Zeno Daniele frequentava all’epoca il 2° anno del corso teologico.
Graziano Frison era una vocazione adulta, all’epoca ancora postulante e allievo dell’anno propedeutico al corso teologico.
Con questa espressione don Ottorino si riferisce agli allievi del corso teologico, ma allo stesso tempo vuole sottolineare la differenza fra lo studio di Dio e l’incontro personale con lui.
Nel testo registrato si coglie un prolungato momento di silenzio che don Ottorino concede per favorire l’incontro personale con il Signore.
Il riferimento è alla terza meditazione del libro di mons. A. ANCEL, Il sacerdote secondo il Vangelo, Editrice Trevigiana, Treviso 1966, che don Ottorino stava usando in quel periodo. Le citazioni, tratte dalle pagine 49-54, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.
Don Ottorino vuole dire che nel villaggio San Gaetano di Bosco di Tretto (VI) si disponeva sempre di tempo, di pace e di clima favorevole per fare le meditazioni con maggiore tranquillità.
Cfr. Matteo 21,23-27.
Don Ottorino nomina nuovamente Zeno Daniele, con il quale aveva compiuto il suo terzo viaggio in America Latina durante i mesi di settembre e ottobre, e Marco Pinton, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso liceale.
MI211,1 [5-12-1967]
1 Caro Zeno , non si arriva a Dio per mezzo della conclusione di un sillogismo. Graziano , non è sufficiente aver provato che Dio esiste o aver ragionato sui testi della Scrittura per essere in contatto con Dio. Si potrebbe essere un buon teologo dal punto di vista della scienza teologica e non avere lo spirito di orazione! Un modo per incontrarsi con Dio? Guardare Dio, ascoltare Dio, parlare a Dio! Allora, signori teologi , incontratevi per un istante con Dio: guardatelo, ascoltatelo un istante e parlate con lui. Incominciamo la terza meditazione ; caso mai se non facciamo in tempo a finire andremo a Bosco, dove si fanno le meditazioni veramente bene. “La penitenza secondo il Vangelo”. Il cammino che dobbiamo percorrere insieme quest’anno, voi lo sapete, è questo: dobbiamo incontrarci con Cristo. Per riallacciare un pochino il nostro discorso ricordo che abbiamo visto che abbiamo un mondo da salvare, che siamo delle povere creature, ma che tutto possiamo con il Signore. Questa è stata la prima meditazione che abbiamo fatto insieme. La seconda meditazione che abbiamo fatto insieme, a tratti, è stata questa: questo cammino che dobbiamo percorrere non lo facciamo da soli, ma lo facciamo con il nostro amico Gesù. Andiamo quindi in cerca di Gesù con Gesù. Prima stringiamo l’amicizia con Gesù e poi andiamo alla ricerca di Gesù, e andiamo alla ricerca di Gesù non per studiarlo, ma per conoscerlo, per approfondire la sua conoscenza, per incontrarci con lui. Lui ci insegnerà a diventare apostoli, ci insegnerà a divenire salvatori di anime, ma prima bisogna incontrarsi con lui. Il testo che poi leggeremo ci dice che per incontrarsi con lui bisogna passare prima dal Battista, al Giordano, perché coloro che non sono passati prima dal Battista non si sono incontrati con Gesù salvatore . Bisogna prima passare a farsi battezzare con il battesimo di penitenza. Fatto questo battesimo, allora siamo pronti a continuare il nostro cammino. Ecco perché viene inserita a questo punto questa meditazione: “La penitenza secondo il Vangelo”. Tenete presente che stiamo camminando alla ricerca di lui: vogliamo conoscerlo e conoscerlo veramente. Lui si manifesterà a noi a condizione che prima passiamo per questo punto fisso, per il Giordano, per il battesimo di penitenza. “Conoscete lo scopo del nostro ritiro: vogliamo incontrare Cristo per aderire pienamente a lui e trasformarci in lui”. Poiché dobbiamo testimoniare Cristo in giro per il mondo, dobbiamo incontrarci con lui e trasformarci in lui, in modo che andando in giro per il mondo, un domani a San Paolo in Brasile invece di chiamare “dottor Zeno” dicano “dottor Gesù”, “dottor Marco Gesù”. “Ve l’ho già detto e ve lo ripeto, la grazia sacerdotale è una grazia che ci trasforma in Cristo”.DIO passaggio di...
DIO scoperta di...
DIO rapporto personale
PREGHIERA unione personale con Dio
CONGREGAZIONE Case della Congregazione
GESÙ
incontro personale
PREGHIERA meditazione, contemplazione
PENITENZA
GESÙ
conoscenza
GESÙ
imitazione
APOSTOLO testimonianza
Don Ottorino si riferisce in tono scherzoso a don Luigi Furlato che da giovane era stato per un po’ di tempo presso i Francescani dove c’era la consuetudine plurisecolare della autoflagellazione penitenziale.
Don Ottorino accenna ad alcune stranezze che venivano fatte compiere ai novizi per provare la loro obbedienza umiltà. Le agiografie antiche sono piene di questi aneddoti curiosi.
Era frequente nei noviziati far portare al collo dei giovani novizi i cocci delle cose rotte, per penitenza e umiliazione, e per far capire la necessità di badare con sollecitudine alle cose della Comunità.
Giorgio Girolimetto frequentava all’epoca il 1° anno del corso teologico.
Tipo di caramella alla crema di latte molto tenera, masticabile, molto gradita ai bambini.
MI211,2 [5-12-1967]
2 E lo stesso vale per i diaconi e gli altri apostoli. Noi siamo rappresentanti di Cristo e non soltanto portatori di un messaggio di Cristo: dobbiamo essere i testimoni, i testimoni vivi del Cristo. Non siamo gli ambasciatori che il re d’Italia manda per portare un suo messaggio. No, no! Noi portiamo il Cristo e dobbiamo portarlo vivo. “ È dunque verso di lui che andiamo ed è in lui che cercheremo di vivere. Ma per incontrare Cristo e per essere trasformati in lui ci sono, secondo il Vangelo, due tappe da superare. Avete certamente notato che Dio ha voluto preparare il suo popolo a ricevere il Messia inviandogli prima Giovanni Battista. Bisognava accettare il battesimo di penitenza per prepararsi incontrare Gesù. Sappiano anche dal Vangelo che i grandi sacerdoti e gli anziani, che non avevano accettato il battesimo di Giovanni Battista, si erano poi rifiutati di riconoscere Gesù come l’inviato di Dio (Mt 21,23-27)”. Se noi non accettiamo questo battesimo di penitenza è inutile. E vedrete che per vivere il battesimo di penitenza non si tratta di fare come don Luigi , poveretto, quando negli anni passati si alzava di notte e si flagellava: passava da una costola all’altra, davanti e di dietro. No, no, no! Adesso i tempi sono cambiati. Non è neppure necessario andare, come faceva Marco quando era in noviziato, a piantare le verze alla rovescia o a prendere l’acqua con la cesta. No, c’è qualcos’altro, caro Graziano. Neanche è necessario prendere il turibolo e portarlo al collo per una giornata intera, o legarsi al collo i cocci del piatto. Neppure è necessario mettere i sassi dentro le scarpe, perché si rompono i piedi e poi si deve impazzire per guarire. E allora? Neppure fare a meno di mangiare. La penitenza richiesta è una penitenza dolce, sai, Giorgio , come la caramella “Mao” . “Al contrario, vediamo dei pubblicani che vengono per essere battezzati da Giovanni (Lc 3,12), e Gesù dirà più tardi: “I pubblicani e le prostitute vi precedono nel Regno di Dio” (Mt 21,31). D’altronde, vediamo che Gesù stesso, quando ha cominciato a predicare, domanda la penitenza a coloro che si avvicinano a lui (Mt 4,17). Ugualmente quando invia i suoi Apostoli in missione temporanea (Mc 6,12). Infine nel giorno della Pentecoste, quando i Giudei domandano agli Apostoli ciò che devono fare, Pietro risponde: “Ravvedetevi” (Atti 2,38). Quindi, se si vuole incontrare Gesù, bisogna accettare la penitenza nel senso evangelico”.APOSTOLO testimonianza
PENITENZA
Don Ottorino, nel testo registrato, attualizza aggiungendo “per i Religiosi della Pia Società San Gaetano?”.
Forse si tratta di Giuseppe Biasio, che all’epoca frequentava il 1° anno del corso teologico.
Mario Corato frequentava all’epoca l’anno propedeutico al corso teologico.
MI211,3 [5-12-1967]
3 Penitenza nel senso del Vangelo! Fare penitenza in un senso non evangelico non porta a niente: io ne ho conosciuti tanti, vi dico tanti, che hanno fatto penitenza in senso non evangelico e si sono rovinati, ma chi ha fatto penitenza nel senso del Vangelo si è santificato. “Mi direte forse che questo vale senz’altro per coloro che sono ancora lontani da Cristo; ma vale anche per i buoni cristiani, per i sacerdoti ? Allora aggiungerò un ultimo testo che si riferisce alla lavanda dei piedi, nel Vangelo di San Giovanni (c. 13). Conoscete la reazione di Pietro quando Gesù volle lavargli i piedi. Rifiutò dicendo: “Non mi laverai i piedi in eterno!”. Pietro è stato tremendo perché non ha detto: “Non voglio che mi lavi i piedi”, ma addirittura in forma escatologica: “Non mi laverai i piedi in eterno!”. Non so se Pietro avrebbe ancora detto così dopo un po’ quando aggiunse: “Anche se tutti gli altri ti abbandoneranno, io no!”, sempre in forma categorica... e in seguito dovette abbassare la testa. “Allora Gesù rispose: “Se io non ti laverò i piedi tu non avrai parte con me”(Gv.13,7-8)”. E allora Pietro: “Sì, sì, sì, Signore... anche la testa!”, in barba al precedente “in eterno”! È stato un eterno come l’eterno amore che un fidanzato giura alla sua fidanzata, vero, Graziano?, e che dopo tre giorni giura ad un’altra. “Tuttavia Gesù dice agli Apostoli: “Voi siete puri” (Gv 13,10). Di conseguenza, anche coloro che si trovano in grazia di Dio, se vogliono arrivare fino all’intimità con lui, bisogna che permettano al Signore di lavare loro i piedi. In altre parole bisogna accettare una purificazione profonda della nostra anima”. Giuseppe , questa è la penitenza: farsi lavare i piedi dal Signore. Ma qual è la purificazione che viene dalla penitenza? Aspetta un po’ e vedrai; viene, viene, viene; non avere paura. Bisogna passare per la penitenza secondo il Vangelo. Mario Corato dirà: “Ma io sono un buon bambino!”. Non importa niente. “Così dunque la penitenza, secondo il Vangelo, non ci si presenta come una porta attraverso alla quale si passa una volta sola, senza mai più ritornarvi”.PENITENZA
CONSACRAZIONE santità
MI211,4 [5-12-1967]
4 Io ho pagato e adesso rimango tranquillo al cinema; io ho pagato e ho il diritto di stare qui. Bisogna invece seguitare a pagare: ogni volta che passa il bigliettaio bisogna pagare. Marco, paghi l’entrata, ti siedi... “Ehi, paga!”. Ti alzi in piedi: “Ma ho già pagato?”. “Paga!”. Il male è che il bigliettaio continua a passare avanti e indietro... “La penitenza secondo il Vangelo potrebbe essere piuttosto paragonata alle fondamenta sulle quali è costruita una chiesa: la chiesa non può reggere se non si tengono in efficienza queste fondamenta. Dobbiamo dunque accettare senza esitazione di fare penitenza secondo il Vangelo se vogliamo incontrare il Cristo e se vogliamo crescere nella conoscenza e nella intimità di Cristo”. Non c’è niente da fare: se vogliamo incontrarci con lui e crescere nella conoscenza e nella vita con lui bisogna accettare di vivere nella penitenza evangelica. “Ma non siamo ancora giunti al vero problema. Il vero problema è di conoscere ciò che è la penitenza secondo il Vangelo. La penitenza secondo il Vangelo non ha nulla a che vedere con un puro sentimento di colpa o con un complesso di inferiorità. Anzi, al contrario, la penitenza secondo il Vangelo ci libera dai nostri peccati, essa ci stabilisce in un clima di confidenza totale”. “Io sono un povero stupido!”. Sì, ma intanto salta in piedi e mettiti a predicare. Eri stupido e il Signore ti ha lavato e non sei più stupido. “Essa genera la gioia, quella gioia che, secondo il Vangelo, accompagna la conversione dei peccatori (Lc. 15,7). Troviamo nella liturgia una formula che riassume bene i tre aspetti complementari della penitenza secondo il Vangelo; la ripetiamo ogni giorno all’offertorio della Messa: “In spiritu humilitatis et in animo contrito suscipiamur a te, Domine”. “I - In spiritu humilitatis. La penitenza secondo il Vangelo domanda innanzitutto che accettiamo con grande semplicità il nostro stato di peccatori”.ESEMPI penitenza
Don Ottorino racconta un aneddoto dell’ultimo viaggio che aveva compiuto in America Latina assieme a Zeno Daniele.
Raffaele Testolin frequentava all’epoca il 2° anno del corso liceale.
La storiella continua: “Eh, sì, buona donna, è vero!”, disse il prete. “E lei, che cosa può dire di me?”, rispose piccata la donna.
Nel testo registrato, a questo punto, don Ottorino aggiunge: “Sceglie proprio il contrasto: uno che fa il suo dovere, stimato dal popolo... però davanti a Dio non si umilia; l’altro, stimato dal popolo un peccatore perché veramente era un peccatore, che però si umilia. C’è proprio il contrasto”.
MI211,5 [5-12-1967]
5 Se sei nato gobbo porta pazienza, accetta di essere gobbo. Se sei nato strabico: accetta di portare gli occhiali. Se sei nato calvo: ringrazia il Signore perché non tutti hanno la testa calva, accetta con semplicità! Quella volta che Zeno è arrivato a Resende e per la prima volta ha visto la sua piazza attraverso gli specchi ha preso paura. Il barbiere è stato proprio sfacciato perché gli ha fatto vedere con uno specchio come gli aveva rasato la nuca; per buona sorte non parlava in portoghese perché sarebbero stati guai... chissà che cosa avrebbe detto! Si accetta con semplicità. Scusa, Zeno, se ho cercato di svegliare i ragazzi a spese tue, d’altra parte, poverini, c’era qualcuno che aveva sonno, e poiché adesso viene la parte più importante bisognava svegliarli. Bisogna accettare quello che siamo. Siamo zoppi? Accettiamolo! Cercheremo di stare meglio. Vero, Raffaele ; se sei zoppo di una gamba si cerca di guarire. “In spiritu humilitatis. Siamo poveri peccatori: bisogna riconoscerlo”. Siamo deboli: caschiamo... promettiamo... caschiamo... Dobbiamo riconoscerlo, ma riconoscerlo non come quella donna che diceva: “Padre, preghi per me che sono una povera peccatrice” . Dobbiamo riconoscerlo davanti a Dio che siamo peccatori, non davanti agli uomini. “Vi invito a rileggere, su questo argomento, nel Vangelo di San Luca (18, 9-14) la parabola del fariseo e del pubblicano. L’avete letta tante volte, io ve la richiamo brevemente. Il Signore ci presenta due uomini che vanno al Tempio: uno fariseo, l’altro pubblicano. Ci mostra il fariseo che prega a testa alta dicendo: “Dio mio, ti ringrazio perché io non sono come gli altri uomini”. Il pubblicano, al contrario, si teneva a distanza e non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo. Ma si batteva il petto dicendo: “Dio mio, abbi pietà di un peccatore quale io sono” (vv. 9-13). Ora voi la sapete la conclusione del Signore: “In verità vi dico, quest’ultimo ritornò a casa sua giustificato, l’altro no. Infatti colui che si esalta sarà umiliato e colui che si umilia sarà esaltato” (v. 14). Per meglio comprendere questa parabola, giova richiamare il contesto storico. Sappiamo, dalla storia della Palestina al tempo di Cristo, che i farisei erano uomini molto stimati dal popolo. Senza dubbio erano temuti, ma erano anche venerati come persone pure. Erano uomini molto severi nell’osservanza della legge. Il fariseo del quale si è parlato poteva dire: “Io digiuno due volte alla settimana, do la decima di tutto ciò che acquisto” (v. 12). Inoltre, i farisei rappresentavano l’opposizione di fronte al potere romano: erano pertanto i rappresentanti del patriottismo giudaico. Ma essi avevano un difetto che il Vangelo mette molto bene in evidenza: si credevano giusti e non avevano che disprezzo per gli altri (v. 9). I pubblicani, al contrario, erano uomini disprezzati e detestati da tutti. Erano considerati come pagani. Sappiamo, dal Talmud, che erano scomunicati. Gesù stesso, quando parlerà dell’atteggiamento che si deve avere di fronte a coloro che non vogliono nemmeno ascoltare la Chiesa, dirà: “Siano per te come un pagano o un pubblicano”. Infatti questi uomini avevano accettato di riscuoterle imposte per il profitto della potenza straniera. Erano doppiamente detestati: primo, perché erano alleati alla potenza romana; secondo perché opprimevano il popolo. Non solamente domandavano l’imposta, ma spesso esigevano più di quanto era dovuto e si arricchivano pertanto a spese del popolo. Ricordiamo la storia di Zaccheo, questo pubblicano che, dopo aver dato la metà dei suoi beni ai poveri, è stato ancora in grado di rendere il quadruplo a tutti coloro a cui egli aveva fatto qualche danno. Erano dunque ricchi e ricchi che spogliavano il popolo e che lo spogliavano a profitto di una nazione straniera. Ma Gesù dice che questo pubblicano disprezzato si umiliava davanti a Dio. Si vede dunque il contrasto scelto volontariamente da Cristo nella sua parabola : si sente che vuol colpire la nostra immaginazione. Bisogna pertanto domandarci se ci mettiamo fra i farisei o tra i pubblicani”.CROCE
VIRTÙ
semplicità
MISSIONI vita missionaria
VIRTÙ
Gaetano Scortegagna era cugino primo di don Ottorino e all’epoca frequentava l’ultimo anno del corso teologico.
Giuseppe Biasio, che frequentava il 1° anno del corso teologico, era entrato nella Casa dell’Immacolata dopo aver ottenuto il titolo di ragioniere.
Evidentemente don Ottorino usa un linguaggio scherzoso ed esagerato per sottolineare profonde verità.
Restare in ‘braghe di tela” è un modo di dire dialettale che significa ‘perdere tutto’.
MI211,6 [5-12-1967]
6 Ecco il primo punto della meditazione. La meditazione di oggi è questa: bisogna umiliarci secondo il Vangelo se vogliamo arrivare al Cristo, se vogliamo incontrarci con lui, altrimenti con lui non ci incontreremo. Il primo punto è proprio questo: siamo farisei o pubblicani? Adesso vediamo. “C’è un vero pericolo per noi di diventare più o meno farisei. Esteriormente, infatti, noi abbiamo una buona reputazione, o almeno crediamo di avere una buona reputazione”. “Gaetano, oh, Gaetano ! Che giovane! Sa parlare così bene. Oh qua, oh là...”. Dopo, dietro le spalle, diranno che è un chiacchierone, ma intanto fanno gli elogi. “Oh, Giuseppe , ragioniere, ma guarda...”. “Oh... professore di matematica!”. Una certa reputazione o l’abbiamo o crediamo di averla; comunque, certamente dovete avere una certa reputazione perché in seminario siete considerati dei bravi giovani: “Oh, che bravi ragazzi quelli di San Gaetano! Mai sentiti bestemmiare!”. Una certa reputazione, una certa reputazione l’abbiamo. Quando vengono a Bosco a visitare e chiedono: “Chi è stato a fare tutto questo?”, rispondiamo: “Indegnamente, siamo stati noi”... e il superiore sono io! “Ma quanto bravi siete, ragazzi”... e allora vi succhiate le labbra! “Non rischiamo forse talvolta di crederci tali e di giudicare gli altri?”. Ecco qui il fariseo. Non ci crediamo forse qualcosa quando ci dicono: “Che bravi ragazzi! Che bello quando si va all’Immacolata: sono tutti sereni, contenti, allegri”? Non siamo forse tentati di crederci qualcosa e di giudicare gli altri? Non rischiamo di essere abbagliati da queste lodi, che possono anche essere vere, dimenticando i nostri peccati, la nostra miseria, guardando solo i crediti e non i debiti? Se uno dicesse: “Oh, che ricco sono! Ho dieci milioni in cassa e inoltre avanzo ancora venticinque milioni fuori”. “Beh, un momento: quanti milioni ne avanzano da te gli altri?”. “Duecento”. E allora sarebbe una stupidità vantarsi per i dieci milioni in cassa e i venticinque di credito, cioè per trentacinque milioni, quando si hanno duecento milioni di debito; ha duecento creditori che lo tirano per i pantaloni... resta in ‘braghe di tela’. “Questo è infatti il segno del fariseismo: è fariseo colui che presume di sé e che disprezza gli altri”.VIRTÙ
umiltà
DOTI UMANE stima
CONVERSIONE
PECCATO
Forse l’allusione scherzosa di don Ottorino è a due giovani passati dal seminario alla Casa dell’Immacolata.
Fernando Murari frequentava all’epoca il 2° anno del corso liceale.
MI211,7 [5-12-1967]
7 Si va in seminario e si sente una frase: “Oh, i seminaristi! Può venire qualcosa di buono in seminario?”. Basta guardare quei due che abbiamo là in fondo... Ecco il fariseo! Vai fuori, trovi un prete, un cappellano: “Oh, per forza non vengono vocazioni in quel paese! Basta guardare quel prete!”. Ecco il fariseo! “Quando un prete comincia a dire dei suoi contemporanei: “Veramente sono uomini che vivono nel disordine e nell’immoralità, hanno perso ogni senso morale”, se dice queste cose giudicandoli e senza pensare alla parabola della pagliuzza e della trave, indiscutibilmente questo prete è divenuto un fariseo. Quando al contrario osserviamo i santi, noi vediamo a qual punto essi sono convinti dei loro peccati. Forse conoscete ciò che è capitato al Curato d’Ars: aveva chiesto al Signore di conoscere la miseria spirituale della propria anima; la sua preghiera è stata esaudita. Allora il Curato d’Ars ha avuto paura e ha chiesto al Signore di diminuire quella luce: non riusciva a sopportare di vedersi così”. Padre maestro, domanda al Signore che conceda luce a tutti per vedere la propria anima. Santa Margherita M. Alacoque vide un puntino nero e chiese: “Signore, che cos’è quell’affarino?”. “È l’anima tua!”. “Così piccola e così nera?”. Se quella di Santa Margherita era un puntino nero, come sarà la mia? “Un fatto simile è raccontato nella vita di Santa Margherita Maria. Un giorno ha avuto un pensiero di vanità. Allora Dio, per purificarla, le manifestò quello che era; e anche lei ebbe talmente paura che si mise a gridare: “Dio mio, o fatemi morire o fate scomparire davanti a me questo quadro, perché non posso viverlo guardandolo!””. Fernando , se ogni volta che abbiamo un pensierino di vanità venisse una luce di questo genere nell’anima nostra, avremmo tutti i ragazzi al confessionale tutto il giorno a domandare pietà e misericordia. “Se il Curato d’Ars e Santa Margherita Maria hanno avuto tali reazioni, quali sarebbero le nostre se il Signore ci rivelasse la miseria dei nostri peccati! La Chiesa d’altra parte ha una grande sollecitudine di preservarci dal fariseismo. Avete notato che ogni volta che un prete sale all’altare (e ciò vale per il Sommo Pontefice come per il più umile sacerdote della più piccola parrocchia), la Chiesa vuole che reciti il Confiteor”.VIZI superbia
DIO Spirito Santo
CONVERSIONE
PENITENZA
Il riferimento poteva essere ad Adriano Conocarpo, che all’epoca frequentava la scuola per ragionieri, o ad Adriano Vigolo, che era giunto dal seminario vescovile durante il corso liceale e all’epoca faceva l’anno di noviziato.
La conclusione nel testo registrato è lacunosa ed interrotta improvvisamente.
MI211,8 [5-12-1967]
8 Figlioli, non dite il “confiteor” alla buona, ma con sincerità: “Mi confesso a Dio... per mia colpa...”. Ieri hai detto che non eri stato tu a fare quel danno, adesso, alla mattina confessi a Dio che sei stato tu: “Ho peccato in pensieri, parole e opere...”. “Sei stato tu, Adriano ?”. “No, veramente...”. E al mattino: “Mea culpa...”. Ah, adesso sì che dici la verità! “La Chiesa vuole che reciti il Confiteor. Deve dunque riconoscere, non solo davanti a Dio, la Vergine Maria e i santi (ciò non sarebbe probabilmente troppo umiliante, perché non li vediamo!), ma anche davanti a tutti i fedeli che sono presenti “e a voi miei fratelli”, che ha molto peccato “con pensieri, parole, opere”, e ben lontano dallo scusarsi, il prete dice “per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa”. Figlioli, alla mattina non possiamo fare commedie, ma dobbiamo dire con sincerità: “Signore, Dio, Madonna, santi, fratelli : ho peccato! Ho peccato io, io, Ottorino, in pensieri, parole, opere: mia colpa, mia colpa!”. Questo vuole il Signore da noi. “Dopo essersi riconosciuto peccatore, deve aggiungere: “Perciò prego la Vergine Maria, gli Angeli, i santi e voi, miei fratelli, di pregare per me il Signore nostro Dio”. E il popolo risponde: “Che Dio abbia misericordia di te e ti conceda la vita eterna”. Il popolo non risponde: “Oh, no, tu sei un santo! Non è vero che sei un peccatore”. “Sembra che in queste parole troviamo l’eco della preghiera del pubblicano: “Abbi pietà di me, Signore, perché sono un peccatore”. Beati noi se, invece di difendere la nostra reputazione, invece di presumere di noi stessi e di disprezzare gli altri, ci riconosciamo veramente indegni delle funzioni sublimi che ci sono state affidate”. Questo è il bello! Adesso io mi alzerei in piedi e mi ci vorrebbe una mezzoretta per trattare bene questo aspetto, perché anche fra noi dovremmo sentirci indegni: indegno della funzione di padre maestro, indegno della funzione mia di superiore della Famiglia. Indegno non vuol dire lasciar stare, ma vuol dire metterci buona volontà; non vuol dire buttare tutto, non vuol dire non mettere a disposizione le nostre doti, ma mettere a disposizione completamente noi stessi. “Non dovremmo nemmeno osare di alzare gli occhi verso Dio, ma dovremmo ripetere con il pubblicano: “Abbi pietà di me, Signore, perché sono peccatore”. Indubbiamente non è opportuno che gridiamo la nostra miseria davanti a tutti, ma almeno nella nostra confessione... è opportuno che siamo veramente leali. Dobbiamo evitare ogni giustificazione e dire i nostri peccati al confessore come essi ci saranno manifestati quando compariremo davanti al Tribunale di Cristo. Saremo veramente felici se il Signore ci accorderà la grazia di vedere i nostri peccati: saremo liberati per mezzo della verità!”. Figlioli, riconoscere di essere peccatori non vuol dire rinunciare alla nostra vocazione. Non dobbiamo dire: “Ah, sono peccatore e perciò non posso fare niente”. No! Sei peccatore e appunto per questo puoi fare qualcosa. Se riconosci che sei peccatore e che da solo non puoi fare niente perché sei peccatore, entri nella misericordia e nell’onnipotenza di Dio.VIRTÙ
umiltà
CONSACRAZIONE offerta totale
PECCATO peccatore