MI268 [28-02-1969]
28 febbraio 1969L’ultima meditazione sulle apparizioni a Fatima risaliva al 14 dello stesso mese di febbraio, perché nel frattempo don Ottorino aveva proposto il commento a un discorso del Santo Padre sul sacerdote nel mondo contemporaneo.
L’espressione latina significa: “Prostrati adoriamo”, ed è un verso dell’inno eucaristico che abitualmente veniva cantato durante la solenne esposizione del Santissimo Sacramento.
Don Ottorino richiama la preghiera di Gesù nel Getsemani in Mt 26,39; Mc 14,36; Lc 22,42.
Per Giobbe è sufficiente leggere tutto il capitolo 3°, e per Elia 1° Re 19,3-4.
Anche per questa meditazione don Ottorino si serve del libro W.T. WALSH, Madonna di Fatima, Editrice Ancora Nigrizia Milano 1965. Le citazioni, prese dalle pagine 86 e 94-95, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori indicazioni.
MI268,1 [28-02-1969]
1. 1. La penitenza è dura per tutti Sia lodato Gesù Cristo! Penso che con questa mattina sia il caso di riprendere le meditazioni su Fatima, anche perché, altrimenti, non ci ricordiamo più a che punto eravamo arrivati. Riprendendo il nostro argomento sulle meraviglie di Fatima, vi assicuro che ho trovato cose che neanche a cinquantatre anni e mezzo si riesce a capire, per cui bisogna chinare il capo e dire: “Veneremur cernui”; è il mistero del dolore. In una famiglia, che può comprare soltanto un chilogrammo di zucchero alla settimana perché non ha soldi, se un bambino mangia tutto lo zucchero acquistato, gli altri devono per forza prendere il caffè amaro per tutti gli altri giorni della settimana. Nel mondo siamo una grande famiglia, e se c’è in essa qualcuno che ne rovina la libertà, cioè abusa della sua libertà accontentando il proprio corpo, bisogna che qualcun altro resti senza ‘zucchero’: per ristabilire l’equilibrio bisogna che qualcuno paghi. Se uno usa la libertà in una forma sbagliata, un altro è costretto a rinunciare alla propria libertà. Bellissime cose in teoria, ma resta sempre il fatto che quando è il momento di portare la croce anche il nostro caro Gesù ha detto: “Padre, se è possibile passi da me questo calice. Insomma, se sai trovare un’altra strada... però faccio la tua volontà”. Perciò vi dico: “Non spaventatevi, non scoraggiatevi se dinanzi alla croce, nonostante tutta la buona volontà e tutto il desiderio di essere del Signore, poi, nella vita apostolica, capiterà anche a voi, come a Giobbe, di dire qualche mezza bestemmia, di quelle che si possono dire, ovvero come Elia: “Basta, moriamo!”. Consoliamoci perché ci sarà sempre qualche buon angelo del Signore che come è andato a consolare Gesù e come ha portato un pezzo di pane cotto sotto la cenere a Elia, verrà a darci coraggio, a darci forza. Ve lo dico perché, ritornando all’argomento e rileggendo le parole della Madonna ai tre bambini, mi sono sembrate forti. «Volete voi offrirvi a Dio per sopportare tutte le sofferenze che gradirà di mandarvi...?».MARIA Fatima
CROCE sofferenza
ESEMPI vari
CROCE
CONSACRAZIONE immolazione
Cfr. Gen 22,1-22.
MI268,2 [28-02-1969]
2.Dunque è il Signore che manda loro le sofferenze: “... che gradirà di mandarvi...”! Ma, un papà non mette mai nella minestra del suo bambino qualcosa di amaro. Qui c’è il mistero! E tutto questo per i peccati, per ristabilire l’equilibrio:DIO Padre
PAROLA DI DIO Sacra Scrittura
MARIA
MARIA Fatima
Il riferimento è a Giorgio Girolimetto, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico e si era specializzato in filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma.
MI268,3 [28-02-1969]
3.Il papà ha sentito, e visto che la mamma non dava tanto retta alla bambina, le dice: “Vieni qui, piccola, vieni qui; racconta a me quello che hai visto in quel luogo”. E se la prende sulle ginocchia. Mi pare di vedere questo papà. E allora la bambina può raccontare con un po’ di calma, giacché la mamma non gliel’aveva permesso. E narra il fatto. “Eh, sono cose serie!”, incomincia a dire l’uomo, il primo che ha creduto alle apparizioni di Fatima. “Sono cose serie! Perché la mia piccola dovrebbe dire bugie? Eh, no! Francesco, vieni qui anche tu. Dimmi un po’: com’è questa faccenda?”. Francesco dà un’occhiata alla piccola come per rimproverarla: “Hai parlato, vero? Hai parlato!”. E Francesco, insomma, racconta. “Eh! - dice l’uomo - Del resto le cose vanno male e andrebbero ancora peggio se ogni tanto non venisse la Madonna a mettere le cose a posto. Del resto che c’è da meravigliarsi? La Madonna è apparsa tante volte! Nessuna meraviglia che sia apparsa”. E la moglie: “Ma, ai nostri figlioli?”. “Perché? Che c’è da meravigliarsi? La Madonna può apparire anche ai nostri figlioli”. Questa era la sua teologia, la sua filosofia, che non so se sia di San Tommaso oppure dell’altro suo amico, il filosofo Giorgio; comunque ha concluso che non c’era niente da meravigliarsi: se la Madonna è apparsa, è apparsa, e non ci sono storie! La mattina seguente la notizia è ufficiale: il ‘gazzettino’ di Fatima - il ‘gazzettino donne’, s’intende! - pubblicava la cosa. Infatti, la sorella di Lucia incomincia a dirle: “Hai visto la Madonna, non è vero?”. “Io? Chi te l’ha detto?”. “Eh, lo hanno detto qui fuori; nella contrada lo dicono tutti che hai visto la Madonna!”. Immaginiamoci Lucia. E allora Francesco va subito da Lucia: “Sono stato io, sai... - dice per difendere la sorellina - Sono stato io!”. E allora, pianti a destra, pianti a sinistra. I giorni che seguirono portarono qualcosa di nuovo. Adesso finiamo: lasciamo da parte questi piccoli scontri, ma dovevo pur dire una parola in proposito. Questi bambini, però, adesso cambiano un po’ la loro vita. Noi dobbiamo arrivare a questo punto.MARIA Fatima
Il riferimento è a Daniele Galvan, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico e che aveva una spiccata passione per le escursioni in montagna.
Il riferimento è a Zeno Daniele, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso teologico.
MI268,4 [28-02-1969]
4. 2. La mortificazione è un freno per le passioni La Madonna ha chiesto loro di fare penitenza, ed essi fanno penitenza: non solo accettano quello che il Signore vorrà mandare loro, ma ne fanno di volontaria. Ieri sera cercavo qualche immagine per illustrare un pochino l’idea, ma non sono riuscito a trovarla. Poi ha visto Daniele, che mi ha fatto pensare alle corde degli scalatori. “Sarebbe possibile, Daniele, fare certe scalate senza la corda? Dimmelo, tu che te ne intendi. È impossibile, no? Come si farebbe? Uno cade; la corda l’aiuta, tiene legati”. Così penso che senza penitenza sarebbe come pretendere di fare le scalate senza corda: non è possibile, assolutamente! Vediamo se ora sono capace di farvi comprendere il concetto, ma non sono capace di trovare un’immagine un po’ efficace. Comunque fare una scalata in montagna senza corda sarebbe da pazzi; discendere da Asiago in macchina senza freni sarebbe da matti. Bene! Se non avete qualcosa che voi, voi stessi potete maneggiare, cioè qualche penitenza che voi stessi volete, se non avete questo freno che potete stringere in qualsiasi momento, temo che siate come uno che vuol fare una scalata senza corda o discendere da Asiago con una macchina senza freni. “Sì, è vero... - tu dici - Io accetto tutto quello che il Signore mi manderà”. “Però... piano. Ti ha mandato tante prove il Signore?”. “Eh, sì, me ne ha mandate tante!”. Ma se per caso te ne mandasse di più? Allora sarebbe come se si dicesse: “Io freno con il motore discendendo da Asiago”. D’accordo, però se la discesa fosse un po’ più forte? Non hai un freno? Sì, sì, si può frenare anche con il motore, ma può darsi che a un certo momento ci sia bisogno anche del freno. Non è vero, Zeno? Nelle curve, in certi momenti, ci vuole anche il freno. Ognuno di noi - ve l’ho detto anche in altre circostanze - non è chiamato a compiere cose grandiose, straordinarie, ma dovrebbe disporre di un sistema di penitenza suo proprio che fa per lui, per cui possa dire: “Io quella cosa non la faccio, io in quella cosa mi domino!”. In altre parole: “So che se viene il momento in cui le passioni si fanno sentire più forti stringo quel freno, stringo lì, perché sono io il padrone di casa mia”. Ci sono anche dei buoni cristiani, fuori, nel mondo, che fanno questo.MARIA Fatima
PENITENZA sacrificio
ESEMPI penitenza
CROCE prove
PENITENZA
Giovanni Frattini era un amico della Congregazione che operava nella parrocchia di Monterotondo, vicino a Roma, dove questi risiedeva con la sposa. Nell’esempio don Ottorino nomina dapprima don Girolamo Venco, che all’epoca era vicedirettore della Casa dell’Immacolata per i corsi del liceo e della teologia, e poi don Luigi Furlato e don Flavio Campi della Comunità di Monterotondo, e infine don Matteo Pinton che era vissuto in quella Comunità durante i suoi studi presso la Pontificia Università Gregoriana.
MI268,5 [28-02-1969]
5. Mi trovavo con don Girolamo... Don Girolamo non c’è? Ci trovavamo martedì sera, in casa di Frattini, del signor Giovanni. C’è qui il figlio spirituale di Frattini, don Matteo. Questa buona famiglia vive a Roma. L’uomo, che ha forse cinquantasei anni ci ha invitato a cena: eravamo don Girolamo, don Luigi, don Flavio e il sottoscritto. Stavamo cenando, allorché mi sono accorto che lui non beveva vino. Pensate: ha ottanta ettari di terreno, equivalenti a duecento campi vicentini, ha vigneti, eccetera. Insomma il vino non gli manca, tant’è vero che l’altr’anno ha dato dieci quintali d’uva e l’anno scorso, poiché il raccolto è aumentato, ne ha donati venti quintali ai nostri religiosi; si può dire che il vino non gli manca. Infatti aveva messo in tavola due o tre bottiglie di vino bianco, ma lui beveva acqua. Gli chiesi: “Senta, signor Giovanni; lei non beve vino?”. “Eh! - mi disse - Verso l’età di ventun anni mi sono accorto che il vino stava per prendere me, e allora io mi sono imposto: non berrò più vino durante la vita”. Lo sapevi, don Matteo? L’hai mai visto bere vino? Ha poi continuato: “Mi sono imposto di non bere più vino, perché io non posso diventarne schiavo”. E andando qua e là con il discorso ho capito questo... “Sa... - mi disse - Quando ci si accorge che una passione, che qualcosa - io ero andato un po’ avanti con il discorso - si fa strada, bisogna frenarla, altrimenti non accontentiamo il Signore, ma accontentiamo noi stessi”. Dobbiamo avere il freno! Ognuno di noi ha delle passioni, dei punti pericolosissimi: può essere nella purezza o nell’egoismo o nell’impazienza; insomma ognuno di noi ha dei punti pericolosi. Ognuno di noi dentro di sé ha il santo e ha il demonio; non c’è niente da fare! Anche don Calabria, anche Papa Giovanni, anche i più grandi santi, hanno avuto dentro di loro il santo e il demonio. Per questo bisogna che ciascuno di noi sappia avere in mano il catenaccio della porta del demonio per poterla chiudere al momento opportuno.PROVVIDENZA benefattori
PENITENZA
PECCATO passioni
CROCE Demonio
Il riferimento è a Roberto Tirelli, all’epoca ancora postulante.
La “vetrina” era un mobile veneto composto di un cassettone di due ante e alcuni cassetti che sosteneva una parte superiore in legno e vetro in cui venivano messe le ceramiche di casa, qualche oggetto in argento o comunque pregiato, per fare bella figura.
Il riferimento è a Ruggero Pinton, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso teologico.
MI268,6 [28-02-1969]
6.Supponiamo che in una stanza si trovi Roberto, che sta preparandomi uno scherzo. Io mi appoggio alla porta e lui spinge perché vuole, supponiamo, gettarmi addosso un secchio d’acqua. Nel momento che io lasciassi la porta, lui mi getterebbe addosso l’acqua del secchio. Perciò io devo sempre tenere la spalla e il piede contro la porta in modo che lui non possa uscire e corrermi dietro. Noi dobbiamo sempre essere in questo stato di penitenza in modo da poter frenare quella determinata passione la quale comincia sempre con poco. Bisogna scoprirla allora la passione, mentre qualche volta noi chiudiamo gli occhi e ci scagliamo contro cose che sono meno importanti. Se, per esempio, tu vedi un bambino che con il martello ti rompe la vetrina o qualcos’altro in casa, dirai: “Ha fatto una marachella”. Ma se, supponiamo, Ruggero va a rubare una caramella ai vicini di casa, e per rubarla aspetta il momento opportuno, capisci che quella azione di rubare la caramella dev’essere punita più severamente che non quella di aver spezzato i vetri della vetrina di casa in un momento di pazzia. Infatti quell’azione indica la malizia del ragazzo che, osserva di qua, osserva di là, aspetta il momento giusto e prende la caramella: qui abbiamo un vizio che bisogna estirpare. Dentro di noi... non sono i tamburi più grandi, più forti, che fanno paura; non sono di solito le bestie più grandi che fanno paura; infatti un piccolo ragno velenoso fa più paura qualche volta di una bestia, di un bue, per esempio. Non vi pare giusto? In montagna un serpente velenoso fa più paura di una mucca che incontri per quelle strade, perché questa la può dominare anche un bambino, ma quello no. Così, dentro di noi, non dobbiamo guardare superficialmente quei difetti che ci fanno fare brutta figura o qualcos’altro. Dobbiamo vedere quelli che sono velenosi: è lì che dobbiamo avere sempre qualcosa di stabile a cui aggrapparci. Per esempio: ecco quest’uomo fuori nel mondo che è sposato, che non è né frate né prete, e ha capito che ad un certo momento il vino, cioè il piacere, sta per dominarlo e dice: “No, basta!”. “Perché?”. “Perché io devo dominare lui!”. Qui, se volete, siamo andati all’estremo dominio, ma ci può essere qualcuno che, invece di fare così, fa in altro modo. Tuttavia ognuno di noi deve avere un freno.ESEMPI vari
PENITENZA
PECCATO passioni
VIZI
CONVERSIONE esame di coscienza
Il Costo è la strada nazionale, con curve molto strette e una notevole pendenza, che porta dalla pianura vicentina all’altopiano di Asiago.
Nel villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI) c’erano alcuni stupendi esemplari di faggi ultracentenari che svettavano con i loro enormi tronchi sopra le altre piante. Durante i lavori di sbancamento era sta rimossa molta terra che aveva un po’ alterato l’assetto del terreno e si era dovuto ricorrere a mura di contenimento del terreno.
Il diacono Vinicio Picco, all’epoca consigliere generale, era stato particolarmente accanto a don Ottorino per l’acquisto del terreno e per la costruzione del villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI), che era costituito da case prefabbricate, ognuna con il proprio nome.
MI268,7 [28-02-1969]
7.Mi sono soffermato anche troppo su questo argomento, ma vi ripeto che se non avete un freno in mano, non fidatevi di correre, perché scendendo per il Costo potrebbe capitarvi qualcosa di improvviso. Anche a quaranta o cinquant’anni potreste trovare improvvisamente la morte. Vi dicevo in altra circostanza che i disastri non avvengono improvvisamente. Revisionando un prete di venticinque anni, tu potresti trovare la causa della sua morte avvenuta a quaranta o a cinquant’anni, perché un sacerdote non cade improvvisamente. Un cedro del Libano non si rovescia all’improvviso! Abbiamo a Bosco delle piante alte e grosse: non cascano improvvisamente. Ma se lasciamo che frani la terra attorno un po’ alla volta, un po’ alla volta, e non facciamo un muro di difesa, è logico che fra qualche anno qualcuna di esse cadrà addosso alla casa. Non so se Vinicio è d’accordo. Quelle piante che sono vicine alla casa San Giuseppe, piano piano, piano piano, se lasciamo che si scoprano le radici, naturalmente, per la legge di gravità, cascheranno giù. Ma se noi costruiamo a tempo opportuno un muro di cemento, quelle piante non cascheranno, è impossibile che caschino. Se un domani un prete o un diacono cadono, è perché non hanno il muro di difesa, ed esso, la verità è questa, amici miei, non è fatto di caramelle, è fatto di cemento. Chi ha orecchi per intendere, intenda!PENITENZA
SACERDOZIO prete
ESEMPI vari
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
DIACONATO diacono
MI268,8 [28-02-1969]
8. 3. Le piccole penitenze dei tre pastorelli Osserviamo quello che hanno fatto questi tre cari fanciulli. «Ad ogni modo il fatto d’essere stati scoperti aveva guastato la loro gioia, ed erano assai depressi in quel giorno, mentre pascolavano le loro pecore». Eh, che cosa volete? Il Signore permette anche questo, permette questo senso di tristezza perché intanto così si soffre.CROCE sofferenze morali
MARIA Fatima
PREGHIERA rosario
PENITENZA
Don Ottorino si riferisce a don Pietro De Marchi, che prima di entrare in Congregazione era stato vicerettore del seminario vescovile di Vicenza, ma evidentemente in anni più recenti.
MI268,9 [28-02-1969]
9. 4. Le mortificazioni volontarie nel cibo Ecco una penitenza che potrebbe essere fatta senza che alcuno se ne accorga: la penitenza di mortificare noi stessi nel cibo, in modo che nessuno si accorga di quello che ci piace e di quello che non ci piace, cioè saper mangiare quello che non piace. Permettetemi che vi dica una cosa. Uno dei primi consigli che i nostri padri spirituali ci davano quarant’anni fa era di mangiare tutto quello che non ci faceva male, e di compiere qualche volta un po’ di sacrificio, se il cibo poteva farci male. Per cui fra i 350-400 seminaristi il vitto speciale lo avevano solo, sottolineo “lo avevano solo”, quelli che erano stati ammalati, e per tre o quattro giorni soltanto. Io, per esempio, non ricordo di aver mai visto in seminario uno che al mattino non prendesse il caffelatte... Penso che anche noi eravamo uomini come voi, ma non ricordo mai alcuno che avesse avuto una minestra o una pietanza speciale, eccettuato, dico, chi si fosse ammalato di influenza, perché allora ti mettevano a k.o.: olio di ricino e dieta liquida. Tu, don Pietro, non ti ricordi di questi fatti famosi! Dopo, quando eri senza febbre, restavi due giorni senza mangiare, e quando ti mettevi in piedi vedevi le nuvole che ti giravano attorno. Questa era la realtà! E allora per due o tre giorni ti davano il vitto speciale e un po’ di caffelatte alle quattro del pomeriggio, perché non c’era merenda al mattino e al pomeriggio. Vi assicuro che la fame la sentivamo anche noi come voi: insomma, fino a prova contraria, la carne l’avevamo anche noi come voi. Ci costava duro mangiare, vivere così. Vi dico: costava duro! Certi cibi costavano, vi assicuro, costavano! Anime di Dio, adesso siamo arrivati in un tempo in cui questo non va, quest’altro non va... In questo momento io non penso al seminario. Osserviamo un pochino com’è il mondo di oggi: fra questo e quello che non ci sia un punto d’incontro?PENITENZA
AUTOBIOGRAFIA seminario
Don Ottorino allude al collegio vescovile di Thiene (VI), che all’epoca fungeva come seminario minore per la diocesi di Padova, e dove il servizio di cucina e di guardaroba era svolto dalle suore.
Don Bortolo Gasparotto fu cappellano a Quinto (VI) quando don Ottorino era ancora adolescente e lo indirizzò verso il seminario, mentre mons. Stefano Ave fu parroco alcuni anni dopo.
MI268,10 [28-02-1969]
10. Per esempio, in una circostanza che sono andato a Tiene la suora di cui vi ho già parlato mi diceva: “Eh, noi sappiamo chi va prete e chi non ci va: dallo spirito di sacrificio, dal cibo e dal guardaroba”. Ricordate che ve l’ho già detto! Proprio a Roma una suora mi confidava: “Eh, sa... - state tranquilli: non si trova qui; era al Mondo Migliore, e questa suora era di un seminario di Francia - Eh, sa, non sono mai contenti! Ah, le cose vanno male, vanno male perché non sono mai contenti, e i professori per primi! È impossibile accontentare i seminaristi! Non solo, ma adesso hanno fatto anche una commissione: ogni settimana un rappresentante dei superiori, uno dei seminaristi e una rappresentante delle suore si ritrovano per discutere insieme sulla preparazione del cibo. Che difficoltà! Così va un pochino meglio, ma bisogna combinare vari tipi, bisogna accontentare l’uno e l’altro...”. Ah, che ve ne pare? Ecco dunque qualche esempio. Dinanzi alla mortificazione di questi fanciulli di Fatima - e la penitenza è assolutamente necessaria! - noi dovremmo rivedere un pochino il nostro modo di comportarci a tavola. Non vi dico: “Fate a meno di mangiare”. Avete il necessario, ma abituatevi a essere giovani mortificati. Domandando alle donne di cucina - “Ma le donne brontolano! - voi dite - Le donne dicono questo, quello...” - si dovrebbe sapere quanto santi siete. Mi ricordo di un cappellano del mio paese, don Bortolo Gasparotto, e di una donna, la donna della canonica, la famosa Adele che poi è stata per tanto tempo a servizio con monsignor Ave, che diceva con delle persone - io ero allora un ragazzino - e l’ho sentita con le mie orecchie: “Ah, non ho mai visto un santo uguale: non si lamenta mai, né del cibo né di niente. Qualche vota gli ho domandato: “Don Bortolo, che cosa le piace di più? Che cosa desidera che prepari? Tanto per me è lo stesso”. “Prepari quello che vuole lei; per me va sempre bene!”. “Ma preferisce che le prepari...?”. “Va là...mi prepari pure una manciata di fieno... Che vuole che sia? L’essenziale è ben altro!”. Non sono mai riuscita a sapere che cosa gli piacesse perché, scherzando, mi buttava fuori una frase come quella. E poi ringraziava ed era sempre contento: ma che buono, era sempre contento!”. Io ho sentito questo elogio.SACERDOZIO prete
MARIA Fatima
PENITENZA
AUTOBIOGRAFIA famiglia
MI268,11 [28-02-1969]
11.Vi assicuro che mi ha fatto impressione: frequentavo allora le elementari e l’ho preso come norma. Ricordo che mia mamma, più di una volta, usciva con queste parole: “Che cosa preferisci: gnocchi o...?”. “Ma... prepara pure una manciata di fieno!”. “Ma tu dimmi”. “Ma, mamma, va là! Che vuoi che sia!”. Amici, quelle pie donne che sono nelle case di formazione ne sanno più dei padri spirituali, dei vicerettori e dei superiori, e potrebbero dire: “Questo giovane? Sì, diventerà anche prete, ma non sarà un prete prete, perché è troppo fine nel vestire, perché gli piace troppo apparire, perché è troppo delicato nel cibo, perché...”. Insomma c’è qualche cosa. “Ma, quel cibo mi fa male?”, potreste dire. Attenti: c’è qualche cosa che vi sfugge, ma che viene captato dal buon senso comune, e se lo captano gli uomini e le donne di cucina o di guardaroba, guardate che lo capta prima di tutto Dio al quale certamente non sfugge il vero senso di penitenza, quello spirito di penitenza che è in noi. Se dobbiamo imporci un freno penitenziale, il primo è proprio qui, è proprio questo: nel vestito, nella camicia, nella biancheria, e via dicendo. Sì, pulizia, ordine, buona presentazione, ma tra qui e là c’è qualcosa che dice che sei più preoccupato di piacere al mondo che di piacere a Dio. Resta sempre fermo il principio: io devo piacere a Dio e non dispiacere al mondo, ma basta un attimo per metterci insieme con il mondo e dire: “Io desidero piacere al mondo”. 5. Conclusione Mi dispiace che ci siamo fermati un po’ prima del punto dove dovevamo arrivare, perché qui ci sono ancora delle cose molto e molto interessanti, ma vorrà dire che le tratteremo in un altro momento. Io direi di rivedere - tutti, cominciando da me; siamo in Quaresima! - un pochino la nostra vita ed esaminare, non se abbiamo fatto qualche fioretto o qualche atto di penitenza, se abbiamo accettato le penitenze che ci sono venute da Dio, ma se, regolarmente, in Quaresima o a Natale, o durante il carnevale, c’è in noi uno stato penitenziale, qualcosa che non è un cilicio esterno, ma qualche cosa di interno, che non appare agli altri, per cui, nel momento opportuno, siamo capaci di dare una frenata e dire: “Qui non si passa!”.FORMAZIONE direzione spirituale
SACERDOZIO prete
DOTI UMANE criterio
PENITENZA
DOTI UMANE
APOSTOLO uomo di Dio
CONVERSIONE Quaresima
CONVERSIONE esame di coscienza