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LIBRETTO BIANCO

Si tratta del cosiddetto «LIBRETTO BIANCO», che presentava soprattutto al clero la Congregazione nei suoi aspetti spirituale, comunitario e apostolico secondo il concilio Vaticano li. L'idea e la prima stesura risalgono alle vacanze del Natale del 1965, al Tiro a Segno (Asiago). Don Ottorino ne scrisse personalmente alcune parti fondamentali. Il libretto fu stampato alla fine del gennaio 1966.

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LA PIA SOCIETÀ SAN GAETANO

FINE

1. La Pia Società San Gaetano affida ai suoi membri come compito speciale: 1) richiamare e condurre gli uomini, spesso incuranti del proprio fine e protesi egoisticamente solo al miglioramento delle loro condizioni temporali, a vivere il grande precetto di Gesù: amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente e con tutte le forze e amarsi a vicenda come Egli ci ha amati. 2) insegnare agli uomini che la “legge dell'amore”, posta a cardine di tutta la vita, richiede come conseguenza l'accettazione serena e gioiosa del sacrificio quotidiano del lavoro, inteso come compimento dell'opera creatrice di Dio, fonte di espiazione e di merito, strumento di servizio e di elevazione del prossimo.

PROGRAMMA

La Pia Società San Gaetano, per attuare il suo fine speciale, si propone di venire incontro a due urgenti problemi della Chiesa nel mondo d'oggi: la scarsità di clero e l'apostasia del mondo operaio. Le sue costituzioni prevedono infatti: 1) il servizio alle diocesi sprovviste di clero “Accetta dagli Ordinari del luogo la cura d'anime nelle parrocchie, allo scopo di accostare ogni categoria di fedeli e di avviarli a quella vita integralmente cristiana che, nell'esercizio della professione, trova motivo di spirituale progresso e continua occasione per la pratica delle più alte virtù cristiane” (Cost. 3). 2) la formazione dei laici alla spiritualità cristiana del lavoro. “Tenendo presente l'esempio del Divino Operaio di Nazareth, la Pia Società si interessa della preparazione spirituale e professionale dei giovani lavoratori. Perciò, dove è necessario, apre scuole o istituzioni a carattere prevalentemente professionale. Svolge opera di penetrazione spirituale negli ambienti di lavoro, per condurre le anime a santificare il lavoro stesso, inteso come compimento dell'opera creatrice di Dio, fonte di espiazione e di merito, strumento di servizio e di elevazione del prossimo” (Cost. 3).

MEMBRI

La Pia Società San Gaetano è composta di Sacerdoti ed Assistenti.

CONGREGAZIONE appartenenza

CONGREGAZIONE

PASTORALE laici

GESÙ

Per la formulazione di queste idee don Ottorino si servì della prefazione, scritta dal card. Giovanni Colombo, al libro «Discorsi dell'arcivescovo di Milano (card. G.B. Montini) al clero r, Milano 1963, p. Il. vedi pure “Scritti spirituali”, p. 143.

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I SACERDOTI “È compito dei Sacerdoti predicare il santo Vangelo anzitutto con l'esempio, di modo che il popolo venga attratto a Cristo per la loro fede, semplicità, carità e povertà. Con il clero diocesano è loro dovere stabilire una fraterna collaborazione e, sotto la guida dell'Ordinario del luogo, prestarsi generosamente per una concorde ed attiva opera a bene delle anime” (Cost. 7).

GLI ASSISTENTI

“Gli Assistenti sono preparati con una buona cultura classica, filosofica e teologica. Curano le attività pratiche e la disinvoltura nel trattare, in modo da poter penetrare facilmente tra il popolo. Ricevono la stessa formazione spirituale dei Sacerdoti, con i quali dividono gioie, ansie, dolori e lavoro apostolico. Hanno cura delle cose del culto e di tutto ciò che riguarda la Chiesa. A loro è affidata l'assistenza dei giovani negli Oratori, l'insegnamento della dottrina cristiana ai fanciulli e possibilmente la direzione e l'assistenza delle scuole professionali. In modo particolare gli Assistenti devono portare nei vari settori della parrocchia, con opera di penetrazione, lo spirito cristiano del lavoro” (Cost. 8).

IL RELIGIOSO DELLA PIA SOCIETÀ

L'UOMO

Il Religioso della Pia Società, dovendo svolgere la sua attività fra gli uomini, tiene presente che il suo primo contatto con loro è sempre un contatto umano. Cura perciò con diligenza la sua formazione umana, perché una mancanza nel comportamento e nei rapporti umani non danneggi l'efficacia del messaggio divino che egli porta. Per allacciare il contatto con i vicini e con i lontani egli si presenta come persona distinta e compita nel tratto e nelle maniere. Evita l'egoismo, l'asprezza, l'autoritarismo, l'ironia e il pessimismo. Mostra una grande bontà e comprensione, una gioia continua e un perenne sorriso sul volto; nel pensare ha larghezza di vedute; nel parlare usa linguaggio interessante, equilibrato, aderente alla realtà e aggiornato; nell'agire è paziente, coraggioso e costante.

Cfr. «Scritti spirituali», p. 134.

Cfr. «Scritti spirituali», p. 144.

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L'UOMO DI DIO Il mondo ha bisogno di Dio e ogni uomo, spesso senza saperlo, ha fame e sete di Lui. L'apostolo di oggi deve testimoniare con la propria presenza che Dio esiste ed è vicino a ciascuno nei vari momenti della sua intensa giornata. È necessario quindi che l'apostolo risplenda per una fede sincera, viva e ardente; che sia non solo convinto dell'esistenza di Dio e professi le verità della fede, ma che rimanga continuamente in intima adorazione; che faccia ogni sua azione alla presenza di Dio, con Lui, per Lui. È questa la condizione essenziale per essere un uomo di Dio, portatore della parola eterna, distributore del Pane di vita, rappresentante dell'Eterno tra gli uomini. Per essere un apostolo di tale spirito il Religioso si sforza di vivere in continuo contatto personale e cosciente con Dio, preoccupato di fare solo, sempre e bene la Sua volontà. Egli incomincia a salire verso la ,meta sublime dell'unione con Dio, accettando la Madonna per Madre e lasciandosi da Lei guidare per l'aspra via della rinuncia e dell'abnegazione. Col Suo materno aiuto sale il Calvario e si incontra con Cristo Crocifisso, suo Amico e Fratello. Ai piedi della Croce egli vede il dolore sotto una nuova luce e impara ad accettarlo incondizionatamente dalle mani di Dio. Tra lui e Gesù avviene un'unione così intima, che la sua vita diventa il prolungamento della vita di Gesù e il suo sacrificio il compimento della Sua passione. L'Eucaristia diviene la fonte e il centro unificatore della sua pietà e della sua vita interiore. Sacerdote e vittima insieme con Gesù, offre ogni giorno la sua Messa e per mezzo di Lui nello Spirito Santo vive in intima comunione e familiarità col Padre e con i fratelli.

IL CASTO

Il religioso, mosso dal desiderio di amare Cristo al di sopra di tutto e di amare i fratelli con la stessa tenerezza di Gesù, vive gioiosamente il voto di castità, che rende libero in ,modo speciale il suo cuore e lo accende sempre più di carità verso Dio e verso tutti gli uomini. Considerando l'amore di castità, a cui lo invita Cristo, come immensamente superiore all'amore fecondo del matrimonio e come la via per uno sviluppo più perfetto della sua persona, si dona a Cristo senza riserve per realizzare con Lui una comunione perenne ed esclusiva di vita. E da Lui riceve in contraccambio pienezza di vita interiore, ricchezza di vita spirituale, fecondità apostolica, intima felicità del cuore, capacità più vasta di donazione e di sacrificio per la salvezza dei suoi fratelli. Consapevole che la castità è un insigne dono della grazia, chiede ogni giorno con umile preghiera il soccorso divino, implorando l'intercessione materna della purissima e sempre Vergine Madre di Dio. Custodisce gelosamente la purezza attraverso la ,mortificazione dei sensi, unendo al sacrificio di Cristo l'impegno quotidiano per essere sempre, solo e tutto del Signore. Per custodire più facilmente la castità, pratica nella vita comune un vero amore fraterno con i confratelli, vedendo ed amando in essi lo stesso Signore Gesù. Della sua vita fa una viva testimonianza “di quel mirabile connubio operato da Dio e che si manifesterà pienamente nel secolo futuro, per cui la Chiesa ha Cristo come suo unico sposo” (P.C., 12).

Cfr. «Scritti spirituali», pp. 135/136.

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IL POVERO Gesù a Nazareth viveva da povero operaio con tutte le difficoltà e i rischi degli operai, senza tuttavia essere nella miseria. Sul suo esempio è improntata la povertà religiosa. Il Religioso quindi nel suo ufficio sente di obbedire alla comune legge del lavoro, e mentre in tal modo si procura i mezzi necessari al proprio sostentamento e alle opere della Congregazione, allontana da sè ogni eccessiva preoccupazione e si affida alla Provvidenza del Padre celeste (Cfr. Perfectae caritatis n. 13). Per l'uso delle cose necessarie alla vita si regola su ciò che farebbe una povera famiglia di lavoratori, dove tutto è misurato, dove non c'è posto per capricci, lussi o spese inutili. Vive con spirito di risparmio, considerando ogni spreco un'ingiuria al povero; nella sua casa tutto è decoroso e pulito. Una povertà che non comporti un po' di sacrificio non è povertà religiosa. Il Religioso quindi vive una povertà evangelica, gioiosa, desiderata ed amata, tenera e generosa verso i sofferenti. Essendo figlio del suo tempo e vivendo in mezzo ad un mondo che cerca di sfuggire il sacrificio, egli può essere preso inconsciamente dallo stesso spirito che non è certo quello di Cristo. Per salvarsi da tale pericolo, tiene fisso il suo sguardo sul Redentore crocifisso e confronta spesso la propria povertà con quella del Maestro. Vivendo così povero come Gesù, mostra a tutti la superiorità dei beni spirituali su quelli temporali e può andare tra i poveri come l'inviato del loro unico e vero Amico.

IL CONSACRATO

Il Religioso si considera uscito da un atto eterno di amore di Dio e apparso nel tempo per realizzare un piano di salvezza che Dio ha su di lui in strettissima solidarietà con tutti gli altri uomini. Ma in ogni uomo il peccato originale lascia semi di ribellione alla volontà di Dio, che ostacolano la realizzazione di questo piano. Gesù, per redimere gli uomini dal peccato, ha fatto della Sua vita un atto continuo di obbedienza al Padre fino alla morte di croce. Ogni cristiano, sull'esempio di Gesù, è chiamato all'obbedienza per aderire a Dio ed esser salvo. Ma ci sono dei cristiani, che, invitati da Gesù a seguirlo più da vicino, “offrono a Dio la completa rinuncia della propria volontà come sacrificio di se stessi, e per mezzo di esso in maniera più salda e sicura si uniscono alla volontà salvifica di Dio... Perciò i religiosi in spirito di fede e di amore verso la volontà di Dio, secondo quanto prescrivono la regola e le costituzioni, prestino umile ossequio ai loro Superiori col mettere a disposizione tanto le energie della mente e della volontà, quanto i doni di grazia e di natura, nella esecuzione degli ordini e nel compimento degli uffici loro assegnati, sapendo di dare la propria collaborazione alla edificazione del Corpo di Cristo secondo il piano di Dio. Così l'obbedienza religiosa, lungi dal diminuire la dignità della persona umana, la fa pervenire al suo pieno sviluppo, avendo ampliata la libertà dei figli di Dio”(Perfectae caritatis n. 14). Nella Chiesa infatti, che è il Corpo Mistico di Gesù, non c'è mai un puro rapporto di subordinazione o di superiorità, come nella società secolare, ma sempre un'obbedienza amorosa al Cristo, solo Signore e solo Capo del Suo Corpo. Sia chi comanda come chi obbedisce non fanno mai altra cosa che servire il Cristo e i fratelli, nella situazione di capo o in quella di semplice membro fraterno, confessando che tutto è grazia di Dio. Il Superiore, preoccupato di fare la volontà di Dio e di esercitare l'autorità in spirito di servizio verso i fratelli, quando comanda, si propone come unico scopo di condurre i suoi Religiosi verso una unione più intima alla volontà del Cristo, sforzandosi di scoprire ciò che l'amore di Dio esige in ogni momento da ognuno e da tutti. Per lo stesso scopo, il Religioso a sua volta collabora con il Superiore in un clima di fiducia fraterna, non isolandolo, ma tenendo con lui un efficace e franco contatto di informazione e di apertura; non comportandosi passivamente, ma andando incontro attivamente all'obbedienza, perché è l'obbedienza liberamente compiuta con amore che ravvicina al Cristo.

Cfr. «Scritti spirituali», p. 136.

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LA COMUNITÀ RELIGIOSA I Religiosi hanno lasciato una famiglia naturale per formare insieme una nuova famiglia, che, “unita nel nome del Signore, gode della Sua presenza” (Perfectae caritatis n. 15). In essa, uniti da un medesimo ideale, sorretti dallo stesso fratello Gesù, impegnati nello stesso lavoro, vivono in spirito di fraterna comprensione quella carità che distingue i portatori del messaggio divino. Ogni membro della comunità nel proprio confratello ama e serve Gesù e il Superiore esercita “l'autorità in spirito di servizio verso i fratelli, in modo da esprimere la carità con cui Dio li ama” (Perfectae caritatis n. 14). Essendo campo di apostolato della Pia Società in modo particolare la cura pastorale nelle parrocchie, i Religiosi non vivono mai in grandi comunità; è quindi più facile realizzare questo clima di famiglia che fa della comunità la testimonianza viva voluta da Gesù perché sia riconosciuta l'autenticità dei suoi inviati a predicare la lieta novella: “Da questo conosceranno che siete miei discepoli, se vi amerete gli uni gli altri” (Gv. 13,35). Sentano inoltre di essere stati radunati dall'amore di Cristo per essere nella parrocchia un piccolo carmelo in perenne adorazione, che ripara ed intercede per il popolo, e nello stesso tempo per essere a disposizione dei fratelli al fine di istruirli, consolarli e distribuire loro i doni di Dio. Come un figlio ricorre sempre con fiducia alla casa del padre, così è necessario che i fedeli sentano naturalmente il bisogno di ricorrere nelle loro necessità alla casa di quegli uomini, che Dio ha posto nella parrocchia, per tenere accesa la Fede, la Speranza e la Carità. Gli affaticati e stanchi devono trovare nella casa dei Religiosi forza e consolazione; gli addolorati comprensione e rassegnazione; lontani e vicini serenità e fiducia.

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LA COMUNITÀ IN AZIONE APOSTOLICA L'ideale Il Religioso della Pia Società si propone di richiamare gli uomini alla coscienza di essere membri di una grande famiglia, di cui Dio è Padre e Cristo Fratello. “Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo, che Lo riconoscesse nella verità e fedelmente Lo servisse” (Lumen gentium, n. 9). L'uomo d'oggi, che cerca di unirsi nel partito, nel sindacato, e, a più largo raggio, nelle comunità economiche, politiche, nazionali e internazionali, è provvidenzialmente preparato e disposto ad entrare nella Famiglia di Dio. È dovere quindi dell'apostolo far sì che tutti gli uomini divengano e si sentano figli dello stesso Padre e quindi fratelli tra di loro, legati a tal punto dal vincolo della carità da considerare misura dell'amore di Dio l'amore verso il fratello. Di conseguenza ogni figlio di Dio comprenderà la necessità di salvare la propria anima, fondendosi sempre più in comunità con i fratelli per tendere insieme a costituire la Famiglia dei figli di Dio.

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La Famiglia Dei Figli Di Dio
A chi spetta, nella parrocchia, formare la famiglia dei figli di Dio? Sacerdoti, Assistenti e Laici, in virtù del battesimo e della cresima, sono tutti ugualmente corresponsabili di tale realizzazione. È infatti volontà di Dio che ogni cristiano sia missionario, cioè direttamente responsabile della salvezza dei propri fratelli. Come in una famiglia umana un figliolo soffre e non si dà pace se un suo fratello è traviato, così ogni cristiano deve sentire vivo il dovere di fare qualche cosa per il bene di altri fratelli. Se gli operai sono lontani da Dio, tocca all'operaio cristiano portare in mezzo a loro il fermento di Cristo; nella scuola spetta al professore e allo studente cristianizzare l'ambiente; così nel luogo di ritrovo, nella famiglia, nella politica, nell'economia è il Laico che deve portare la luce del Vangelo. Ma chi prepara i Laici a questo compito? E soprattutto a chi spetta entusiasmarli per questa causa, sostenerli e guidarli? Tocca in modo particolare all'Assistente suscitare in loro il senso del sacerdozio proprio dei Laici, rendendoli coscienti della loro missione. Presentandosi in veste di laico, egli più facilmente può accostare ogni categoria di persone, penetrare nei vari ambienti dissipando ogni pregiudizio, e così diventare l'amico per essere poi l'animatore dei fratelli cristiani. Per questo compito gli Assistenti sono particolarmente specializzati: chi ad avvicinare gli operai, chi i giovani, chi gli intellettuali, chi i professionisti; tutti però con lo stesso ideale: risvegliare in ogni cristiano la responsabilità per la salvezza dei propri fratelli. E qual è, nella comunità parrocchiale, la missione del Sacerdote? “Esercitando l'ufficio di Cristo, Pastore e Capo, raccoglie la famiglia di Dio quale insieme di fratelli animati da un solo spirito e per mezzo di Cristo nello Spirito li porta al Padre” (Lumen gentium n. 28). Egli è consacrato “per predicare il Vangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto divino” (Lumen gentium n, 28). Essendo coadiuvato dagli Assistenti nell'organizzazione delle opere temporali e nell'animazione dei Laici, il Sacerdote può dedicare tutto il “suo tempo all'amministrazione dei sacramenti, allo studio per un'efficace sacra predicazione, alla cura diretta delle anime nel confessionale: sempre a disposizione di tutti come padre, amico, consolatore e guida. Nel suo ministero sacramentale potrà essere affiancato dagli Assistenti, qualora a questi venga concesso il diaconato, ripristinato dal Concilio Vaticano li. È infatti ufficio del Diacono “amministrare solennemente il battesimo, conservare e distribuire l'Eucaristia, in nome della Chiesa assistere e benedire il matrimonio, portare il Viatico ai moribondi, leggere la Sacra Scrittura ai fedeli, istruire ed esortare il popolo, presiedere al culto e alla preghiera dei fedeli, amministrare i sacramentali, dirigere il rito funebre e della sepoltura” (Lumen gentium n. 29). L'Assistente diventa così l'anello di congiunzione tra il Sacerdote e i Laici, essendo ministro all'altare, animatore dei Laici e organizzatore delle opere caritative.

*** Da questi rapporti sinceri ed intensi tra Sacerdoti, Assistenti e Laici, la parrocchia diventerà una famiglia tutta impegnata e protesa “a manifestare Cristo con il fulgore della Fede, della Speranza e della Carità” (Lumen Gentium n. 31).

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LA SPIRITUALITÀ DEL LAVORO Il cristiano, chiamato a far parte della Famiglia dei figli di Dio, si trova a vivere nella società umana, verso la quale ha una missione da compiere, che consiste “nell'animare e perfezionare l'ordine temporale con lo spirito evangelico”(Apostolicam actuositatem n. 5). Perciò colui “che trascura i suoi impegni temporali, trascura i suoi doveri verso il prossimo, anzi verso Dio stesso e mette in pericolo la propria salvezza eterna” (Gaudium et spes n. 43). È compito del Religioso della Pia Società ricordare ai cristiani che la Fede li obbliga, secondo la vocazione di ciascuno, a compiere tali impegni con senso di responsabilità. In modo particolare l'azione apostolica dei Sacerdoti e degli Assistenti è diretta ad educare i cristiani a santificarsi nel lavoro e col lavoro, accettato in spirito di amorosa obbedienza al Padre e di generoso e fraterno servizio al prossimo. Il lavoro non deve allontanare da Dio, ma avvicinare a Lui, Creatore, che ha voluto chiamare l'uomo “a collaborare con la propria attività al completarsi della divina creazione” (Gaudium et spes n. 67). Il progresso tecnico, che oggi sembra accecare l'uomo fino a fargli credere di essere artefice unico delle opere meravigliose da lui compiute, deve, senza perdere niente dei suo splendore, lasciare il giusto posto a Dio, da cui tutto proviene e a cui tutto dev'essere diretto. Il cristiano non teme e non ostacola il progresso tecnico, perché “le vittorie dell'umanità sono segno della grandezza di Dio e frutto del Suo ineffabile disegno” (Gaudium et spes n. 34) ; pertanto lo favorisce, lo rende umano e cristiano, lo santifica. Attraverso il lavoro il cristiano è chiamato a perfezionare se stesso, poiché “apprende molte cose, sviluppa le sue facoltà, è portato ad uscire da sè e a superarsi” (Gaudium et spes n. 35). Cosciente che ogni lavoro è un servizio prestato ai fratelli, tanto più perfetto quanto più tecnicamente eccellente, egli si sente impegnato a svolgere la sua attività con competenza, non solo per raddoppiare i talenti ricevuti da Dio, ma anche per dovere di carità verso il prossimo e verso l'intera società, che ogni cittadino è tenuto a migliorare. La pena accompagna abitualmente il lavoro, con il quale l'uomo provvede alle condizioni di vita proprie e dei suoi familiari. Il cristiano è chiamato ad offrire questa pena a Dio, in unione con Gesù, Divino Redentore, per salvare se stesso e contribuire alla salvezza dei fratelli, associandosi all'opera stessa redentiva di Cristo e completandola. In questa prospettiva, il lavoro acquista “una elevatissima dignità”, che il Cristo ha ad esso conferito “lavorando con le proprie mani a Nazareth” (Gaudium et spes n. 67) e divenendo “il nostro compagno di lavoro”. Compiendo il suo lavoro con lo spirito del Divino Operaio, il cristiano è un autentico apostolo del Vangelo nell'ambiente di lavoro e diviene “il fermento e quasi l'anima della società umana, destinata a rinnovarsi in Cristo e a trasformarsi in Famiglia di Dio” (Gaudium et spes n. 40).