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L’IMITAZIONE DI GESÙ

MO84[03-08-1966]

MO84,1[03-08-1966]

1."Siamo obbligati ad imitare Gesù?
Siamo tenuti ad imitare Gesù? La questione non può lasciarci indifferenti, perché mette in causa i nostri rapporti col Signore". Qui si tratta di vedere se siamo tenuti o non siamo tenuti. Perché se è un consiglio... ma se siamo tenuti, la cosa è diversa. Domani si va in gita, si sta via due giorni. È stato detto: "Chi vuole andare, va". Sono stati fatti vari itinerari. È stato detto: ognuno scelga l'itinerario che crede. Ma se si fosse detto: domani mattina partiamo tutti e torneremo fra due giorni, per essere dispensati dalla gita ci vorrebbe un motivo: uno non sta bene, uno ha un'occupazione. Ora, qui si tratta di vedere: è una cosa libera l'imitazione di Gesù o è una cosa necessaria? È una raccomandazione, una proposta che viene fatta o è un ordine? "Noi non dobbiamo solamente pregarlo, ascoltarlo, amarlo: dobbiamo anche divenire simili a Lui. E per convincerci di questa necessità ci basta guardare allo stesso Gesù, vero Dio e vero Uomo. "Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste è perfetto", tale è il comandamento del Vangelo (Mt 5,48)".

MO84,2[03-08-1966]

2.Non so se vi siate mai fermati un pochino da soli dinanzi al tabernacolo e vi siate rappresentati Lui, il maestro, e abbiate ascoltate dal suo labbro proprio queste parole: "Senti, Gianfranco, io voglio una cosa da te". "Dimmi, Signore, qualunque cosa tu mi abbia a domandare, ricordati, io te la do. Vuoi che mi tagli i capelli a zero? Me li taglio. Vuoi che mi metta in pigiama e vada in giro per la città di Vicenza? Lo faccio per amor tuo. Vuoi che digiuni, mi alzi di notte? Lo faccio. Dimmi, Signore, qualunque cosa tu voglia, io, Gianfranco Orfano, lo faccio per amore tuo". E Gesù parla: "Senti, Gianfranco, io ti chiedo una cosa: voglio che tu sia perfetto come il Padre celeste che è nei cieli".
Questa parola l'ha rivolta a me, l'ha rivolta a te. Io in chiesa davanti al tabernacolo devo sentirmela rivolta personalmente a me, da Lui, Lui Gesù, seconda persona della Santissima Trinità che si è fatto uomo per amore mio. Non mi domanda una parte di me stesso, non mi domanda: "Dammi un dito della tua mano, dammi una manata di te stesso". No. Dice: "Io voglio, ricordati, voglio che tu sia perfetto come è perfetto il Padre nostro, Padre tuo e Padre mio, che è nei cieli". Questo è un comando che Gesù ha dato a noi.

MO84,3[03-08-1966]

3.Ora vedete che le cose non si possono prendere così, alla buona. O crediamo o non crediamo. Se non crediamo siamo degli stupidi a fare quello che facciamo; ma se crediamo, siamo... - siate buoni, metteteci il titolo che volete, ma mettetelo forte, forte - nell'agire come agiamo. È vero o non è vero che c'è Lui? Sì. E vero o non è vero che Lui ci ha chiamati e ci ha chiesto questo? Sì. E allora?
La conclusione è: dobbiamo sforzarci di essere perfetti come il Padre che sta nei cieli. Capite che se mi dicessero: "Tu devi sforzarti di cantare come Pertile, come Gigli", sarebbe un problema non indifferente, no? Eppure la distanza è più grande tra noi e il Padre, che non tra un povero stonato, vecchio stonato, e Pertile, Gigli o qualche altro. Eppure il Signore ha detto: "Tu, stonato, devi sforzarti di cantare. Tu, peccatore, tu, pieno di difetti, devi sforzarti di essere perfetto, divenire perfetto come il Padre. Ecco là il modello: tu devi sforzarti di cantare così". Guardate che è una cosa che fa paura. Eppure è ordine di Gesù. "Siate santi - dice l'Antico Testamento - perché io Yahvè vostro Dio sono santo" (Levitico 19, 2). Certo, noi sappiamo molto bene che vi è come una presa di possesso di Dio sulla nostra vita, perché Lui stesso ci chiama e ci conduce a sè; sappiamo bene che dovremo farci veramente santi agli occhi di Dio - in questo mondo o al di là della morte, attraverso le ultime purificazioni del Purgatorio - affinché tutto termini bene per noi. Ma, in pratica, che significa per noi questa chiamata a partecipare alla santità e alla perfezione del Dio in creato, tre volte santo?". L'Antico Testamento dice: "Siate santi perché io sono santo"; il Nuovo Testamento: "Siate perfetti come il Padre che sta nei cieli", ma che cosa significa questo? "Alla nostra domanda Gesù ha risposto affermando a Filippo: 'Chi vede me, vede il Padre' (Gv 14,9). Così Egli è la via, a tal punto che noi non potremmo tendere alla perfezione che Dio ci impone senza farci simili a Gesù. Per imitare il Padre dobbiamo quindi imitare Gesù che è l'immagine del Padre e la sua parola eterna espressa umanamente. Gesù è la pienezza della rivelazione del Padre...". Dunque ci dice Gesù: "Siate perfetti come il Padre". Dice Filippo: "Mostraci il Padre". "Ma tu hai visto me, e vedendo me vedi il Padre, no?" E allora è la stessa cosa che dire: cerchiamo di essere perfetti come Gesù, perché, essendo perfetti come Gesù saremo perfetti come il Padre. Non so se abbiate capito?

MO84,4[03-08-1966]

4."... ma con Gesù questa rivelazione riceve la sua pienezza umana perché, secondo la parola di San Paolo "in Lui abita corporalmente la pienezza della divinità" (Col 2,9). Non solo Gesù ci parla di Dio come nessun altro profeta l'aveva mai potuto fare prima di Lui, ma Egli ci manifesta il Padre anche per mezzo di tutto quello che Egli è e di tutto quello che fa. Gesù, per esempio, in quella bella parabola che tutti conoscete, ci dice che il padre del figliol prodigo scorse da molto lontano il figlio che cercava la casa paterna; ci dice che, tutto commosso, corse a gettarglisi al collo per abbracciarlo teneramente: tuttavia sull'amore misericordioso di Dio ci dice assai di più il comportamento del nostro Signore Gesù e la sua morte sulla Croce. Già fra noi uomini non è possibile, con le nostre sole parole, far conoscere veramente e integralmente una persona che amiamo. Descrivete questa persona, illustrate pure la vostra descrizione con tutte le fotografie che vorrete: non riuscirete mai a comunicare quel “qualche cosa” che fa di ogni persona un essere unico e incomunicabile, che non si comunica se non con la vista e con l'azione, in uno scambio di sguardi, in una comunanza di vita. Non si è mai finito di conoscere qualcuno...".
Vedete, io vado adesso in America; al ritorno cercherò di descrivervi quello che ho visto, cercherò di descrivervi le persone. Quando poi, di qui a qualche mese, qualcuno di voi andrà in America, dirà: "Sì, don Ottorino ce lo aveva descritto, ma mi ero raffigurato un'altra cosa". Descriverà le persone... "Sì, quella persona, sì, ma guarda, mi raffiguravo un'altra cosa". Quante volte mi sento dire anch'io: "El scusa, sa, me lo gero raffigurà un altro, lu". Giorni fa, mi trovo con delle persone: "El me scusa, sa, me lo gero raffigurà uno magro... sa... una figura un po' ascetica, alta, eccetera. Me gero fatto un'altra idea, un'altra idea". E sì chissà quante fotografie qualcuno gli avrà mostrato... e sì che quante chiacchere e bugie saranno state dette! "Eppure, eppure, mi ero fatto un'altra idea. Ho sentito parlare tante volte di lei, ma mi ero fatto un'altra idea". Fratelli, se questo si dice degli uomini, che cosa dobbiamo dire di Dio? Descrivere, descrivere fin che volete... bisogna vedere e allora ci facciamo un'idea. Ed è quello che dobbiamo fare. "Non si è mai finito di conoscere qualcuno: che diremo allora quando questo qualcuno è Dio stesso? Se vogliamo conoscere Dio nel suo proprio mistero non ci basterà ascoltare ciò che ce ne dice Gesù, non basterà nemmeno scrutare la vita di Gesù per scoprire il volto e il cuore di Dio: dovremo ancora seguire Gesù più da vicino e imitare la sua vita per conformare la nostra al volto e al cuore di Dio". Guardate che è forte. Non basta neppure ascoltare quello che ci dice Gesù per avere un'idea di Dio; bisogna conformare la nostra vita a quella di Gesù, e allora capiremo Dio.

MO84,5[03-08-1966]

5."Un'altra cosa ancora vorrei sottoporre alla vostra riflessione: in Gesù e per mezzo di Lui noi siamo figli di Dio, figli adottivi. Ma la nostra filiazione divina non ha ancora raggiunto la sua piena maturità. Al momento siamo ancora in crescita e in tirocinio di vita divina. Questo è il paradosso della condizione cristiana, che noi per dono di Dio siamo figli in verità, ma che dobbiamo ancora divenire tali per la nostra libera accettazione di questo dono, per la nostra libera e consapevole risposta alle premure divine, e per la nostra collaborazione alle trasformazioni che la grazia vuole operare in noi. Dobbiamo vivere da figli di Dio la nostra vita di uomini. Ma come procedere? Come potremo trattare con Dio da figli e comportarci come tali?
Qui è ancora Gesù che risponde alle nostre difficoltà perché Egli è il nostro 'fratello maggiore' a più di un titolo e in senso che non approfondiremo mai abbastanza. Primogenito di ogni creatura e della umanità novella, Egli ci ha acquistato, a prezzo del suo sangue, la nostra filiazione adottiva: rileggete, per esempio, l'inizio della lettera ai Colossesi. Nella nostra filiazione adottiva noi gli siamo così strettamente legati che non potremmo rivolgerci a Dio come nostro Padre senza passare per Lui e senza dimorare in Lui. Ed è da Lui che dobbiamo imparare a comportarci da figli di Dio: Verbo fatto carne per noi e per la nostra salvezza, Egli ha vissuto umanamente e fra noi il proprio mistero di Figlio unico del Padre eterno. Tutto l'insegnamento e tutta la vita di Gesù, quali ci sono riportati nel Vangelo, costituiscono per noi una 'pedagogia divina' nel senso proprio della parola. Nuova ragione d'imitare Gesù. Ma non si tratta di una imitazione puramente esteriore della sua vita: bisogna andare più avanti, fino ad aver parte alle sue preoccupazioni, ai suoi desideri, alle sue gioie, alle sue pene".

MO84,6[03-08-1966]

6.Vedete è necessario proprio che noi entriamo nell'intimo di Gesù. Bisogna che a un dato momento proprio realizziamo queste cose: "... aver parte alle sue preoccupazioni, ai suoi desideri, alle sue gioie, alle sue pene".
Quando si forma una nuova famiglia, cosa succede? Una figlia entra in una casa e dice: "Dove tu Caio, io Caia", no? Eh, chiaro. E da quel momento tutte le preoccupazione del marito sono le preoccupazioni della moglie. Il marito prende la Sisal, la moglie è contenta. Se le cose vanno male, gli affari vanno male, succede un disguido, la moglie piange col marito. Eh, scusate! Prendiamo una famiglia formata bene: il figlio fa bene, papà e mamma sono contenti. C'è una disgrazia? Piangono papà e mamma. A un dato momento queste due creature, uniti dal sacramento del Matrimonio, hanno preso insieme un fardello e lo portano insieme e sono preoccupati entrambi, ciascuno nel suo compito, per far andare avanti la famiglia, per educare i figlioli. Ora, vedete, qualcosa di simile deve avvenire fra noi e Gesù. A un dato momento io ho scelto Gesù come porzione della mia vita. Mi sono donato a Lui, e Lui si è donato a me; io penso a Lui e Lui mi dice: "Tu pensi a me e io penserò a te"; e insieme pensiamo agli altri. Ecco l'unione che deve avvenire con Gesù. E allora i desideri miei sono i desideri di Gesù, i desideri di Gesù sono i desideri miei. Le preoccupazioni mie sono sue, le sue sono mie; i programmi miei sono suoi e i suoi programmi sono miei. Allora, senz'accorgermi, piano piano comincerò a parlare come Lui, a camminare come Lui, ad agire come Lui. Comincerò a un dato momento ad essere Lui. "San Paolo lo ricorda espressamente: “Provate i sentimenti medesimi che furono di Gesù Cristo, (così parla ai Filippesi) e questo ci potrà condurre molto lontano, se non ci accontenteremo di ascoltare la parola di Gesù, ma vorremo davvero imitare Gesù". Se avete qualcosa, vi lascio che apriamo un po' di discussione... ci fermiamo; altrimenti c'è un altro capitolo. "Essere disponibili all'amore di Gesù"; poi " Seguire Gesù sulle sue strade"; e poi partiremo sulla strada di Gesù e andremo in giro a seguirlo sulle sue strade. Tutto questo è ancora, vorrei dire, una prefazione prima di incominciare le vere e proprie camminate sulla traccia di Gesù. Volete che intavoliamo un po' di discussione? (Don Luigi Furlato: “Io penso che in questi due giorni in cui ci sarà passeggio, sarà molto utile fermarsi su queste... anche per chiarire insomma quello che è stato detto... cioè che possa, insomma, portare il suo frutto... Perché se nò è una cosa che molto facilmente si sente qui e dopo magari non si ripensa per conto nostro, no? Invece insieme, anche a gruppetti, è più facile che possano venir fuori tante belle osservazioni...”.) Volete che terminiamo questi capitolini qui, dato che per due giorni poi si fa di meno... In modo che portate via il libro e arriviamo allora ai "Misteri di Gesù", una paginetta e mezzo? Dopo ve la masticate come meditazione, anche dato che ci sono i libri disponibili, no? (Don Luigi Furlato: “Don Ottorino, una volta ci si potrebbe trovare anche insieme, la prima volta, per vedere anche osservazioni, proposte che possono essere fatte, che è il risultato anche della discussione fatta, perché in gruppetti così vengono fuori tante cose utili”.) Guardate, finché state via, domani, si cercherà di buttar giù alcuni schemi di quello che è stato detto: un piccolo schema. Poi lo passeremo, magari, perché lo possiate vedere; e vediamo poi, magari venerdì sera o domenica o lunedì insomma, di intavolare un po' di discussione su quello che è stato detto. Che cosa vi pare? Andiamo avanti allora.

MO84,7[03-08-1966]

7."Essere disponibili all'amore di Gesù. Qui in questa cappella di Béni-Abbès, il padre de Foucauld ha passato ore e notti con Gesù, in una intimità così piena d'amore che non saremmo capaci di esprimere. È qui che egli ha capito a poco a poco, lasciandosi lavorare dallo Spirito di Gesù, quale doveva essere la sua vocazione di completa disponibilità all'amore".
Sottolinerei queste parole: "... qui egli ha capito a poco a poco". Sentite, non vogliate pretendere di capire tutto in un istante. Cerchiamo di avere l'umiltà di accettare questo sforzo, lento, continuo, però sapendo che lo capiremo il Signore a poco a poco. Però, lui l'ha capito a poco a poco, lasciandosi lavorare dallo Spirito Santo, come dicevamo questa mattina. Anche noi capiremo a poco a poco il Signore, finché a un dato momento lo capiremo sul serio. Ma però, ricordatevi, questo soltanto a condizione che ci lasciamo lavorare dallo Spirito Santo. Non che facciamo noi lavorare lo Spirito Santo per correrci dietro: che lasciamo lavorare Lui, che facciamo silenzio, che ascoltiamo Lui. E allora, lasciandoci lavorare dallo Spirito Santo, a un dato momento ci metteremo a completa disposizione dell'amore. "Qui un ideale di vita religiosa - fino allora troppo rigidamente definito da un regolamento e troppo legato ad una particolare impostazione - si è progressivamente trasformato in una imitazione sempre più fedele di Gesù, e perciò stesso molto più sottomessa alle esigenze dell'amore del prossimo e ai contraccolpi di una vita che entra risolutamente in contatto con gli uomini suoi fratelli". Ieri sera diceva il nostro caro Girolamo: "Dobbiamo vedere Gesù". Io direi, facciamo anche un'altra domanda: io devo essere Gesù e come farebbe Gesù in questo momento, cosa farebbe Gesù? È la stessa cosa, no?, è la stessa cosa. Ma guardate che forse questa per giovani, per voi, è molto più facile, è una scalata molto più facile: dobbiamo arrivare sopra lo stesso monte. Forse vi è più facile domandare a voi stessi, dire: “Ma senti; Gesù cosa farebbe in questo momento?”. Lascerebbe la parte più buona all'amico e si prenderebbe l'altra meno buona. Gesù non risponderebbe male, Gesù porterebbe pazienza. Ecco, domandarsi proprio: "Cosa farebbe Gesù al mio posto?". Se sapeste quante volte ci si morsica la lingua e non si dicono certe cose, quando si pensa che dobbiamo rappresentare Gesù! Se per un istante solo potessi fare come don Camillo e voltare il crocifisso dall'altra parte! Chi ha orecchi da intendere, intenda. Invece no. Io rappresento Gesù e devo dire tutto e solo quello che direbbe Gesù. Altrimenti non rappresento più Gesù.

MO84,8[03-08-1966]

8.Vedete... Le nostre buone mamme ci hanno insegnato queste cose qui: "Guarda che fai dispiacere a Gesù; la Madonna non è contenta; Gesù non farebbe così". Saranno cose puerili, ma a 13-14 anni mons. Volpato, nostro padre spirituale, ci aveva raccomandato di imitare Gesù ragazzo nella casetta di Nazaret. E ricordo che ci era abbastanza familiare allora di portarci nella casetta di Nazaret assieme all'amico Gesù di 13-14 anni. Ma mano che si cresceva in età, facevamo crescere anche Lui un pochino. Ma però si lavorava nella casetta di Nazaret alla presenza della Madonna. E quando non avevi voglia di studiare e, senza che il prefetto se ne accorgesse, toglievi un libro di lettura invece che un libro di studio, soltanto l'immagine della Madonna che era in studio sembrava che dicesse: "Eh, guarda che Gesù non farebbe così. Non andiamo mica d'accordo: ho un Gesù buono e un Gesù cattivo qua. Ho un Gesù buono che obbedisce e un Gesù che disobbedisce". E allora, letta una riga, chiudevi il libro e lo mettevi via. Dopo un pochino non ti accorgevi, ti dimenticavi e ritiravi fuori il libro. E un'altra occhiata alla Madonna: "Cosa hai fatto? Hai aspettato che voltassi l'occhio io, eh? E l'altro Gesù dov'è?".
Ora, erano cose infantili, se volete; ma credo che se ci mettessimo alla presenza della Madonna, insieme con Gesù nostro fratello, e ci sforzassimo di imitare Gesù, sarebbe più facile fare quello che si diceva questa mattina. Il nostro caro don Vittorio diceva: "È difficile; come si fa?". È difficile se viviamo così ragionando soltanto senza fede. Ma se ci sforziamo di metterci alla presenza del Signore, realmente alla presenza del Signore, con la nostra buona mamma la Madonna sempre vicina, di giorno e di notte, con Gesù sempre vicino di giorno e di notte, e sappiamo che il nostro dovere è quello di imitare Gesù, di essere simili a Gesù... Tu capisci, no, chiaro, che se vai davanti allo specchio e ti vedi tutto sporco, unto di patina, cosa fai? Corri a lavarti, no? Quante volte si vedono questi giovincelli anche nella Casa dell'Immacolata con lo specchio davanti al mattino con il pettine che si mettono a posto, che fanno un ciuffetto artistico, eccetera. Se ci mettessimo più spesso davanti a un altro specchio e prendessimo l'abitudine di portarcelo sempre con noi questo specchio, tanto presto diverremmo il Paradiso.

MO84,9[03-08-1966]

9."Il piccolo fratel Carlo si lascia guidare, senza restare attaccato ad alcuna idea preconcetta, ad alcuna formula di vita".
Anche qui, eh, quante volte andiamo dal Signore per chiedere l’autorizzazione di fare quello che abbiamo già combinato di fare, e non lasciamo che Lui stracci tutti i nostri progetti e ce ne dia degli altri contrari! Eppure guardate: noi dobbiamo fare il nostro bel programma - dobbiamo mettere tutta la nostra parte di intelligenza, tutta la nostra responsabilità per farlo - portarlo davanti a Gesù, pronti e contenti che Lui lo stracci e che ce ne dia un’altro da fare... e che ci stracci anche quello e che per tutta la vita continui a stracciarci i nostri programmi. Quello che importa a fratel Carlo: “... imitare Gesù, imitare Gesù a Nazaret, essere consacrato interamente all’amore di Gesù, dell’Eucarestia, dei poveri, di tutti gli uomini. La sua anima è sempre più libera e la sua attività esteriore totalmente disponibile. Tuttavia la sua vocazione profonda non è cambiata, e pur non avendo più la rigidezza che le imponeva una forma esteriore di vita, conserva ancora tutta l’originalità di una vocazione particolare, ma vissuta dal di dentro, in una imitazione di Gesù piena d’amore (una vocazione vissuta dal di dentro, in una imitazione di Gesù piena d’amore): “La tua regola: seguirmi... fare quello che io farei. Domandati in ogni cosa: che avrebbe fatto Nostro Signore?, e fallo. È la tua unica regola, ma è la tua regola assoluta”. Se nella Congregazione restasse solo questo: in ogni azione domandati cosa farebbe Gesù, e poi fallo, avremo trovato già il punto di appoggio per farci tutti santi. Se ognuno di noi, religioso, in ogni azione si chiedesse in questo momento cosa farebbe Gesù? Un momento di silenzio, lasciamo parlare lo Spirito, Dio risponde... Ebbene, che cosa ti ha detto? Fallo. Invece, troppo spesso noi non ci facciamo questa domanda, e poi ci morsichiamo le unghie.

MO84,10[03-08-1966]

10.Ricordatevi che la santità è fatta di due-tre parole, ti fanno impressione e parti, e te le scolpisci in testa e sono la forza per tutta la vita. Basterebbe che uno di voi questa sera avesse capito queste parole: “In ogni azione devo domandarmi: che cosa farebbe Gesù?”. Questo giovane, che partisse questa sera, con il proposito fermo di domandarsi questo in ogni azione, naturalmente, lo farà per alcune volte, finché prenderà l’abitudine; ci vorrà del tempo per prendere l’abitudine, ma se lo imponesse: devo, devo riuscire a prendere questa abitudine, ma proprio ferma abitudine, ferma abitudine, di domandare a me stesso in ogni azione che cosa farebbe Gesù e lo voglio fare...noi avremmo trovato il modo di farci santi. Uno partisse così, questa sera, da questo prato, io vi assicuro che questo giovane in brevissimo tempo arriva alla santità.
“Fratel Carlo è pronto a tutto per seguire Gesù, “ad andare fino in capo al mondo, a vivere fino al giorno del giudizio”, ma resta sempre il piccolo fratello, poverissimo, di Gesù di Nazaret. Anche noi non dobbiamo aver paura di guardare in faccia alle esigenze della chiamata di Gesù. Piccoli fratelli, nella misura stessa in cui saremo totalmente fedeli a questa intimità d’imitazione e di unione nell’amore, bisogna non aver più paura di spezzare le formule troppo strette di vita, le definizioni troppo rigide. Le nostre anime hanno sete di seguirlo nella sua concreta povertà, hanno sete di realizzare in noi ciò che Egli ha beatificato sulla montagna di Galilea, sete di amarlo, di guardarlo, di contemplarlo in una una preghiera incessante, sete di amare tutti gli uomini nostri fratelli, specialmente i più poveri, di amarli per amicizia, per se stessi, ognuno come se fosse solo al mondo, senza cercare né risultati né successi apostolici, ma anche senza misurare col contagocce le nostre attività, senza tentare perpetuamente di confrontarle con uno stato di vita definito in astratto”. 5 agosto 1966