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L’APOSTOLO AMA LA POVERTÀ E IL LAVORO

MO185 [30-05-1967]

30 Maggio 1967

MO185,1 [30-05-1967]

1 Continuiamo un po' la nostra meditazione su don Poppe.
"Il giorno che il direttore della scuola cittadina si era presentato alla mamma di Edoardo per dirle che questi voleva esser prete, la vide accogliere la notizia come una luce e una felicità insperata. La donna e suo marito ne parlarono insieme... La prospettiva era meravigliosa; ma tutti quei figli, il negozio, lui già tocco dal male che l'avrebbe portato via. Però, che ci avrebbero guadagnato a disputare quel figlio a Dio? Via, ci penserà il Signore. Avrebbero cercato di vivere economizzando per lui". Perché, pensate, andare prete voleva dire mantenerlo in seminario; non voleva mica dire solo perdere un figlio sul quale forse avevano messo le loro speranze, ma voleva dire anche dover darne. Perché, adesso mettiamoci nella situazione di un papà e di una mamma di famiglia: hanno sti quattro, cinque, sei figlioli, son lì che aspettano: "Oh, finalmente uno vien a darne una man!". Perché, pensate, sa, qualche volta si guarda al matrimonio, la parte sacra che è la parte bellissima e santa, la parte soddisfazione umana che è pure una parte buona e santa, ma bisogna vedere un po' anche il peso, perché la vita è un dovere per tutti. Perciò c'è la parte di gioia e la parte di osso dappertutto, no? Ora, pensate a un papà che ha sti cinque, sei figlioli, col suo lavoro deve mantenerli, e finalmente, ecco, vien su uno lì che ha una certa età e può dare una mano, e dixe: "No, mi vui farme prete!". Il Signore, qualche volta... Guardate la famiglia di Marco. Vien su uno: "Vo a farme prete!". Vien su 'n'altro: "Vo prete!". Un altro: "Vo prete!". E so papà continua ancora in giro, là, a montar case in giro, a destra e sinistra. Lu lo fa volentierissimo, è felicissimo di aver i figli che vanno preti, ma, ma, alla sua età potrebbe dire: "Se io avessi a casa Luca che lavora e Marco, cioè Matteo che lavora, - potrebbe dire - bè, senti, stào qua, fasso qualche poceto in casa, ma non ho la preoccupazione di tirar vanti la famiglia". Pensiamoci bene: è diversa la storia! È vero o no, Marco? Sa, l'avere la preoccupazione: "Devo io ancora continuare a mantenere la famiglia..."; lo fa volentierissima, con gioia, ma se il papà avesse in casa Luca e Matteo, sa, sarebbe diverso, perché uno va a lavorare, l'altro va a lavorare... "Ma, i se sposa...". "Fin che te vui, ma fin 'desso go lavorà mi, adesso lavorè voialtri! Qualcossetta almanco lo mantegnarì sto vecio!". Questo ve lo dico perché dovete pensare ai sacrifici che hanno fatto anche i vostri genitori. Non soltanto scrivere a casa: "Mamma, porteme... mamma, vui... mamma, me occore...". Pensate che hanno sacrificato... Il Signore ha chiesto a voi un sacrificio, ma non so se l'ha chiesto minore ai genitori, in certe famiglie, in certi casi, in certe circostanze. Varda, Smiderle, tu eri il più vecchio di casa, certo la mamma pensava, umanamente parlando, che poteva... con ti... Capisci chiaro? sto povero, benedetto figliolo lì... sta povera mamma: “Volentieri, ma per amore del Signore!”. Ma, sappiate, vicino alla gioia di avere un figlio prete... viene qui la mamma piena di gioia perché ha il figlio che va prete, c'è vicino anche il sacrificio, perché guardate che il Signore domanda sempre il sacrificio, lo domanda a tutti il sacrificio, e anche, quanto più grande è la grazia che il Signore concede, tanto più bisogna pagarla.

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2 Ma adesso veniamo al punto dove dovevamo fermarci per la meditazione.
"Chiamarono il ragazzo e prima a parlare fu la mamma”. Sentite cosa che dice la mamma e cosa che dice il papà. "Senti, Edoardo, tuo padre è contento. Quest'altro anno andrai al seminario minore; frattanto don Sutter ti darà lezioni di latino". “Poi parlò il babbo”. La mamma se ferma lì, la ga dito de sì, adesso comincia el quaresimale. "Tu vuoi diventare prete, figliolo. E sia". La mamma ghe dà... ghe dixe: “Sì, va ben... concediamo il permesso, no, concediamo il permesso”. Il papà me par de vedarlo... "Tu vuoi diventare prete, figlio: e sia! Se Dio ti chiama, io ne sarò felice". La fede, la fede dei nostri genitori! "E sia! Se Dio ti chiama, eh, intendiamo bene, se è la chiamata di Dio, io sarò felice. Non importa i sacrifici che devo fare, non importa che io adesso debba riprendere di nuovo... deva perdere un aiuto... io speravo di avere un aiuto in te in casa, io speravo ormai di avere due braccia che mi dessero una mano nella panetteria... Non importa, se Dio ti chiama a essere prete, io, padre, sarò felice, sarò contento. Accetto i sacrifici non solo di perdere due braccia, ma anche di lavorare in più per mantenerti in seminario”. Cari figlioli, ecco quello nella vita pastorale che dovremo curare noi: le famiglie, i genitori, cari, curare i genitori. Quando voi andrete dove il Signore vi chiama a lavorare, dovrete curare le famiglie, curare le famiglie, fare venir fuori queste famiglie cristiane. Dovete insistere, ma non aspettare a preparare le famiglie. E qui mi permetto di dirvelo, quando che le ragazze hanno diciotto diciannove anni e i ragazzi... perché è abbastanza facile fare la conferenza alle ragazze di quell'età lì! Bisogna preparare le famiglie come fa don Antonio Costa, prendendo i bambini della prima comunione. No affidare i bambini, là, a chiunque sia, per la prima comunione; prepararli tocca al sacerdote, tocca al diacono, tocca a voi prepararli, seminare, seminare! E guardate che è molto più difficile far scuola ai bambini della prima comunione che non parlare ai giovanotti o alle giovanotte o agli uomini, sapete! Bisogna prepararsi molto di più per far una lezione ai bambini della prima comunione che non per gli altri. Ricordatevelo bene: domani preparare una lezione a quelli di prima comunione... "Ah, ben, va là, i xe piccoli... vado là e ghe parlo...". No! Questo è un tradimento, è un tradimento!

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3 Vi posso dire che io facevo molto più fatica a parlare quando facevo meditazione ai piccoli che non ai grandi, perché bisognava pensarci alla sera prima, pensarci al giorno prima, per vedere quella storiella, quel fatto, quell'episodio... cosa metterci dentro per masticare la verità. Perché, sa, Gesù el gaveva lo Spirito santo insieme, vero, che ghe suggeriva le parabole, ma noi invece bisogna che con lo Spirito santo ci mettiamo la nostra buona volontà per inventarle. Perciò, bisogna seminare il cristianesimo in quei cuoricini, seminare lo spirito di sacrificio, i fioretti, eccetera, l'unione con Dio, la buona mamma la Madonna, l'Eucaristia e la presenza di Gesù nell'Eucaristia. Seminarla lì, piano piano in quei piccoli cuori, e allora avremo i papà di famiglia, e allora avremo risolto il problema del clero nel mondo intero.
Guardate, il Signore vi chiama in varie zone, parliamo dei prossimi che partono, in modo particolare per il Chaco, guardate che l'Argentina non è che non abbia i preti, che non abbia vocazioni: mancano coloro che seminano. Come, per esempio, la terra nostra qua in Italia, prima del duce bisognava importare il frumento, dopo si è avuta la famosa campagna del grano e a un dato momento ne avevamo da mandar via persino, perché, perché si era cominciato a lavorare la terra. È la stessa cosa: bisogna cominciare a lavorare la terra, lavorare la terra, lavorare quelle migliaia di anime. Voi direte: “Come si fa? Vocazioni qui non ce ne sono". No, non state a gridare subito... Dopo un po' di tempo mi scrivete una lettera: "Qua per le vocazioni non c'è niente da fare!". Fate i cristiani, e dopo parleremo. Domani... scrive una lettera dopo un anno, sa, mettiamo dal Guatemala, dal Chaco: "Qua, per le vocazioni non c'è niente da fare!". Ma, scusatemi tanto, sarebbe come uno che andasse in bassa Italia, in una zona là... mezza desertica, e scrivesse su: "Qui, per il frumento non c'è niente da fare!". Ma, scusa, hai dissodato il terreno, hai seminato, hai arato? Fa’ quel lavoro lì e dopo dieci anni mi dirai se c'è niente da fare: vedrai che quel terreno ti renderà più dell'altro.

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4 Ecco, guardate questo papà, cosa meravigliosa, viene a sapere che suo figlio vuol farsi prete, capisce che sulle spalle sue è un peso maggiore che gli capita sulle spalle, ma subito: "Se è volontà di Dio, se Dio ti chiama, io ne sarò felice. Ma ascolta bene - e qua il cristiano, no? - quello che ti dico. Io non voglio assolutamente che come prete tu abbia a godere una vita più agiata di quella che avresti avuta qui".
La mamma di San Giovanni Bosco! La mamma avrebbe detto: "Sa, guarda che...". La mamma di San Giovanni Bosco ha detto: "Guarda che se vai prete, se decidi di fari prete, e se disgraziatamente diventerai ricco, io non verrò neanche a trovarti!", no? La mamma è più così. Il papà invece: "Io non voglio assolutamente, - è qui l'uomo, no? - assolutamente, se te ve prete che te fassi una vita più agiata". Hm! Ve ricordè che ve go contà ancora... Mons.Volpato, in seminario, un giorno, era vicerettore, me ricordo, e lì il vicerettore si metteva vicino alla porta della prefettura degli studi, lì che aspettava, e passavano le mamme: "Come falo me fiolo?". E un popà se avvicina al vice-rettore - fatto storico, lì - e dice: "Come falo el me piccolo qua?". "Bene, bene, l'è un po' delicatin nel mangiare, - el ga dito - delicatin nel mangiare!". "Eh! Impossibile! - el ga dito - Eh!". "Impossibile? Nol magna mai la polenta perché no la ghe piase". "Ah, fiol d'un can! - e el ghe ga dà un sc-iaffon - Se el magna altro che polenta tutta la settimana a casa! - el ga dito - Te magnavi sempre quela, - el ga dito - el pan te lo vedevi nda volta 'la settimana... dire che no te piaxe la polenta!”, el ga dito. Fatto storico: quattro sc-iaffoni, cazzotti, no, parchè, parchè no ghe piaxe la polenta, no la ghe piaxe, no la ghe piaxe... Guardate, state attenti, eh, che non capiti questo, non capiti questo, che ci siamo dati al Signore e a un dato momento, a un dato momento, siamo diventati dei nobili, delle persone che stanno coi ricchi, che non ci troviamo più a nostro agio in mezzo ai poveri! Guardate Papa Giovanni, come si sentiva contento di andare in mezzo ai suoi, come si sentiva a suo agio in mezzo ai poveri! Guardate che non basta soltanto dall'alto predicare ai poveri, dal pulpito spiegare, vero, la 'Populorum progressio'... bisogna essere in mezzo ai poveri come uno di loro, bisogna... non che il povero si senta a disagio con noi. Guardate che Gesù si sedeva in mezzo, là, si sedeva in mezzo a loro, ed era Gesù! Perciò, se per necessità noi dovremo avere anche delle comodità, delle cose che, insomma, non avevamo a casa, state attenti, facciamo qualche volta l'esame di coscienza andando a casa nostra, e vedere se noi non siamo un po' più esigenti dei nostri fratelli che sono a casa. Lo spirito di penitenza ci deve accompagnare.

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5 Ma questa benedetta parola qui: "Io non voglio assolutamente che come prete tu abbia a godere una vita più agiata di quella che avresti avuta qui...", dice non soltanto della situazione, ma anche del sacrificio; non parla soltanto, per esempio, dei mobili in casa, non parla soltanto, so io, del bar che avrete in casa, parla anche della vita, del sacrificio.
Scusate, io fossi rimasto per esempio a Quinto, se non avessi studiato, eccetera, ma anche avessi studiato, per forza mi sarei dovuto adattare alla vita che fanno tutti quanti gli uomini di sto mondo, e cioè: alzarsi presto alla mattina, vegner lavorare in città o a lavorare in qualche altra parte, e fin a mezzogiorno, poi nel pomeriggio sotto, eccetera eccetera. Fioi, la vita xe sacrificio, la vita xe lavoro! Provate a esaminare la vita degli uomini quelli fuori, quelli che hanno una famiglia sulle spalle, e vedrete quanto sacrificio che c'è. Ora, per il fatto che noi ci siamo dati al Signore, non dobbiamo pensare a una vita più agiata, più comoda, più... è una vita di sacrificio, di lavoro! Vorrà dire che se fuori avessimo lavorato dieci ore al giorno, qui bisognerebbe lavorarne venti, perché lavoriamo in proprio, lavoriamo per Nostro Signore, non lavoriamo per gli altri. Pensate un pochino... Non guardiamo adesso a certa gente che, sa, che fa 'l'arte de Michelasso', ma veramente ai nostri buoni papà di famiglia, che hanno sulle spalle la famiglia, che sentono il dovere della famiglia... è una vita di lavoro, figlioli! Perciò, non facciamo gli eroi perché lavoriamo qualche ora, e poi facciamo vedere chissà che cosa... no! Spirito di sacrificio, di lavoro; è un lavoro intenso che dobbiamo fare... dare. Attenti! Non abbiamo il padrone che si nota l'ora, l'oraio, l'orario là, ma guardate che non diamo l'impressione anche alla gente di essere della gente che lavora poco, che si ferma mezz'ora prima di sudare! Guardate che fuori sono abituati coll'orologio, e segnano il minuto, e lo sapete che negli stabilimenti fanno così. Ora, attenti, attenti: non diamo l'impressione che noi siamo padroni del nostro tempo e possiamo fare quel che vogliamo. Perché tante volte c'è proprio questa impressione, che il sacerdote è padrone del suo tempo e perciò va dove vuole e fa come vuole. È un disastro, figlioli, guardate che la gente se ne accorge! E diamo l'impressione della gente che fa la bella vita che no ga paroni... È mica vero questo qua? "Eh, i fa quel che i vole! A doveva andar prete anca mi, almanco no gavarìa paroni, a farìa quel ca vui mi, sarìa libero, sarìa libero!".

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6 Ora, questo giogo che hanno gli altri fuori di non esser liberi, perché hanno un capo-ufficio, perché hanno un padrone, figlioli miei, noi dobbiamo averlo anche noi: è Nostro Signore. Capite, devono sentire che abbiamo dei doveri e che lavoriamo intensamente. Perdonate se dico questo, ma guardate che su questo punto qui diamo tante volte un esempio mica troppo bello anche noialtri. Non so se siamo d'accordo qua... E qualche volta, qualche volta forse anche la nostra casa di formazione, diamo un po' questa impressione: che cioè, in altre parole, quando non abbiamo voglia di fare una cosa: "No, non ghe la fasso mia, no ghe la fasso mia!". Ora, eh, caro, prima de dire: "No ghe la fasso mia!"... Ecco, si misura, vedete... si fa presto a dire: "Ma, mi...". "Ghe sarìa da fare quella data roba!". "Mah, non posso mia, no ghin'ho mia voia...". Un momento: "Ghe sarìa da andar a lavorare stamattina!". "Ah! - el dixe l'omo a so mojere - No ghi n'ho voia!". Prima che l'omo diga "no ghi n'ho voia de andar lavorare"...
E invece guardate che nella vita nostra è facile dare noi il giudizio e dire... Qual'è il momento... Scusate, un papà di famiglia che deve partire, per esempio, il prof. Vicari alla mattina deve andar a far scuola alle scuole pubbliche: qual'è il giorno in cui può dire: "Io non ci vado!", perché, caro mio, a ghe vole el certificato medico. Digo, in genere, in genere, insomma, ghe xe una disciplina, ci deve essere una disciplina. Ora, figlioli miei, figlioli miei, attenti che noialtri invece, nel nostro campo, è facile che... Guardate che quando io adesso vi parlo, guardate che ho tutta una gamma di persone davanti, fuori nel mondo. È facile che diamo l'impressione che sa volemo fèmo, e se no semo liberi de andar via. "No te sé mia se el vien ancò?”, dixea un prete a quell'altro. "Spetta ca vedemo se...". "Ben, ben, mejo, va là...". Ecco, qual'è l'uomo che può dir così? Noi possiamo dir così. Cioè, siccome dobbiamo render conto solo al Signore, e il Signore tante volte no lo vedèmo, vero, allora xe facile che se tira avanti... Invece guardate che... Guarda qua un laico cosa dice, cosa che dice: "Ma ascolta bene quello che ti dico. Io non voglio assolutamente che come prete tu abbia a godere una vita più agiata di quella che avresti avuta qui". Vai prete? Sì! Ma una vita resa più dura, no più agiata. Il Signore ti chiama a lavorare di più, non a lavorare di meno, a sacrificarti di più...

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7 "Non voglio che tu diventi l'adulatore dei ricchi...". Beh, adesso speriamo che sia meno di una volta; c'era questo pericolo tremendo. Comunque, state attenti, perché è facile, forse più che diventare adulatore dei ricchi, diventare schiavi degli adulatori. Guardate che qui, qui ci cascate dentro, eh, o meglio ci caschiamo dentro tutti, ci caschiamo dentro tutti. Guardate che è facile divenire schiavi degli adulatori.
Comincia adesso... Supponiamo viene qui in ufficio da don Piero Martinello, viene qui, supponiamo, una persona, un professore di là, poniamo, il maestro Sergio, toh, tanto per aver uno: "Oh, senta don Piero, el varda, volea domandarghe una roba a lu, sa. So che el se ne intende de ste robe qua, so che el se ne intende, el ga tanta pratica de ste robe qua... Me darisselo un consiglio? Come farisselo lu sta roba qua?". E dopo el va, el secondo giorno: "Grazie, don Piero, sa... Quel consiglio che el me ga dà lu, che el me ga dà lu, varda, el me ga verto delle situazion. Grazie! El scusa, se vegno qualche altra volta”. "No, el vegna...". Guardate che, senza accorgersi, a un dato momento don Piero, con questi consigli che dà al maestro Sergio, e con queste lodi che il maestro Sergio fa di lui, apertamente e anche da altre parti, mi domando: se dopo c'è da dire una parola... proprio dirghela "hic et nunc", proprio seria seria, don Piero galo le man ligà o no? State attenti perché guardate che è facilissimo, è facilissimo! Quando subentra questa amicizia, questo senso di simpatia, basta solo che incominci a dare una lode, che cominci a lodare un pochino: "Ma lei, come fa? Come ha fatto? Ma guardi qua, ma guardi là...", state attenti che è difficile dopo essere capaci di ragionare un pochino oggettivamente. "Allora!". Accettatele quelle lodi, per carità! Fatelo quel piacere, per carità! Ma guardate... state attenti, state attenti, che c'è una giustizia, e avete un dovere.

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8 Per esempio, un momentino. Siamo qui nella Casa dell'Immacolata e c'è uno che, supponiamo Bertelli, viene lì e: "Don Ottorino... qua... ma lei... ma pronti... ma 'spetta... qua..."; e ti fa mille piaceri Bertelli fa una marachella un po' di quelle... un po' grossette, e... io dover intervenire, prenderlo per lo stomaco, dirghela proprio chiara e netta. Capisci, so che perdo un po' questo... questo contatto umano, che a me piace: "Che male xe?". "Niente... ma a me piace!", perché semo omini, piace il contatto umano, e darghe una smaccada vol dire... perché naturalmente l'uomo è uomo.
E naturalmente il maestro Sergio prima el loda don Piero, e dopo: "Oh, don Piero! Varda, credea nda roba, ma la xe 'naltra! Ah! Oh! Anca quelo... Credèa che el gavesse una mentalità un po' pì larga, e invesse el ga una testa da baùco anca quelo, come tutti gli altri... preti... compagni, eccetera eccetera". A un dato momento bisogna che si rassegni che capita questo... A uno che te ghe pesti la coa el scominsia a sbaiare, no? Va ben... Guardate, guardate che essere onesti, essere onesti ed essere preti, senza lasciarsi prendere da questo, guardate che è difficile! Ve lo digo appunto perché l'ho provato; è difficile, costa fatica perché hai... Uno perché ti è amico, quell'altro ti è amico... e ne hai tre quattro sui quali puoi contare, dir nda parola, eccetera, e a un dato momento dirghele ciare in faccia è fatica. E ti fa dire: "Beh, insomma, mi vao pian!". Ho sentito qualche volta qualcuno dire: "Sì, va ben, go visto anca mi quela roba là, però, sa, mi penso... go fatto un programma... vào pian... ecco...". Sa, i fa un programma che dura cinque sei anni perché intanto... perché... che vorrìa dire: "Me costa massa rinunciare a quell'amicizia; me costa massa avere un altro nemico; me costa massa... così... Sa, go pensà, go studià che le cose, pian pianelo... El vedarà che ghe 'rivo, el vedarà che ghe 'rivo!". In altre parole el volea dire che ghe costa massa farle. State attenti, fratelli. Non so se ho reso il pensiero e se avete capito: spero di sì, ma guardate che è facile, piuttosto... è facile, vero, adulare i ricchi, ma forse è più facile cascare in questa rete qui, divenire schiavi di chi ti loda o di chi ti viene là col sorriso o che ti tratta bene o qualcosa... e non essere più capaci magari, non essere più capaci di dire bianco al bianco e nero al nero, e più capaci di compiere la nostra missione apostolica, che è quella di dare una mano, di prendere uno pel braccetto e dire: "Senti, caro. Varda, ti te sì un bon fiolo, però, però... questo non va, questo non va!".

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9 Quante volte, per esempio, siamo sinceri, quante, quante volte anche nella nostra Casa dell'Immacolata, tu senti per esempio, prendiamo Gaetano per non prendere uno... per non prendere un caso particolare, supponiamo Gaetano che dice... supponiamo: "Sì, va ben... Rizzi qua, Rizzi là... eccetera". "Ghe lo gheto dito ti?". "Sa, no, veramente... sì, fatto capire, ma dito no!". E allora el dixe... e quell'altro che dixe ancora... supponemo Vinicio: "Ma... sa...". "Ghe lo gheto dito ti?". "Sì, ma sa... veramente...". No, no!
State attenti perché de queste robe qua mi son capitate decine e decine di volte nella Casa dell'Immacolata. Trovare gruppi di sette, otto, dieci, dire a uno: "Ma ghe lo gheto dito?". Tutti quanti contro uno che non è presente... "Ghe lo gheto dito ti?". "No". "Ghe lo gheto dito?". "No". E te sé che fora i xe amici, a braccetto, i cammina, i fa... i xe amiconi, i xe amiconi. Questa è vigliaccheria di puro sangue! E guardate che questo capita qua dentro, potete immaginarvi se non capita fuori! Te me vardi? Vera realtà! Per non... "Ma, sa... El ga da capirlo anca lu... ma sì...". E qui la storia è questa, no? Vogliamo Gaetano che vede che Rizzi non va, che ha delle cose che non vanno, e dopo, vero, Rizzi ha tutta l'impressione che Gaetano sia con lui, mentre Gaetano dice contro Rizzi, perché "no, non va quel modo lì!". Rizzi si sfoga con Gaetano, Rizzi si sfoga con Vinicio, Rizzi si sfoga con Leonzio, e tutti quanti lo condannano: tutti lo condannano. Lui ha l'impressione di essere un po'... eccetera, che tutti gli diano ragione e invece tutti lo condannano. Quei tre vigliacchi, scusate la parola, nessuno ha il coraggio di dire: "Ma vèrzi i oci, varda che te sì così e così, questa xe la realtà...". Ma sa, perdere l'amicizia! Qualcuno mi ha detto: "El capisce... Sì, xe vero, ma sa, xe pericoloso diventare nemici de Rizzi... perché, sa, l'è tremendo!". Mi son sentito dire queste parole, qua dentro. Se questo capita qui dentro, figlioli, dove che Gaetano el ciaparà Rizzi e tutt'al più i se magnarà la coa nda sc-ianta, ma dopo, insomma, no i se dà mia cortelà, ditemi voi, come avrete il coraggio di farlo fuori, quando potrebbero prendervi sul serio a coltellate o a calunnie, e farvi morire, tan tan, sotto lì? Perché so anche di questo: qualche sacerdote che ha avuto il coraggio di parlare, perché doveva parlare, e poi gli altri si sono vendicati dopo un po' di tempo calunniando e seminando calunnie su quel sacerdote: "Lo so mi, parchè ghe son vissin! Lo so mi, go visto mi!", perché prima erano amici, si sono allontanati, no, e allora: "Lo so mi!". "E allora xe vero, parchè quelo el gera sempre insieme, e el se ga allontanà appunto par quelo!". "Difatti dopo me son accorto e me son allontanà!". Nol dise mia: "El me ga tocà sul vivo e me son allontanà... Dopo che me son accorto, me son allontanà, da quela roba lì...". Figlioli, stiamo attenti, stiamo attenti perché sulla vita, nella vita apostolica, su questo punto qua ci caschiamo tutti: ci son cascato io, ci casco io, ci cascate voi, ci cascate, ci cascate. E cioè, non voglio che tu diventi l'adulatore dei ricchi, però, attenti, tu diventerai certamente schiavo dei sorrisi che ti circondano. E un po' schiavi ci siamo tutti, ci siamo tutti! Questo cos'è? Praticamente è un attaccamento, un'amicizia, eccetera, al comodo, al lieto vivere, al comodo vivere, sa, al vivere comodo, non aver nemici.

MO185,10 [30-05-1967]

10 E invece noi dobbiamo portare la verità, figlioli! “... ma il sostegno e il consolatore dei poveri". Ecco il nostro lavoro, adesso! Adesso spostemose coi ricchi, go messo dentro in mezzo questa qua, no? Raffaele, adesso spostemose coi ricchi: dobbiamo essere "il sostegno dei poveri". Ecco, mi me permettaria de dire, quando intendo dire 'sostegno dei poveri', non vorria dire... stè attenti una cosa, fioi, l'animatore dei lavoratori, quasi il politicante o qualcosa del genere.
Giorni fa, al cimitero di Redipuglia è andato un sacerdote in gita, con trecento giovanotti e uomini, e lì, alla fine, quel sacerdote, che non aveva nessun segno di prete... una giachetta là... che no se conoscea se el fusse prete o se el fusse laico, là el ga dito Messa... perché bisogna diventare come loro, vero? Celebrata la Messa poi ha radunato tutti quanti da una parte e ha detto: "Bene..." e lode perché sono stati là, e: "Domani sera, tutti quanti al tal posto perché dobbiamo fare una protesta per il Vietnam...". E là el ga fatto una mezza conferenza politica. Mi diceva un sacerdote che era presente, che era presente lì, certamente un comunista non avrebbe fatto un comizio diverso da quello che ha fatto quel sacerdote lì. Ora, siamo d'accordo tutti per la questione del Vietnam, non si discute, ma che il prete faccia il prete, vi pare?, il prete faccia il prete! Non credo che il prete sia conveniente che si metta lui a dire, a mettersi domani a organizzare quelle cose lì. Guardate che neanche, neanche i buoni vorrebbero vedere questo. Il prete è lì per dire: “Questo è bianco e questo è nero”, e insegnare la strada che va in Paradiso; per dire agli altri: “Sentite, potete...”. "Possiamo far questo?". "Certo! Secondo me lo potete fare... Così e così...". Faccia il prete! "Convinzione e lavoro, altrimenti tanto varrebbe restare in panetteria". Perciò vivere con convinzione e con lavoro, altrimenti tanto sarìa de fare el fornàro, restar lì a fare el fornàro. E mi fermo qui. Cari fratelli miei, il prete o il diacono che lo fanno integralmente, buttandosi completamente nelle mani di Dio e vivendo così, altrimenti tanto valeva che mi a fusse nda a fare el muraro come me poro papà, e ti, caro Gaetano, el fàvaro, e ti el contadin... e gavarissimo forse acquistà più meriti dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini.