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NOTIZIE DI FAMIGLIA

MI153 [5-03-1967]

5 Marzo 1967

Don Lino Dal Moro, insieme con don Luigi Mecenero e l’assistente Gianni Sgarbossa, formava la prima comunità della Congregazione in Brasile.

Il riferimento è ad Antonio Pernigotto, all’epoca ancora novizio, che prima di entrare in Congregazione faceva il contadino.

MI153,1 [5-03-1967]

1 Notizie dal Brasile: una lettera del nostro caro don Lino a don Ottorino e a don Aldo.
Quando si va in una missione, qualunque sia la missione, bisogna essere in grado di capire - questo lo dico anche a voi - la possibilità di resa e sapere cogliere gli elementi sostanziali della situazione. Per esempio, io posso andare in una campagna, vederla messa bene e dire: “Che bella campagna!”, e la compro per un milione al campo. Ne guardo un’altra, vedo, valuto e non voglio comprarla per un milione al campo. Il bravo contadino, Antonio mi darà ragione, deve saper capire la terra che c’è: una può essere tenuta male e l’altra può essere tenuta bene, ma bisogna guardare la sostanza. Infatti una può essere tenuta anche bene, ma essere terra di montagna che rende poco: è tenuta bene, con quattro piantine, ordinata, ma non è fertile. Invece l’altro terreno buonissimo può essere tenuto male, tanto che al vederlo non gli daresti tre soldi, ma uno che se ne intende vede che lavorandoci sopra tre o quattro anni per bene può ricavarne uno spettacolo, ne esce un giardino... Non so se avete capito il pensiero. La vernice di una macchina non vi dice che cos’è la macchina. Un tornio, per esempio, quando esce dall’officina, se non è stuccato e verniciato, non convince molto; se invece si presenta un tornio che vale meno, ma è verniciato, si ha subito una bella impressione. Voi dovreste abituarvi a captare subito la sostanza.

MISSIONI

ESEMPI discernimento

Il Brasile si trova nell’emisfero australe, per cui quando in Italia è inverno in Brasile è estate.

La città di Resende, situata ai piedi di alte montagne, ha, a differenza di Rio de Janeiro e San Paolo, le due metropoli brasiliane che si trovano rispettivamente a circa 150 e 300 chilometri da Resende, un clima temperato e gradevole.

MI153,2 [5-03-1967]

2 Per esempio, quando noi siamo andati in Brasile... Parlo del Brasile, ma questo lo dico anche del Chaco, per quelli che andranno al Chaco. Anche quando siamo andati a Crotone abbiamo visto la possibilità di un avvenire. Non si va, però, in un luogo per raccogliere subito; prima bisogna sudarci sopra.
In Brasile io ho visto quello che ho detto quando sono venuto a casa: “Guardate che in Brasile le cose sono tali che Resende può divenire la Vicenza dell’America Latina”. Lo diverrà certamente. Perché? Perché anzitutto si ha il grande vantaggio che quella zona è climaticamente ottima: quattordici gradi di minima e trenta gradi di massima è una temperatura ottima relativamente al Brasile, ma è sempre dai quattordici ai trenta gradi! Uno che parta d’inverno da qui e vada là, trova un caldo da morire: trenta gradi. Infatti in un’altra lettera che è stata scritta si diceva: “C’è un caldo enorme! Siamo sui cinquanta gradi al sole e trenta all’ombra!”. Questo io l’ho detto: dai quattordici ai trenta; non è stato detto trentuno. Ma un conto è dirlo e un conto è sentirlo adesso quel calore, e bisogna anche abituarcisi. Ora rispetto ad altre parti del Brasile il clima è migliore. Marzotto mi aveva scritto una lettera dicendo che sono andati a Resende perché a Rio c’era un caldo da morire, e sono andati a Resende perché, per loro, andare a Resende è come per noi andare ad Asiago. I signori di San Paolo vanno a Resende per fare villeggiatura. Ora, se uno venisse dal Chaco e andasse a Resende direbbe: “Qui siete in paradiso!”, ma uno che va a Resende per la prima volta dice: “Ehi, ma qui... Oh, com’è?”. Del resto, a giugno, il primo caldo che ci capita sulle spalle che cosa fa? Fa la stessa cosa, e dopo ci si abitua, un pochino: perciò questo dovete mettervelo in testa.

MISSIONI

Il riferimento è all’assistente Antonio Zordan, che all’epoca si stava preparando per la prima missione in Argentina, ma che aveva già fatto un buon rodaggio pastorale a Crotone.

Il dottor Arnaldo Marzotto aveva chiamato i nostri Religiosi a dirigere un Istituto per l’assistenza dei ragazzi abbandonati, il “Lar dos meninos” da lui fondato a Resende. L’Istituto, all’arrivo dei nostri Religiosi, era già diretto da una commissione di laici.

La lunga introduzione di don Ottorino fa capire che la lettera dei Confratelli del Brasile sottolineava maggiormente le difficoltà che le speranze e le possibilità.

MI153,3 [5-03-1967]

3 Quando, per esempio, sono andato nel Chaco, ho trovato un sacerdote di quarantacinque anni che era arrivato da Roma da quindici giorni e non trovava pace, non ne poteva più, era abbattuto, avvilito. Bisogna anche ambientarsi un pochino! Vedeva tutto nero: “Guarda che situazione... Guarda qua... Guarda là...”.
Che cosa facciamo noi quando comincia il primo caldo a giugno? Passiamo delle giornate in cui non siamo capaci di fare niente, ci sediamo di qua e di là... Dopo due o tre giorni cominciamo un pochino ad animarci, e sentiamo ancora il caldo, ma non è più quello di prima. Dico bene, Antonio? Sì o no? Perché penso che a Crotone anche tu, Zordan, hai trovato la stessa situazione. Ad un dato momento ci si ambienta, ci si ambienta sia climaticamente che per il resto. Vi ho detto che a Resende c’è un’ ottima commissione di laici : ho visto delle ottime persone, però dentro c’è una corrente che... Marzotto è un’ottima persona, è pieno di soldi e può fare, e ha promesso di fare. Ci sono i ricchi di Rio e di San Paolo che vengono a Resende, e sapendoli avvicinare con arte possono aiutare. Non vuol dire che si possa ottenere subito un pacco di milioni con facilità e basta sedersi a tavolino e spenderli. No, i benefattori ci sono, ma bisogna curarseli, bisogna andarci dietro come abbiamo fatto in tutti questi ventisei anni qui a Vicenza. Il Signore ci ha aiutato, ma dobbiamo metterci anche la nostra parte. Ogni mattina noi domandiamo operai, ma se tutto nascesse da solo è inutile che mandiamo operai, è inutile che mandiamo preti e assistenti se già i fiori nascono da soli. E invece no: vi mandiamo ad arare la terra, a gettare il concime, a seminare, e poi anche a raccogliere, ma noi sappiamo che eventualmente raccoglieranno gli altri. Resende è una terra fertile dove si può avere un buon raccolto; certamente c’è promessa di frutti meravigliosi, ma questo lavoro bisogna farlo! Ora vi dico queste cose perché possiate capire la lettera.

AUTOBIOGRAFIA viaggi

MISSIONI vita missionaria

PROVVIDENZA benefattori

Cfr. Luca 4,18.

MI153,4 [5-03-1967]

4 È chiaro che i nostri Confratelli arrivando in Brasile hanno provato un po’ di delusione. Forse si aspettavano una situazione diversa, ma io ho detto ripetutamente: “Guardate che in Brasile l’operaio guadagna pochissimo; oggi prende settantamila cruzeiros, ne occorrono ventimila per pagare l’affitto della casa e con gli altri cinquantamila, che corrispondono a dodicimilacinquecento lire, devono vivere, per cui patiscono la fame”. Ho detto anche che Marzotto aiuterà, che faremo la scuola professionale, ma che gli operai, che la gente è nella miseria. Vi ho detto anche che non ci sono le mutue, le previdenze; devono arrangiarsi a pagare il medico; le medicine devono pagarsele; non c’è nessuna pensione; per l’operaio non c’è niente, come una volta era qui da noi. La situazione è questa: arriviamo per aiutare quella povera gente, per dare una mano a quella povera gente. Mi pare che l’abbiamo ben detto. Ho detto che è un posto da dove un domani ci si può lanciare e fare, ma per adesso questa è la situazione. “Misit vos evangelizare pauperibus” , siamo mandati per evangelizzare i poveri.
A Resende mi hanno promesso di fare i laboratori, di fare la casa per i Religiosi, di fare stanze: questo è stato promesso. Il nostro programma era che prima facessero almeno questo fabbricato e poi si sarebbe andati; avevamo fatto un programma chiaro e preciso, scritto: prima deve essere preparata la residenza per i Religiosi e quando è pronta noi mandiamo i Religiosi, però non prendiamo in mano l’Istituto finché non sono stati costruiti i laboratori; nel frattempo si sarebbe presa una parrocchia. È successo, però, che la suora che era all’Istituto si è ammalata e i ragazzi sono restati da soli. Allora mi hanno scongiurato: “Faccia la carità, anticipi i tempi!”. Il dottor Marzotto pure ha insistito: “Faccia una carità, faccia che vengano i suoi Religiosi a prendere in mano questi ragazzi. Non sappiamo che cosa fare...”. Potevamo noi metterci in contrasto e dire: “Noi veniamo solamente quando sarà tutto pronto”? Sembrava quasi quasi che volessimo fare i signorini, che non ci fidassimo di loro. Quando hanno mandato ripetutamente i disegni delle costruzioni per le correzioni, noi abbiamo detto: “Pensateci voi; a noi basta che ci sia questo e questo...”. A un dato momento si sarebbe mancato di fiducia. Poi si è messa di mezzo anche la stagione delle piogge che quest’anno è stata tremenda, e sappiamo quanti morti ci sono già stati, e perciò finora non hanno avuto la possibilità di fabbricare per causa del tempo; sarebbe stato proprio impossibile.

MISSIONI

PASTORALE poveri

CONGREGAZIONE storia

La Congregazione, come Ente, fu civilmente riconosciuta in Brasile il 7 dicembre 1966 con il nome di Pia Sociedade São Caetano.

Il riferimento è a padre João Martins, un sacerdote di origine spagnola, parroco a San Sebastiano in Resende che don Ottorino avea conosciuto durante la prima visita al Patronato “Lar dos meninos”.

Il Patronato si trovava su una collina fuori di Resende, mentre il rione Paraiso dove doveva sorgere la nuova parrocchia era alla periferia della cittadina.

MI153,5 [5-03-1967]

5 Ora davanti a un Marzotto che prometteva e che assicurava, davanti alla Società già fatta , considerato tutto, io ho radunato don Luigi, don Lino e Giovanni e ho detto: “La situazione è questa: noi non eravamo d’accordo così... Se voi vi adattate ad andare in questa situazione così... va bene. Guardate però che la canonica dovrebbe essere pronta; stando alle promesse di padre João la canonica è pronta, ed eventualmente andate a piazzarvi nella canonica; però se c’è bisogno all’Istituto, vi arrangerete lì adattandovi un pochino per i primi tempi”.
È chiaro che don Luigi e gli altri sono andati. Don Luigi è rimasto un po’ male perché non ha trovato la canonica finita. Padre João era andato in ferie per tre mesi in Spagna ed è tornato che la canonica non era finita. Inoltre non ha trovato la macchina, e allora ha detto a padre João: “Avevano promesso di dare una macchina...”. E il padre João: “Io non ho promesso niente”. Hanno discusso, e don Luigi si è trovato senza macchina. All’Istituto c’è una vecchia Volkswagen che non va tanto bene, e don Luigi dice che per andare al paese ci sono dodici chilometri. Queste sono cose che piano piano andranno a posto. Anche se questa lettera, che adesso vi leggeremo, porta un accento di pessimismo, un accenno alle difficoltà dei nostri Confratelli, io vi dico: “Anzitutto non abbiate paura perché le difficoltà si devono trovare, altrimenti le opere di Dio non vanno avanti”. In secondo luogo è naturale che per qualche mese sentano le difficoltà, altrimenti non sarebbero neanche uomini: si trovano in un ambiente nuovo, con una temperatura diversa... se no bisognava abituarsi prima. Monsignor Luna mi diceva che occorre un anno e mezzo per abituarsi in Guatemala, e dopo un anno e mezzo si capisce che non si era capito niente prima di andarci. Questo io non l’ho detto ai Religiosi perché altrimenti si sarebbero spaventati prima di partire. Però mons. Luna mi ha anche detto che dopo si abituano e che tutti si sono abituati. Ci vuole pazienza! Figlioli, sarà faticoso abituarsi nel Chaco come in Guatemala; in Brasile invece si tratterà di attendere qualche mese per potersi abituare un pochino.

MISSIONI

CONGREGAZIONE storia

MISSIONI vita missionaria

CROCE difficoltà

VIRTÙ

Don Luigi Furlato era all’epoca il padre maestro dei novizi.

Scopeton = specie di aringa affumicata che veniva conservata sotto sale in mastelli di legno. Veniva cotto sulle braci o lessato e poi condito con olio per potervi intingere la polenta: molta polenta e qualche pezzetto di ‘scopeton’ con il suo intingolo era cibo normale sulla tavola della povera gente veneta durante i mesi invernali.

Il riferimento è a Giovanni Orfano, che frequentava all’epoca il 1° anno del corso teologico.

MI153,6 [5-03-1967]

6 Ora, finché si tratta di abituarsi al clima è una cosa, ma poi c’è la questione della difficoltà della lingua. È brutto non riuscire a farsi capire. Uno può domandare mattoni e capiscono un’altra cosa. Nella lettera precedente, un po’ riservata, don Luigi scriveva che aveva detto alle donne di fare a meno di mettere una cosa nella minestra e loro ci buttavano dentro dell’altro. Forse diceva alle donne: “Fate a meno di mettere i peperoni nel tegame...”, e loro, magari, ne gettavano dentro una manciata. È duro non poter avere una persona con la quale intendersi! A un dato momento le difficoltà si sommano: la difficoltà della lingua, la difficoltà di usi e costumi, la difficoltà del cibo...
Per questo vi pregherei, proprio vi pregherei dopo un esame di coscienza che ho fatto, caro don Luigi e compagni, di abituarvi un po’ austeramente. Vi ho già detto altre volte che i miei amici che sono andati missionari mangiavano le mosche per abituarsi alla vita missionaria, mangiavano le lumache per abituarsi, pensando: “Chissà che cosa mi capiterà di fare! Chissà che cosa mi capiterà!”; lo facevano proprio per abituarsi alla vita missionaria. Figlioli, abituatevi a non diventare delle signorine perché adesso, purtroppo, la disgrazia nostra è questa: in questi ultimi anni nella nostra nazione, qui, in Italia, abbiamo di tutto, e non manca nulla. Ma voi andate in nazioni dove logicamente dovete tornare indietro di cinquanta o sessanta anni. Noi quando eravamo giovani eravamo abituati a polenta e ‘scopeton’ , polenta e fichi: eravamo abituati a mangiare così perché non c’era altro. E se vogliamo andare missionari bisogna andare ancora più indietro. Adesso uno è abituato al suo frigorifero, ad avere in casa ogni ben di Dio, avere la frutta, ma la frutta costa. Figlioli miei, abituatevi a un po’ di sacrificio. Nel noviziato non ci siano sempre feste, feste, dolci, caramelle. Non scusatevi dicendo: “È arrivata una donazione!”: fate carità, fate carità piuttosto! Figlioli, attenti; dopo vi troverete male perché non siete abituati. Non datevi alla vita missionaria con abitudini di vita sbagliate; mettetela piuttosto in preventivo con le sue difficoltà. Dico male, Giovannino ?

MISSIONI vita missionaria

CROCE difficoltà

FORMAZIONE

PENITENZA sacrificio

Nel testo registrato non è riportata la lettura della lettera dei Confratelli del Brasile.

Stoccafisso: merluzzo affumicato ed essiccato all’aria, di provenienza norvegese. Con il ‘baccalà’ si prepara uno dei piatti più rinomati e gustosi della cucina vicentina, ma non va certo messo nella minestra!

Antonio Bottegal faceva un po’ da segretario a don Ottorino, anche se all’epoca frequentava ancora l’anno propedeutico al corso teologico.

Don Pietro Martinello era l’incaricato della segreteria di don Ottorino e stava preparandosi a partire per l’Argentina.

Alla conferenza erano presenti i missionari destinati ad aprire la prima Comunità apostolica nel Chaco (Argentina) nella diocesi di Presidencia Roque Sáenz Peña.

Don Ottorino evidentemente scherza: in gergo popolare ‘bestemmia’ chi dice parole incomprensibili o addirittura inesistenti nel vocabolario.

MI153,7 [5-03-1967]

7 Procedamus.
“Carissimi, don Ottorino e don Aldo...”. Io pensavo notizie peggiori. Nell’altra lettera, quella che mi ha scritto Sgarbossa, c’era un bigliettino dentro in cui si raccontava che le donne avevano buttato il baccalà dentro la minestra. Potete immaginarvi: loro mangiare questa roba! Missionari! Queste sono le barzellette missionarie. Antonio Bottegal , non c’era un bigliettino dentro quella lettera? A chi era diretto? Era indirizzato a don Pietro ! Insomma c’era un bigliettino scritto e lì era messo il fatto del baccalà... Se si mettessero a scrivere i fatti di cronaca, verrebbe fuori la torre di Babele: domandano mattoni e ricevono malta! Mi sembra di vedere don Luigi Mecenero che va a chiedere un frigorifero... e, invece, gli portano un calorifero! Figlioli, bisogna studiare le lingue, almeno le parole; conoscendo le parole ci si capisce. Perciò, studiate le lingue, figlioli, studiate le lingue; a cinquant’anni si fa fatica ad imparare le parole. Voi, che siete giovani, approfittate, e soprattutto bisognerebbe trovare il sistema di parlarle. Questa è una difficoltà che hanno trovato anche quelli del Guatemala finché non sono andati là. Dicevano: “Eh, andiamo là, e dopo si impara la lingua... Ho sentito dire che la lingua si impara nel luogo”. È diverso che in un paese straniero ci vada una donna, un operaio che va in uno stabilimento, e che ci vada un prete o un assistente che devono subito mettersi a parlare. Lo so anch’io che un operaio va là e dopo un po’ di tempo impara la lingua del posto, ma lui non è preoccupato di questo perché è sufficiente che si capisca con gli altri. Ma per uno che va per essere una persona pubblica la cosa è diversa. Anche voi che andrete al Chaco siete persone pubbliche e non potete non conoscere lo spagnolo; perciò dovete sacrificarvi, parlarlo fra voi, trovare il modo, andando avanti, di fare un po’ di conversazione, di saper dire qualche ‘bestemmia’ ... di quelle che si possono dire!

MISSIONI vita missionaria

DOTI UMANE studio

FORMAZIONE

CROCE difficoltà

Gli articoli del Credo erano divisi in dodici versetti per essere memorizzati con maggiore facilità; il quinto parlava della discesa di Gesù agli inferi. Don Ottorino spesso scherzava su Quinto Vicentino, dove aveva abitato gli anni dell’infanzia.

Il dottor Igino Fanton, che aveva frequentato da giovane l’oratorio diretto da don Ottorino nella parrocchia di Araceli, continuò a collaborare con lui in varie iniziative. Al tempo dei fatti sopra narrati era dirigente amministrativo della fabbrica di motori elettrici I.S.G. E.V. di Quinto Vicentino, sorta con la chiusura dell’attività produttiva della scuola di elettromeccanica dell’Istituto San Gaetano di Vicenza.

La signorina Dalli Cani di Arzignano, cresciuta alla scuola del grande industriale Giacomo Pellizzari, era nota per la sua intraprendenza di tipo mascolino.

Il riferimento è a Tarcisio Magrin, che all’epoca si trovava nell’anno di noviziato.

MI153,8 [5-03-1967]

8 Quinto... discese all’Inferno!
Riguardo a Quinto ho sentito dire che il dottor Fanton ha radunato tutti gli operai della fabbrica e ha detto: “L’Istituto San Gaetano adesso è impegnato con le missioni, è impegnato con tante cose, non può più proseguire in questa attività... Allora, l’Istituto San Gaetano si è ritirato e perciò si è venduto tutto lo stabilimento di Quinto alla Dalli Cani, quella signorina-uomo che ha alle Alte uno stabilimento di fonderie...”. Questo che il dottor Fanton ha fatto io l’ho sentito dire. Poi mi è giunta notizia dalla direzione generale della Pia Società San Gaetano che questo corrisponde a verità: l’Istituto San Gaetano ha un compromesso con la Dalli Cani. Tarcisio , sai cosa vuol dire un compromesso? Attenti, approfittiamo per spiegare che cos’è un compromesso. Noi abbiamo contrattato con la Dalli Cani per venderle lo stabilimento. Lei entra in possesso dello stabilimento il giorno dodici di questo mese, ma fino al dodici di questo mese esso è ancora nostro. Entro il dodici facciamo l’atto ufficiale, una carta bollata, e lei entra in possesso dello stabilimento. La proprietà del terreno e della casa è della Pia Società; lei ha fatto una carta bollata con la Pia Società dove io mi impegno, entro il dodici, di andare dal notaio assieme ai legali della Dalli Cani e di perfezionare l’atto di vendita, cioè con il compromesso mi impegno di andare dal notaio e di cedere a loro la proprietà di Quinto. Loro mi hanno dato cinque milioni di caparra, e in questo pezzo di carta, il compromesso, è messo che io ho ricevuto cinque milioni di caparra. Perciò io non posso più tirarmi indietro; io devo andare dal notaio e firmare. Io potrei, però, tirarmi indietro dopo aver ritirato la caparra; io dico: “No, non mi sento più di vendere”, e allora devo restituire i cinque milioni più altri cinque milioni di penale; anche loro potrebbero tirarsi indietro, perdendo però la caparra. Ma siccome ciò che abbiamo ricevuto, i cinque milioni, è caparra e inizio di pagamento, non ci si può tirare indietro. Se fosse solo caparra, o si perde o si raddoppia; se è caparra e inizio di pagamento non ci si può più tirare indietro, altrimenti bisogna adire a vie legali. Comunque, in questo caso, non mi tiro indietro; mettetevi il cuore il pace. Allora è chiaro che questa proprietà non è già venduta; è stato fatto un compromesso di vendita, cioè praticamente un impegno di vendita. Però, con il fatto che si è già proceduto a questo si può dire che la fabbrica di Quinto è già venduta, perché tra gente seria si fa così; si direbbe che non si tratta altro che di perfezionare l’atto.

CONGREGAZIONE storia

SOCIETÀ

L’assistente Giuseppe Filippi insegnava materie tecnico-scientifiche nella Casa dell’Immacolata.

L’ingegnere Livio Bernes, per molti anni preside dell’Istituto Tecnico Industriale “A. Rossi” di Vicenza, da consulente tecnico dell’Istituto San Gaetano per il settore motori elettrici era diventato dirigente tecnico della I.S.G.E.V. di Quinto Vicentino.

MI153,9 [5-03-1967]

9 Scusate se ho tirato fuori questi termini, ma credo che valga proprio la pena averlo fatto. È meglio approfittare dell’occasione per spiegarli in modo che ci rendiamo un po’ conto. È sbagliato? Quando voi sentite dire parole di questo genere alzate la mano e le spieghiamo perché un domani vi troverete in un mondo che usa questo linguaggio tecnico. Per esempio, che cosa significa fare un compromesso? A scuola non si può insegnare tutto perché sono cose che capitano solo nella vita. Giuseppe , se qualche volta nel discorso capita qualche parola così, spiegala: che cosa vuol dire planimetria, estratto di mappa, ed altre. Guardate che sono cose necessarie, sono cose in mezzo alle quali un domani vi troverete. Adesso non possiamo dire: “Facciamo delle lezioni specifiche su questi argomenti, ma quando succede una cosa di questo genere, e a te, Giuseppe, capiterà spesso, si dirà: “Ragazzi, sapete che cos’è questa cosa? Sapete cosa vuol dire ciò?”; bisogna dirlo da buoni fratelli, perché questo linguaggio è abbastanza comune fuori e così lo dobbiamo conoscere anche noi.
Mi pare che basti quanto abbiamo detto sulla fabbrica di Quinto. Capite chiaramente che non possiamo mettere in piazza tutti i particolari. Voi direte: “Qui siamo in famiglia!”. Sì, mi pare, ringraziando il Signore, che l’affare si è chiuso bene, siamo stati contenti; si è chiuso con vera fraternità con il dottor Fanton e con tutti, e questa è la cosa più bella che ci possa essere. Sono rimasti tutti contenti: la ditta Dalli Cani ha assunto tutti gli impiegati e tutti gli operai, e ha promesso di incrementare la produzione, sicché il paese di Quinto non può lamentarsi perché lo stabilimento sarà incrementato, perché saranno investiti milioni per nuove macchine... L’unico che resta fuori è il dottor Fanton: se cambia direzione, cambia direzione. Hanno perfino ripreso l’ingegner Bernes come consulente!

MONDO

SOCIETÀ

MI153,10 [5-03-1967]

10 Pasqua e Settimana Santa.
Bisognerebbe prima decidere riguardo alle vacanze, in modo da stabilire poi come passeremo la Pasqua e la Settimana Santa. Siccome non ho mai affrontato in pieno il problema, mi riprometterei di fermarmi con calma in uno di questi giorni e trattarlo. Quello che non vorrei fare è andare ad Asiago con tutta la massa dei Religiosi, anche perché a Pasqua le vacanze sono poche per Asiago e finiremmo per non avere l’ambiente. Sentite, affrontiamo il problema: mi dispiace che manchino parecchi dei nostri fratelli, ma affrontiamo il problema. Mi pare di avervi già accennato che siamo arrivati al punto che è un bene per noi dividerci. Attenti! Abbiamo fatto quella grande riunione durante l’estate scorsa al campeggio e poi a Natale, ma il numero comincia ad essere troppo grande. Finché eravamo un gruppetto di quindici, venti, trenta, anche quaranta persone, si poteva, ma quando si comincia ad averne ottanta o novanta, a un dato momento si finisce per diventare degli anonimi. In refettorio, per esempio, finchè siamo una ventina si può anche discutere, ma quando siamo in molti diventa una caserma.

DOTI UMANE vacanze

FORMAZIONE

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

Santa Caterina era una frazione del Tretto (VI), dove, in un primo tempo, si pensava di costruire il villaggio montano della Congregazione.

A Monteviale, piccolo comune sulle colline della periferia di Vicenza, la Congregazione possedeva una casa dove a gruppi si andava a fare qualche giornata di ritiro e di riposo.

Il riferimento è a Lorenzo Centomo, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso liceale.

MI153,11 [5-03-1967]

11 Ora, ringraziando il Signore, mi pare che ci siamo capiti sulla linea della Congregazione. Notate che anche il nostro caro don Lino scrive: “... la volontà del Signore, la volontà del Signore...”. Mi pare che ora convenga affrontare il problema che già vi ho accennato in sede di meditazione quando abbiamo parlato di Santa Caterina . Io penserei di affrontarlo in questo modo, se la nostra buona mamma, la Madonna, ci assiste e se, come mi pare, questa è la volontà del Cielo.
Primo: dobbiamo fare lavoro di gruppo. Dobbiamo fissare che almeno ogni quindici giorni un gruppo vada a Monteviale per fare mezza giornata di ritiro, in modo che sia un lavoro fra otto o dieci o dodici amici e non di più. Si può fermarsi, per esempio, a cenare la sera e passare un paio di orette insieme; magari, una volta ogni quindici giorni, fare insieme l’‘impegno di vita’. Dobbiamo fare in modo che ci sia questo incontro di piccoli gruppi, perché domani bisogna vivere nella Comunità, in piccole Comunità, per abituarsi un domani a lavorare insieme e a trovare dei tempi liberi da trascorrere in fraternità, perché c’è bisogno di un po’ di tempo da considerare come una distensione, quasi come un passeggio. Una volta, in seminario, ogni giorno c’era il passeggio; oggi non si va più a passeggio, ma c’è bisogno di distensione per cui abbiamo bisogno di portarci fuori dell’ambiente. E allora stabilite dei turni e fate in modo che vengano esposti, dividetevi in gruppi e dite: “Bene, questo pomeriggio o questa sera vanno via i tali; gli altri vanno via un altro giorno”. Bisogna fare gruppetti non tanto grandi, di sette o otto persone, non superare le dodici persone neanche per sogno, salvo qualche eccezione: un gruppetto intorno alla tavola, si sta insieme, si ride e si scherza in compagnia, si discute qualche problema, ci si abitua a vivere insieme, a distendersi insieme. Vi pare sbagliato? Qualche volta siete già andati. Ieri, per esempio, sono andati i novizi: sono partiti ieri mattina a piedi, a mezzogiorno si sono fatti da mangiare, ieri sera sono venuti a casa, e mi dicono che sono stati contenti. Giorni fa sono andati quelli di terza liceo. Centomo , sei andato? Siete stati contenti? Adesso direi che è importante fissare i gruppi perché non capiti che ci siano alcuni che ci vanno e alcuni no, e questo mi dispiacerebbe; dobbiamo fissare già in modo che tutti quanti possano andarci. Dopo uno potrebbe dire per esempio: “Io preferisco stare a casa”, e sta a casa. Ma bisogna fare di tutto per andare tutti, che non ci sia qualcuno che possa dire: “Voialtri sì, noialtri no!”. Mi pare che godere la possibilità di essere in un ambientino così risponde anche a una necessità di oggi. Questo lo metterei come prima cosa: avere durante l’anno un punto di appoggio a Monteviale. Durante l’estate poi, in luglio, quando si rimane qui a lavorare, alla sera un gruppetto può andarci; allora non si è in tanti e si può andare anche tutti con due o tre macchine, restiamo lì fino alle undici di notte, finché il clima diviene un po’ fresco, e dopo ritorniamo a casa per dormire. Insomma, siamo Religiosi, ma non siamo fuori dal mondo di oggi. Vi ho detto: “... di duemila anni fa”, ma anche “... del duemila”. Adesso, vi dico: muoviamoci fuori, un pochino, andiamo fuori dal guscio. Ferrari, è sbagliato?

CONGREGAZIONE spiritualità

FORMAZIONE

MARIA la nostra buona mamma

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

COMUNITÀ

fraternità

DOTI UMANE vacanze

DOTI UMANE riposo

FORMAZIONE noviziato

Le sorelle Adelina e Pulcheria Meneghini erano amiche e benefattrici della Congregazione, che a volte trascorrevano qualche breve periodo con la Comunità della Casa dell’Immacolata.

MI153,12 [5-03-1967]

12 Secondo: programma per l’estate.
Mi pare di avervi accennato già qualcosa nella meditazione. Si pensava di fare qualcosa a Santa Caterina. E allora vi dico come penserei. A me è venuta la tentazione di vendere Val Giardini... non guardatemi con gli occhi neri! A Val Giardini siamo a più di mille e cento metri di altitudine e c’è tanta umidità e qualcuno non resiste. Anche le signorine Meneghini hanno dovuto scappare via: non ce la fanno, sentono i dolori. Chi soffre i dolori, chi ha una certa età lo sente immediatamente: “Qui c’è umidità”; ma non vuol dire che i giovani non la sentano o che non porti danno anche a chi non la sente. Se l’ambiente è umido, chi ha già i dolori lo nota subito e non resiste perché sente male; ma non vuol dire che uno che non li ha mai sentiti finora non ne abbia avuto un danno. I dolori si possono sentire fra dieci anni e averli presi a Val Giardini quando si era tra i quindici e i vent’anni; uno li prende e dopo li sente fra cinque anni, perché si indebolisce una parte. Ricordate come alla sera è tutto bagnato per l’umidità. Dunque mi pare che la cosa migliore sia quella di lasciare definitivamente la casa. In secondo luogo bisognerebbe affrontare la spesa di alcuni bagni, di alcuni gabinetti, cioè renderla più confortevole. Quella casa andava bene subito dopo la guerra, ma adesso bisognerebbe renderla un po’ decorosa; dico decorosa, non ricca. Bisognerebbe affrontare la spesa per un adeguato approvigionamento dell’acqua, cioè ci vorrebbe una cisterna di mille ettolitri messa vicino alla casa del Buon Pastore in modo che si riempia nel periodo primaverile e offra la scorta per tutta l’estate: non si può continuare con il camioncino avanti e indietro per il rifornimento dell’acqua. È opportuno fare tutte queste spese in un luogo che è umido e che non è accessibile tutti i tempi dell’anno? Anche ieri vi siamo andati, ma era impossibile giungervi: siamo andati su a piedi ed è stato impossibile avvicinasi alla casa del Buon Pastore perché la neve era alta. Noi abbiamo bisogno di un posto dove, quando abbiamo due o tre giorni di vacanza, un gruppo di dieci o quindici ragazzi possa andarvi per fare un ritiretto, per stare insieme.

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

CONGREGAZIONE storia

DOTI UMANE vacanze

MI153,13 [5-03-1967]

13 Allora si pensava di trovare il posto di cui vi ho già parlato l’anno scorso: Santa Caterina. Io penserei a questo ambiente che stiamo studiando e ristudiando, se si trovasse da vendere Val Giardini, e affrontare allora Santa Caterina. L’altezza è ottima perché sono poco più di settecento metri e siamo nella valle del Pasubio: da una parte c’è tutto il Pasubio e la pianura dall’altra, per cui abbiamo il beneficio, come freschezza, quasi dei mille metri, e in quaranta minuti si arriva da Vicenza. Pensate alla bellezza di soli quaranta minuti di strada! Vuol dire che un sabato sera, per esempio, voi tre o quattro del corso teologico, o altri quattro o cinque, potete dire: “Ragazzi, stasera andiamo a Santa Caterina. Partiamo alle quattro e mezza o alle cinque del pomeriggio e torniamo a casa domani sera per l’ora della conferenza delle diciotto”. Si parte, magari, con due macchine, si va in una decina, si passa la giornata lì, si studiano i nostri problemi, si tratta che cosa si può fare; se tu devi andare a Val Giardini è già una cosa diversa.
Ora, però, bisognerebbe studiare la costruzione perché venga fatta in una forma un po’ più moderna: non un istituto, io non farei con i prefabbricati un grande istituto, un grande capannone, ma delle case. State attenti! È un’idea un po’ pazzesca, se volete: si potrebbero fare delle case un po’ rialzate, con il piano inferiore di due metri e mezzo invece dei soliti due metri di altezza e una scala per andarvi dentro, lunghe quindici o sedici metri di fronte in modo che ci siano i bagni. Per esempio, potrebbero servire per diciotto o venti persone, con tre bagni, tre gabinetti e sei lavandini, con le stanze sufficientemente grandi, una scala interna, e nel piano inferiore una parte per il garage. Si potrebbe dividere la parte inferiore così: una parte per la sala, una parte per il garage e una parte per il cucinino. Perché farei un cucinino in ogni casa? Per questo motivo: ho programmato una casa per le donne che serva anche come cucina, come all’ospedale dove si va a prendersi il mangiare nella cucina centralizzata, ma poi si potrebbe arrangiarsi da soli, in modo che si va a prendersi il primo dalle donne e per il secondo provvede ogni gruppo. Se, per esempio, a noi piace mangiare sardine in scatola, mangiamo sardine. Non ti pare, Antonio? La pietanza, qualche volta, può essere un po’ diversa: quando avete preso la minestra, per il resto vi arrangiate. Ad esempio: “Stasera, ragazzi, preferiamo mangiare funghi: abbiamo trovato dei funghi e preferiamo cucinarceli; abbiamo presa una lepre e ce la cuciniamo”. Qualche volta può essere così, purché non sia un coniglio rubato!

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DOTI UMANE vacanze

I ‘grandi’ erano i Religiosi che frequentavano il corso teologico in seminario.

Si tratta della cucina centralizzata prevista al piano terra della ‘casa delle donne’ e fatta funzionare dalle collaboratrici domestiche della Casa dell’Immacolata; si prevedeva di costruire questa casetta al centro del villaggio.

La Congregazione, con i pannelli delle case prefabbricate che venivano costruiti a Vicenza nella Casa dell’Immacolata, aveva eretto a Crotone per la parrocchia del S. Salvatore a Fondo Gesù, affidata ai nostri Religiosi, la casa parrocchiale e una cappella con una capienza per circa 100 persone.

Don Ottorino fa un’affermazione importante: a suo parere le linee portanti della spiritualità della Congregazione, descritte in “Il libretto Bianco” consegnato nel gennaio del 1966 ai Religiosi, sembrano essere diventate veramente elementi essenziali nelle scelte quotidiane di vita.

L’allusione è ai campeggi estivi organizzati ad Asiago (VI), che evidentemente per alcuni cominciavano ad essere pesanti.

MI153,14 [5-03-1967]

14 Interessante è questo: creare l’ambiente familiare, crearlo con i novizi, con il gruppetto dei grandi. Deve essere un gruppo di quindici o sedici, al massimo di diciotto amici: si sta lì, si ha il proprio refettorio, si ha la propria abitazione, e l’unica cosa che rimane da fare è quella di andare a prendersi da mangiare nella ‘centrale del mangiare’ distante dalle case cinquanta o sessanta metri. Quindi, non vogliamo creare il grande ammassamento, ma avere un ambientino che può essere riscaldato, con doppio vetro alle finestre, in modo che d’inverno, se si volesse, si potrebbe dire: “Andiamo su”. Supponiamo che nel periodo natalizio si vada su: un gruppo di qua e un gruppo di là; un gruppo sta con don Guido, un gruppo sta con l’altro; posso venire anch’io... ma è tutta un’altra situazione! La cappella può essere esterna e comune, come quella di Crotone , che possa, dividendo lo spazio con pareti mobili, diventare una sala se volessimo fare una riunione, se volessimo fare un po’ di cinema, se volessimo fare una conferenza, una riunione insieme con tutti gli amici... Però, partiamo dall’idea che per la meditazione non restiamo tutti insieme, ma facciamo gruppi perché ormai avete una certa età, avete esigenze diverse per età e per cultura. Ringraziando il Signore ho visto che siamo arrivati ad una base comune, e in questo siamo d’accordo ; io, ringraziano il Signore, ho visto che questa base comune c’è. Adesso creiamo anche un pochino di differenziazione, non delle distinzioni, ma la possibilità di dialogare, perché siamo in cinquanta e non possono parlare tutti e cinquanta. Invece è bello che tutti possano parlare quando si è insieme, quando si sta mangiando, che possano scambiarsi una parola da amici. Vi sembra sbagliato questo? Se c’è qualcuno che ha qualcosa da dire, alzi la mano.
Adesso lasciate stare i particolari che discuteremo in seguito, ma come linea di massima, come linea base teniamo questo. Supponiamo allora che un gruppetto faccia un’uscita: il villaggio rimane come campo base. A Val Giardini ormai non ci stavamo più, ammassati insieme i piccoli con i grandi, e si sentiva il bisogno di un posto in cui stare calmi. Si sentiva il bisogno di star calmi, ma nello stesso tempo alloggiati un po’ da cristiani. Allora, in quei giorni in cui non si è fuori, non si dorme nelle tende, ma si dorme nel proprio letto, si è messi da cristiani ! Si tratta poi di rispondere alle esigenze dei piccoli e dei grandi: i piccoli potrebbero andarvi in luglio e fare le vacanze in famiglia in agosto. Il tutto è sempre condizionato alla vendita della casa di Val Giardini. I piccoli hanno bisogno di maggiore spazio, per cui si potrebbe riservare per loro alcune casette. Inoltre c’è bisogno di un cortile per giocare al pallone o per altri giochi.

FORMAZIONE noviziato

FORMAZIONE

COMUNITÀ

conduzione comunitaria

CONGREGAZIONE spiritualità

COMUNITÀ

dialogo

COMUNITÀ

fraternità

Il riferimento è sempre a Santa Caterina di Tretto, dove don Ottorino aveva già preso contatti per l’acquisto di un appezzamento di terreno.

Le ACLI in molti paesini del vicentino gestivano bar e cooperative di generi alimentari.

Nel testo registrato don Ottorino continua a illustrare la bellezza del luogo, in forma molto difficile da riportare, e inoltre si ascoltano commenti.

Il testo registrato si interrompe a questo punto, e la conferenza termina con tali progetti da realizzare in vista delle vacanze estive.

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15 A Santa Caterina c’è tutta una collina: spianandola verrebbe fuori proprio un bel posto per un piccolo villaggio. È una collina e sotto c’è la strada che domina la pianura di Vicenza. In quel luogo, spianando la cima della collina, si ricavano circa quattromila metri quadrati: mettendo le casette, una rivolta di qua, una rivolta di là, la chiesa in mezzo e alcune piante, dovrebbe riuscire un villaggio bellissimo, un bel villaggetto, che ha un po’ di quel folclore che non dispiace. Verso il Pasubio c’è il monte che un domani sarebbe ottimo per praticare lo sci...
L’altro giorno ho detto al parroco se, per piacere, può stare alle calcagna del proprietario, e ho notato che sono talmente desiderosi che andiamo là che sono disposti a qualunque sacrificio, a qualunque cosa. Il direttore delle ACLI mi ha detto: “È il miglior pezzo di terra di tutto il paese... perché come prato è il migliore... e si tratta di cinquemila metri quadrati!”. Ora ha telefonato ieri mattina dicendo che è dispostissimo a darcelo, soltanto che il prezzo è un po’ caro perché è il miglior pezzo di terra del paese e bisognerebbe dargli cento lire al metro... Dunque riassumo le cose che ho detto: sarebbe da comprare tutta la collina e tutta la parte che è aldilà della strada che va verso il Novegno. Si tratta di un bel pianoro. Si potrebbe comprarla e la lasciamo in affitto al contadino perché a noi non interessa, in modo che nessun’altro possa averla e piantarci le case addosso. Poniamo così le condizioni perché venga bloccata tutta la zona: noi acquistiamo, lasciamo che taglino l’erba senza alcun affitto, ma la proprietà è nostra. Questo lo facciamo per evitare che un domani costruiscano una casa davanti. Mi sembrerebbe una bella cosa costruire il villaggio montano in questa forma un po’ moderna, senza lussi e facendo cose semplici. L’acqua c’è; ho già parlato e telefonato perché mi avevano detto che durante l’estate chiudono un po' l’acqua e mi hanno detto: “C’è la cisterna sopra il campanile, e quasi una metà va persa. Basterebbe mettere un pochino le cose a posto. Di per sé sono i contadini del posto che chiudono l’acqua, sono loro che vanno a chiudere perché hanno paura che le mucche vadano a bere. Si potrebbe fare una conduttura diretta dalla vasca alla vostra proprietà che è vicina, e la vostra conduttura non verrebbe mai chiusa. In secondo luogo, poco distanti, ci sono altre due fonti che non sono state utilizzate”. Se il sindaco mi assicura l’acqua e ci mette nella condizione di averla - l’anno scorso il sindaco ci aveva promesso che ci avrebbe fatto l’impianto gratuito dell’acqua, purché andassimo a costruire il villaggio - accettiamo, però l’acqua ci deve essere condotta direttamente senza nessuna saracinesca in mano d’altri...

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