vado a farmi prete!”; vien su un altro: “Vado prete!”, e l’altro: “Vado prete!”, e il padre continua ancora in giro a montare case prefabbricate da una parte e dall’altra. Lui lo fa volentieri ed è felicissimo di avere i figli che vanno preti, ma alla sua età potrebbe dire: “Se io avessi a casa Luca che lavora e Matteo che lavora potrei stare a casa a fare qualche lavoretto, ma non avrei la preoccupazione di tirare avanti la famiglia”. Invece resta con la sua preoccupazione: “Devo ancora continuare io a mantenere la famiglia”. Lui lo fa volentieri, con gioia, ma se il papà avesse in casa Luca e Matteo sarebbe diverso, perché l’uno e l’altro andrebbero a lavorare. La storia sarebbe diversa. È vero o no, Marco? “Ma, si sposano!”. “Tutto quello che vuoi, ma fino adesso ho lavorato io, adesso lavorate voi: darete almeno qualcosina per il mantenimento di questo vecchio!”. Ve dico questo perché dovete pensare ai sacrifici che hanno fatto anche i vostri genitori. Non dovete scrivere a casa soltanto : “Mamma, portami... Mamma, voglio... Mamma, mi serve!”. Pensate a quanto hanno sacrificato; il Signore ha chiesto a voi un sacrificio, ma non so se l’ha chiesto minore ai genitori, in certe famiglie, in certi casi e in certe circostanze! Guardate Smiderle : era il più vecchio di casa, e certamente la mamma pensava, umanamente parlando, che con lui poteva avere un sostegno. Questa povera mamma e questo benedetto figlio offerto volentieri per amore del Signore! Però, sappiate che vicino alla gioia di avere un figlio prete - viene qui la mamma piena di gioia perché ha il figlio che va prete - c’è vicino anche il sacrificio, perché il Signore domanda sempre il sacrificio; lo domanda a tutti il sacrificio, e quanto che più grande è la grazia che il Signore concede tanto più bisogna pagarla!

ESEMPI di Santi

FAMIGLIA

SACERDOZIO prete

FAMIGLIA mamma

FAMIGLIA papà

FAMIGLIA figli

FAMIGLIA matrimonio

CROCE difficoltà

SOCIETÀ

lavoro

Don Antonio Costa era un sacerdote molto amico e conosciuto, e all’epoca era parroco di Grossa di Gazzo (PD).

MI185,2 [30-05-1967]

2 Adesso veniamo al punto dove dovevamo fermarci per la meditazione.
“Chiamarono il ragazzo e prima a parlare fu la mamma: “Senti Edoardo, tuo padre è contento. Quest’altro anno andrai al seminario minore; frattanto don Sutter ti darà lezioni di latino”. La mamma si ferma lì, ha detto di sì, e adesso comincia il quaresimale. La mamma gli dice che andava bene, che gli concedevano il permesso; poi interviene il papà. “Poi parlò il babbo: “Tu vuoi diventare prete, figliolo. E sia: se Dio ti chiama, io ne sarò felice”. La fede, la fede dei nostri genitori! “E sia: se Dio ti chiama... Se è la chiamata di Dio, io ne sarò felice. Non importa i sacrifici che devo fare, non importa che io adesso debba riprendere di nuovo l’attività, che debba perdere un aiuto. Io speravo di avere in casa un aiuto in te, io speravo di avere due braccia che mi dessero una mano nella panetteria... Non importa! Se Dio ti chiama a essere prete, io, padre, sarò felice, sarò contento. Accetto il sacrificio non solo di perdere due braccia, ma anche di lavorare di più per mantenerti in seminario”. Cari figlioli, ecco quello che noi dovremo curare nella vita pastorale: le famiglie, i genitori; dobbiamo curare i genitori. Quando andrete dove il Signore vi chiamerà a lavorare, dovrete curare le famiglie, far crescere queste famiglie cristiane. Dovete insistere, e non aspettare per preparare le famiglie. Mi permetto di dirvi di non aspettare a formare le ragazze quando hanno diciotto o diciannove anni... perché è abbastanza facile fare le conferenze alle ragazze di quell’età. Bisogna preparare le famiglie come fa don Antonio Costa , prendendo i bambini della prima comunione. E non affidate i bambini a chiunque; la preparazione alla prima comunione tocca al sacerdote, tocca al diacono, tocca a voi prepararli, a seminare, a seminare. E guardate che è molto più difficile fare catechismo ai bambini della prima comunione che non parlare ai giovanotti o alle signorine o agli uomini: bisogna prepararsi molto di più per fare una lezione ai bambini della prima comunione che per gli altri, ricordatevelo bene. Un domani, quando preparerete una lezione a quelli di prima comunione, non dite: “Ah, bene, sono piccoli, vado là e parlo...”. No, questo è un tradimento, è un tradimento!

FAMIGLIA mamma

FAMIGLIA papà

VIRTÙ

fede

APOSTOLO chiamata

PENITENZA sacrificio

SACERDOZIO prete

PASTORALE

FAMIGLIA

MISSIONI

APOSTOLO

DIACONATO diacono

Stavano preparandosi a partire per il Chaco (Argentina) due sacerdoti, don Graziano Celadon e don Pietro Martinello, e tre assistenti, Antonio Ferrari, Mirco Pasin e Antonio Zordan.

Per combattere le sanzioni economiche sancite dalla Società delle Nazioni contro l’Italia che aveva occupato l’Etiopia, il duce Benito Mussolini introdusse un regime di autarchia e tra le altre cose incrementò la produzione di grano per essere autosufficienti.

MI185,3 [30-05-1967]

3 Vi posso dire che io facevo molto più fatica a parlare quando facevo meditazione ai piccoli che non ai grandi, perché bisognava pensarci la sera prima, pensarci il giorno prima, per vedere la storiella, il fatto, l’episodio, che cosa inserire per masticare bene la verità. Gesù aveva con sé la Spirito Santo che gli suggeriva le parabole, ma noi invece bisogna che con lo Spirito Santo ci mettiamo la nostra buona volontà per inventarle. Perciò bisogna seminare il cristianesimo in quei cuoricini, lo spirito di sacrificio, l’amore per i fioretti, l’unione con Dio, la devozione alla buona mamma la Madonna, la presenza di Gesù nell’Eucaristia: seminare piano piano, in quei piccoli cuori, e allora avremo i papà di famiglia e avremo risolto il problema del clero nel mondo intero.
Il Signore vi chiamerà in varie zone. Parliamo in modo particolare ai prossimi che partono per il Chaco : guardate che l’Argentina non è priva di preti, non è priva di vocazioni, ma è priva di coloro che seminano. Per esempio, in Italia prima del duce bisognava importare il frumento; dopo venne organizzata la famosa ‘campagna del grano’ e a un dato momento ne avevamo persino da esportare. Perché? Perché si era cominciato a lavorare la terra. Bisogna che andiate a lavorare quelle migliaia di anime. Voi direte: “Come si fa? Qui non ci sono vocazioni”. Non mettetevi a gridare subito e scrivermi dopo un po’ di tempo una lettera: “Qui per le vocazioni non c’è niente da fare!”. Formate i cristiani, e dopo parleremo. Immaginiamo che un domani scrivano una lettera dopo un anno, dal Guatemala o dal Chaco: “Qui non c’è niente da fare per le vocazioni!”. Sarebbe come se uno andasse nell’Italia meridionale in una zona mezzo desertica, e scrivesse: “Qui, per il frumento, non c’è niente da fare!”. Hai dissodato il terreno, hai arato, hai seminato? Fa’ prima quel lavoro e dopo dieci anni dirai se c’è niente da fare: vedrai che quel terreno ti renderà più dell’altro.

AUTOBIOGRAFIA

PASTORALE

DIO Spirito Santo

GESÙ

CHIESA cristianesimo

PENITENZA sacrificio

PREGHIERA unione personale con Dio

MONDO

EUCARISTIA

MARIA devozione a ...

FAMIGLIA papà

MISSIONI

SACERDOZIO prete

APOSTOLO vocazione

Monsignor Luigi Volpato era stato vicerettore del seminario vescovile di Vicenza, e poi per tantissimi anni fu padre spirituale fino alla sua morte per malattia.

Lettera enciclica di Papa Paolo VI del 27.3.1967.

MI185,4 [30-05-1967]

4 Ascoltate la cosa meravigliosa che dice questo papà: viene a sapere che suo figlio vuol farsi prete, capisce che gli capita sulle sue spalle un peso maggiore da portare, ma subito dice: “Se è volontà di Dio, se Dio ti chiama, io ne sarò felice”. E qui si sente il cristiano.
“Ma ascolta bene quello che ti dico. Io non voglio assolutamente che come prete tu abbia a godere una vita più agiata di quella che avresti avuta qui. Non voglio che tu diventi l’adulatore dei ricchi, ma il sostegno e il consolatore dei poveri. Convinzione e lavoro, altrimenti tanto varrebbe restare in panetteria”. In poche parole, tutto l’abbozzo di un programma magnifico”. La mamma di San Giovanni Bosco ha detto: “Guarda che se vai prete, se decidi di farti prete e se disgraziatamente diventerai ricco, io non verrò neanche a trovarti”. La mamma è più semplice. Il papà di don Poppe invece è un uomo: “Io non voglio assolutamente, se vai prete, che tu faccia una vita più agiata”. Vi ricordate l’episodio che vi ho già raccontato. Monsignor Volpato era vicerettore del seminario e abitualmente si poneva vicino alla porta della prefettura degli studi nei giorni di visita per aspettare le mamme che passavano. Tutte chiedevano: “Come fa mio figlio?”. Un giorno si avvicinò un papà al vicerettore e gli chiese: “Come fa il mio piccolo?”. “Bene, bene! È solo un po’ delicatino nel mangiare”. “Eh! Impossibile!”, rispose il papà. “Impossibile? Non mangia mai la polenta perché non gli piace”. “Ah, figlio di un cane!”. E ha dato uno schiaffone al figlio. “A casa tutta la settimana non mangia altro che polenta! A casa mangiavi sempre quella e il pane lo vedevi una volta alla settimana!”. È un episodio storico: ha dato al figlio quattro schiaffoni perché rifiutava la polenta... “Ah, non ti piace la polenta, ah!”. State attenti che non capiti che ci siamo donati al Signore e, a un dato momento, siamo diventati dei nobili, delle persone che stanno con i ricchi, che non si trovano più a loro agio in mezzo ai poveri. Papa Giovanni si sentiva contento di andare in mezzo ai suoi parenti che erano poveri contadini, come si sentiva a suo agio in mezzo ai poveri. Non basta soltanto predicare dall’alto ai poveri, spiegare dal pulpito la ‘Populorum progressio’ : bisogna stare in mezzo ai poveri come uno di loro, bisogna che il povero non si senta a disagio con noi. Gesù si sedeva in mezzo a loro, ed era Gesù! Perciò, se per necessità noi dovremo avere anche delle comodità, delle cose che non avevamo a casa, facciamo qualche volta l’esame di coscienza andando a casa nostra per vedere se noi siamo un po’ più esigenti dei nostri fratelli che sono a casa. Lo spirito di penitenza ci deve accompagnare sempre.

FAMIGLIA papà

VOLONTÀ

di DIO

APOSTOLO chiamata

CHIESA cristianesimo

SACERDOZIO prete

MONDO

AUTOBIOGRAFIA seminario

FAMIGLIA mamma

ESEMPI vita religiosa

CHIESA Papa

PASTORALE poveri

APOSTOLO predicazione

GESÙ

servo

PECCATO

Detto popolare: “Fare l’arte del Michelasso, mangiare e bere e andare a spasso!” significa fare il parassita della società.

MI185,5 [30-05-1967]

VIZI;PECCATO mediocrità;PECCATO passioni5 Questa frase: “Io non voglio assolutamente che come prete tu abbia a godere una vita più agiata di quella che avresti avuta qui” dice non soltanto della situazione, ma anche del sacrificio; non parla, per esempio, soltanto dei mobili di casa, non parla soltanto del bar che avrete in casa, parla anche della vita, del sacrificio.
Se io fossi rimasto, per esempio, a Quinto, se non avessi studiato, per forza mi sarei dovuto adattare alla vita che fanno tutti gli uomini di questo mondo, e cioè alzarmi presto alla mattina, venire a lavorare in città o in qualche altra parte, e fino a mezzogiorno, poi nel pomeriggio sotto di nuovo, eccetera eccetera. Figlioli, la vita è sacrificio, la vita è lavoro! Provate ad esaminare la vita degli uomini del mondo, di quelli che hanno una famiglia sulle spalle, e vedrete quanto sacrificio c’è nella loro vita. Ora per il fatto che noi ci siamo dati al Signore, non dobbiamo pensare a una vita più agiata, più comoda, più facile: la vita apostolica è una vita di sacrificio, di lavoro. Se fuori avessimo dovuto lavorato dieci ore al giorno, qui bisognerebbe che ne lavorassimo venti perché lavoriamo in proprio, lavoriamo per Nostro Signore, non lavoriamo per gli altri. Non guardiamo quelli che fanno ‘l’arte del Michelaccio’ , ma ai nostri buoni papà di famiglia che hanno sulle spalle la famiglia, che sentono il dovere della famiglia: è una vita di lavoro, figlioli! Perciò non facciamo gli eroi perché lavoriamo qualche ora e facendo vedere chissà che cosa. No, ci vuole spirito di sacrificio, di lavoro, perché è un lavoro intenso che dobbiamo fare. Attenti! Non abbiamo il padrone che annota le ore che facciamo, che sorveglia il nostro orario di lavoro, ma guardate che non dobbiamo dare l’impressione alla gente di essere di quelli che lavorano poco, che si fermano mezz’ora prima di sudare. Fuori sono abituati con l’orologio e segnano il minuto, e anche negli stabilimenti fanno così. Noi non dobbiamo dare l’impressione che siamo padroni del nostro tempo e possiamo fare quello che vogliamo, perché tante volte c’è proprio questa impressione: il sacerdote è uno che è padrone del suo tempo e perciò va dove vuole e fa come vuole. È un disastro, figlioli! La gente se ne accorge e diamo l’impressione di gente che fa la bella vita, che non ha padroni. Non è forse vero questo? “Eh, fanno quello che vogliono! Se fossi andato prete anch’io, almeno non avrei padroni, farei quello che voglio io, sarei libero, libero”.

SACERDOZIO prete

PENITENZA sacrificio

AUTOBIOGRAFIA

CREATO

SOCIETÀ

lavoro

FAMIGLIA papà

MONDO

FAMIGLIA

CONSACRAZIONE

APOSTOLO

CONSACRAZIONE immolazione

ESEMPI puntualità

Il prof. Riccardo Vicari, oltre che nella Casa dell’Immacolata, insegnava anche nelle scuole statali.

MI185,6 [30-05-1967]

6 Questo giogo di non essere liberi che hanno gli altri fuori perché hanno un capo ufficio, perché hanno un padrone, figlioli, dobbiamo averlo anche noi: è Nostro Signore. Capite? Devono sentire che abbiamo dei doveri e che lavoriamo intensamente. Perdonate se dico questo, ma su questo punto tante volte non diamo un esempio troppo bello neanche noi. Non so se siamo d’accordo. Qualche volta, forse, anche nella nostra casa di formazione diamo un po’ questa impressione, che, cioè, quando non abbiamo voglia di fare una cosa, diciamo: “No, non ce la faccio...”. Bisogna stare attenti prima di dire: “Non ce la faccio” perché si fa presto a dire: “Ma, io...”.
“Ci sarebbe da fare quella data cosa”. “Ma, non posso, non ne ho voglia!”. “Ci sarebbe da andare a lavorare stamattina”. “Ah! - dice l’uomo a sua moglie - Non ne ho voglia!”. Prima che il marito dica che non ha voglia di andare a lavorare, ce ne vuole! E invece nella vita nostra è facile dare noi il giudizio e dire: “Non ne ho voglia...”. Un papà di famiglia che deve partire, per esempio, il prof. Vicari che deve andare alla mattina alle scuole pubbliche, non trova il giorno in cui può dire: “Io non ci vado!”, perché occorre il certificato medico per rimanere a casa. In genere, c’è una disciplina, ci deve essere una disciplina. Figlioli miei, attenti che noi, invece, nel campo nostro è facile che siamo indisciplinati. Mentre sto parlandovi ho davanti tutta una gamma di persone, che vivono nel mondo. È facile che diamo l’impressione che, se vogliamo, facciamo e, se no, siamo liberi di andare via. Diceva un prete ad un’altro: “Non sai se oggi verrà...”. E quell’altro: “Aspetta, vediamo se viene...”. “Bene, bene, meglio, va là”. Quale uomo nel mondo può dire così? Noi possiamo dire così. Poiché dobbiamo rendere conto solo al Signore, e il Signore tante volte non lo vediamo, allora è facile che si tiri avanti con i nostri capricci. E invece considerate quello che dice questo papà: “Ascolta bene quello ti dico. Io non voglio assolutamente che come prete tu abbia a godere una vita più agiata di quella che avresti avuta qui”. Vai prete? Sì, ma per una vita resa più dura, non più agiata. Il Signore ti chiama a lavorare di più, non a lavorare di meno, a sacrificarti di più.

FAMIGLIA papà

SOCIETÀ

lavoro

APOSTOLO testimonianza

FORMAZIONE case di formazione

VIZI

VIRTÙ

retta intenzione

ESEMPI vita religiosa

MONDO

SACERDOZIO prete

DIO

Don Pietro Martinello lavorava in quel periodo nella segreteria di don Ottorino e della Congregazione.

MI185,7 [30-05-1967]

7 “Non voglio che tu diventi l’adulatore dei ricchi...”.
Speriamo che adesso ci sia meno pericolo di una volta; una volta c’era questa pericolo tremendo. Comunque, state attenti perché è facile, forse più che diventare adulatori dei ricchi, diventare schiavi degli adulatori dei preti. Qui ci cascate dentro, o meglio ci caschiamo dentro tutti: è facile divenire schiavi degli adulatori. Supponiamo che venga nell’ufficio di don Pietro Martinello una persona, un professore dell’Istituto, poniamo il maestro Sergio, tanto per fare un nome. “Oh, senta, don Pietro. Volevo chiederle un parere. So che lei se ne intende di queste cose, ha tanta pratica di queste cose: mi darebbe un consiglio? Come farebbe questa scelta?”. E il secondo giorno: “Grazie, don Pietro! Quel consiglio che lei mi ha dato mi ha risolto delle situazioni. Grazie, e scusi se vengo qualche altra volta”. “No, venga pure!”. Senza accorgersi, a un dato momento don Pietro, con questi consigli che dà al maestro Sergio e con queste lodi che il maestro Sergio fa di lui, apertamente e anche in altre parti, si sente con le mano legate, per cui mi domando se quando c’è da dire una parola al maestro Sergio ne avrà il coraggio. State attenti perché è facilissimo, è facilissimo cadere in questo campo, quando subentra questa amicizia, questo senso di simpatia. Basta solo che uno cominci a dare una lode, che cominci un pochino a lodare: “Ma lei come fa? Come ha fatto? Ma guardi qui, ma guardi là”. State attenti che dopo è difficile essere capaci di ragionare oggettivamente. Allora? Per carità, accettate quelle lodi, fate quel piacere, per carità, ma guardate, state attenti, state attenti: c’è una giustizia da osservare e un dovere da compiere.

SACERDOZIO prete

MONDO

VIZI

COMUNITÀ

correzione fraterna

ESEMPI apostolo

ESEMPI correzione fraterna

VIRTÙ

trasparenza, sincerità

Luciano Bertelli stava completando all’epoca il 3° anno del corso teologico.

MI185,8 [30-05-1967]

8 Per esempio, siamo qui nella Casa dell’Immacolata e c’è uno, supponiamo Bertelli che viene e dice: “Don Ottorino... Ma lei... Ma pronti... Ma, aspetti un po’...”, e fa mille piaceri. Bertelli poi fa una marachella di quelle grosse e io ho il dovere di intervenire, di prenderlo per lo stomaco e di dirgli le cose chiare e nette. So che con questo perdo un po’ il contatto umano che avevo con lui e che a me piace, perché siamo uomini e il contatto umano piace, e dare a Bertelli una pestata vuol dire alienarsi la sua simpatia perché, naturalmente, l’uomo è uomo.
È naturale che il maestro Sergio prima lodi don Pietro e dopo dica: “Oh, don Pietro! Credevo una cosa, e invece è un’altra. Credevo che avesse una mentalità un po’ più aperta e invece ha una testa da sciocco come tutti gli altri. I preti sono tutti uguali!”. A un dato momento bisogna che si rassegni che capiti questo! Il cane a cui pesti la coda comincia ad abbaiare. Guardate che è difficile essere onesti, essere preti senza lasciarsi prendere da questo, cioè dall’adulazione! Ve lo dico appunto perché l’ho provato. È difficile, costa fatica, perché se hai uno che ti è amico, quell’altro che ti è amico, e ne hai tre o quattro sui quali puoi contare, a un dato momento è difficile dire loro in faccia qualche parola dura, mentre è naturale dire: “Beh, insomma, vado piano!”. Ho sentito qualche volta qualcuno dire: “Sì, va bene, ho visto anch’io quella cosa, però, io penso... ho fatto il programma di andare piano”. Si fa un programma che dura cinque o sei anni e intanto si tira avanti, il che equivarrebbe a dire: “Mi costa troppo rinunciare a quella amicizia, mi costa troppo avere un altro nemico, mi costa troppo... e così ho pensato, ho studiato le cose che, pian pianino, vedrà che arrivo, vedrà che ci arrivo!”. In altre parole vuol dire che gli costa troppo fare quelle osservazioni. State attenti, fratelli! Non so se ho reso il pensiero e se avete capito. Spero di sì, ma guardate che è facile, piuttosto facile, adulare i ricchi, ma forse è più facile cascare in questa rete, cioè divenire schiavi di chi ti loda e di chi ti viene accanto con il sorriso o che ti tratta bene o qualcosa del genere, e non essere più capaci, magari, di dire bianco al bianco e nero al nero, e non essere più capaci di compiere la nostra missione apostolica che è quella di dare una mano, di prendere a braccetto uno e dirgli: “Senti, caro: tu sei un buon figliolo, però, però... questo non va, questo non va!”.

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

ESEMPI superiore

CREATO

DOTI UMANE amicizia

APOSTOLO missione

APOSTOLO

Nell’esempio don Ottorino nomina Gaetano Scortegagna e Luciano Rizzi che stavano completando il 3° anno del corso teologico, e Vinicio Picco che era consigliere generale.

Anche Leonzio Apostoli era dello stesso corso di Gaetano e Luciano.

MI185,9 [30-05-1967]

9 Quante volte, per esempio, siamo sinceri, quante volte e quante volte anche nella nostra Casa dell’Immacolata, tu senti, per esempio prendiamo Gaetano, per prendere un caso particolare, che dice: “Sì, va bene, ma Rizzi qua, Rizzi là...”! “Ma tu hai detto queste cose a Rizzi?”. “Sa, no, veramente... Sì, ho fatto capire, ma non ho detto chiaramente!”. E allora dice, e quell’altro dice, supponiamo sia Vinicio: “Ma... sa”. “Glielo hai detto?”. “Si... ma, veramente.” No, no!
State attenti, perché questi fatti sono capitati decine e decine di volte nella Casa dell’Immacolata. Se a un gruppo di sette o otto o dieci giovani che stanno parlando di uno che non è presente chiedete: “Tu, gliele hai dette queste cose?”, rispondono: “No”, e tu sai che fuori sono amici, vanno a braccetto insieme, si trattano da amiconi. Questa è pura e vera vigliaccheria! Se questo capita qui dentro, potete immaginarvi se non capita fuori. Mi guardi? È la vera realtà! Per non dire di quando si dice: “Ma, sa, dovrebbe capirlo anche lui che sbaglia!”. E qui la storia è questa: supponiamo che Gaetano veda che Rizzi non va, che ha delle cose che non vanno: “No, quel modo di fare non va!”; Rizzi, invece, ha tutta l’impressione che Gaetano sia d’accordo con lui. Rizzi si sfoga con Gaetano, Rizzi si sfoga con Vinicio, Rizzi si sfoga con Leonzio : tutti lo condannano, ma intanto lui ha l’impressione che tutti gli diano ragione, di essere nel giusto, e invece tutti lo condannano quei tre vigliacchi... scusate la parola, ma nessuno ha il coraggio di dire: “Apri gli occhi! Guarda, sei così e così, questa è la realtà!”. “Ma, sa, perdere l’amicizia!”. Qualcuno mi ha detto: “Lei capisce... Sì, è vero, ma è pericoloso diventare nemici di Rizzi, perché è tremendo!”. Qui dentro mi sono sentito dire queste parole. Se questo capita qui dentro, figlioli, dove se Gaetano prende da parte Rizzi tutt’al più si mangeranno la coda un pochino, ma dopo non si accoltellano, come avrete il coraggio di farlo fuori quando potrebbero veramente prendervi a coltellate e calunniarvi e farvi morire? So anche questo: qualche sacerdote ha avuto il coraggio di parlare perché doveva parlare e gli altri si sono vendicati dopo un po’ di tempo seminando calunnie su quel sacerdote: “Lo so io, perché gli sono vicino; lo so io, ho visto io...”. Prima erano amici e poi si sono allontanati, e allora: “Lo so io!”. “Eh, deve essere vero, allora, perché quello prima era sempre insieme, appunto per quella ragione!”. E l’altro rincara la dose: “Infatti dopo quel fatto mi sono allontanato!”; non dice: “Siccome mi ha toccato sul vivo mi sono allontanato”, ma: “Dopo che mi sono accorto, mi sono allontanato...”. Figlioli, stiamo attenti, perché nella vita apostolica tutti caschiamo su questo punto; ci sono cascato io, ci casco io, ci cascherete anche voi, ci cascherete. E cioè non dobbiamo diventare gli adulatore dei ricchi, ma nemmeno schiavi dei sorrisi di coloro che ci circondano, e un po’ schiavi ci siamo tutti, ci siamo tutti! Questo che cos’è? Praticamente è un attaccamento, un’amicizia; è un attaccamento al comodo, al quieto vivere, al vivere comodo, al non volere nemici.

VIRTÙ

trasparenza, sincerità

FORMAZIONE case di formazione

COMUNITÀ

corresponsabilità

APOSTOLO

PECCATO calunnia

VIRTÙ

fortezza

SACERDOZIO prete

Raffaele Testolin era neo professo da appena tre mesi.

Il sacrario militare di Redipuglia è il più vasto cimitero militare italiano: contiene i resti di centinaia di migliaia di soldati italiani morti sul fronte del Carso durante la Iª guerra mondiale.

MI185,10 [30-05-1967]

10 E invece noi dobbiamo portare la verità, figlioli. L‘apostolo è “il sostegno e il consolatore dei poveri”. Ecco il nostro lavoro! Adesso spostiamoci dai ricchi. Raffaele , noi dobbiamo essere il sostegno dei poveri. Quando dico ‘sostegno dei poveri’ non intendo dire l’animatore dei lavoratori, quasi un politicante o qualcosa del genere.
Giorni fa al cimitero di Redipuglia è andato in gita un sacerdote con trecento giovanotti e uomini, e alla fine quel sacerdote, che non portava nessun segno di prete, ma una giacca per cui non si sapeva se fosse un prete o un laico, perché ‘bisogna diventare come loro’, ha detto la Messa. Celebrata la Messa li ha radunati tutti da una parte e ha detto: “Bene, - li ha lodati tutti perché erano stati là - e domani sera ci incontreremo tutti al tal posto perché dobbiamo fare una protesta per il Vietnam!”, e ha fatto una mezza conferenza politica. Mi diceva un sacerdote, che era presente, che certamente un comunista non avrebbe fatto un comizio diverso da quello che ha fatto quel sacerdote. Ora siamo tutti d’accordo per la questione del Vietnam, non si discute, ma che il prete faccia il prete! Non vi pare? Il prete faccia il prete! Non credo sia conveniente per il prete mettersi lui a intervenire in politica, mettersi un domani ad organizzare quelle cose. Neanche i buoni vorrebbero vedere questo. Il prete è lì per dire: questo è bianco e questo è nero, e insegnare la strada che va in Paradiso... Faccia il prete! “Convinzione e lavoro, altrimenti tanto varrebbe restare in panetteria”, diceva il papà di don Poppe. Perciò avrebbe dovuto vivere con convinzione e lavoro, altrimenti sarebbe stato preferibile fare il fornaio, restare a fare il fornaio... Cari fratelli miei, il prete o il diacono o lo fanno integralmente, buttandosi completamente nelle mani di Dio e vivendo così, altrimenti tanto valeva che io fossi andato a fare il muratore come il mio povero papà, e tu, caro Gaetano, il fabbro, e tu il contadino, perché forse avremmo acquistato più meriti dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.

FAMIGLIA papà

APOSTOLO

PASTORALE poveri

SACERDOZIO prete

SOCIETÀ

politica

MONDO

APOSTOLO testimonianza

MONDO comunismo

ESEMPI apostolo

APOSTOLO uomo di Dio

NOVISSIMI paradiso

APOSTOLO missione

DIACONATO diacono

DOTI UMANE coerenza