Cfr. Luca 10,2.
Cfr. 2 Timoteo 4,2.
Don Luigi Furlato era all’epoca il maestro dei novizi.
Don Giuseppe Rodighiero stava maturando all’epoca la decisione di entrare nella Congregazione.
Don Guido Massignan era all’epoca il direttore della Casa dell’Immacolata.
Don Ottorino stava per partire, insieme con Zeno Daniele, per fare la prima visita alla Comunità dell’America Latina.
MI201,1 [26-08-1967]
1 La settimana scorsa è stata la festa di un Apostolo: San Bartolomeo. Nel Vangelo è stato riportato, è stato messo che il Signore ha passato tutta la notte in preghiera e poi, la mattina dopo, ha scelto gli Apostoli. Se non abbiamo ottenuto dal Signore tante vocazioni non potrebbe essere perché abbiamo pregato poco per le vocazioni? Il Signore ha messo una condizione chiara e precisa: “La messe è molta e gli operai sono pochi, pregate perciò il Signore della messe...” . Per il passato vi ho detto: se noi ci mettiamo insieme e domandiamo al Signore, volete proprio che il Signore ci dica di no? Allora io faccio un esame. Abbiamo domandato ‘opportune et importune’ al Signore o siamo andati senza entusiasmo dicendo: “Signore, manda vocazioni”, abbiamo pregato con fede o abbiamo detto così tanto per dire, una corona per le vocazioni? È questa la preghiera? La preghiera è mettersi davanti al tabernacolo e dire: “Signore, guarda un pochino il mondo, guarda un pochino...”. Il povero lebbroso si presenta e si mette davanti al Signore. Per noi la preghiera per le vocazioni è prendere il mondo intero e portarlo davanti al Signore. Guardate che non possiamo scherzare: la preghiera è preghiera, non è commedia! Per questo io direi: facciamo una giornata di adorazione. In quest’ora di adorazione non diciamo tante parole, non continuiamo a parlare, a parlare... ma ci sia un po’ di tempo per la riflessione, lasciate un po’ di respiro. Anche la settimana scorsa, durante l’ora di adorazione, avete lasciato un po’ di respiro; lasciate un po’ di respiro perché ognuno preghi anche un pochino per conto proprio, perché ognuno si incontri un pochino con Dio. No tatatà, tatatà, tatatà, ma lasciate dei momenti di silenzio. Sei d’accordo, don Luigi ? E in quest’ora di adorazione domandate al Signore che ci mandi vocazioni, che ci mandi uomini, ma uomini santi, almeno come don Giuseppe . Ora mettetevi d’accordo. Penso che si potrebbe fare un bella giornata durante gli esercizi spirituali, per esempio: mettetevi d’accordo per l’orazione e la preghiera. Io vado via lunedì mattina, e tornerò mercoledì sera a salutarvi e resterò fino a giovedì mattina; passerò la sera con voi, e la settimana ventura camminerete insieme con i vostri sacerdoti. Don Guido , tu prenderai in mano il comando e, se non torno più, ricordatevi tutte le strapazzate che vi ho dato per il passato. Chiedo perdono se qualche volta sono stato troppo forte, troppo duro, però sappiate che avevo l’intenzione di farvi santi, e non avevo altra intenzione nel bastonarvi. Se ritorno , rassegnatevi: continuerò a fare come ho fatto nel passato.PAROLA DI DIO Vangelo
CONVERSIONE esame di coscienza
PREGHIERA
EUCARISTIA adorazione
Costituzioni del 25.12.1961, capo III, n. 7.
Don Ottorino, scherzando come al suo solito, nomina dapprima Ruggero Pinton che all’epoca aveva completato il 1° anno del corso teologico, e poi Luciano Rizzi che aveva completato il 3° anno, ambedue amanti dei fiori e del giardino.
Nel testo registrato si ascolta una voce che precisa: “Era un gladiolo”.
La ‘barchessa’ nella architettura rurale veneta era un corpo di fabbrica unito alla casa padronale dove venivano ricoverati gli arnesi da lavoro, il fieno e quant’altro dell’azienda agricola aveva bisogno di riparo. Nelle grandi ville rurali delle famiglie nobiliari venete, soprattutto per merito del Palladio, le barchesse davano ampio respiro architettonico al corpo centrale della villa stessa e venivano usate per lo più come foresterie e come depositi delle granaglie prodotte nel fondo agricolo annesso a questi grandi complessi monumentali.
Il riferimento è a Girolamo Venco, che all’epoca aveva completato il 3° anno del corso teologico, particolarmente portato per le attività pratiche e l’organizzazione.
MI201,2 [26-08-1967]
2 Ed ora procediamo. Stavamo ancora, caro don Giuseppe, commentando le solite parole e cioè: “Sarà dovere dei sacerdoti - e dei diaconi - predicare il santo Vangelo, anzitutto con l’esempio, di modo che il popolo venga attratto a Cristo con la loro fede, semplicità, carità e povertà”. Ci siamo inceppati sulla parola “fede” e non siamo stati più capaci di andare avanti. Ieri mattina mi trovavo a Vicenza e, dopo la Messa, sono uscito a sedermi sulla panchina del giardino di Ruggero. È venuto vicino a me Luciano Rizzi, di felice memoria, e gli ho manifestato alcune distrazioni che mi erano venute. Davanti a me c’era un fiore, un fiore giallo di tarassaco... un bel gladiolo, bello quasi come Ruggero. Avevo davanti a me un bel gladiolo e mi sono messo a fare la meditazione davanti al gladiolo. Ho pensato: come è bello questo fiore! Che cosa fa? Perché è così? Perché il Signore l’ha voluto così; il Signore l’ha pensato, lo ha voluto in quel modo. E mi sono messo a guardare la bellezza di quel fiore. E ho pensato: questo fiore, nella forma esterna, nel colore e nella sua struttura, è come lo vuole il Signore; il Signore lo ha pensato così, nella sua struttura e nella sua forma esterna, con il suo profumo e con il suo colore. Dio lo ha pensato così ed è veramente come lo vuole il Signore, per cui guardandolo è contento: “È proprio come lo volevo io!”. Intanto ho girato lo sguardo e lì vicino c’era un formicaio con le formichine che correvano avanti e indietro; forse era piovuto durante la notte e allora erano tutte preoccupate di fare la tettoia, di fare la ‘barchessa’ perché portavano granellini di sabbia, forse per difendersi dall’acqua che era penetrata dentro, nelle gallerie interne. Era tutto un gran lavoro: corri di qua, corri di là... Ce n’era una come Venco che seguitava a girare e vedere. “Quella è Venco - ho detto - che va a girare e vedere, e a dirigere i lavori...”; andava in cima a controllare se il tetto teneva, e dopo andava con le altre a portare materiale. Era uno spettacolo da contemplare! Ho detto: “Il Signore sta guardando lì ed è contento perché fanno proprio la sua volontà. Il Signore le ha pensate così. Quel Venco che girava il Signore lo ha pensato proprio così, e il Signore è contento”.CONSACRAZIONE religioso
CONGREGAZIONE Costituzioni
PREGHIERA meditazione, contemplazione
CREATO
VOLONTÀ
di DIO
DIO creatore
MI201,3 [26-08-1967]
3 E allora ho considerato che la natura vegetale è come la vuole il Signore. E quella animale? Proprio come la vuole il Signore! E ho fatto una ulteriore riflessione, perché c’è un altro animale che sono io. E io sono proprio come mi ha pensato il Signore? Il mio colore esterno, la struttura interna, le mie azioni? La formica non può fare diversamente perché è portata dall’istinto, ma non ha alcun merito perché non può ribellarsi. Io invece sono in condizione di favore, perché non sono un vagone messo in un binario che necessariamente deve andare per quella strada. Io sono con un volante in mano, con una meta da raggiungere, con una carta geografica in mano e una bellissima strada asfaltata, con il rifornimento nel serbatoio e anche nella macchina per potermi rifocillare un pochino durante il viaggio: ho il volante in mano. Non sono messo su un binario come un semplice vagone, ma ho il volante in mano e io stesso devo guidare la macchina. Dio mi ha messo nella possibilità anche di fare peccato, di ribellarmi, ma ogni azione che mi porta verso Dio è un atto di amore, ogni curva dove giro la macchina è un atto di amore, ogni deviazione è un’offesa a Dio, ma ogni volta che io giro il volante per andare sulla strada di Dio è un atto di amore. Dio ha un progetto per il fiore, un progetto per la formica e un progetto per me; ha un’idea per me. Ed è qui il bello! Dio guardando il fiore è contento, guardando la formica è contento, e guardando me è proprio contento di come sono io? Il mio colore esterno fa piacere al Signore? Scusate se parliamo un linguaggio umano... I professori di filosofia e di teologia non capiscono queste cose! Il Signore, guardando il mio modo di agire, il mio colore, il mio profumo, la mia struttura interna, le mie azioni, è proprio contento? Cioè, in altre parole, io sono come lui mi vuole? Mi metto sempre nella situazione nella quale lui mi vuole? I miei passi, le mie parole sono proprio quelli che vuole lui o sono quelli che voglio io? Seguo io la volontà di Dio? La formica segue l’istinto, il fiore segue la natura, io seguo la traccia amorosa che Dio ha messo e ha dato per me? Il Signore me l’ha data in mano questa traccia: la seguo? E poi ho dato uno sguardo un pochino più avanti e ho pensato che nel mondo ci sono tante creature come me. E il Signore mi ha detto: “Vedi, i fiori sono al loro posto, gli animali al loro posto, gli uomini, tanti uomini, non sono al loro posto. Per piacere, vuoi aiutarmi a mettere anche quelli in armonia con il creato? Mi vuoi aiutare, Ottorino?”. E io: “O Signore, ti ho detto di sì, e sono partito proprio con l’intenzione di aiutarti, ma, Signore, se io voglio aiutare te a riportare gli uomini nell’armonia, prima devo portare me, prima devo mettermi io stesso nell’armonia completa e totale, ma proprio completa e totale, e poi sforzarmi di portare gli altri”.PREGHIERA meditazione, contemplazione
CONVERSIONE esame di coscienza
ESEMPI libertà
PECCATO
VOLONTÀ
di DIO
CONSACRAZIONE disponibilità
Nel testo registrato si ascolta una voce che risponde: “Quello di domenica: Ami quello che conosco e predichi quello che insegno... Fac nos amare quae praecipis”.
Sempre nel testo registrato si ascolta: “No, è quello del 24 agosto, festa di San Bartolomeo: Fa’ che la tua Chiesa ami quello che egli credette e predichi quello che egli insegnò. È una brutta traduzione, comunque”.
MI201,4 [26-08-1967]
4 Mi pare che tutto questo faccia parte della parola “semplicità”. Con Dio dobbiamo trattare così, dobbiamo intendercela così. Dobbiamo partire da un fiore, partire da una formica, partire da una foglia, partire da un raggio di sole e sollevarci su, su un raggio di sole, su, su, su, andare a finire fino a Dio. Dobbiamo incontraci con Dio con semplicità, conoscere Dio, parlare con Dio e trattare con Dio, ma il Signore ci vuole semplici: meno strutture esterne, meno discussioni esterne, più contatti con Dio! Ricordate la bella colletta di alcuni giorni fa che diceva: “Affinché io ami quello che conosco...”. Com’era la frase, per piacere? “Accresci in noi, o Signore, la fede, la speranza e la carità, e perché possiamo ottenere ciò che prometti, concedi a noi di amare ciò che comandi”. Lo dico in latino: “... amare quod credidit!”, “Dammi, Signore, la grazia di amare quello che lui credeva...”. Quindi non solo credere, ma anche amare quello che lui credeva. Giuseppe, qui si potrebbe fare una bella meditazione. “Dammi, Signore, la grazia di amare quello che credeva lui!”. Lui si è lasciato tagliare per amore del Signore, ha seguito il Signore e ha creduto fino a dare la vita per amore del Signore. E allora io dico: “Signore, da’ anche a me la grazia di amare quello che credeva lui: di amare!”. Questo è grandioso! Figlioli, amiamo noi quello che credevano i santi, per esempio, quello che credeva San Bartolomeo, quello che credevano i nostri vecchi preti, San Giovanni Bosco, il Santo Curato d’Ars, San Francesco di Sales, San Francesco Saverio? Crediamo noi quello che credevano loro? E lavoriamo per vedere se siamo capaci di salire per la stessa strada? Bisogna aiutarsi un pochino, figlioli miei. Non possiamo pretendere di arrivare ad amare quello che credeva San Bartolomeo senza fatica; bisogna vedere un po’ come si potrebbe fare. Per fare un impianto elettrico bisogna fermarsi un momentino e studiarlo; anche per fare il pavimento o il soffitto bisogna mettersi a segnare e a calcolare, per non trovarsi poi con un pezzo in fondo che non va. Volete che soltanto per la fede, per l’amore di Dio, questo principio non valga? Anche per queste cose bisogna mettersi tranquilli e bisogna programmarle. In questo periodo di montagna - scusate se adesso vengo a mettere un pochino le mani sulla piaga - avete preso qualche bel libro? Vi siete messi qualche mezza oretta in un angolino a leggere per vedere di scoprire la strada che vi porta al Signore?VIRTÙ
semplicità
ESEMPI impegno
Autobiografia di Santa Teresa del Bambino Gesù.
Storiella di un ubriaco che aspettava che la porta di casa andasse da lui che si trovava nel fosso con la scusa che era lui ad avere la chiave in tasca.
MI201,5 [26-08-1967]
5 Scusate, non so se è conveniente tirare fuori questo esempio. Parlavamo proprio con Zeno andando a Venezia - abbiamo parlato da Vicenza a Venezia - di come si potrebbe trovare la strada per raggiungere Dio. E abbiamo detto: noi due andremo in America; procurami due copie della Filotea di San Francesco di Sales e due copie della Storia di un’anima da scarabocchiare e, tu da una parte e io per conto mio, in tutte le ore libere che abbiamo, vediamo quale strada San Francesco di Sales insegnava per raggiungere Dio; dopo faremo un confronto per vedere quale strada ha seguito Santa Teresina, e vedremo che ambedue hanno seguito una strada simile. Si tratta di vedere un po’: tu guardi la tua e io guardo la mia, e vediamo se si può camminare un pochino di più. Questo è il lavoro che ci siamo ripromessi di fare durante il periodo che andiamo via: lavorare, non perdere tempo. Non dobbiamo chiacchierare solo delle cose da fare; dobbiamo chiacchierare di Dio perché a noi interessa Dio. Voi vi siete interessati di questo problema? L’avete cercato? Avete fatto niente? Siete dei poveri disgraziati, figlioli, se di queste cose non avete fatto niente: siete dei poveri disgraziati, perché andate avanti alla buona! Che messaggio date un domani alle anime? Avete sbagliato strada, figlioli; queste cose bisogna approfondirle e bisogna che ognuno usi la sua personalità, la sua intelligenza - voi che siete preoccupati della vostra personalità - per cercare queste cose. Voi stessi dovete cercare la vostra strada, voi dovete cercarla, perché Dio parlerà a voi; non vogliamo mettervi nella stessa strada, tutti per lo stesso sentiero. Dobbiamo arrivare in cima al Novegno? E va bene, ma ognuno per la sua strada: chi ha la macchina fa il giro, chi ha i piedi buoni va per un sentiero... Se uno va per il Summano bisogna dirgli: "Guarda che sbagli strada, figliolo!". Domandate consiglio se non conoscete la strada: “Ehi, tu che ci sei andato, qual è la strada più bella? Qual è quella più corta? Va di qua o va di là?”. Dobbiamo arrivare in cima al Novegno, e io non voglio inquadrarvi tutti nello stesso sentiero, per carità! Il Signore vi aprirà la strada, attraverso il padre spirituale, attraverso qualche buon libro, attraverso i superiori, ma su ci dovete andare voi. Ricordatevi che se state vicini a un viottolo, la porta di casa non viene lì; bisogna che andiate voi in cerca della porta di casa con la chiave; era un ubriaco che faceva così , ma non voi! Perciò dobbiamo pregare: “Signore, Signore, fai, o Signore... amare quod credidit... che io possa amare quello che lui credeva... et praedicare quod docuit”, e io tradurrei quel "praedicare quod docuit": predicare con la vita quello che lui insegnò, non solo con le parole. Che cosa ne dite?FORMAZIONE
MISSIONI
COMUNITÀ
dialogo
FORMAZIONE educazione
FORMAZIONE direzione spirituale
COMUNITÀ
superiore
Don Ottorino continua a raccontare episodi del suo viaggio a Venezia con Zeno Daniele. La chiesa della Madonna della Salute è una delle più belle chiese barocche di Venezia, sul Canal Grande, costruita per volere del senato della Serenissima dal grande architetto Baldassare Longhena per ringraziare la Vergine della liberazione dal flagello della peste.
Don Ottorino intende per Eucaristia la presenza reale del Cristo nell’ostia consacrata.
MI201,6 [26-08-1967]
6 Traducete pure la frase come volete, ma io ho fatto al Signore questa preghiera: “Donami, Signore, la grazia di amare quello che lui credeva e di poter predicare quello che lui insegnava, ma di poterlo predicare come faceva lui, prima con l’esempio e dopo con la parola!”. Alla stessa maniera di Sant’Andrea e di San Bartolomeo. Sant’ Andrea è stato messo in croce: ha cominciato a predicare e predicava in due modi, prima con l’esempio offerto a Dio e poi con la parola. La gente credeva perché vedeva che testimoniava con l’esempio: perciò dobbiamo predicare prima con l’esempio e dopo con la parola. Ci trovavamo alla Madonna della salute a Venezia e sono entrate alcune persone in chiesa. Stavamo recitando il breviario e ho detto a Zeno: “Ehi, guarda quel signore che è entrato: ha fatto una genuflessione per cui si può dire che quello ci crede”. Dalla genuflessione, dal modo di fare la genuflessione, si può dire che si era vista la fede dell’uomo. Ha fatto una genuflessione meravigliosa, e poi il modo di fare il segno di croce. Quando parlate con una persona, dal vostro modo di parlare si capisce chi siete. “Signore, fa’ che io creda quello che lui credeva e ami quello che lui credeva, ma dammi anche la grazia di poter predicare quello che lui predicava e insegnava; ma prima di tutto che io predichi con l’esempio, perché è inutile che io vada a predicare che c’è l’Eucaristia , se poi con il mio esempio dimostro che nell’ Eucaristia non ci credo!”. È inutile che io vada a dire: “Fratelli, guardate che la Messa è una cosa grande”, e dico la Messa in maniera distratta; o, per esempio, che io dica: “Guardate che la Madonna...”, e dopo passo davanti alla Madonna con indifferenza. La mia vita deve essere una manifestazione esterna della mia fede, in tutte le circostanze. Passi davanti a una chiesa e ti levi il cappello o dai un’occhiata: si capisce subito che hai fede. Non si possono fare commedie perché la gente si accorge che stiamo facendo la commedia. Bisogna che sia una cosa naturale, deve scaturire con tanta naturalezza, e la gente ha un intuito speciale, sente che c’è la fede. E allora convertiamo le anime e salviamo la nostra.PREGHIERE al Signore
APOSTOLO testimonianza
APOSTOLO chi è
l’
apostolo
VIRTÙ
fede
ESEMPI Eucaristia
MARIA
APOSTOLO salvezza delle anime
Don Ottorino celia: il tema della carità è stato il chiodo fisso di tutta la sua vita, e non c’era occasione in cui egli non parlasse di questa virtù.
Cfr. Matteo 7,1.
La Comunità dell’Argentina era composta all’epoca dai sacerdoti don Graziano Celadon e don Pietro Martinello, e dagli assistenti Antonio Ferrari, Mirco Pasin e Antonio Zordan.
MI201,7 [26-08-1967]
7 Continuiamo! Figlioli miei, una delle prime cose è avere questo spirito di semplicità. E guardate che questo spirito di semplicità lo acquisteremo se avremo un contatto semplice con Dio, se ci abitueremo a trattare con Dio con semplicità, a parlare con Dio, anche riguardo a quello che dicevo prima delle vocazioni, domandandole ‘opportune et importune’, proprio con questa semplicità. Cominciando dalla mattina fino a sera, dobbiamo avere contatti semplici con il Signore; niente cose astruse, niente cose difficili, ma cose semplici: Dio ama le cose semplici. C’è qualcosa da dire? Tu, Giuseppe? Avete qualcosa da domandare? Nessuno? Va bene, e allora andiamo avanti. Con semplicità e carità! Già in altra circostanza abbiamo parlato della carità, forse, qualche volta ; eventualmente, questa sera vorrei ancora sottolinearla, se avete piacere, se volete tirar fuori qualche argomento, qualche domanda. Non crediate che la carità... Qualche volta noi esigiamo la carità nella Comunità e non facciamo niente per portare la carità: cioè, in altre parole, critichiamo la Comunità perché nella Comunità non c’è la carità e ci dimentichiamo che, appunto, la carità è saper sopportare la mancanza di carità degli altri. Il Signore ci ha detto di avere la carità, non di fare i censori degli altri. Anzi ha detto: “Non giudicate!” . Ecco una Comunità di sei o sette persone: “Eh, qua... Non è possibile... Perché questo, perché quello, perché quell’altro...”. Sei già fuori serie perché non hai la carità. Supponiamo, per ipotesi, che io vada a visitare una Comunità. Supponiamo che vada in Brasile o in Argentina. Arrivo, entro e chiedo: “Come va? Antonio Zordan, com’è la situazione?”. “Ah, c’è don Pietro che fa tutto lui...”, e scoppia. Dopo prendo da parte l’altro, che dice: “Eh, Antonio Zordan ha una boria...”. Ognuno contro gli altri: solo lui è quello che non ha nessun difetto. Ne sento quattro e tutti quattro sono contro uno; sento gli altri quattro, tutti contro uno; ne sento uno, tutto contro gli altri. Figlioli miei, io dico: “Tu, Zordan: squalificato! Tu, don Pietro: squalificato!”; insomma, li squalifico tutti e cinque!VIRTÙ
semplicità
PREGHIERA dialogo con Dio
DIO rapporto personale
CARITÀ
COMUNITÀ
fraternità
COMUNITÀ
critica
Cfr. Giobbe 1,1-2,10.
MI201,8 [26-08-1967]
8 Se invece sento uno: “Come va, Antonio?”. “Mi pare che vada bene. Qualche piccola difficoltà c’è sempre, ma che cosa vuole che sia1 Chissà quanto gli altri hanno da sopportare me! Qualche piccola cosetta capita, ma chissà quanto io faccio patire gli altri!”. Ecco la carità che sopporta, che comprende, che chiude gli occhi e lascia passare, che prende il fratello da una parte e gli dice una parola, e se è necessario fa la correzione fraterna. Qualche volta io ho l’impressione che si esiga dagli altri e non si dia. Mettete in preventivo di trovarvi in un ambiente dove non manca la carità, ma dove ci sono dei fratelli che hanno dei difetti: la storia è diversa! Supponiamo, per esempio, che io mi trovi in Argentina, al posto di don Pietro. Io devo partire dall’idea che tutti e quattro gli altri abbiano tanta carità, ma naturalmente io ho i miei difetti e loro hanno i loro, e qualche volta i difetti puzzano. E allora ci vuole pazienza. Cercherò di comprenderli meglio: ecco la carità! La mia carità è vera se io so comprendere loro, se so sopportare i difetti dei miei fratelli e so interpretare bene il loro dire e il loro fare e, se è necessario, dire una parola fraterna per correggere: allora è carità! Non si può dire che in una Comunità c’è tanta carità quando non manca niente. È mancato il pane? Eh, no! È mancata la polenta? No! Sono mancati i soldi? No! È mancato il frigorifero? No! Quando giunge il tempo di guerra e manca tutto, allora si vede se c’è carità. Avete capito? La carità c’è quando ci sono delle difficoltà, quando uno è stanco e non ne ha voglia... allora si vede la carità del prossimo. Finché tutto va bene è come Giobbe nel periodo della prosperità. Allora il diavolo ha detto: “Eh, Signore... Sfido io! Ha donne, ha figlioli che stanno bene, ha un mucchio di ricchezze, ha la salute... sfido io che ti benedice... Mettilo alla prova...”. Dio ha permesso che fosse provato, e messo sul letamaio ancora continuava a benedire Dio. Dio allora ha detto al diavolo: “Hai visto?”. Ecco la carità! Quando prenderanno don Pietro Martinello e lo butteranno sul letamaio, e ancora non maledirà i suoi confratelli che lo hanno messo sul letamaio, allora potete dire: “Quello è un uomo di vera carità!”. Quando, don Giuseppe, il vescovo ti metterà sul letamaio della diocesi e tu ancora benedirai: quella è vera carità!CARITÀ
COMUNITÀ
correzione fraterna
COMUNITÀ
confratelli
ESEMPI carità
ESEMPI comunità
Il riferimento è a Livio Adessa che aveva partecipato con altri religiosi giovani a una Mariapoli dei Focolarini, a cui don Ottorino allude.
MI201,9 [26-08-1967]
9 “Ma, allora, non si può dire neanche una parola”. Non è che non si possa dire neanche una parola, ma c’è modo e modo di dire una parola. Supponiamo, per esempio, che il vescovo di Padova non conceda a don Giuseppe di andare missionario. Sarebbe mancanza di carità se in un gruppetto si dicesse: “Mi trovo un pochino a disagio... Il vescovo, poverino, ha dormito male... Chissà che...”. Dire una parola è lecito, ma dirlo apertamente è mancanza di carità. Un domani don Pietro riceve una delusione da Zordan e scoccano scintille. È mancanza di carità dire una parola con don Graziano: “Mi è capitato questo e questo...”? No! È vedere un po’ insieme la situazione, e poi è necessario metterci dell’olio. Comunque non voglio entrare in particolari perché non è questa la sede. Solo vorrei dirvi questo. Quando sono tornati i confratelli che hanno partecipato all’esperienza dei Focolarini, sono tornati pieni di entusiasmo per la carità che c’era là. Quel momento di carità sarà stato bellissimo, ma è vero se Livio o io o tutti siamo capaci di sopportarci per amore del Signore, altrimenti è solamente un momento di sentimento. È facile, infatti, creare cinque o sei o sette giorni di euforia anche con la gente più diversa, mentre è più difficile vivere insieme. Qualche uomo dice: “Io e la mia donna... Vorrei che veniste insieme con me a vivere con quella donna... viverci un’ora insieme è facile, ma io ce l’ho in casa per sempre!”. I ragazzi dell’oratorio: mi ricordo che nel 1940 mi dicevano: “Ah, sfido io: quando sono all’oratorio sono buoni, ma quando sono a casa!”. Portare il peso di uno, giorno per giorno, tutti i giorni e saper offrire al Signore, saper compatire, saper comprendere, saper portare pazienza... la storia è diversa! Noi dobbiamo mostrare esternamente quello che mostrano i Focolarini, pur essendo diversi, pur dovendo sopportarci. Quel colore esterno di carità che loro hanno dobbiamo averlo anche noi. La gente deve vedere che ci vogliamo bene, deve vedere che c’è un’armonia meravigliosa, che mai uno dice male degli altri, anche se in casa a volte capita qualche piccolo scontro, qualche piccola difficoltà: oggi mi arrabbio e dopo domattina domando scusa; domattina è arrabbiato don Guido e domani sera domanda scusa; domani sera si arrabbia don Luigi e dopo tre giorni domanda scusa. Pazienza, intanto però resta che ci si capisce, che ci si vuol bene per amore del Signore.ESEMPI carità
ESEMPI comunità
CROCE difficoltà
CHIESA Movimenti ecclesiali
COMUNITÀ
CARITÀ
COMUNITÀ
unità
La Comunità di Monterotondo (Roma) era allora formata da don Graziano Battistella, don Flavio Campi e dall’assistente Mario Zorzi, ai quali si aggiungevano durante l’anno scolastico don Matteo Pinton e Giorgio Girolimetto che frequentavano la facoltà di filosofia presso l’Università Gregoriana.
MI201,10 [26-08-1967]
10 Vorrei farvi capire che non si può pretendere di avere per fratelli degli angeli; per fratelli avete degli uomini, e ricordatevi che siete uomini anche voi, e non siete angeli. Perciò la carità è accettare per fratelli degli uomini, ricordando che siamo uomini; allora è possibile la carità! Non so se esagero. Questo volevo sottolinearlo perché noi miriamo in alto, ma ricordatevi che porteremo sempre i piedi e i piedi camminando fanno un po’ di puzza. Perciò, portando la nostra umanità, porteremo certo qualcosina che non è gradevole ai fratelli: o per un motivo o per l’altro, o per vedute diverse o per elementi diversi, ci sarà sempre qualche cosetta. Ma questo mettiamolo in preventivo e mettendo in preventivo, che questo ci deve essere e che, anzi, è proprio questo che fa la vera carità, che ci dà la possibilità di esercitare la vera carità, la carità non ci peserà. Se noi mettiamo in preventivo questo, questo ci peserà meno e questo sarà motivo di penitenza, e sapendo che è necessario, e nello stesso tempo avendolo messo in preventivo, sapendo cioè che dobbiamo portare pazienza, si ha la possibilità di esercitare la vera carità di Cristo. Perciò la gente deve accorgersi che c’è questa carità fra noi; il mondo deve accorgersi, perché noi dobbiamo predicare. Immaginiamo una piccola Comunità, per esempio quella di Monterotondo. Supponiamo che l’assistente non vada d’accordo con il prete, perché il prete non va d’accordo con gli altri; supponiamo che ci sia qualche incomprensione tra loro. Sarebbe tremendo, oserei dire da disgraziati, se, per esempio, l’assistente Mario si confidasse con un uomo della parrocchia: “Con don Flavio è fatica andare d’accordo...”, e dopo don Flavio: “Con don Mario...”. E lo si dice in confidenza al presidente dell’Azione Cattolica e dopo alla presidente delle Figlie di Maria... e dopo un po’ di tempo tutto il paese, in confidenza, sa che Mario, che don Flavio, che l’uno e l’altro non vanno d’accordo. “Sì, però, poverino don Flavio!”. E quell’altro: “Oh, poverino...!”. Supponiamo che il Signore abbia messo due caratteri diversi insieme: rivolgetevi al superiore perché avvenga un trasferimento, ma non mostrate alla gente la fatica che fate ad andare d’accordo. Se ci sono due caratteri diversi ci sarà fatica, resterà la fatica di andare d’accordo, è inevitabile che si faccia fatica ad andare d’accordo con due caratteri diversi, e allora chiedete ai superiori, per quanto è possibile, un cambiamento, ma il mondo esterno non deve accorgersi di questa fatica: con la virtù dovete saper mandar giù e offrire al Signore. Se ci sono due buoi, uno alto e uno basso, è naturale che facciano fatica a tirare il carro insieme. Il povero contadino dovrebbe dire: “No, bisogna attaccare al carro due buoi di uguale altezza”, ma, se non ne ha altri? Potrebbe mettere una capra e una mucca... e naturalmente ci sarebbe uno squilibrio! Bisogna portare pazienza, e questa è la virtù della carità. Amen!COMUNITÀ
confratelli
COMUNITÀ
unità
nella carità
APOSTOLO testimonianza
MONDO
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
COMUNITÀ
critica
CROCE difficoltà
VIRTÙ
pazienza