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L’APOSTOLO È LABORIOSO E ONESTO

MI176 [10-05-1967]

10 Maggio 1967

Anche per questa meditazione don Ottorino si serve del libro di HEINZ SCHÜRMANN, Prima lettera ai Tessalonicesi, Città Nuova editrice Roma 1965. Le citazioni, prese dalla pagina 81, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

1ª Tess 4,11-12.

Don Luigi Smiderle era all’epoca sacerdote novello da soli due mesi.

MI176,1 [10-05-1967]

1 Continuiamo il commento della seconda parte del versetto che abbiamo iniziato ieri.
“E lavorate con le vostre mani, come vi abbiamo raccomandato; sicché vi comportiate con decoro di fronte a quelli di fuori, senza avere bisogno di alcuno”. Smiderle , qui è scritto che bisogna lavorare con le proprie mani. “A Tessalonica doveva esserci della gente pigra. Forse la stessa carità operosa della comunità, che sovveniva ai bisognosi, poté costituire per qualcuno una tentazione”. Dunque doveva esserci della gente pigra nella comunità cristiana, e la stessa carità dei fedeli che portava e che dava poteva costituire una tentazione. Vediamo la nostra Casa. Supponiamo che questa mattina venga una persona e mi dica: “Senta, don Ottorino. Ho visto che avete aperte le missioni, che avete queste opere, e avrei pensato di fare un’offerta di quattrocento milioni”. Questo accade alle otto e mezza della mattina. Alle dieci arriva un’altra persona: “Voglio aiutare opere così belle: ecco cinquanta milioni!”. Alle undici e mezza arriva un'altra persona ancora: “Sa, ho sentito così...”, e porta mezzo miliardo. Sarebbe una tentazione che ci porterebbe a dire: “Bene, bene, quel lavoro invece di farlo noi lo facciamo fare fuori!”. Se invece hai l’acqua che tocca, allora ti rompi la testa: “Senti, la ruspa... se possiamo ci arrangiamo, se possiamo ci arrangiamo”. È una tentazione, siamo sinceri! Un saggio diceva che il denaro è una colla tremenda, Gesù diceva che è difficile che i ricchi si salvino: l’avere i mezzi è una tentazione. E, purtroppo, vi accorgerete con l’esperienza e con il passare degli anni come lo stesso nostro popolo di Dio si accorge che tante volte i sacerdoti spendono con una certa facilità i soldi che loro non hanno guadagnato: fanno e disfanno, non sono contenti di quello che hanno fatto e spendono un’altra volta per fare diversamente. Se li dovessero guadagnare loro con il sudore della propria fronte, forse non spenderebbero quei soldi. Vedete che effettivamente anche nella comunità cristiana di Tessalonica c’era questa tentazione: la carità cristiana dà, e allora sorge la tentazione di non lavorare.

SOCIETÀ

lavoro

VIZI accidia

CROCE tentazioni

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

PROVVIDENZA

PROVVIDENZA benefattori

ESEMPI provvidenza

VIRTÙ

MONDO

PAROLA DI DIO Vangelo

SACERDOZIO prete

Il quartese era la misura, la quarantesima parte, di ogni raccolto che spettava alla parrocchia.

Don Ottorino intende dire che con una lassa applicazione dei principi della teologia morale si giunge a giustificare azioni poco consone con i principi della giustizia e del Vangelo.

Il riferimento è a don Pietro Martinello e a don Erasmo De Poli, sacerdoti da qualche anno, e quindi con qualche esperienza in proposito.

MI176,2 [10-05-1967]

2 La prima riflessione che faccio è questa: nello spendere il denaro, un domani, voi siete persone pubbliche, nel senso che dovete amministrare proprietà e beni che non sono vostri, dovete amministrare la carità che ricevete dal popolo di Dio. Ricevete come il mare che, come diceva il Manzoni, riceve da tutte le parti e deve dare, riceve e dà. Voi dovete essere come l’accumulatore che riceve dalla dinamo e dà alimentazione. Però, attenti, perché nel dare, anche se a un certo momento ci fosse una certa abbondanza, non potete dare a voi stessi.
Quante volte, figlioli, è capitato che qualche religioso, che qualche sacerdote ha ingrassato i nipoti! Che brutto vedere certi esempi in qualche paese! Ricordo che al mio paese c’era il parroco che aveva centocinquanta quintali di frumento di quartese ogni anno; appena finita la trebbiatura del grano erano subito pronti i carri dei nipoti che portavano via trenta, quaranta, cinquanta quintali di frumento. È brutto, sapete, e ci si giustifica perché con la morale si può trovare la giustificazione. Quante volte si vede che si favorisce a destra e si favorisce a sinistra! È una tentazione tremenda, e il mondo sa che siamo dei cattivi amministratori a questo proposito. Scusatemi se faccio delle asserzioni, ma vi accorgerete andando avanti: sanno che siamo cattivi amministratori, cioè amministriamo beni che non abbiamo guadagnato e perciò non conosciamo il valore del denaro. Non so se don Pietro, don Erasmo , i nostri cari sacerdoti siano d’accordo: vi accorgerete andando avanti. Ora stiamo attenti noi per non cadere nello stesso pericolo. Un domani sarete in una parrocchia, sarete in una comunità: state attenti, consigliatevi, domandate alla gente: “Che cosa ne dite? Che cosa ne dite?”, e vedrete che quel papà di famiglia che è abituato ad amministrare la sua casa e deve misurare il denaro perché gli possa bastare fino alla fine del mese, vedrete che forse vi dirà: “Eh, no! Mi sembra che spendiamo troppo; si potrebbe risparmiare!”. Giusto? A me sembrerebbe necessario fare così.

CARITÀ

PROVVIDENZA

APOSTOLO distacco

FAMIGLIA papà

CONSACRAZIONE religioso

SACERDOZIO prete

AUTOBIOGRAFIA famiglia

PASTORALE parroco

CHIESA

ESEMPI apostolo

MONDO

VIRTÙ

sapienza

MI176,3 [10-05-1967]

3 Anche ai quei tempi, a Tessalonica, doveva esserci delle gente pigra. Può darsi che succeda lo stesso anche in Casa nostra se un domani dovesse giungere una abbondante provvidenza e che noi non avessimo più la preoccupazione di guadagnarci il pane con il sudore della nostra fronte. Sono anni che qui nella Casa dell’Immacolata stiamo studiando il mezzo per guadagnarci il pane: abbiamo lavorato con le case prefabbricate, abbiamo fatto un po’ di gavetta, abbiamo indovinato anni cattivi per l’economia nazionale, abbiano incontrato anche delle difficoltà tecniche; abbiamo venduto alcune case e adesso edifichiamo tutto per noi lassù a Bosco. Verrà tempo, speriamo, che le cose saranno un po’ più ordinate; però ricordatevi che bisogna che lavoriamo!
Vi lascio questo principio come ricordo: se venisse il giorno che si presenta un benefattore alla porta e dicesse: “Non preoccupatevi; per mantenere la Casa dell’Immacolata ci penso io regolarmente. Ditemi quanto vi occorre ogni anno e ci penso io!”, dovete lavorare lo stesso e fare carità con quello che ricavate dal lavoro. Lavorate lo stesso e fate la carità con quello che guadagnate col vostro lavoro perché il Signore ha dato la legge del lavoro per tutti. Io vi direi di fare carità: ci sono le missioni che attendono aiuto, ci sono i poveri che avrete sempre con voi, poveri sotto tutti i punti di vista. Perciò dobbiamo essere persone che lavorano, che sudano, che si guadagnano il pane con il sudore della propria fronte. E faccio un altro passo in avanti. Dunque il primo pericolo può essere questo: quando ci sarà per la Congregazione una certa simpatia e qualche anima si muoverà ad aiutare, e questo momento verrà, bisogna stare attenti al pericolo di consumare e di sprecare, perché allora dovrete rendere conto al Signore.

VIZI

VIZI accidia

CONGREGAZIONE Case della Congregazione

SOCIETÀ

lavoro

CONGREGAZIONE storia

CONGREGAZIONE fondatore

PROVVIDENZA benefattori

CARITÀ

MISSIONI

PENITENZA sacrificio

Il riferimento è a don Vittorio Venturin che era stato consacrato sacerdote il mese precedente, e che sempre era stato uno studente molto impegnato e volitivo.

MI176,4 [10-05-1967]

4 Il secondo pensiero qui sviluppato mi pare questo: dobbiamo essere operosi. Anche un domani nella vita apostolica dobbiamo essere operosi, cioè non perdere tempo, non perdere tempo, e non lo perderemo un domani se non lo perdiamo adesso. Ricordate il nostro caro don Vittorio che ha fatto gli esami di greco e, tornato a casa, si è rimesso a studiare il greco? Mi pare che sia stato don Vittorio: terminati gli esami, tornato a casa dagli esami di V ginnasio, si è rimesso a studiare; aveva finito l’esame e di nuovo a studiare il greco. Gli abbiamo chiesto se era matto e lo abbiamo ripreso perché stava esagerando un pochino.
Però, però, ricordatevi che del nostro tempo dobbiamo rispondere al Signore. Il Signore non è contento quando diciamo: “Beh, io il mio sei me lo sono preso a scuola”. Ma se potevi prendere sette, il Signore non è contento. “Ma io ho preso otto”. Se potevi prendere dieci, dovevi prendere dieci. “Io ho preso dieci a scuola e sono a posto”. No, perché se tu avevi tempo di fare ancora qualcos’altro, di leggere la Bibbia, per esempio, di studiare le vite di santi, di studiare la storia della Chiesa, di studiare qualcos’altro, non secondo i tuoi gusti ma sotto la direzione del padre spirituale, tu dovevi fare qualcos’altro. In altre parole, noi non dobbiamo essere dei mercenari: il mercenario fa quello che gli dice il padrone e poi basta. Il figlio di famiglia, quello che è di casa, lavora con il cervello di giorno e di notte oltre che con le braccia. La casa è sua, i campi sono sui, la stalla è sua, e perciò pensa e lavora con il cervello del papà anche lui e ce la mette tutta.

APOSTOLO

PECCATO omissioni

DOTI UMANE studio

VIRTÙ

PECCATO mediocrità

PENITENZA

MI176,5 [10-05-1967]

5 Ora nella casa di formazione non perdete tempo. È facile perdere tempo, è facile perdere ore e ore; bisognerebbe farne l’elenco a fine anno: “Guarda, ho perso centinaia di ore inutilmente!”. È facile trovare la scusa che abbiamo bisogno di distensione, crearci il bisogno della distensione. La distensione può essere un’eresia che sta venendo avanti in mezzo a noi, sapete! Sì, sì, c’è bisogno di riposo, di ricreazione, ma fino a che punto? Fino a che punto è distensione, e quando comincia invece ad essere pigrizia? Quando comincia ad essere desiderio di vita comoda? Umanamente parlando, tutti vorremmo avere distensione ventiquattro ore su ventiquattro; la natura umana ci porta a questo. Qual è il punto oltre il quale la distensione diventa male, oltre il quale offendiamo Dio, oltre il quale manchiamo contro Dio? Perché il sacrificio ci vuole! È chiaro che la natura umana non vuole il sacrificio, nessun uomo vuole il sacrificio. Non potete dire: “Ho bisogno di distensione perché trovo un sacrificio”, perché allora la distensione dovrebbe durare tutta la giornata. Distensione sì, ma quando ce n’è bisogno; c’è un limite oltre il quale non si può andare perché in coscienza dobbiamo sforzarci di fare il nostro dovere: bisogna usare un certo criterio. Ma state attenti a non diventare persone oziose.
Perché insisto su questo? Perché tutti gli uomini hanno un’occupazione e dipendono dagli altri, mentre generalmente noi che siamo in una parrocchia dipendiamo dagli altri se andiamo ad insegnare nelle scuole pubbliche, ma per il resto abbiamo delle occupazioni che possiamo spostare quando vogliamo. In genere, il parroco e il cappellano se hanno la scuola pubblica sono legati ad un orario, ma senza la scuola pubblica possono visitare un ammalato adesso o fra due ore, cioè hanno mille pretesti per fare quello che piace a loro. Se vogliamo, possiamo diventare gli unici signori del paese, perché un impiegato statale deve andare al suo ufficio, il maestro deve andare al suo posto, lo spazzino ha il suo posto. Il prete, finite le celebrazioni in chiesa, può prendere la sua macchina e dire: “Adesso vado fino là”; un pretesto lo trova. C’è la facilità di fare quello che piace e non quello che vuole il Signore.

FORMAZIONE case di formazione

VIZI accidia

VIZI

CREATO

PECCATO

PECCATO mediocrità

PENITENZA sacrificio

DOTI UMANE criterio

PASTORALE parrocchia

PASTORALE parroco

SOCIETÀ

scuola

SOCIETÀ

lavoro

Mons. Luigi Volpato era padre spirituale del seminario vescovile quando don Ottorino si trovava negli anni della formazione.

Detto popolare veneto, che significa : “Chi non lavora, non mangia!”.

MI176,6 [10-05-1967]

6 Voi sentite che insisto su queste idee e insisto perché ho tante esperienze davanti agli occhi. Nostro Signore ci parla attraverso questo libro stamattina e ci dice: "Dobbiamo farci un programma di vita...”. Ricordo che monsignor Volpato in seminario ci diceva: “Fatevi un orario, fatelo subito! Quando sarete cappellani, appena sarete nominati cappellani in qualche posto, fatevi un orario! Fatelo voi, mostratelo al vostro padre spirituale e poi attenetevi a quell’orario come fosse la volontà di Dio. È logico che se avete stabilito di studiare dall’ora tale a quell’altra e capita un ammalato, si deve correre dall’ammalato, ma per quanto possibile attenetevi a quell’orario”.
Figlioli miei, questa disciplina è necessaria. Io non sono legato a uno che bastona come farebbe il preside di una scuola o come farebbe il direttore di uno stabilimento, però mi sono obbligato volontariamente con Dio, mi sono donato a Dio, e istante per istante io devo lavorare per il Signore. Figlioli, state attenti, perché è facilissimo nella vita di seminario, nel periodo di formazione, e anche dopo il periodo di formazione, diventare degli sfaccendati, della gente che tira a campare, che fa dieci invece di cinquanta, che fa cinquanta invece di cento. Il lavoro dobbiamo farlo: primo perché il Signore ci ha comandato di lavorare e dobbiamo lavorare tutti. Questa ‘è casa lasagna: chi lavora magna!’ Lavorare è un dovere di coscienza perché dobbiamo guadagnarci il pane con il sudore della fronte, ma lo dobbiamo fare anche per un altro motivo ancora più grande: perché Dio ci ha comandato di lavorare e di salvare anime. Abbiamo una missione da compiere, siamo dei delegati di Dio, siamo degli ambasciatori di Dio, siamo dei nunzi apostolici: dobbiamo realizzare il disegno di Dio e andare in giro per il mondo ad annunziare la lieta novella. E allora non si può perdere tempo, figlioli! Finché c’è tempo dobbiamo andare per dare una mano, per aiutare, per istruire, per battezzare, per soccorrere queste povere creature. E allora come possiamo giustificarci dinanzi al Signore se non facciamo tutto il nostro dovere? Riposeremo in Paradiso, riposeremo in Paradiso! Là dormiremo, là riposeremo: qui, per quanto possibile lavoriamo, lavoriamo.

AUTOBIOGRAFIA seminario

FORMAZIONE direzione spirituale

VOLONTÀ

di DIO

SOCIETÀ

lavoro

CONSACRAZIONE

SACERDOZIO

APOSTOLO uomo di Dio

FAMIGLIA papà

APOSTOLO

FORMAZIONE

PECCATO mediocrità

VIRTÙ

APOSTOLO salvezza delle anime

APOSTOLO missione

APOSTOLO ambasciatore di Dio

DIO

Don Marcello Rossetto, superiore all’epoca della Comunità di Crotone, era conosciuto per il suo dinamismo instancabile.

Esclamazione popolare scherzosa e bonaria.

Il riferimento è a Marco Pinton, che all’epoca stava completando il 1° anno del corso liceale.

MI176,7 [10-05-1967]

7 Vorrei che i membri di questa Congregazione fossero riconosciuti per questo: “Sono sempre dinamici!”. Don Marcello nell’Italia meridionale è sempre sotto, sempre sotto, e qualcuno ha detto: “Fioi de cani , qualunque cosa facciano sono sempre di corsa!”. Vorrei proprio che la caratteristica della Congregazione fosse la dinamicità. Quando nell’Italia meridionale vedono una persona dinamica, che fa, che si presta, la gente resta colpita e si acquista anche sul lato umano la simpatia della gente. Quando invece vedono uno un pochino indolente, uno che dà l’idea di essere uno sfaticato, non rimangono bene impressionati. Sono piccole cose, piccole cose, basta un ‘et’ per prendere una caratteristica, basta una posizione, come sei messo; viene dentro una persona e ti vede in una certa posizione, subito sei catalogato. Se durante le ore di lavoro tu vai là e vedi uno seduto in una certa posizione di distensione, ti resta un’impressione di quella persona, un’immagine che non ti levi più per tutta la vita.
Noi dobbiamo predicare anche con l’esempio, con carità. Se durante l’ora del dopopranzo ti metti seduto per distenderti un po’, nessuno si meraviglia, ma se ti vedono così nell’ora di lavoro immediatamente in chi ti vede resta un timbro che ti accompagnerà sempre per quelle persone che ti hanno avvicinato. Chiudendo gli occhi guardo persone che ho visto a destra e a sinistra, a Roma, da una parte e dall’altra, e resta l’impressione di quando le ho conosciute; io le ho conosciute in quella circostanza e di loro mi resta l’impressione che ho avuto nel primo incontro. Noi abbiamo il dovere di predicare con il nostro contegno: devono anche vederci operosi, non soltanto essere operosi, devono vederci operosi perché noi siamo sopra il candelabro e dobbiamo risplendere, dobbiamo fare luce, e perciò devono vedere che noi lavoriamo con le nostre mani, devono vedere che anche noi lavoriamo. Il nostro sarà un lavoro diverso, sarà quello di istruire, sarà quello di battezzare, sarà quello di predicare, ma devono vedere che noi lavoriamo. Ti pare, Marco ? È d’accordo perfino Marco!

CONGREGAZIONE appartenenza

CONGREGAZIONE carisma

APOSTOLO uomo

CONSACRAZIONE generosità

APOSTOLO testimonianza

SOCIETÀ

lavoro

APOSTOLO predicazione

VIRTÙ

GRAZIA Sacramenti

Probabilmente don Ottorino si riferisce a Umberto Manzardo che aveva svolto il servizio militare.

MI176,8 [10-05-1967]

8 “Mentre invece ogni cristiano deve porre il proprio onore nel non avere bisogno del soccorso dei fratelli, come Paolo stesso aveva fatto, per “offrire in sé ai Tessalonicesi un esempio da imitare”. Poiché vale la regola: “C’è più felicità nel dare che nel ricevere”. La carità non vuol essere di peso ad alcuno, né si fa servire volentieri”.
Bisogna stare attenti alle piccole cose. Io mi accorgo subito se siamo degli scansafatiche; ci si accorge di colpo. Ricordo che don Marcello, poverino, doveva essere sgridato perché non prendesse in mano la forca, anche se non aveva tanta forza, ma aveva solo nervi: “Sta’ fermo, tu lascia stare!”. A qualche altro invece bisognava dire: “Hai paura? Suvvia, dagli una mano anche tu!”. Si vede subito quando uno è presente per fare il caporale, e il caporale comanda. Ufficiale , come è il detto: “Ci sono tre che guardano e uno che lavora”? Invece quando vedi uno che si dà da fare, capisci che è veramente un ufficiale. Tante volte noti che ci sono ufficiali che neppure s’accorgono, e bisogna che intervenga un altro: “Non vedi che ci sono queste carte? Hai paura di raccoglierle?”. Solamente quando vengono rimproverati se ne accorgono, e allora scaricano la colpa. Invece si nota chi è attivo perché quando vede un pezzo di carta lo raccoglie... vedi subito se una persona è dinamica. E allora si nota che questo è nato apposta per lavorare e quello è nato apposta per vivere sulle spalle del prossimo. Ci sono le piante parassite e quelle che lavorano. Invece noi dobbiamo stare attenti perché basta una piccola cosa per rovinarci agli occhi della gente. E soprattutto, figlioli, domandate ai vostri confratelli come vi vedono, abbiate il coraggio di farlo. Scusate se insisto su questo tema: abbiate il coraggio di domandare agli altri come vi vedono. Ve l’ho detto tante volte nei riguardi della correzione fraterna. È facile che ci illudiamo su quello che crediamo di essere, sapete!

PECCATO mediocrità

VIZI

VIRTÙ

ESEMPI servizio

COMUNITÀ

correzione fraterna

PECCATO

FAMIGLIA papà

Il riferimento è a Primo Burato, che stava preparandosi per l’anno del noviziato.

Luciano Rizzi frequentava all’epoca il 3° anno del corso teologico.

Cfr. Luca 16,19.

Don Ottorino nomina Vinicio Picco, consigliere generale, e Leonzio Apostoli, compagno di corso di Luciano Rizzi, per dire che l’impressione era comune a tutti, anche se non la manifestavano a parole.

MI176,9 [10-05-1967]

9 Per esempio, ci troviamo in dieci confratelli. Prendiamo uno di questi confratelli, chiunque sia, a caso, e diciamo: “Io vorrei dire a questo confratello che...”. Tu, caro Primo , sai che cosa i confratelli pensano di te? Eppure hanno un giudizio di te, sanno quello che fai, e forse si sono fatti un giudizio per una stupidaggine, magari perché ti succhi il dito senza accorgertene. Dobbiamo avere il coraggio di affrontare i confratelli e dire: “Senti, dimmi onestamente che cosa pensi di me. Mettilo magari per iscritto”. Dobbiamo prendere due o tre confratelli dei quali si ha stima e dir loro: “Sentite, fatemi una carità, vi prego. Mettete per iscritto quello che ognuno pensa di me, quello che dovrei essere, le luci e le ombre che vedete in me”. Se un domani hai tre o quattro fratelli che dicono le stesse cose, per amore, spinti dalla carità, a un dato momento devi dire: “No, bisogna che levi dalla mia vita questi difetti perché sono un’ombra. Se tutti si accorgono di questo vuol dire che questo non va”.
E sotto questo aspetto manchiamo tutti, sapete, e abbiamo bisogno che qualcuno ci aiuti. Anche quando si ha cinquant’anni si ha bisogno che qualcuno ci dica una parola perché caschiamo tutti nell’indolenza in quanto siamo tutti portati sia alla pigrizia spirituale che a quella fisica; tutti abbiamo bisogno di una spinta, che qualcuno cioè ci dia una mano. Ma bisogna cercarla questa spinta. Poniamo per ipotesi che abbia dieci giovani davanti a me, e mi accorga che su questo punto specifico Rizzi , che è l’uomo della giornata, manchi. Se io come superiore vedo che manca in modo tale che la cosa diventa scandalosa, un po’ forte, lo chiamo e gli dico: “Senti, Luciano, guarda che manchi!”; ma se è una cosa da poco, prima di dirgli che manca ci penso: “Ha una certa età, ha Mosè e i profeti ; è opportuno che gli parli pubblicamente?”. Ma se viene lui a domandarmi: “Senta, don Ottorino: ha qualcosa da dirmi? Me lo dica!”. Allora gli dico: “Guarda, stai attento, non sono cose gravi, ma ho l’impressione che qualche volta...”. Se invece ho casi concreti, gravi, allora glielo dico senza che venga a domandarmelo; ma se viene a chiedere la mia impressione, io gliela dico, nella certezza che novantanove su cento è la stessa che hanno di lui Vinicio e Leonzio e gli altri. Figlioli cari, se uno è pallido gli dici: “Ho l’impressione che tu non stia bene”; ma se invece ha un grosso foruncolo o qualcos’altro gli dici: “Hai un grosso foruncolo!”, e lo mandi a guardarsi allo specchio per vedere che ce l’ha davvero.

COMUNITÀ

confratelli

ESEMPI correzione fraterna

PECCATO difetti

VIRTÙ

COMUNITÀ

fraternità

CARITÀ

amore al prossimo

PECCATO

VIZI

PECCATO mediocrità

COMUNITÀ

superiore

PECCATO scandalo

Il ‘professor’ Giuseppe Gondonieri, pur insegnando matematica e altre materie ai ragazzi delle medie della Casa dell’Immacolata, non era laureato, ma aveva solamente il titolo di maestro.

Don Ottorino si riferisce a un detto popolare: “Quando l’acqua tocca il sedere, s’impara a nuotare”.

MI176,10 [10-05-1967]

10 Ve lo ripeto dinanzi al Signore: qualche volta domandatevi che cosa pensa Dio di voi. Qualche volta ho avuto il coraggio anche di dirlo a qualcuno, ma è fatica avere il coraggio di dire: “Prova a chiederti un pochino che cosa pensa Dio di te, che cosa pensano di te i superiori e cosa pensano di te i tuoi amici. Prova a domandarti schiettamente che cosa Dio pensa di te e che cosa pensano i tuoi amici, quelli che ti fanno tanto di inchini, che cosa pensano veramente di te”. Vedrete che più di una volta, anche su queste cose, se per caso avrete il coraggio di fare questo, a un dato momento cambiate il concetto che avete di voi stessi. Guardate, figlioli, che siamo tutti tanto illusi su questo punto. Il concetto che abbiamo di noi stessi non è giusto, non è giusto.
Avete avuto anche voi rapporti con il professor Gondolieri e ricordate che erano guai a non chiamarlo professore, e noi alle spalle ci facevamo una risatina, ma lui, poverino, si illudeva. Avete mai pensato che tutti siamo un pochino illusi? E un po’ brilli lo siamo tutti, perché superbi lo siamo tutti. E allora, attenti perché anche su questo punto è facile cadere, cioè è facile che ci illudiamo di lavorare e invece siamo così così, perché il pane c’è, perché da vivere c’è. Se avessimo una famiglia di otto o dieci figlioli sulle spalle, la moglie malata, un figlio malato e dovessimo guadagnare il pane, la necessità ci farebbe nuotare, perché quando l’acqua tocca s’impara a nuotare. Poiché noi non abbiamo queste preoccupazioni, perché se abbiamo bisogno di una cosa la domandiamo e l’abbiamo, guardate che è facile che, sia da studenti come dopo in campo apostolico, diventiamo un po’ dei borghesi che vivono di rendita. Per cui, oltre che mancare dinanzi a Dio che ci ha comandato di lavorare, - non di lavorare in qualche modo, ma di lavorare intensamente - manchiamo nel campo apostolico perché non diamo alle anime quello che dovremmo dare, diventiamo i funzionari di Dio. Un domani faremo una conferenza se ne avremo voglia, confesseremo se ne avremo voglia, andremo a trovare un ammalato se ne avremo voglia; misureremo, misureremo, mentre l’uomo di Dio, il Santo Curato d’Ars, viveva con una piccola pentola di patate la settimana e passava ore e ore in confessionale, fino a svenire nel confessionale perché c’erano le anime da salvare. Ecco, scusate, ma su questo punto come faremo a trovare l’equilibrio? Trovate qualche fratello che vi aiuti perché da soli non ce la farete neanche per sogno: andrete avanti illusi, credete una cosa e invece è un’altra. Andiamo avanti!

PECCATO

COMUNITÀ

superiore

PECCATO scandalo

VIRTÙ

VIZI

FAMIGLIA papà

VIZI superbia

FAMIGLIA figli

APOSTOLO

PECCATO omissioni

APOSTOLO salvezza delle anime

PASTORALE

APOSTOLO uomo di Dio

ESEMPI di Santi

GRAZIA Confessione

Il riferimento è a don Mario Urbani, primo parroco della parrocchia dell’Ausiliatrice a Vicenza, sacerdote instancabile nel servizio e nell’attenzione alla gente.

MI176,11 [10-05-1967]

11 “I primi cristiani “godevano il favore di tutto il popolo”, e Paolo raccomanda: “Non siate di scandalo né ai giudei, né ai gentili, né alla Chiesa di Dio; come io pure mi sforzo di compiacere a tutti, non cercando il mio vantaggio, ma quello del maggior numero, perché si salvino”.
Si dovrebbe vedere che noi apostoli cerchiamo il loro vantaggio, che cerchiamo il vantaggio dei fedeli. Dobbiamo essere come la mamma che mangia l’ultimo pezzettino di pollo, se ne resta, e dice: “Non preoccupatevi!”. Noi siamo per gli altri. La gente deve vedere che noi siamo tutti per loro. “Guarda quel benedetto parroco! Guarda don Mario, poverino!”. Domandate, per esempio, alle gente dell’Ausiliatrice di don Mario : “Ah, poverino, è là con la sua bicicletta... è là...”. In dialetto si direbbe che “gli porterebbero l’acqua con le orecchie!”. Provate a chiedere di qualche altro: “Eh, ogni anno fa il suo giretto! Un po’ di qua, un po’ di là, un po’ su, un po’ giù!”. Non aggiungo più parole perché altrimenti intuite a quale persona sto pensando in questo momento. La gente capisce, la gente intuisce immediatamente. “Perciò, anche gli infedeli, ai quali non si può parlare di “santificazione” e di “volontà di Dio”, devono vedere che il loro proprio ideale di “onestà” trova la sua piena realizzazione nella vita cristiana”. Cioè noi dobbiamo essere onesti, e questa onestà deve essere la prima predica che la gente lontana da Dio riceve. Se parliamo subito di santificazione e di volontà di Dio non capiscono niente, però l’onestà la capiscono e restano presi dalla nostra onestà. Carità fraterna e onestà nel modo di trattare devono essere la nostra prima evangelizzazione. Se, per esempio, si dice a uno: “Domani venga alle sei”, e alle sei vengono e trovano: ecco l’onestà. Se tu prevedi che alle sei non ci sarai, e ci sarai alle sei e un quarto, manda ad avvisare: “Stasera ho già un incontro alle sei; venga alle sei e un quarto perché alle sei non sarò a casa”. L’onestà è fedeltà alla parola data. Se dici che ti interessi di una faccenda, non addurre scuse, non dire bugie se ti scordi, ma piuttosto: “Mi sono dimenticato”. Ci vuole onestà. Invece capita che si dice: “Non sono riuscito perché...”; non dire questo, ma con onestà di’: “Mi sono dimenticato!”. Ci vuole onestà. E questa predica la capiscono, mentre tante volte noi sacerdoti manchiamo di onestà, diciamo bugie: promettiamo e non facciamo, non siamo di parola, mostriamo esternamente di essere i parassiti della società, siamo disonesti e vogliamo predicare le cose celesti. Prima predichiamo quelle umane! In che modo? In che cosa? Con la nostra condotta. E così sia!

APOSTOLO

FAMIGLIA mamma

PASTORALE parroco

ESEMPI testimonianza

ESEMPI servizio

APOSTOLO uomo

APOSTOLO testimonianza

APOSTOLO trasparenza

APOSTOLO predicazione

CARITÀ

PASTORALE

VIRTÙ

DOTI UMANE coerenza

PECCATO