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LA PREGHIERA NELL’APOSTOLATO

MI234[26-03-1968]

26 marzo 1968

Il riferimento è a Renato Novello, che all’epoca frequentava il 3° anno del corso teologico. Alla domanda di don Ottorino, nel testo registrato si ascolta una risposta: “È rimasto a letto”, che motiva la sua esclamazione.

A questo punto don Ottorino, come era solito, concede un momento di silenzio per facilitare il contatto personale con il Signore.

Anche per questa meditazione don Ottorino si serve del libro di L.G. SUENENS, Teologia dell’apostolato della Legione di Maria, Coletti Editore Roma 1953. Le citazioni, prese dalle pagine 168–170, vengono sempre riportate in corsivo senza ulteriori richiami.

il riferimento è all’assistente Giuseppe Filippi, destinato a partire per il Brasile allo scopo di rafforzare la Comunità di Resende.

Don Ottorino si rivolge in modo scherzoso a don Giuseppe Rodighiero, che recentemente aveva ottenuto il dottorato in lettere presso l’università di Padova.

Gruppo dei Focolarini, movimento fondato da Chiara Lubich che in quegli anni si imponeva per novità di stile nel presentare il Vangelo e nel viverlo. GEN= Generazione nuova.

‘Unità nella carità’ è la rivista edita dalla Congregazione per informare gli Amici della sua vita e delle sue attività.

MI234,1[26-03-1968]

1.Mettiamoci un istante solo in contatto con il Signore.
Dov’è Renato? Ancora a letto! Mettiamoci in contatto con Dio. “Cosa domanda la Legione e chi viene ad essa?”. Cambiamo la parola “Legione” con “Pia Società” e rispondiamo: “La Pia Società ha per iscopo la santificazione personale dei suoi membri per mezzo della preghiera e della loro cooperazione attiva...”. Potremmo riportare tutte le parole alla lettera. Non è vero, Giuseppe ? Tu che parti per il Brasile, portati via anche queste cose insieme con San Giuseppe, la Madonna e Gesù. Noi, prima di tutto, siamo qui per farci santi, per essere come Dio ci vuole, per cantare un cantico di amore al Signore: cantarlo con il nostro cuore, con la nostra mente, con le nostre azioni. Perciò, come prima cosa, dobbiamo cantare. Giuseppe, tu... Scusi, dottore, le sembra giusto? La prima cosa necessaria è questa: “... per mezzo della preghiera e della cooperazione attiva”. Perciò la preghiera sarà il tema della meditazione di questa mattina. Prima di entrare nell’ argomento ‘preghiera’, permettete che butti dentro una distrazione. Quando si va a passeggio e si trova un fiore bello, un po’ raro, lo si mostra a tutti: “Ho trovato un bel fiore!”. Domenica mattina - coloro con i quali ho già parlato di questo argomento porteranno pazienza se lo sentono ripetere - mi trovavo in segreteria. Lì c’era un libretto Gen : l’ho preso in mano, ho letto prima l’articolo firmato Gen, che abitualmente è di Chiara, la fondatrice dei Focolarini. C’era un pensiero che mi ha fatto una certa impressione. Ecco in sintesi ciò che dice questa creatura. il nostro programma Gen è questo: “Che tutti siano uno”, e poi lo descrive dicendo: “Che bello sarebbe il mondo se a un dato momento si realizzasse questo programma!”. Ricordate che anche noi qualche volta abbiamo detto: “Che bello sarebbe se, a un dato momento, tutto il mondo fosse come una grande Casa dell’Immacolata, dove ci si vuole bene, non ci sono più odi, dove si lavora senza odiare il padrone e il padrone senza sfruttare l’operaio, dove l’utile viene diviso fra tutti, dove se c’è un pezzo di pane viene condiviso...”? Fratelli, quanto sarebbe bello che venisse realizzato in pieno il Vangelo, per cui ci si vuole bene, ma realmente bene, ci si sente fratelli, in viaggio sullo stesso treno, avviati alla stessa patria! Chiara Lubich descrive quanto sarebbe bello il mondo senza carceri, senza odi, senza guerre, senza niente, e nel quale tutto è fatto con amore. Questo accadrebbe se si riuscisse a fare in modo che ‘tutti fossero uno’: questo è il desiderio del Signore. Ma dice ancora quella creatura: “Io ho preso in mano il Vangelo e nel Vangelo vedo una frase: “Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me”. Ritorna ancora la parola ‘tutti’. “Quando sarò innalzato da terra...”. Dunque per attirare tutti è stato necessario che Gesù fosse innalzato da terra. E quando è stato alzato da terra? Quando è stato crocifisso. Allora la moneta per stabilire l’unità è la crocifissione. Gesù vuole l’unità, paga questa unità - non quella dei comunisti, e neanche l’‘Unità nella carità’ , ma quell’altra, quella vera - e la paga con questa moneta, cioè con la crocifissione.

PREGHIERA

CONSACRAZIONE santità

DIO amore a Dio

CHIESA Movimenti ecclesiali

PAROLA DI DIO Vangelo

VOLONTÀ

di DIO

GESÙ

MI234,2[26-03-1968]

2.Fratelli, noi dobbiamo continuare l’opera di Gesù, dobbiamo continuarne l’opera, come dice il nostro ‘Libretto bianco’, per far sì che tutto il mondo divenga una grande famiglia. Noi l’abbiamo messo quel pensiero: in modo che un domani in Paradiso si continui questa grande famiglia. La volontà di Dio è che tutti gli uomini siano una grande famiglia nell’eternità: una famiglia di fratelli, di figli uniti insieme nell’eternità. Questo è il desiderio del Padre: che tutti noi arriviamo a riconoscere lui, il Padre, con Gesù nostro fratello, e per tutta l’eternità siamo fusi nello Spirito Santo con Gesù e con il Padre. Questa è la volontà di Dio! Ma se questa è la volontà di Dio, noi siamo chiamati a collaborare con Dio per la realizzazione sulla terra degli inizi di questa famiglia.
In che modo? Certamente andando in giro per il mondo: “Andate e predicate il Vangelo ad ogni creatura”. Però, il Vangelo predicato vale in tanto in quanto anche noi saremo innalzati da terra, cioè se seguiremo Gesù nella crocifissione. E allora, fratelli, la prima preghiera che noi dobbiamo innalzare a Dio è quella di accettare quotidianamente la croce. Io penso che sia impossibile salvare le anime, che sia impossibile realizzare questa unità, prima di tutto nelle nostre Comunità, se non abbiamo imparato a soffrire. Il segreto della carità nella Comunità prima, e nelle comunità parrocchiali e nel mondo intero poi, è saper accettare ognuno la propria croce per amore del Signore, saper accettarla con gioia. Anche se dovessimo trovarci nella Comunità con temperamenti diversi, con modi di pensare diversi, con qualcuno un po’ vecchio con l’arteriosclerosi che ci fa diventare matti... pazienza, pazienza! Bisogna sapere accettare! Scusate se insisto su questo, ma credo che questa sia una pedagogia spirituale importantissima, per noi prima di tutto, e poi anche per il lavoro che compiamo in mezzo agli altri: saper accettare giorno per giorno quello che il Signore ci manda, ma accettarlo con quel sorriso che noi dobbiamo portare come timbro della Congregazione.

GESÙ

sequela

VOLONTÀ

di DIO

NOVISSIMI paradiso

DIO Trinità

CROCE

APOSTOLO salvezza delle anime

COMUNITÀ

unità

nella carità

COMUNITÀ

Don Ottorino si riferisce alle immagini ricordo dell’ordinazione sacerdotale alla quale stavano preparandosi per il 6.4.1968 Leonzio Apostoli, Luciano Bertelli, Paolo Crivellaro, Giuseppe Giacobbo, Luciano Rizzi, Gaetano Scortegagna e Girolamo Venco. In particolare sottolinea la serietà di don Gaetano nella foto, mentre abitualmente era di carattere allegro e scherzoso, facile a familiarizzare con tutti.

Don Ottorino si rivolge a Zeno Daniele, che allora frequentava il 2° anno del corso teologico, perché forse si era interessato presso la tipografia per la stampa delle immagini ricordo.

Don Ottorino cita a senso qualche verso di una poesia di Giuseppe Giusti che descrive un gruppo di militari austriaci nella chiesa di Sant’Ambrogio a Milano.

Il riferimento è a don Pietro De Marchi, che all’epoca stava facendo l’anno del noviziato.

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3.Ho osservato, per esempio, la fotografia dei sette sacerdoti novelli nelle bozze di stampa che il nostro caro Zeno ci ha presentato, con le frasi che sono state messe, e ho visto che qualche prete è apparso serio: don Gaetano e qualche altro. Perché? I nostri dovrebbero avere tutti un sorriso. Non ti pare, Zeno: qualcuno è un po’ troppo serio, perché? Il nostro timbro deve essere il sorriso, non facce serie... qualcuno sembrava un tedesco! Quando nella fotografia ho visto Gaetano così serio, ho pensato: “Questo non è il mio Gaetano!”. Di solito va in giro e lo vedi scherzare e sorridere, non lo vedi com’è nella fotografia. Di solito spande sorrisi a destra e a sinistra, mentre là sembra uno di quei tali che il poeta descrive: “Con quei musi... diritti come fusi”. Quel tuo aspetto, Gaetano, non è naturale; è stato un momento di posa. Però, attenti: quel sorriso che noi dobbiamo portare deve essere il timbro, il segno della nostra Famiglia religiosa.
Ieri tre suore sono venute a domandarmi dei consigli: “Noi dobbiamo andare in Guatemala. La madre generale ci ha mandato da lei perché ce ne parli un pochino”. Allora ho detto loro: “La prima cosa è che vi vogliate bene tra voi. Abbiamo già troppa gente che va al di là dell’oceano, e dopo si accorgono che non vi volete bene. Voi dimostrate la carità anche esternamente, con il sorriso; non tenete il broncio. Quando una ragazza si sposa e va in casa del marito, se sua madre va a trovarla e la vede imbronciata, con il muso lungo, dice: “Costei non è affatto contenta”, e può anche dirle: “Ehi, figliola, che cos’hai? Non sei contenta?”; se invece la vede contenta, anche la mamma torna a casa contenta dicendo: “È naturale: si è maritata!”. La mamma torna a casa contenta perché vede la figlia contenta”. Ora noi siamo donati al Signore e la gente deve vedere che siamo contenti. Essere contenti non vuol dire essere senza croci, non vuol dire non sentire il peso quotidiano di qualche cosa, che può essere la salute e può essere anche un qualunque disguido... la croce quotidiana! Perciò, fratelli miei, sappiamo soffrire istante per istante con gioia, perché questa è la moneta che dobbiamo pagare per l’unità della nostra Comunità e per l’unità del mondo intero. Don Pietro , sei d’accordo?

APOSTOLO animazione vocazionale

COMUNITÀ

fraternità

ESEMPI fraternità

FAMIGLIA

L’assistente Giovanni Battista Zorzo, nato il 10.4.1913, aveva all’epoca cinquantacinque anni non ancora compiuti, ma per i ragazzi della Casa dell’Immacolata era considerato un ‘anziano’.

Don Ottorino si riferisce forse all’assistente Vinicio Picco che da poco era rientrato dal Guatemala, dove era stato per una visita insieme con don Aldo.

Dal 1960 l’Italia era entrata in un boom economico mai conosciuto prima. Molte fabbriche aprivano e molti che facevano i contadini o avevano lavori precari e stagionali, si riversavano nelle città industriali per avere un lavoro sicuro e ben remunerato. Quando tornavano dal turno di lavoro fatto in fabbrica molti curavano anche i lavori dei campi che, grazie alle macchine agricole, era possibile svolgere in minor tempo; altri che non avevano campi cominciarono a costruirsi la prima casa di loro proprietà, per cui le ore della giornata non bastavano mai.

MI234,4[26-03-1968]

4.Non possiamo escludere la croce, non possiamo escludere qualche piccolo scontro, qualche piccola incomprensione, qualche piccola discussione; è impossibile, fratelli miei. A Grumolo c’è Battista che è vecchio, qui ci sono i ragazzini che sono giovani e allora fanno la pipì a letto e bisogna distendere le lenzuola all’aperto... Non è vero, maestro dei novizi? Dall’altra parte dell’oceano ci sono i galli che cantano... Non è vero, tu che vieni dal Guatemala? E dall’altra parte sarebbe stato tutto bello, ma c’era il materasso del letto troppo duro: e allora da una parte c’erano i galli, dall’altra parte c’era il letto duro; se vai in un’altra parte ci sono le zanzare... Insomma, vivaddio, qualcosa ci vuole, non c’è niente da fare! In Paradiso tutte queste cose verranno eliminate.
Dobbiamo pensare che i nostri papà e le nostre mamme soffrono di più. Qualche povero papà torna a casa la sera stanco, dopo avere fatto otto o nove ore di lavoro, e magari due o tre ore di viaggio, e a casa comincia la giornata un’altra volta, comincia un’altra giornata di lavoro. Quando va a letto per dormire, il piccolo, magari, piange e allora dice alla moglie: “Bene, stai ferma tu che sei stanca. Vado io a vedere”. E allora scende dal letto per scaldargli il tè o qualcos’altro. E dopo alla mattina, a quella data ora, non c’è niente da fare, deve alzarsi e correre al lavoro. Cari miei, dobbiamo pensare che tutti soffrono, che tutti hanno una croce da portare sopra la terra, e anche noi dobbiamo averla. Vi dico anzi che dovremmo domandarla a Dio se non ci fosse. Perché? Come potremmo entrare nel confessionale e dire una parola di conforto a una povera mamma piena di croci? E voi, diaconi, che tra noi siete quelli che avvicinerete di più la gente, - e ognuno ha la croce nel suo cuore, anche se non la mostra esternamente - come potrete dire una parola di conforto se voi la croce non l’avete mai portata, se voi avete trovato il modo di liberarvi della croce? Mi sembra che l’abituarsi a portare la croce sia necessario per poter parlare agli altri, ma soprattutto per poter mostrare il nostro amore al Signore e collaborare con Dio per salvare le anime. Dopo queste considerazioni procediamo.

CROCE sofferenze morali

FAMIGLIA

SACERDOZIO prete

DIACONATO diacono

APOSTOLO salvezza delle anime

DIO amore a Dio

Il riferimento è a fratel John Berchmans Kayondo, giovane ugandese ospite presso la Casa dell’Immacolata.

MI234,5[26-03-1968]

5.Il nostro caro cardinale dice che noi dobbiamo stabilire una vita secondo la regola dell’ “ora et labora”. E io direi che non possiamo dividere in due parti l’“ora et labora”; deve essere come i fili di questo vestito che indosso. Dicevamo in altri tempi che se si tirano da un capo i fili del vestito, povero don Ottorino: casca il palco! Se tiro via i fili da una parte, si disfanno quelli dell’altra.
Le nostre azioni devono essere intrecciate proprio così: ventiquattro ore di preghiera e ventiquattro ore di lavoro. Il lavoro sarà dormire un po’ di ore, sarà mangiare, sarà giocare, sarà dedicarsi a qualche attività, ma la preghiera deve accompagnarci sempre. La preghiera, fratelli miei, deve essere il respiro dell’anima. Come tu, John , respiri l’aria, così l’anima cristiana deve respirare Dio. Voi dovete, piano piano, prendere l’abitudine di parlare con Dio. La necessità del contatto con Dio per trasmettere vita Io ve l’ ho già detto in un’altra circostanza: si può prendere l’abitudine, per esempio, di offrire al Signore le croci. È una scala, è un modo anche questo per poter stabilire un contatto con Dio. Questa mattina mi sono alzato da letto in fretta, perché ero desto da un po’ di tempo e avevo visto la sveglia segnare le 6 e 20. Mi sono detto: “Non ho sentito il suono della campanella. Come è possibile?”. Ero sveglio da mezz’ora ed ero rimasto lì un istante. Allora sono saltato giù in fretta e in quel momento è suonata la campanella. Sono corso in chiesa dove non ho trovato nessuno; gli altri erano ancora tutti a letto. Che volete: capita! Ebbene, se in quel momento in cui ho guardato la sveglia - state attenti perché questo è per me un termometro - non avessi detto subito: “Signore, beh, pazienza! Sia fatta la tua volontà! Avanti, adesso farò le mie cose più in fretta”, se in quel momento non mi fossi messo in contatto con Dio perché avevo fretta, vuol dire che io devo rivedere me stesso. Non ci si può scusare dicendo: “È perché avevo fretta, perché è capitato questo, e perciò mi sono dimenticato di Dio!”. È impossibile dimenticarsi di Dio! Quando salti giù dal letto e hai fretta, non lasci i calzoni in camera, ma li indossi. Non ti scusi dicendo: “Avevo fretta e sono uscito di camera senza scarpe e senza calze”. No! Puoi avere tutta la fretta che vuoi, ma prima di uscire dalla camera ti vesti. E come è possibile non mettersi anche in contatto con Dio?

PREGHIERA

DIO contatto con

CROCE

ESEMPI Dio unione con...

Zeno Daniele frequentava all’epoca il 2° anno del corso teologico, ma già collaborava in ufficio con don Ottorino specialmente per i problemi relativi all’economia.

MI234,6[26-03-1968]

6.Bisogna che a un dato momento non crediate di avere soddisfatto il Signore perché avete recitato il breviario, perché avete detto le preghiere, perché avete fatto la meditazione. No, la preghiera non è una cosa così staccata, ma qualcosa che ci deve impregnare, accompagnandoci completamente dalla mattina alla sera. Può capitare che una giornata voi non possiate dire tutte e tre le corone, che possiate anche non dire le preghiere. Potete dispensarvi da alcune pratiche di pietà, ma non di pregare ventiquattro ore... perché se si ferma il cuore, casca il palco... se si ferma questo contatto con Dio, è un disastro! Un modo per realizzare questo contatto con il Signore, può essere quello di prendere l’abitudine di offrire le proprie sofferenze al Signore. Uno può partire così.
Io ho trovato questo modo per tenermi sempre unito al Signore; qualcuno ne potrebbe trovarne un altro, non interessa quale. Io ho cominciato fin da ragazzo: se mi capitava qualcosa, come un quattro a scuola, una frase di greco che non ero capace di tradurre, dicevo: “Beh, senti, Signore: tutto per te e per le anime, altrimenti sono guai”. E allora cominciavo di nuovo, cominciavo di nuovo. Qualche volta, agli inizi, capitava che, nel fare l’esame di coscienza della sera, trovavo che durante il giorno avevo perso delle occasioni per offrire le sofferenze al Signore e non ne avevo offerto neanche una, e allora le offrivo alla sera. Se tu cominci un po’ alla volta a fare la tua offerta alla sera, dopo sette o otto mesi arrivi che, a un dato momento, ti ricordi di farla almeno una volta al giorno oltre che alla sera. Finché, piano piano, finisci che qualunque cosa ti capiti, non sei capace di non offrirla al Signore. Ora, dovendo offrire spesso al Signore quello che ti costa, quando sei con lui ti soffermi un po’ e gli dici anche due parole. Se vai da Zeno, nel suo ufficio a portare un documento, e lo trovi, attacchi il discorso; due o tre parolette gliele dici: “Ciao, Zeno”. E lui: “Don Ottorino, ho qui una caramella”. E prendila questa caramella, e via; è un istante Anche con il Signore si finisce per dire una parola. A un dato momento si stabilisce una serie di contatti con lui, perché croci ce ne sono continuamente. Questo contatto con Dio vi porterà piano piano a respirare Dio. Fratelli miei, noi tanto valiamo in quanto sappiamo soffrire e sappiamo pregare, cioè in quanto sappiamo soffrire per amore di Dio e sappiamo stare in contatto con Dio.

PREGHIERA

DIO contatto con

AUTOBIOGRAFIA famiglia

CONVERSIONE esame di coscienza

CROCE sofferenza

CONSACRAZIONE offerta totale

Cfr. Isaia 40,1: “Consolate, consolate il mio popolo, dice il vostro Dio”.

Don Ottorino usa spesso il termine ‘incordare’ che ricorda la necessità per uno strumentista, prima di suonare in un’orchestra, di accordare il suo strumento per non stonare durante l’esecuzione. È chiaro che il ‘la’ lo dà Dio perché è lui il direttore dell’orchestra.

MI234,7[26-03-1968]

7.Domenica scorsa, e l’ho fatto notare a qualcuno dei fratelli in questi giorni, abbiamo fatto una meditazione su quei benedetti pesci e su quei benedetti pani; in chiesa abbiamo detto un pensierino. Poi mi sono messo davanti all’altare e ho detto: “Signore, bella cosa essere nelle tue mani: ma se fossi un pesce che puzza, un pesce che magari manda odore?”. Pensavo ai pesci che sono stati presi in mano dagli Apostoli e mi sono detto: “Avranno avuto un po’ di odore i pesciolini che questi benedetti Apostoli hanno cominciato a distribuire!”. Immaginiamo che il giovane che li aveva portati avanti e indietro non aveva certo il frigorifero e quindi nessuna meraviglia se sapevano un po’ di odore. Però una osservazione faceva il nostro caro don Giuseppe parlando di questo argomento: se il Signore ha fatto il miracolo più grande, avrà fatto anche quello più piccolo; fatto il miracolo più grande di moltiplicarli, avrà fatto anche quello di conservare sano il pesce. Non si può pensare che abbia dato pesce guasto o puzzolente alla gente affamata. Mi sembra giusto il ragionamento. Se quel pesce avesse avuto una punta di odore, avrebbe fatto il miracolo di moltiplicarlo? Prima gli avrebbe dato un giretto di vite, lo avrebbe un po’ incordato in modo che non puzzasse, e poi avrebbe fatto la moltiplicazione.
Anche se noi siamo pieni di miserie, anche se siamo pieni di peccati, anche se abbiamo rovinato le grazie di Dio, insomma, anche se siamo dei pesci un po’ pieni di spine e di cattivo odore, “consolamini, consolamini...” , mettiamoci nelle mani del Signore. Se il Signore vuole fare il miracolo di saziare il mondo con il nostro povero pesce e noi ci mettiamo generosamente nelle sue mani, prima di tutto il Signore lo ‘incorda’ , lo rimette a posto. “Ma... io sono una povera creatura, io sono pieno di peccati!”. Se il Signore ti ha chiamato a metterti nelle sue mani, non preoccuparti! “Che cosa vuole che faccia con me il Signore!”. Prima ti rimette a posto, altrimenti è segno che egli vuole che tu continui a puzzare, e magari ne escono figli che non puzzano affatto. Che volete fare? È così! Come nel caso mio: io continuo a puzzare e voialtri non puzzate. Pazienza!

PAROLA DI DIO Vangelo

PECCATO peccatore

APOSTOLO uomo di Dio

Era la santa mamma di San Giovanni Bosco.

Cfr. Salmo 118, 71. La lezione giusta è: “Bonum mihi quia humiliasti me...”.

Le preghiere fino al Concilio Vaticano II erano recitate in latino, per cui spesso le persone semplici uscivano con strafalcioni inimmaginabili.

MI234,8[26-03-1968]

8.Il Signore può anche permettere che i pesci che sono nelle mani dei suoi apostoli continuino a saper odore e quelli che vengono distribuiti non sappiano odore. Che volete? È così! Se il Signore permette che si continui così per tutta la vita, pazienza! Mi guardi, Giuseppe? Non potrebbe essere così, cioè che un ministro, una persona chiamata a diventare magari chissà quale meraviglioso apostolo in Argentina o in altra parte del mondo, continui a constatare i propri difetti, le proprie miserie... predichi la santità e la moltiplichi, e dalle sue mani escano dei Giovanni Bosco, delle Teresine di Lisieux e della mamme Margherita , e intanto lui continui a lamentarsi: “Signore, da me sono usciti pesci meravigliosi, e io, guarda qui, sono sempre il solito puzzolente”? Che vuoi farci? Si può essere pieni di difetti e pieni di miserie da giovani in poi: il Signore può permettere anche questo. E allora: “Bonum, Domine, quia humiliasti me” , e si accetta anche questo. “Ma, intanto, gli altri vanno in Paradiso e io...”. Tu li seguirai. Che vuoi farci? Pazienza! Invece di essere davanti a loro, sarai di dietro.
Bisogna che ci mettiamo con questa disposizione nelle mani di Dio. E allora ecco il programma: “Ora et labora”, preghiera e lavoro uniti insieme come in un intarsio. “Pregare. Dovere primordiale che non tollera discussioni; il cristiano deve pregare come respira”. L’autore non parla dei religiosi o dei missionari, ma dei cristiani. Quanto sono lontani da Dio certi cristiani che si accontentano di un segno di croce alla sera, che vanno alla Messa alla domenica, una ‘messetta’ in fretta e furia! Noi qualche volta sorridiamo davanti al papà di don Luigi Mecenero o a quei papà che incominciavano a recitare una fila di “Padre nostro” e non la finivano più. Però, domandiamo al papà del cardinale Rossi se non è vero che andava a Messa mattina e sera. Insomma, certi vecchiotti pregavano, figlioli miei. Noi adesso abbiamo fretta, ma ricordatevi che certi vecchiotti pregavano. E se nel nostro Veneto abbiamo una tradizione cristiana, credo che il segreto sia perché nelle nostre case alla sera ci si inginocchiava con la corona in mano e si recitava tanti “Padre nostro”. Non è vero, don Pietro? I nostri vecchiotti dicevano: “Io non mi intendo di transustanziazione; che cosa vuole che io sappia di quelle cabale, io non ci credo. Diciamo delle preghiere. Preghiamo, preghiamo!”, e dicevano delle preghiere mezze bestemmiate.

DIO stile di...

PREGHIERA

APOSTOLO chi è

l’

apostolo

CHIESA cristianesimo

Il complesso delle opere della Congregazione è situato nel territorio della parrocchia dell’Ausiliatrice e spesso i religiosi andavano a dare una mano soprattutto nella pastorale giovanile. Nel caso concreto don Ottorino accenna a Natalino Peserico, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico.

MI234,9[26-03-1968]

9.Questa è la realtà: i nostri vecchiotti pregavano!
Non illudiamoci, fratelli. Se non ci mettiamo in ginocchio a pregare, se non ci mettiamo dinanzi al tabernacolo, se non stabiliamo un contatto con il Signore, guardate che non facciamo niente. Il compito affidatoci è troppo difficile, è impossibile. Il Signore si ritirava anche lui di notte a pregare. E noi, se non ci mettiamo in contatto con Dio, in stanza o in qualsiasi altra parte, non possiamo salvarci. E questo vale per il cristiano! Bisogna che insegniamo ai cristiani a pregare; bisogna che troviamo il sistema, il modo per insegnare a pregare, ma non soltanto perché borbottino qualche cosa, ma perché stabiliscano anch’essi il contatto personale, intimo con il Signore. Bisogna insegnare ai ragazzi fin da piccoli a non fare preghiere formali, ma a parlare con il Signore, a dire una parolina tutta personale, ad intendersela con lui. “Perché Dio è Dio, e dobbiamo ad ogni momento riconoscerlo. Perché Gesù ha detto che bisogna pregare senza stancarsi mai. Perché senza la preghiera siamo condannati all’impotenza”. Senza la preghiera siamo condannati all’impotenza. Quante volte a qualche mamma e a qualche papà che vengono a confidarsi che non sono più capaci di guidare i loro figli e ai quali, magari, diamo dei suggerimenti pedagogici, dovremmo dire: “Scusi, buona signora, scusi, commendatore o cavaliere... Quanto prega lei per i suoi figlioli?”. “Beh, sa... si prega”. “Quanto prega ogni giorno? Quanto tempo rimane inginocchiato ogni giorno a pregare Dio per i suoi figlioli?”. Quanto noi, assistenti o preti, preghiamo per i ragazzi che abbiamo qui? Anche gli assistenti dell’Istituto... bisogna che preghino, che preghino: non c’è niente da fare! Per esempio, tu, Natalino, vai all’ Ausiliatrice : c’è qualche ragazzo che non fa bene? Mettiti davanti al Signore: “Signore, questa mezz’ora di adorazione è per quel ragazzo”. Bisogna pregare, bisogna pregare, domandare aiuto a Dio. Un domani nella vita apostolica, prima di iniziare una battaglia, prima di iniziare una conferenza, mettetevi davanti al Signore.

PREGHIERA

EUCARISTIA tabernacolo

DIO contatto con

APOSTOLO missione

PASTORALE

FAMIGLIA

Il riferimento è a Giovanni Orfano, che all’epoca frequentava il 2° anno del corso teologico e che evidentemente doveva fare una conferenza presso un collegio dei Barnabiti a Milano.

MI234,10[26-03-1968]

10.Tu, Orfano , andrai a Milano e dovrai parlare per convertire i... Barnabiti. Va bene! Tu sei uno strumento di Dio e devi portare la parola del Signore, altrimenti porti la tua parola. Perciò mettiti davanti al Signore: “Signore, suggeriscimi tu, fa’ che io dica solo quello che vuoi tu; che non porti me stesso, per carità, che non porti la mia parola, che non vada per farmi vedere, per carità! Che io vada solo a dire quello che vuoi tu! Io voglio essere uno strumento che va e passa, e basta! Strumento della tua grazia e basta!”.
Dobbiamo veramente stabilirlo questo contatto con il Signore altrimenti saremo condannati all’impotenza. E qui - il nostro tempo a disposizione è passato - qualche volta s’incorre in un errore tremendo: è facile che qualcuno, il quale sa comportarsi e parlare bene, si illuda. Anche un fiammifero acceso, gettato in un pagliaio, fa fuoco, ma è un fuoco di paglia. Perciò uno che ha delle belle doti umane può a un dato momento credere di fare chissà che cosa. Supponiamo che un parroco sia fornito di belle doti umane, ma non sia proprio un uomo di Dio: può fare cose meravigliose in un primo momento. “Oh, un affare per la parrocchia! Che movimento di fedeli!”, si sente dire. Un altro, che è meno dotato, ma è un uomo di Dio... Dopo un anno o due anni la sua parrocchia sembra sia diventata un’altra, mentre quell’altra parrocchia: poveretta! State attenti: da una parte c’è il fuoco di un ciocco di noce che sta accendendosi piano piano, mentre nell’altra c’è un fuoco di paglia. Dopo dieci anni della paglia non si vede neppure il colore per terra; dai ciocchi di noce si è formato addirittura il carbone. Tu, don Pietro, hai visto che tante buone parrocchie sono il frutto dei sacrifici di qualche povero pretino a cui, umanamente parlando, non avresti dato due soldi: lui è andato, e in principio niente di straordinario, ma piano piano, piano piano, è scoppiata la bomba. Di Santi Curati d’Ars ce ne sono tanti nelle nostre buone parrocchie, sia a Padova come a Vicenza! Qualche altro prete invece: brooommm... sembrava che facesse chissà che cosa, ma se sotto quelle doti umane non c’è un l’uomo di Dio, state sicuri che dopo un po’ di tempo è un fuoco di paglia. Può esserci un’organizzazione esterna bellissima, tutto quello che volete, lodi da parte del vescovo perché sono tanti gli iscritti all’Azione Cattolica, la nomina anche come monsignore... Piano! Lasciate passare un po’ di tempo: “Sono passato e non c’era più niente”. La sostanza è questa: tutte le doti vanno trafficate, tutti i talenti vanno trafficati, ma su questa base, cioè quella di un uomo in contatto con Dio.

APOSTOLO chi è

l’

apostolo

DIO contatto con

ESEMPI uomo di Dio

PASTORALE parroco

DOTI UMANE

APOSTOLO uomo di Dio