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L’APOSTOLO È LABORIOSO E INSTANCABILE PER LE ANIME

MI149 [28-02-1967]

28 Febbraio 1967

La citazione, riportata in corsivo, è della 1 Tess 2,9-10 che don Ottorino riprende dalla pag. 50 del libro di HEINZ SCHÜRMANN, Prima lettera ai Tessalonicesi, Città Nuova editrice Roma 1965, testo base anche per questa meditazione, anche se poi si lascia prendere dall’entusiasmo e non usa il libro.

Cfr. Meditazione del 22 febbraio 1967

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1 “Ricordate infatti, o fratelli, il nostro lavoro, l’ardua nostra fatica: vi predicammo il vangelo di Dio lavorando giorno e notte per non essere a carico di nessuno di voi. Voi siete testimoni con Dio di quanto santa, giusta e irreprensibile sia stata la nostra condotta verso di voi che credete”.
Bisognerebbe fermarsi a parlare un’altra volta del lavoro, ma su questo ci siamo fermati l’altra volta prendendo lo spunto da una parola. Vorrei sottolineare soltanto un particolare, e dopo passiamo avanti. San Paolo non solo si guadagnava il pane con le sue mani, e ho sottolineato l’altra volta il dovere che abbiamo anche noi di lavorare e di guadagnarci il pane col sudore della fronte, ma dice anche questo: “... vi predicammo il vangelo di Dio lavorando giorno e notte...”. Vorrei sottolineare questo particolare: Paolo lavora ‘giorno e notte’. Cioè, in altre parole, troviamo in Paolo l’atteggiamento della mamma che, quando ha messo a letto i bambini, comincia un’altra giornata; la mamma che non conosce l’ora di andare a letto, che non conosce neanche l’ora dell’alzata, non perché lei rimane a letto, ma perché si alza in fretta. Bisogna stare attenti anche all’intensità del lavoro per non credere di avere fatto tanto con quattro o cinque ore di lavoro. A volte esigiamo la ricreazione prima di avere fatto il minimo di quello che dovevamo fare. Invece guardate l’esempio di Paolo. Quando un papà è sposato e ha dei figlioli, e spesso i soldi non bastano, dopo aver fatto le otto ore, se può, fa qualche altra ora e continua a lavorare, e non misura i sacrifici che fa: lui vede le necessità e si impegna, e qualche volta la misura è il bisogno della famiglia, mentre noi non avendo questo, salvo qualche circostanza particolare, è facile che a un dato momento ci dimentichiamo nel lavoro ordinario che ci sono delle anime da salvare. Perciò è giusto il riposo, il riposo necessario, sia quello notturno che quello annuale, ma per noi il riposo dovrebbe essere il cambiamento di attività.

SOCIETÀ

lavoro

FAMIGLIA mamma

ESEMPI responsabilità

DOTI UMANE buona volontà

Monsignor Luigi Volpato fu il padre spirituale di don Ottorino durante gli anni di seminario e i primi anni di sacerdozio.

La dottrina cristiana era l’insegnamento catechistico che veniva impartito ai ragazzi della parrocchia

Il riferimento è ad Albino Tomasi, che don Ottorino nomina più avanti in questa stessa meditazione, che aveva completato il corso ginnasiale nella Casa dell’Immacolata ed era passato in noviziato

La legatoria Olivotto di Vicenza è una delle legatorie più grandi d’Italia

Nelle industrie, soprattutto quelle in cui si lavora a cottimo, ci sono degli incaricati che controllano la resa degli operai e il loro impegno sul posto di lavoro

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2 Per esempio, monsignor Volpato ci dava questo consiglio: “Siete stanchi di scrivere nell’ufficio parrocchiale? Avete fatto due o tre ore di lavoro e ormai sentite il bisogno di muovervi, di prendere un po’ di ricreazione? Prendete la bicicletta e andate a trovare un ammalato”. È giusto prendere la bicicletta e andare magari a trovare qualcuno, a vedere come funziona la dottrina cristiana dei ragazzi. Si tratta di cambiare attività e questo diventa già un riposo: hai fatto un po’ di ricreazione, hai fatto la tua passeggiata.
Il passeggio per il passeggio, il divertimento per il divertimento, mi pare che dovremo prenderceli in Paradiso. Prendetevi, un domani, tre o quattro o cinque giorni di riposo: un gruppetto se ne va insieme a trattare gli argomenti di casa, temi più o meno impegnativi... ma il vero riposo prendiamolo in Paradiso, non ora finché ci sono tante anime che aspettano il nostro aiuto. Sabato mattina si è presentato a me un giovane novizio, di cui non faccio il nome perché si tratta di dire il peccato ma non il peccatore, il quale mi ha detto: “Stamattina vado a casa, perché ho deciso di andare a casa”. Ha deciso da solo, senza consigliarsi con alcuno: è partito ed è andato a casa. Domenica commentavo l’episodio con un suo confratello, il quale ha detto: “Ah, adesso capisco perché mi ha dato la chiave di....”, e poi ha sottolineato che prima non aveva capito perché usciva spesso e lasciava cadere qualche frase contro l’uno e contro l’altro, non era mai contento di niente e tutto gli pesava: “Questo lavoro! Questo grande sacrificio di lavorare continuamente, questo grande sacrificio...”. In realtà qui si lavora alcune ore al giorno e mezz’ora prima di sudare ci si ferma tre quarti d’ora per riposarsi, e praticamente nessuno controlla. E lo stesso si dice: “Che grande sacrificio!”. È un sacrificio stare al caldo, stare incontrollati, stare lì alcune ore al giorno... “Che sacrificio!”. Considerate solamente le ragazze che vanno da Olivotto , per esempio. Partono al mattino e vanno a lavorare; devono partire da cinque o sei o dieci chilometri di distanza, e devono essere in fabbrica all’ora precisa; devono restare là anche tre o quattro ore con una donna vicina che segna un numero rosso per ogni errore, e se le vede ferme segna una multa; mangiano in fretta durante il breve intervallo... e poi, magari, quanto tornano a casa, la mamma chiede: “Su, dai, lava i piatti... Su, dai, fa’ questo, fa’ quello...”. Eh, state attenti, figlioli, che non crediamo di fare grandi sacrifici, grandi lavori, e dire: “Abbiamo tanto lavorato, tanto lavorato!”. Qui è un rapporto che dobbiamo avere tra noi e Dio. Mettiamoci a confronto con i nostri papà, mettiamoci a confronto con San Paolo, mettiamoci a confronto con tante altre creature e con tante anime che hanno dato tutto per la salvezza delle anime.

AUTOBIOGRAFIA seminario

PASTORALE

DOTI UMANE riposo

PENITENZA sacrificio

APOSTOLO salvezza delle anime

SOCIETÀ

lavoro

CONSACRAZIONE offerta totale

Don Ottorino parla evidentemente di religiosi che svolgono mansioni impiegatizie o di operaio nelle attività industriali e commerciali gestite in proprio dalle varie Congregazioni

Don Ottorino finge di chiedere il parere in questo caso a due vocazioni adulte, all’assistente Vinicio Picco che aveva lavorato fin da ragazzo presso lo stabilimento Marzotto di Valdagno, e al novizio Umberto Manzardo, che dopo un periodo alla Casa dell’Immacolata era uscito e aveva fatto esperienza di lavoro in famiglia

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3 Figlioli, non facciamo gli eroi, non facciamo gli eroi perché abbiamo una situazione difficile da vivere, perché abbiamo un lavoro da fare! Valutiamo onestamente la libertà di azione che abbiamo: possiamo muoverci in Comunità, abbiamo la possibilità di fare un’altra cosa se uno non lavora perché non ne ha voglia... Questo è impagabile; le persone nel mondo non hanno questa libertà di azione. E se anche noi dovessimo soffrire più degli altri e patire più degli altri che sono fuori, non ci siamo consacrati per salvare le anime? Perché dovremmo prendercela e meravigliarci di questo?
Ho constatato una cosa a questo proposito, non nel nostro Istituto, per carità, ma in tante altre congregazioni religiose. Un impiegato esterno, un operaio esterno, rende molto di più che un impiegato della Congregazione Salesiana, per esempio, o Francescana, o un operaio di una Congregazione. Tante volte ho sentito dire in qualche Famiglia religiosa: “Da parte nostra non si può esigere, non si può esigere perché sono di casa...”. Perché non si può esigere? Credo anzi che colui che è religioso dovrebbe essere frenato. Se, per ipotesi, un ragioniere esterno rende x, uno che è religioso, un ragioniere francescano, per modo di dire, o scalabriniano o quello che volete, dovrebbe rendere molto di più per la Congregazione, perché un mercenario non fa il suo lavoro come il padrone. State attenti, figlioli, che non siamo mercenari anche noi, con la differenza che il mercenario ha un padrone che lo controlla, e noi minacciamo di essere mercenari senza padrone. Ci vorrebbe tanta e tanta fede, perché il padrone non si fa vedere. Voi direte: “Perché tira fuori queste cose?”. Perché vedo tanti oziosi in giro per il mondo, tanta gente oziosa, tanta gente che perde tempo inutilmente per leggere libri, leggere riviste, per guardare qua, guardare là... ho un quadro dinanzi a me. È un’ingiustizia, però, che un sacerdote, per esempio un parroco o un cappellano che vive dell’altare, perché vive di quello che prende all’altare, poi faccia una vita così comoda come forse non la fa nessuno dei suoi parrocchiani! Tu, Vinicio, che vieni da fuori: dico eresie? Tu, Berto: dico eresie? Cappellano e parroco... era proprio necessario fare quella cosa? Era proprio necessario o l’hai fatta perché ti piaceva? Prova a guardare un po’ la tua giornata! Sapeste quante volte ho preso qualcuno per lo stomaco: “Fa’ un po’ di esame di coscienza. Stringi, stringi... quante ore di lavoro hai fatto? Il pane, te lo sei guadagnato?”. Uno può fare quello che gli piace e crede di avere lavorato, si illude di aver lavorato. Ma ha fatto l’esame di coscienza? Ha fatto quello che gli piaceva, non quello che piaceva a lui! La gente nel mondo non è consacrata all’altare e deve fare quello che piace agli altri. Mio papà per tanti anni ha fatto il muratore, ma è morto senza avere la casa propria perché ha sempre fatto la casa per gli altri, mentre noi minacciamo di farci la casa per noi e pretendere i soldi dagli altri.

CONSACRAZIONE offerta totale

CONSACRAZIONE immolazione

CONSACRAZIONE religioso

CONSACRAZIONE mediocrità

PECCATO omissioni

PECCATO passioni

SACERDOZIO prete

PASTORALE parroco

La prima e la più grande ingiustizia del ministro consacrato è per don Ottorino il poco zelo apostolico e la non totale donazione al servizio del popolo di Dio affidato alle sue cure pastorali.

Don Ottorino stigmatizza la consuetudine tipicamente clericale di aggirare il vero spirito di una norma morale con capziosi ragionamenti per adattarla al proprio tornaconto

Il riferimento è al diacono Vittorio Venturin, seguito subito dopo da don Luigi Smiderle, che frequentavano entrambi il 4° anno del corso teologico e sarebbero stati consacrati sacerdoti nei mesi seguenti

Il professore don Antonio Bruzzo era insegnante di scienze matematiche nel seminario di Vicenza dal 1891 al 1929 ed era famoso per i suoi sillogismi e i suoi ragionamenti

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4 Tante volte noi predichiamo la giustizia, che dovremmo predicare sempre, ma quante volte ho visto anime consacrate che non sono giuste, che mancano di giustizia perché non fanno il lavoro che dovrebbero fare! Si vede, allora, la parrocchia che non fiorisce, mentre il parroco e il cappellano vanno a caccia o vanno da una parte e dall’altra. Per carità, se un domani ci fosse un sacerdote in una parrocchietta piccola, piuttosto che resti in ozio, faccia anche questo! Vi sono casi particolari, ma vi posso asserire che è facile essere oziosi, è facile ad un dato momento stiracchiare le giornate, cioè fare quello che piace. Si fa presto poiché la morale l’abbiamo studiata tutti e con la morale si può anche rubare una gallina, mangiarla e acquistare merito tirando un pochino la corda!
Don Vittorio mi guarda con una certa meraviglia e si chiede che cosa stia dicendo. Prendi, per esempio, Smiderle che, poverino, si sente debole e fiacco, e dice: “In extremis omnia fiunt communia!”. È uno dei principi della morale: “In caso di estrema necessità ogni cosa diventa di tutti”. Io mi trovo in estrema necessità e perciò “omnia fiunt communia”. Anzi, se io vedo Orfano che sta morendo di fame, vado a prendere una gallina, la uccido e gliela do da mangiare, faccio un’opera di carità. E, dunque, anche quando faccio questo verso di me, io faccio un’opera di misericordia, un’opera di carità, perché è come farla a Gesù. Voi direte: “Che modo di fare, di ragionare, è questo?”. Sapeste quante volte incontro anime, anime consacrate al Signore, che ragionano in questo modo, e Dio non voglia che non sia anch’io una di queste! Quanto è facile, figlioli, quanto è facile fare il ragionamento del prof. Bruzzo: “Dunque...”, con quel ‘dunque’...

VIRTÙ

giustizia

PASTORALE parroco

PASTORALE parrocchia

VIZI accidia

L’allusione è ai tre confratelli, don Lino Dal Moro, don Luigi Mecenero e assistente Giovanni Sgarbossa, partiti il 31 gennaio alla volta di Resende (Brasile), ove il dott. Arnaldo Marzotto aveva loro affidato l’incarico di dirigere un Istituto per ragazzi poveri e abbandonati da lui costruito. A Resende si trova anche una Accademia Militare per i giovani che si preparano a diventare ufficiali dell’esercito brasiliano.

Giacomo Pellizzari partì da un piccolo laboratorio per giungere al grande complesso industriale elettromeccanico di Arzignano (VI). Il figlio Antonio, con una vita dispendiosa e superficiale, portò l’azienda sull’orlo della bancarotta. L’azienda, con i posti di lavoro, fu salvata da un intervento dello Stato attraverso l’IRI.

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5 Ecco una cosa che mi è venuto in testa di sottolineare.
Prendiamo ad esempio i nostri fratelli che sono andati in America: sono già arrivati e naturalmente hanno trovato un po’ di disagio. All’inizio avranno avuto festeggiamenti e ricevimenti, perché supponiamo che il signor Marzotto e l’Accademia Militare avranno fatto loro festa... una bella festa quando sono arrivati. Ma poi, andando al pratico, la canonica non è ancora finita, l’auto non è ancora acquistata, per cui devono adattarsi nell’Istituto dove hanno preso una stanzetta a pianterreno per fare la cappellina e hanno dovuto mettersi in una stanza non tanto grande per dormire insieme. In questo caso si possono assumere due atteggiamenti: si va in un certo ambiente con la condizione: “Io vado se è già tutto pronto!”, oppure si va, ci si impegna con solerzia, si incomincia a fare la propria parte di lavoro e ci si tuffa dentro con decisione. Figlioli miei, dovete mettervi in testa che dovete fare anche voi qualche cosa, anche voi dovete sudare, anche voi dovete lavorare, non potete pretendere... Se vi mando un domani in Argentina o in un’altra parte, non potete dire: “Io torno indietro perché non ho trovato... Mi mancava il tappeto fuori della porta della casa. Rientro soltanto quando tutto è a posto”. Figlioli miei, bisogna mettere in preventivo che bisogna lavorare! Il Signore non ci ha chiamati a fare i signorini, ma ci ha chiamati a lavorare. I grandi industriali di solito partono dalla gavetta e costruiscono un impero economico lavorando e sudando giorno e notte. Guardate, ad esempio, Pellizzari , il cui figlio, ve l’ho detto più di una volta, ha sperperato tutto quello che il papà aveva costruito, perché a un dato momento ha cominciato a collezionare quadri, a dedicarsi alla musica, a capricci di ogni genere; non era un industriale, era il figlio di un industriale e viveva di rendita. Voi non potete vivere di rendita, figlioli!

MISSIONI

SOCIETÀ

lavoro

DOTI UMANE maturità

DOTI UMANE responsabilità

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6 Scusate se parlo un po’ da industriale anch’io. Voi non potete neanche comprendere i sacrifici fatti durante i primi dieci anni dell’Istituto, non ne avete neanche l’idea. Non sto qui a fare panegirici, perché dovrei tirar fuori anche tutti i peccati e le miserie, le infedeltà alla grazia di Dio, all’amore di Dio, eccetera eccetera. Ma guardate che il Signore ci ha chiamati a sudare, a sudare, a lavorare, a lavorare. Sono stati anni di fatica: fatica per la questione economica, fatica per la questione educativa, fatica per la questione spirituale personale, fatica per tirare avanti con le persone esterne, cioè per i rapporti con le persone ecclesiastiche e con le persone civili, fatica per la questione dei laboratori... Figlioli miei, siamo chiamati a fare fatica, fatica!
Non fatevi il vostro piccolo nido: “Io ho fatto questo, e adesso facciano i responsabili”. No, figlioli, no, figlioli! Guardate che siete fuori strada! Chi, per esempio, nella Casa dell’Immacolata dicesse: “Io ho fatto il mio dovere: ore di studio, ore di scuola, eccetera. Adesso vado in vacanza e approfitto per leggere questo, leggere quello, per fare questo, per fare quello...”, sarebbe un piccolo borghese, come pure lo sarebbe se dicesse: “Io faccio... Se mi dicono di fare una cosa io la faccio... Io, il mio dovere, lo faccio: io faccio il mio dovere!”. In una famiglia c’è un papà che rimane a casa per due giorni in festa? Mio papà, poverino, alla mattina mandava a Messa mia mamma, e alla domenica mattina, finché mia mamma andava a Messa, lui accendeva il fuoco, scaldava il caffè, e dopo puliva le piastrelle; davanti alla casa c’era un pezzettino di cemento, e in mezzo lui ci aveva messo quattro piastrelle, e allora le puliva bene anche con un po’ d’olio e con uno straccetto in modo che quando veniva a casa la Clorinda trovasse tutto a posto perché avevamo anche una botteguccia... Un papà fa così, e noi dobbiamo fare così. Oggi uno può essere imboscato e credersi al sicuro, a posto con la coscienza, perché ha fatto le ore di lavoro stabilite e dire: “Io sono a posto!”. Ma se un domani affrontate la vita apostolica con la stessa mentalità mandate in malora la Chiesa di Dio. Perché? Perché diventate degli impiegati: “Io ho fatto le mie ore, ho fatto le mie ore!”. Una mamma non fa così con i suoi figlioli! Un’industria condotta in questo modo va a finire a quel paese! Non si può trattare un’industria così, ad esempio, in relazione all’orario lavorando dalle otto, otto e mezza a mezzogiorno... Non c’è nessun industriale che tiene calcolato il tempo e basta; l’industriale è uno che pensa all’azienda di giorno e di notte, che lavora di giorno e anche di notte con il cervello, e poi si alza per fare schizzi, per vedere, eccetera; è uno che continua, continua a lavorare, continua a lavorare per la sua industria.

SOCIETÀ

lavoro

PENITENZA sacrificio

COMUNITÀ

corresponsabilità

AUTOBIOGRAFIA famiglia

Don Ottorino si riferisce a Giorgio Girolimetto che si trovava a Roma studiando filosofia presso la Pontificia Università Gregoriana, e non all’assistente Giorgio Pieropan che era morto tragicamente nel novembre precedente.

MI149,7 [28-02-1967]

7 Voi non siete chiamati a fare i rimorchi, ve l’ho detto tante volte, ma a fare le macchine, cioè gli industriali. Perciò non dovete qualche volta imboscarvi; dovete pensare con la vostra testa, dovete essere superiori generali, ognuno di voi!
Ieri sera Giorgio, non quello che è morto, poverino, ma quello che vive a Roma, mi ha detto: “Mi sono accorto che qualcuno già comincia ad essere come vuole lei, cioè superiore generale, nel senso che si ritiene quasi responsabile della Congregazione. Si nota parlando insieme, ragionando insieme, che qualcuno ha il senso della responsabilità”. Ciò mi ha fatto piacere; mi è dispiaciuto che abbia detto ‘qualcuno’, mentre avrei avuto piacere che avesse detto ‘tutti’. Questo ve lo dico non tanto per oggi, quanto per un domani quando voi sarete in vita apostolica: colui che oggi agisce facendo un po’ il borghesuccio, un domani va in una parrocchia, e se non gli cadono sulla testa dieci milioni, se non gli cadono sulla testa le opere parrocchiali, queste no vanno fatte; se non gli cascano sulla testa le anime, queste non vanno salvate! Quello che invece lavora di giorno e di notte mettendocela tutta, avendo capito che cosa vuol dire lavoro, quello, un domani, non lascia in pace neanche il Padre Eterno, ma ne combina di tutti i colori! Se noi avessimo davanti tutti i seicento sacerdoti della diocesi di Vicenza, potremmo esaminarli uno per uno. Per esempio, prendiamo in mano i parroci. Tu vedresti subito un parroco che è andato in una parrocchia e vi è rimasto trent’anni: la porta del pollaio è ancora quella che aveva trovato, solo che è consumata per tre quarti; la porta della chiesa è annerita dallo sporco, eccetera. Arriva un altro dopo di lui e dopo sette o otto mesi ha già rivoluzionato tutto, e dopo sette o otto anni non vedi più neanche il campanile perché ha cambiato completamente tutto: non ha cambiato tanto per cambiare, ma ha cambiato quello che era necessario cambiare. Che cosa volete: il paese è quello che è, eppure qui tu hai l’uomo attivo! Questo si applica alle cose materiali, e questo, in modo particolare, si applica alle cose spirituali.

COMUNITÀ

corresponsabilità

PASTORALE

APOSTOLO chi è

l’

apostolo

Monsignor Giuseppe Zaffonato fu zelante parroco di Araceli prima che don Ottorino diventasse sacerdote. In seguito fu consacrato vescovo di Vittorio Veneto, e più tardi venne chiamato a reggere la diocesi di Udine.

Monsignor Zaffonato notò subito che l’adesione ai movimenti ufficiali dell’Azione Cattolica - ‘donne cattoliche’ e ‘uomini cattolici’ - era scarsa, per l’impegno che l’Azione Cattolica pretendeva dai suoi iscritti, e allora inventò altri movimenti aggregativi a livello parrocchiale per poter raggiungere il maggior numero possibile di anime per una cura pastorale capillare e fruttifera.

MI149,8 [28-02-1967]

8 Ad esempio, giunge ad Araceli un uomo che si chiama monsignor Zaffonato . Si nota subito che è un rivoluzionario perché trova tutte le scuse per avvicinare la gente: le ‘donne cattoliche’, vanno bene, ma sono poche. E allora? Allora fonda il gruppo delle ‘mamme cristiane’ che si riuniva una volta alla settimana. Gli ‘uomini cattolici’? Sono pochi... e allora fonda ‘gli amici dell’oratorio’. Diceva agli uomini: “Oooh! Voi da ragazzi non siete stati all’oratorio? Allora siete ‘amici dell’oratorio’; una volta alla settimana troviamoci e datemi un po’ di consiglio!”. Lo faceva con il suo caratteristico vocione. Si consigliava... Ha catturato il cavalier Magrin che era il direttore della Banca Cattolica, e l’eminenza grigia che è ancora viva, Bernardini, il segretario generale della Banca Cattolica; ha catturato Malfatti... i ‘pezzi grossi’: li faceva lavorare, faceva che sborsassero, li faceva pagare, e in questo faceva molto bene e approvo. Ed essi lo facevano perché credevano all’uomo di Dio!
L’altro ha delle organizzazioni in parrocchia che sono ormai già vecchie, usa quelle e sta con quelle, non inventa mai niente, non inventa mai niente. Per forza! È andato avanti dieci, dodici o tredici anni senza inventare mai niente, senza proporre mai niente: tira avanti la carretta, piano, senza fare troppa fatica, godendo le sue due o tre ore libere, leggendo il suo breviario... Non si è preoccupato di alimentare se stesso con lo spirito apostolico, di lavorare, di mettere qualcosa di suo, di vedere un po’... Si nota che è sacerdote, un bravo ufficiale: va a confessare quando lo chiamano; dice delle belle parole, piene di spirito, piene d’unzione; è adulato, lodato... però, però, non vedi cambiamenti nella parrocchia; c’è anche un po’ di movimento, ma non vedi, non vedi quello che si è visto ad Ars quando è morto il Santo Curato d’Ars.

AUTOBIOGRAFIA Araceli

PASTORALE

APOSTOLO uomo di Dio

APOSTOLO F.A.

PASTORALE parrocchia

Il riferimento è al novizio Albino Tomasi richiamato pure all’inizio della meditazione perché si era improvvisamente ritirato. Il fatto aveva creato un certo impatto, per cui don Ottorino usa parole un po’ forti per illuminare la situazione.

Il riferimento è a mons. Mario Milan, che era parroco ad Araceli quando don Ottorino vi fu inviato come cappellano dopo l’ordinazione sacerdotale.

Nella parrocchia di Araceli, davanti al seminario, c’è l’antico convento di Santa Lucia tenuto dai Frati Minori Francescani, nella cui chiesa concorrono sempre numerosi fedeli.

MI149,9 [28-02-1967]

9 Fratelli miei, volevo fare un’altra meditazione, e invece mi ha tirato fuori di strada proprio il pensiero del nostro caro novizio che è andato via, che è stato trattato da signorino e che è stato mantenuto da noi. La sua famiglia non ha molte possibilità economiche per cui è stato aiutato in tutti i modi; anche quando ultimamente è andato a casa, sapendo che la famiglia è povera, gli ho dato diecimila lire perché le portasse alla mamma. Sappiate quindi che è stato aiutato e trattato da figlio. E ora va via trattandoci da cani dicendo che lo facciamo lavorare troppo... che questo è troppo pesante... che qui si lavora troppo...
Figlioli, San Paolo non voleva essere a carico di nessuno e lavorava di giorno e di notte, di giorno e di notte. Nel vostro apostolato non mettete limiti, non dite: “Io ho fatto le mie cinque ore e adesso si arrangino! Io le mie ore le ho fatte...”. No! Se la salute non ve lo permette, dovete riposarvi, per carità; ma, figlioli, ricordatevi che finché c’è un’anima lontana da Dio noi uomini di Dio non possiamo dormire. E allora dobbiamo pregare, e allora dobbiamo industriarci, e allora dobbiamo renderci responsabili e trovare il modo, discutere: “Vediamo un po’: come si può raggiungere quell’anima?”. Quando in una famiglia, non un figlio, ma una gallina è fuori del pollaio, la povera donna va in giro, di qua e di là, fuori di casa e insiste: “Ragazzi, avanti, cerchiamo la gallina...”, ed è quasi disperata, e con il lumicino va in cerca della gallina. Se invece di una gallina si tratta di una pecora o di una mucca, allora vedi tutto il cortile della cascina illuminato e anche i figli alla ricerca della mucca. E quando si tratta di un’anima, figlioli? Guardate che, stringi stringi, non ci crediamo! Ricordo che io dicevo al nostro caro monsignor Milan , che ora è morto, buon’anima: “In questa parrocchia di seimilacinquecento anime, quante sono in grazia di Dio? Mi dica la verità: lei è capace di dormire la notte pensando a quelle anime che non sono in grazia di Dio?”. Si celebravano sei messe, la chiesa era piena: era una meraviglia. E quante persone venivano? Duemila, duemilacinquecento e altre andravano dai Frati. E quelle che non vengono mai a Messa? E quelle che non vengono mai a confessarsi? Che cosa ho fatto per quelle anime, che cosa ho fatte io per cercarle anche se ho predicato in chiesa, anche se ho partecipato alle missioni? Se oggi, figlioli, non siete persone attive, se oggi questi problemi non li vivete, non ve li porrete neanche un domani quando sarete parroci in una parrocchia di cento anime. Sia lodato Gesù Cristo!

CONSACRAZIONE mediocrità

SOCIETÀ

lavoro

DOTI UMANE salute

APOSTOLO uomo di Dio

APOSTOLO F.A.

APOSTOLO salvezza delle anime

ESEMPI F.A.