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L’IMPORTANZA DELL’IMPEGNO DI VITA

MI163 [12-04-1967]

12 Aprile 1967

Anche per questa meditazione don Ottorino usa il libro di HEINZ SCHÜRMANN, Prima lettera ai Tessalonicesi, Città Nuova editrice, Roma 1965. Le citazioni vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami e sono prese dalle pagine 64-66.

Cfr. 1Tessalonicesi 3,5.

Il 12 aprile la Chiesa ricorda il santo vescovo di Verona Zenone (Zeno) morto verso il 372 d.c. Sembra certo che non fosse di origine veronese né italiana, ma proveniente dall’Africa nord orientale; lo proverebbero la sua cultura e la comunanza di pensiero

Zeno Daniele frequentava all’epoca il 1° anno del corso teologico, ma per la sua esperienza prima di entrare in Congregazione e per le sue qualità collaborava da vicino con don Ottorino specialmente nei problemi amministrativi.

Don Ottorino non poteva celebrare il suo onomastico perché non c’era nessun santo nel calendario con il suo nome. Spesso, scherzando, sosteneva che doveva farsi santo lui e così anche chi si chiamava Ottorino avrebbe potuto festeggiare il proprio onomastico.

Cfr. 1 Tessalonicesi 3,6.

MI163,1 [12-04-1967]

1 Il versetto cinque parlerebbe ancora del demonio:
“Per questo, anch’io più non resistendo, mandai a prendere notizie sulla vostra fede, nel timore che il tentatore vi avesse tentati e il nostro lavoro fosse andato perduto”. Ma, del demonio abbiamo già parlato abbastanza. Oggi è San Zenone , e allora facciamo gli auguri a Zeno . Perché non ho anch’io nome Zeno invece che Zanon: avrei anch’io da festeggiare l’onomastico. Non è vero, Zeno? “La gioia di Paolo alle notizie di Timoteo. “Ma ora da voi è tornato a noi Timoteo e ci ha portato liete notizie sulla vostra fede e la vostra carità, sul buon ricordo che conservate di noi e sul desiderio che avete di rivederci, come noi pure bramiamo di rivedervi” . “Paolo dà importanza al fatto che la comunità pensa ancora a lui. Egli vi vede qualcosa di più che un semplice affetto personale. Non basta infatti che in una comunità ci sia fede operosa e attiva carità fraterna. Se la comunità è isolata, non “sta nel Signore” (1Tess 3,8)”.

CROCE Demonio

FAMIGLIA papà

Raffaele Testolin aveva emesso la professione religiosa all’inizio del mese precedente.

Cfr. Matteo 17,4.

L’assistente Livio Adessa frequentava all’epoca il 1° anno del corso teologico presso il seminario vescovile.

MI163,2 [12-04-1967]

2 Ecco un altro passo avanti!
Abbiamo detto: bisogna che ognuno si incontri con Nostro Signore Gesù! Bisogna che ci sia un incontro personale tra Raffaele e Gesù e tra Gesù e Raffaele . Quando tu vai in chiesa fai ‘la cura del sole’, cioè in altre parole ti metti lì, adori il Signore, lo ringrazi, lo vedi vivo nel tabernacolo, lo senti dentro di te attraverso lo Spirito Santo; ti metti in adorazione, vorrei dire quasi in contemplazione. Tra te e Gesù deve intercorrere un colloquio semplice, come tra il bambino e la mamma; un colloquio che porta all’accettazione della croce, al desiderio di fare solo la volontà di Dio. Se potessi dirlo in una sola parola: tu dovresti essere innamorato di Dio, nel senso cristiano e buono che significa amore e non sentimento. Da qui nasce il vero senso dell’amicizia, per cui o sono uguali o si fanno uguali. Io sono amico di Gesù, tu sei amico di Gesù, e insieme vogliamo fare quello che vuole Gesù, accontentare Gesù: “Gesù, io penso a te. Gesù, per me non importa... ‘faciamus hic tria tabernacula, tibi unum...’ , per me non importa niente... Gesù, io penso a te!”, e Gesù pensa a me, perché Gesù ha detto: “Tu pensa a me e io penso a te!”. Questo è il primo passo. Quando, Raffaele, abbiamo fatto questo primo passo, cioè abbiamo messo Dio al primo posto nella Comunità, allora possiamo fare il secondo passo, contemporaneamente. Non è vero, Livio ? Il secondo passo è questo: noi dobbiamo divenire “unum” fra noi, e questo divenire “unum” è abbastanza facile perché, a un dato momento, scopriamo che siamo amici dello stesso amico, siamo tre angoli uguali; una volta dicevano che due angoli uguali a un terzo sono uguali tra loro. Se io mi sforzo di essere simile a Gesù nell’umiltà, nella bontà, nella misericordia, e tu fai lo stesso, a un dato momento diverremo uguali fra noi. Io mi sforzo di essere umile, tu ti sforzi di essere umile, e allora anche pestandoci i piedi a vicenda diventiamo umili insieme. È come la storia delle due mele: “Quale mela avresti preso?”. L’altro ha detto: “La più piccola!”. E il primo ha risposto: “E non ce l’hai, la più piccola?”.

GESÙ

unione con...

GESÙ

incontro personale

EUCARISTIA cura del sole

DIO Spirito Santo

PREGHIERA

CROCE

VOLONTÀ

di DIO

CARITÀ

DIO amore a Dio

GESÙ

amico

DIO

PREGHIERA a Gesù

COMUNITÀ

GESÙ

centro

DOTI UMANE amicizia

GESÙ

imitazione

Secondo la tradizione, Santa Scolastica volendo rimanere a parlare delle cose di Dio con il fratello Benedetto oltre l’orario permesso dalla Regola, ottenne da Dio il miracolo di una bufera di vento e pioggia talmente forte da impedire a Benedetto di uscire dalla porta di casa per ritornare al monastero.

MI163,3 [12-04-1967]

3 Il secondo passo dunque è questo vivere insieme, questo fare comunità... a Crotone, a Monterotondo, a Zacapa, a Rio, dove il Signore vorrà; vivere insieme questa fraternità. Come viverla questa fraternità? Questa fraternità si vive insieme, perché si hanno gli stessi ideali: lo stesso ideale di amare Gesù, lo stesso ideale di farlo conoscere e di farlo amare da tutti. È tutto qui! Perché due ragazzi, due giovanotti vanno d’accordo tra loro? Sono appassionati dello sport e vanno d’accordo tra loro; sono appassionati di cavalli, e allora sono sempre insieme perché hanno in mente i cavalli. Ebbene: due sono appassionati di Gesù, vogliono bene a Gesù e desiderano far conoscere Gesù, e allora è facilissimo andare d’accordo.
Ecco allora “l’impegno di vita” che settimanalmente deve portarci a parlare di Gesù e a confrontare la nostra vita sulla linea maestra che ci porta il Signore nel Vangelo. Ogni settimana ci raduniamo in ‘unum’ e alla luce del Vangelo guardiamo se veramente assomigliamo, individui e comunità, al maestro, cioè se facciamo quello che vuole Gesù. Io mi incontro con lui, cerco di essere amico suo, di volere tanto bene a lui; il fratello fa altrettanto, e ogni settimana ci mettiamo insieme e parliamo di lui. Io penso al nostro ‘impegno di vita’ come all’incontro tra San Benedetto e Santa Scolastica, la quale ha voluto rimanere a conversare di Dio con il fratello, e ha fatto persino piovere per poter continuare ‘l’impegno di vita’! Volesse il Cielo che a un dato momento tu, Antonio, facessi piovere per poter continuare: “Parliamo un’altra oretta del Signore; stiamo qui un’altra mezzoretta a parlare del Vangelo!”. “Ma, bisogna mangiare, la pastasciutta diventa fredda”. “Non importa!”. “Il riso...”. “Non importa; parliamo delle cose nostre...”. Ecco la Comunità!

COMUNITÀ

COMUNITÀ

fraternità

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

APOSTOLO

DIO amore a Dio

ESEMPI unità

PAROLA DI DIO Vangelo

GESÙ

maestro

GESÙ

incontro personale

ESEMPI di santi

COMUNITÀ

Il detto latino significa: “Non progredire significa retrocedere”.

MI163,4 [12-04-1967]

FAMIGLIA;DIO Spirito Santo;ESEMPI Congregazione;COMUNITÀ Impegno di Vita;PAROLA DI DIO Vangelo;APOSTOLO;COMUNITÀ dialogo;ESEMPI comunità; COMUNITÀ condivisione;VIRTÙ fede;AUTOBIOGRAFIA;SACERDOZIO prete;APOSTOLO F.A.;CONGREGAZIONE fondatore;COMUNITÀ;DIO Spirito Santo4 Ma c’è un terzo passo. Di questo ho parlato tante altre volte perché è necessario, è un segreto per poter conservare lo spirito della Congregazione. Sentirete dire dalle altre Famiglie religiose: “È bello, è bello adesso, finché siete agli inizi, nell’età... - vorrei dire per scherzo quell’altra parola, ma mi sono fermato per non profanarla - Voi siete nel momento in cui lo Spirito Santo è in mezzo a voi...”. State attenti, figlioli, state attenti, perché dicono: “Vorrei vedere fra cinquant’anni se sarà lo stesso!”. La tecnica va avanti, e anche la tecnica per conservare le sardine va avanti. È giusto che si trovi anche la tecnica per conservare le anime e lo spirito. Attualmente conservano i fichi nello sciroppo perché mettendoci alcuni elementi riescono a conservarli. Troveremo il modo di conservare anche lo spirito della Congregazione.
Il segreto per conservare lo spirito è ‘l’impegno di vita’ fatto bene in ogni Comunità, fatto sul Vangelo, con la semplicità evangelica. È un incontro di anime, perché dopo ‘l’impegno di vita’ sul Vangelo si passa naturalmente a parlare delle cose comuni, cioè del lavoro apostolico: ci si incontra. Però, guardate che anche nelle Comunità religiose è facile che si mangi dentro la stessa sala, ma uno in un tavolino e l’altro nell’altro, che ognuno vada avanti per la sua strada, cioè che la Comunità diventi un’osteria; non parliamo di trincea, ma, ma, ma, perlomeno di un albergo. Se vogliamo che le nostre Comunità conservino il carattere di santuari bisogna fare bene ‘l’impegno di vita’ settimanale: si parla insieme di queste cose, si parla di lui, si parla del Vangelo, della necessità di vivere il Vangelo, del modo per applicarlo, cioè del modo di vivere concretamente il Vangelo in questo momento, in quest’epoca, nell’ambiente dove ci troviamo. Da lì è naturale passare a discutere dell’apostolato e di quello che si deve fare. Questo, per conto mio, conserva lo spirito di fede; questo perpetua lo spirito della Congregazione. Vi ripeto quello che ho risposto un giorno, ventisette anni fa, giovane sacerdote, quando monsignor Scalco ha detto: “Vi auguro che abbiate lo stesso spirito, cioè di conservare lo stesso spirito per tutta la vita!”. Io gli ho detto: “No, non sarei contento, non sarei contento, monsignore, perché, per conto mio, il prete deve crescere di giorno in giorno in questo spirito!”. E, ve lo ripeto, sono d’accordo con quel giovane sacerdote che ha detto così ventisette anni fa: non sarei contento di conservare, se fossi ancora vivo tra dieci anni, lo spirito di ventisette anni fa e di oggi, perché il prete deve crescere: a contatto del calore si deve crescere nel calore. E se fra cinquant’anni io fossi ancora in Purgatorio - o se fossi ancora più in basso, non so, eh?! - io non sarei contento se, guardando giù in terra, vedessi lo stesso spirito che c’è adesso; non sarei contento. Perciò la mia preoccupazione non è tanto che si conservi lo spirito, perché: “Non progredi regredi est” , ma piuttosto dobbiamo mirare a che, entro cinquant’anni, lo spirito sia cresciuto e non che sia diminuito. Non sarei contento, ve l’assicuro, non accetterei che fra cinquant’anni, fra cent’anni, ci sia lo spirito di adesso: bisogna crescere nello spirito! Una Comunità, prendete quella che volete voi, che adesso ha queste idee, potete pensare che a contatto dello Spirito Santo resti ancora infantile?

CONGREGAZIONE spiritualità

Antonio Pernigotto, che era neoprofesso dalla festa di San Vincenzo diacono di quell’anno, era esperto di viti avendo lavorato, prima di entrare in Congregazione, nel vigneto di famiglia.

Probabilmente don Ottorino si riferisce all’assistente Giorgio Pieropan morto sei mesi prima

S E mons. Carlo Zinato era all’epoca il vescovo di Vicenza.

Cfr. Matteo 5,48.

MI163,5 [12-04-1967]

5 Siamo nel tempo della giovinezza, ma passando il tempo bisogna crescere: bisogna crescere nell’amore di Dio, nell’amore allo Spirito Santo. Nell’Eucaristia che avrete in mano fra cinquant’anni c’è lo spirito dell’Eucaristia di adesso, soltanto che voi sarete più maturi nello spirito e dovrete esigere di più. Antonio Pernigotto , le viti che abbiamo nel giardino quest’anno dovrebbero produrre più uva dell’anno scorso, e l’anno prossimo ancor di più, fin che non marciscono. Chi si tiene unito alla grazia di Dio non marcisce, anzi diventa sempre più grosso, anche se ogni tanto un vitigno viene trapiantato in Paradiso ; ma finché c’è l’unione con Dio, ne esce qualcosa di buono, si ricava dell’uva.
Fratelli miei, mettetevi in testa questo: non accetterei che persistesse per sempre lo stesso spirito; non firmerei: “Saresti contento che questo spirito abbia da continuare sempre?”; direi di no, no e poi no! Molte persone, compreso monsignor Zinato , me lo ripetono continuamente: “Ah, don Ottorino, ti raccomando. Trova il modo perché questo spirito abbia da perpetuarsi”. No, no, e poi no! “Trova il modo perché questo spirito abbia da crescere”, concedo... da perpetuarsi, non concedo! Il Signore Gesù ha fissato la perfezione da raggiungere: “Siate perfetti come il Padre vostro che è nei Cieli” , e la carità a cui devo tendere è quella. Guardando me stesso e guardando voi stessi dobbiamo dire: “Sì, Signore, io desidero amarti, però potrei fare molto di più”. E allora miriamo a questo molto di più che io e voi sentiamo di dover fare. Ed ecco, allora, che “nell’impegno di vita” c’è questo sforzo per progredire in questo amore sempre più grande al Signore, manifestato nell’intimo, nella preghiera intima con il Signore e manifestato anche nella Comunità e nella azione apostolica. Perciò, ecco il secondo passo! E, fratelli, il secondo passo per me è essenziale, fatto così, con semplicità: la fusione di anime, la comprensione, l’unità, la vera unità come la vuole il Signore che è essere Chiesa... è essere in unione con la Chiesa, essere una cellula viva della Chiesa.

DIO Spirito Santo

EUCARISTIA

CONGREGAZIONE spiritualità

ESEMPI crescita nella vita spirituale

NOVISSIMI paradiso

GESÙ

unione con...

GESÙ

CONSACRAZIONE perfezione

DIO Padre

CARITÀ

PAROLA DI DIO Vangelo

DIO amore a Dio

VIRTÙ

COMUNITÀ

Impegno di Vita

PREGHIERA

MI163,6 [12-04-1967]

GESÙ salvatore CONGREGAZIONE superiore generale6 Il terzo passo: non basterebbe che l’individuo vivesse da solo o che la Comunità vivesse da sola; dobbiamo sentirci cellule della grande comunità, e solo allora diamo tutto.
Se, per esempio, a un dato momento quelli che sono nel Chaco - sono là cinque o sei individui - si chiudessero in se stessi e dicessero: “Beh, vogliamo farci santi...”, e allora si impegnano per farsi santi, e poi si facessero tutt’intorno un muro, magari con una rete spinata e con l’alta tensione, e dicessero: “Adesso qui noi ci facciamo santi! Noi soli che siamo qui e basta!”. Figlioli miei, questi tali sarebbero destinati a fare quello che di solito fanno quelli che dicono: “Fra cinquant’anni, fra cinquant’anni!”. Perché? Perché non possono stare isolati da quella che è la società dove il Signore li ha messi, società che per noi è la Congregazione, come la Congregazione non potrebbe esistere se non fosse inserita nella Chiesa. La stessa cosa vi dico del gruppo del Chaco: se non sta inserito nella Congregazione, e insieme nella Chiesa, non potrebbe esistere! La stessa cosa direi della Congregazione che è destinata a morire se non sta inserita nella Chiesa, se non resta nelle braccia della Chiesa e a servizio della Chiesa. Quel giorno che, disgraziatamente, la Congregazione buttasse un filo spinato dicendo: “Noi siamo qui! Noi paghiamo il tributo a Cesare e il tributo al tempio, un tanto di cappello a tutti e basta: noi viviamo la nostra vita!”... quel giorno è il giorno in cui siete diventati borghesi e nel quale la Congregazione è destinata a morire. E c’è più di una Congregazione che si è chiusa così. Bisogna che oltre alla santificazione della Comunità dove ci troviamo, ci sforziamo di essere inseriti nella comunità-Congregazione e nella comunità-Chiesa. Ecco, allora, perché vi ho detto tante volte che ognuno deve essere superiore generale. In altre parole ognuno deve sentire con la Congregazione e sentire con la Chiesa. Allora, a un dato momento, ognuno è Gesù, ognuno è salvatore, ognuno dà tutto per la salvezza delle anime perché si sente inserito in un esercito... E avanti, avanti, avanti! Scusatemi; è stata una distrazione. Adesso leggiamo. Basta distrazioni! “Se la comunità è isolata, non sta nel Signore...”.

COMUNITÀ

GRAZIA Corpo Mistico

ESEMPI comunità

FAMIGLIA

CONGREGAZIONE

MISSIONI

CHIESA

COMUNITÀ

unità

nella carità

Nel richiamo don Ottorino nomina di seguito Albino Tomasi e Luciano Cavaliere, all’epoca già novizi, Primo Burato ancora postulante, e Raffaele Testolin già professo.

Si tratta dei membri della Comunità di Crotone: don Marcello Rossetto, don Bruno Tibaldo, don Antero Speggiorin, ass.Ulisse Salin, ass. Giuseppe Creazza (detto Lorenzo), ass. Vittoriano Rossato.

Si tratta dei membri della Comunità di Monterotondo: don Flavio Campi, don Graziano Battistella, don Matteo Pinton, ass. Mario Zorzi, Giorgio Girolimetto.

Si tratta dei membri della Comunità del Guatemala: assistenti Severino Stefani e Lino Ceolato, don Gianni Rizzi, don Ugo Caldini.

Si tratta dei membri della Comunità di Resende in Brasile: don Luigi Mecenero, don Lino Dal Moro, ass.Giovanni Sgarbossa.

La signora Marta Bocchi, era la preside della scuola media V. Scamozzi, di Vicenza all’epoca già in pensione e desiderosa di offrire un servizio alle missioni, mentre il prof. Riccardo Vicari, nominato subito prima, era insegnante di lettere alla Casa dell’Immacolata.

In portoghese significa: adagio, piano, senza fretta.

In dialetto veneto, letteralmente: “Figli di cani”. Tuttavia nel linguaggio corrente non ha una connotazione dispregiativa come sembra a prima vista: è per lo più una esclamazione bonaria durante il discorso.

Don Ottorino scherza con il nome del postulante Primo Burato.

MI163,7 [12-04-1967]

7 Ma come, non sta nel Signore? Albino, Primo, Raffaele, Luciano, eccetera, non stanno nel Signore? Se siete isolati non state nel Signore!
“... solo nell’unità ecclesiale il Signore è pienamente presente”. Il Signore è pienamente presente quando si è con il Papa, con il vescovo, con la Famiglia religiosa. Andate a Zacapa: fedeltà al Papa, a monsignor Luna, alla Famiglia religiosa; Religiosi che vivono secondo lo spirito della Congregazione, ma Religiosi che obbediscono al vescovo come rappresentante di Dio nella diocesi, che obbediscono allo spirito della Congregazione, e perciò delle proprie Costituzioni. E siccome le Costituzioni contemplano che si deve essere ossequienti al vescovo, perciò si obbedisce al vescovo. “Tale unità si manifesta nel legame con l’autorità apostolica, il quale fin dai primissimi tempi si esprime soprattutto nella forma del memento liturgico. Ma qui si fa cenno a qualcosa di più: un ricordo che pervade e abbraccia tutta la vita. Quando dei cristiani si ricordano a vicenda davanti a Dio nella carità, si realizza una potente unità interiore”. Che bello andare in chiesa e ricordarsi dinanzi al Signore: “Signore, ti raccomando don Marcello, don Bruno, don Antero, Ulisse, Lorenzo, Vittoriano. Signore, benedicili sempre! Signore, fa’ che don Flavio, don Graziano, don Matteo, Mario... Ce ne sono altri? Ah sì, Giorgio, poverino, Giorgio. Signore, benedicili, ti raccomando. Signore, Severino, Lino, don Gianni, don Ugo... te li raccomando. Ti raccomando don Luigi, Giovanni, don Lino, che il giorno di Pentecoste parla in dialetto e lo capiscono in portoghese”. Don Luigi ha scritto al professore Vicari, e dopo ha scritto anche alla signora Bocchi , dicendo: “Una cosa di questo genere è impressionante. Don Lino richiama i ragazzi in dialetto e lo capiscono, parla in portoghese e non lo capiscono, e Giovanni se la ride!”. Insomma incomincia a dire qualche parola in portoghese, mentre gli altri invece parlano in dialetto. Quando don Lino parla in dialetto avviene una ‘trasfusione’; mi pare di vederlo quando dice ai ragazzi: “Devagar, devagar...” e quelli corrono ancora di più; dice: “Fermatevi, fioi de cani...” e quelli si fermano; è proprio una ‘trasfusione’ perché quando dice ‘devagar’ invece di andare piano vanno più in fretta, e quando dice loro ‘fioi de cani’ si fermano. Però è commovente! Com’è bello quando si vogliono bene, sentire che sono fratelli, sentire che a Zacapa si vogliono bene, sapere che ognuno di voi sente: “Ci sono anch’io: là c’è un pezzetto del mio cuore... là ci sono anch’io!”. Così bisogna sentire la Comunità! Capisci, Primo, se vuoi diventare Secondo?

COMUNITÀ

unità

nella carità

CHIESA Papa

CHIESA Vescovo

FAMIGLIA

CONSACRAZIONE religioso

CONGREGAZIONE spiritualità

CONGREGAZIONE Costituzioni

CHIESA autorità

PREGHIERA ponte della preghiera

MISSIONI

COMUNITÀ

Antonio Zordan aveva fatto parte del primo gruppo sceso a Crotone, e all’epoca stava preparandosi per la missione nel Chaco (Argentina).

L’assistente Severino Stefani era di carnagione molto chiara e con i capelli rossastri.

MI163,8 [12-04-1967]

8 “In tal modo si costruisce la Chiesa, perché è in tale unità che si fa presente il Signore. È così che si chiude ogni varco, attraverso cui potrebbero insinuarsi nella vita dei cristiani le forze dell’inferno e del male.
Quei cristiani non risparmiavano fatiche per conservare l’unità. Un viaggio di oltre ottocento chilometri, andata e ritorno, era allora pieno di difficoltà : tuttavia l’apostolo e la comunità desiderano ardentemente rivedersi, cercano di allacciare contatti personali”. Non era come adesso che si va in jet! Che bello rivedersi! Ricordi, Antonio Zordan , la prima volta che sono sceso a Crotone? Che impressione ho provato nel ritrovarci! Mi pare di immaginare la faccia che farebbero il nostro caro don Gianni e compagni... Severino che adesso sarà già diventato nero, al primo riverderci ad Estanzuela facendo loro un’improvvisata... “Don Gianni, c’è monsignor Luna che ti chiama...”; viene fuori: “Aaahhh!”. È bello questo rivedersi! Quando qualcuno dei nostri missionari fra due o tre anni tornerà: che bello rivederci! San Paolo afferma che i cristiani “... cercano di allacciare contatti personali”. Con la grazia è nata una parentela spirituale intima che è stata infusa dentro di noi.

AUTOBIOGRAFIA viaggi

CONGREGAZIONE storia

COMUNITÀ

unità

nella carità

MISSIONI

MI163,9 [12-04-1967]

COMUNITÀ superiore;COMUNITÀ servizio reciproco;COMUNITÀ;COMUNITÀ fraternità;VIRTÙ umiltà;FAMIGLIA mamma;CONGREGAZIONE superiore generale;COMUNITÀ conduzione comunitaria;ESEMPI superiore 9 “Ecco, non si dà unità ecclesiale indipendentemente dall’autorità apostolica che esige obbedienza, e senza la sottomissione alle persone preposte da Dio: ma qui vediamo inserite le relazioni giuridiche in un rapporto personale di amore cordiale”.
È necessario che qualcuno serva, per forza! Convincetevi che comandare vuol dire servire, convincetevi di questo. Convincetevi che comandare vuol dire servire la Comunità, prendersi i grattacapi della Comunità. È necessario che ci sia un’autorità per mettere le cose a posto, per fare andare avanti la Comunità, però i rapporti - più che per me, lo dico per voi quando sarete superiori, quando non ci sarà più don Ottorino - siano sempre di fraternità, non d’autorità; poco importa che il capo sia dieci anni più giovane o più vecchio, importa niente: ci sia tanta umiltà da una parte e anche dall’altra, specialmente in chi deve comandare, in chi un domani ha la responsabilità di fare qualche cosa, senta che è a servizio. Perciò quando si fa un incontro con le Comunità, non siano incontri di ispettori, di gente che va a vedere: “Oh, adesso è qui la curia!”. No, no, no, no! Deve essere un incontro di fratelli, come l’incontro della mamma che va a guardare un pochino per vedere com’è la situazione... va là e dice: “Vediamo come siete messi! Avete bisogno di soldi? Qui avete troppi soldi, e allora portiamo via sette o otto milioni...”. Deve essere un incontro di fratelli, di fratelli! Anche se si chiede una relazione, come ad esempio una relazione economica, bisogna agire da fratelli; quasi quasi ci si controlla per vedere com’è la situazione... “Ehi, quanti soldi hai? Aspetta: vediamo un po’...”. “Ehi, quanti soldi hai? Aspetta: vediamo! Facciamo un po’ di conti per vedere un pochino quanto possiamo andare avanti!”. Un domani, Antonio, stiamo facendo una gita, tu e io: un colpo pago io e un colpo paghi tu; a un dato momento chiedo: “Aspetta: vediamo! Quanti soldi hai, Antonio?”. “Aspetta che guardo! Ho diecimila lire!”. “Beh, io ne ho ancora trentamila: allora ce la facciamo, andiamo avanti!”. Questo deve essere il controllo; deve essere visto in questa maniera. Non è controllo di persone, ma è un prendere visione delle cose per poter poi dare corrette disposizioni. Vi pare giusto o sbagliato?

SLOGANS comunità

L’assistente Giuseppe Filippi non era ingegnere, anche se era diplomato come perito elettrotecnico e come geometra e si era iscritto alla facoltà di ingegneria dell’università di Padova, ma don Ottorino spesso lo nominava familiarmente con questo titolo.

L’assistente Vinicio Picco, oltre a tante mansioni, svolgeva anche il servizio di infermiere nella Casa dell’Immacolata.

All’epoca don Ottorino stava progettando un viaggio per visitare la Comunità del Guatemala, che venne invece realizzato nella seconda metà di quell’anno per poter visitare tutte le tre Comunità dell’America Latina.

Il riferimento è a don Luigi Furlato, maestro dei novizi.

MI163,10 [12-04-1967]

10 Supponiamo che un domani il nostro caro ingegnere Filippi debba andare a mettere un visto come competente, come si va in infermeria da Vinicio e si dice: “Ho male a un dito, che cosa ne dici?”. Questa è la fraternità: uno è competente in un campo e uno è competente in un altro, e da buoni fratelli ci si aiuta: “Ehi, tu, fammi quel calcolo, per piacere...”. “E tu, fammi un piacere: che cosa ne dici di questo?”. Questa è la carità, la fraternità! Perciò, vi raccomando, sapete!
Adesso è abbastanza facile che io vada in Guatemala e non vedranno senz’altro in me l’ispettore; almeno io e don Aldo siamo ancora visti come dei papà; è abbastanza facile che ci vedano così. Ma quando non ci saranno più don Ottorino e don Aldo, e come superiore generale ci sarà un giovane, per esempio uno che ha quarant’anni o quarantacinque, e può esserci un altro, prete o assistente, che ne ha sessanta, lì ci vuole molta fede per vedere il superiore, e magari quello che ne ha sessanta è molto più intelligente, molto più capace e vede il lato debole del superiore per cui gli verrebbe da dargli qualche sculaccione, come ha detto l’altra sera monsignor Fanton. Umanamente parlando qualche volta verrebbe voglia di dare qualche scapaccione; e questa è una cosa umana, benedetti figlioli! Queste difficoltà le troverete sempre, però il rapporto tra superiore e sudditi deve essere sempre di amicizia, di fraternità. Non deve esserci un rapporto per cui i superiori sono da una parte e gli altri dall’altra. Guai a voi! Tu, don Luigi , ricordatelo di lasciarlo in eredità ai maestri dei novizi e a tutti gli altri: deve essere ‘l’impegno di vita’ che vi tiene sempre in stato di fusione. Una delle cose che come ‘impegno di vita’ dobbiamo ricavare dal Vangelo è questa: non devono esserci due pareti stagne, superiori di qua e gli altri di là. Che si convertano anche i superiori, e lo dico a voi che sarete superiori. Che non ci sia il superiore in alto e gli altri da una parte. No, no, no, ma insieme, da buoni fratelli: “Fratres sumus, fratres sumus”. San Paolo dice questo: “... ma qui vediamo inserite le relazioni giuridiche - le relazioni giuridiche ci vogliono! - in un rapporto personale di amore cordiale”; dice proprio: “un rapporto personale di amore cordiale”.

ESEMPI comunità

COMUNITÀ

fraternità

COMUNITÀ

servizio reciproco

MISSIONI

FAMIGLIA

COMUNITÀ

superiore

CONGREGAZIONE superiore generale

VIRTÙ

fede

CROCE difficoltà

DOTI UMANE amicizia

FORMAZIONE noviziato

COMUNITÀ

Impegno di Vita

PAROLA DI DIO Vangelo

VIRTÙ

Don Erasmo De Poli era all’epoca il direttore della Scuola F. Rodolfi per allievi semiconvittori.

In gergo popolare i fagioli, a causa della flatulenza intestinale con relativa emissione di ‘suoni’ viscerali, vengono chiamati “bombardini”, strumenti a fiato simili alle trombe molto usati nelle bande musicali.

MI163,11 [12-04-1967]

11 “Un’autorità così alta e basilare come quella apostolica si copre qui, coi suoi eccelsi poteri e i suoi diritti, del manto di una traboccante amabilità. Sì, la cordialità caratterizzava lo stile dell’agire apostolico”.
Questa è la cordialità che deve esserci un domani: il superiore sarà cordiale, amico, andrà a portare doni ai confratelli piuttosto che portar via la lana alle pecore, andrà a domandare la carità piuttosto che a domandare contributi. Adesso io vado in Guatemala e porterò dei soldi che don Luigi voleva mandare con assegno circolare; mi ha detto: “Ho trovato cento dollari e sento che là hanno bisogno”, e ha aggiunto anche offerte per la celebrazione di Sante Messe. Quel giorno invece che andrai da loro e avessero loro dieci milioni da parte, dirai: “Ehi, sentite, per piacere, non potreste dare qualcosina anche a noi?”. La carità si domanda. Ma noi non portiamo loro la carità, portiamo loro un dono. Questo è possibile e i superiori faranno così se adesso fra amici, fra compagni, ci sarà quella cordialità che deve essere la caratteristica della nostra Congregazione. Se adesso tu, Primo, quando hai bisogno di un libro chiedi: “Ehi, scusa, per piacere, puoi darmi...? Potresti imprestarmi, per favore...?”, invece di pretendere: “Ehi, dammi!”, se adesso c’è questa cordialità, questa fraternità fra voi, ci sarà pure anche un domani perché allora i rapporti saranno gli stessi. Perciò ecco: “Sì, la cordialità caratterizzava lo stile dell’agire apostolico; e la vita tutta quanta, nelle comunità apostoliche, era piena di questo amore. La carità aperta e profonda era il linguaggio universalmente compreso tra quei cristiani; ed essa rendeva comprensibili molte cose”. Don Erasmo , che cosa ci sarebbe ancora da dire? “... era il linguaggio universalmente compreso... e rendeva comprensibili molte cose”. Un domani ci sarà chi sa di greco e di latino, chi sa di filosofia, chi sa di matematica, chi sa di... però il linguaggio universalmente compreso è sempre quello della cordialità e della bontà. “La carità aperta e profonda era il linguaggio universalmente compreso... ed essa rendeva comprensibili molte cose”. Tante cose si fa fatica a comprenderle, ma se c’è questa carità allora si capisce tutto, si comprende tutto, si sopporta tutto. Figlioli, ho finito; portate pazienza! Lo so che stringi stringi sono sempre le stesse cose e che domani si fa replica perché sono sempre le stesse cose, ma, d’altra parte, cari, se nel sacco della dispensa non ci sono che fagioli, dovete rassegnarvi: oggi fagioli, domani ‘bandisti’ . E così sia!

COMUNITÀ

superiore

ESEMPI superiore

AUTOBIOGRAFIA viaggi

CARITÀ

COMUNITÀ

condivisione

CONGREGAZIONE carisma

COMUNITÀ

fraternità

VIRTÙ